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mercoledì 2 gennaio 2008

Il premier Zapatero ai vescovi: "Sulla famiglia non torneremo indietro".

(Rainews24) Il partito socialista spagnolo (Psoe) e il premier José Luis Zapatero hanno reagito oggi in modo duro alla manifestazione di domenica scorsa a Madrid 'per la famiglia cristiana'. I vescovi conservatori spagnoli avevano attaccato la legislazione sul matrimonio omosessuale e sul 'divorzio rapido' approvata dal governo.

"Nella Spagna della Costituzione tutti hanno il loro posto - ha ricordato oggi Zapatero - tutti hanno diritto ad avere diritti, che professino o meno una religione. E' la Spagna che vuole la immensa maggioranza degli spagnoli, e continuerà così".

Il segretario organizzativo del Psoe, José Blanco, nel suo blog su internet, è stato ancora più netto, sostenendo che i vescovi "hanno due opzioni: presentarsi alle elezioni o mantenersi al margine della vita politica".

Il partito socialista ha anche inviato un comunicato, intitolato "le cose al loro posto", supervisionato dallo stesso Zapatero (e pubblicato sul quotidiano El Mundo), in cui si precisa che "chi deliberatamente ignora o non rispetta" il diritto della "società attraverso i suoi rappresentanti a stabilire principi di liberta' individuale e convivenza per tutti i cittadini", "si allontana dalle fondamenta essenziali della democrazia".

"La fede non si legifera", afferma la nota del partito socialista, che ricorda come, oltre alle nuove norme che hanno scatenato l'ira dei vescovi più conservatori, la legislatura che sta per terminare abbia prodotto anche molte altre leggi: "Per promuovere la natalità, per conciliare la vita familiare e professionale, per dare dignità alle famiglie di pensionati con pensioni basse, per appoggiare le famiglie con persone dipendenti" e per fornire borse di studio agli studenti di famiglie povere.
"Non faremo nessun passo indietro", conclude il comunicato.

Nella manifestazione di domenica scorsa, a cui hanno partecipato circa 160.000 persone secondo i calcoli della stampa e di organizzazioni indipendenti, il cardinale di Madrid Antonio Maria Rouco Varela aveva sostenuto che il governo di Zapatero ha fatto "passi indietro sui diritti umani" rispetto agli standard dell'Onu. Altri vescovi avevano apertamente parlato di "leggi ingiuste" che minaccerebbero la famiglia cristiana.

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Ungheria, Vescovi cattolici contro legge su unioni di fatto.

(Radio Vaticana) Anche in Ungheria la Chiesa scende in campo contro il riconoscimento legale delle unioni di fatto. Una legge in tal senso è stata approvata qualche giorno prima di Natale dal Parlamento ed entrerà in vigore nel gennaio 2009. Il provvedimento, in sostanza, prevede un registro delle unioni civili che permetterà ai conviventi etero e omosessuali di accedere al diritto di successione in caso di morte e dichiarazioni dei redditi congiunti. È esclusa invece l’adozione. In una dichiarazione i vescovi ungheresi hanno espresso particolare sconcerto per il riconoscimento delle coppie omosessuali: “Equiparare simili unioni al matrimonio mina una società sana”, ha dichiarato il portavoce della Conferenza episcopale, Csongor Szerdahelyi. “Non discriminiamo gli omosessuali nella Chiesa - ha puntualizzato , ma non siamo d’accordo con quei politici che sostengono che queste aperture siano inevitabili e che cercano di condizionare le opinioni facendo passare come una cosa normale questo modo di vivere in Occidente”. Per i vescovi la nuova legge è anti-costituzionale e contraria alla legge naturale. “Anche quando entrerà in vigore – ha ribadito il portavoce dei vescovi - la Chiesa resterà fedele ai dettami del catechismo secondo cui il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna aperta alla vita”. (Cns – ZENGARINI)

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La Spagna ci supera.

(Uguali amori) Dice Romano Prodi che la Spagna non ci supera, il nostro PIL è del 13% più alto di quello spagnolo.

Ma, caro professore, non di solo PIL vive un paese. A parte che la velocità con cui cresce il PIL spagnolo, rispetto a quello italiano, è tale che se continua così tra 5 anni ci superano anche sul PIL (ma giustamente a Prodi che gli frega? Tra cinque anni non starà certo a Palazzo Chigi), ci sono altri parametri che dicono come la Spagna sia avanti all’Italia.

Le leggi sui diritti civili sono la prima cosa che viene in mente: i diritti degli omosessuali, che possono sposarsi, quelli delle donne, che hanno dei tribunali appositi contro la violenza domestica. Certo, i binettiani diranno che queste non sono grandi conquiste, e infatti per loro c’è un indice tutto tecnologico che prova come invece la Spagna sia avanti all’Italia.

Ogni sei mesi, viene redatta la classifica dei 500 computer più potenti al mondo. Il computer più potente non è un feticcio degli informatici, è un indice dell’innovazione del sistema tecnologico ed industriale di una nazione. Se hai un computer potente, puoi fare cose avanzate in campi come l’ingegneria genetica, la costruzione di nuovi materiali, le simulazioni finanziarie su vasta scala, i modelli del clima, la costruzione di nuovi oggetti e dispositivi, insomma qualsiasi cosa che porta ricchezza tecnologica e posti di lavoro di ottima qualità.

Per vedere come cambia il mondo, basta quindi leggere la Top 500. I suoi andamenti mostrano chi cresce e chi torna indietro nella competizione globale meglio di qualsiasi indice, visto che il mondo in cui viviamo è il mondo dell’informazione (che non è la televisione, come invece i nostri politici pensano). Negli ultimi anni infatti la classifica è cambiata in questo modo:

  • Dopo l’11 Settembre, gli Stati Uniti hanno voluto e riconquistato il primo posto, che era appannaggio dei giapponesi (i supercalcolatori si usano anche per studiare le esplosioni nucleari, simulandole: in questo modo formalmente si rispetta il trattato di non proliferazione ma nei fatti si conducono esperimenti);
  • l’India, potenza emergente, ha conquistato la quarta posizione;
  • la Cina non è in classifica perchè non divulga i dati, visto che hanno una importanza anche militare;
  • Germania e Svezia sono le prime due nazioni europee in classifica, perchè hanno fatto pesanti investimenti tecnologici;

Tornando al titolo di questo articolo, la Spagna con il supercomputer di Barcellona (il Mare Nostrum, tra l’altro messo all’interno di una chiesa sconsacrata in uno scenario molto suggestivo) è al 13esimo posto, fino a un paio d’anni fa era la prima in Europa poi appunto Germania e Svezia hanno deciso di riprendersi la leadership, perchè sanno cosa vuol dire non essere primi in questa gara.

E l’Italia? E’ ben 48esima. Basta dire che nel 1992, con il supercomputer APE, era la prima al mondo.

Questa è la nostra situazione. Altro che le cazzate di Prodi sul PIL.

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“Coming Out With Cher and Chas”, il nuovo reality di Cher e figlia.

(Televisionando) Film ne ha fatti, dischi anche: insomma, a Chere mancava solo un reality show, e adesso avrà pure questo.
La veterana del pop, nonché icona gay condurrà infatti, assieme a sua figlia (Chastity, 38 anni e lesbica), un reality che consiglierà gay e lesbiche sul come fare coming out: “Coming Out With Cher and Chas”, questo il nome del programma, consiglierà gli/le omosessuali sul come dire ai parenti ed amici che sono gay, evitando soprattutto le scenate e i drammi familiari del caso.
Drammi cui Cher non è certo estranea, visto che quando seppe che sua figlia era lesbica, la spedì in terapia senza farle dire né ah né bah per “guarirla”. Comunque: le due sembrano avere ricomposto i diverbi, ed avrebbero proposto la loro candidatura di “consigliere celebri” ad alcuni produttori televisivi nel corso di un pranzo ad Hollywood. Secondo quanto ha dichiarato una fonte: “Cher e Chas credono di essere due vincitrici, e hanno fissato dei meeting con i maggiori network. Gli piacerebbe essere al centro di una lotta per accaparrarsele tra grossi network, e non nascondono le difficoltà della loro relazione: pensano insomma di essere l’ideale per parlare a chi ha difficoltà con cose dello stesso genere. Stanno cercando di lasciare un segno delle loro carriere, e hanno assicurato i produttori che si comporteranno in onda come tra le mura di casa, promettendo insomma fuochi d’artificio tra loro”.

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Hiv/ Se la pubblicità è scandalosa (per i francesi).

(River-blog) Due uomini che si baciano, sdraiati su un letto: per i francesi è troppo. E così l’autorità che vigila sulle pubblicità, ha disposto il ritiro di questa foto. Un vero peccato, anche perché si trattava di una pubblicità contro l’Hiv: “ogni giorno quattro gay francesi scoprono di essere sieropositivi”, recitava lo slogan. Furiose le associazioni omosessuali: “Queste misure non vengono adottate nei confronti di poster analoghi eterosessuali”.

I bigotti non sono solo in Italia, per fortuna.

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Bari. Da parco Perotti al flop della sanità ecco tutte le promesse non mantenute.

Un anno fa amministratori e manager pubblici e privati si erano sbilanciati in previsioni: molte sono rimaste solo sulla carta.

(Giuliano Foschini - La Repubblica, edizione di Bari) Una passeggiata a Parco Perotti. Ospedali migliori e senza problemi di cassa. Nuove piazze e palazzetti dello sport. E poi il Bari che vince, diverte e che sogna e fa sognare la serie A. Avrebbe dovuto essere così il 2007 di Bari e della Puglia a leggere le promesse dei politici e degli amministratori: era il 30 dicembre del 2006 e Repubblica chiese a politici e manager pubblici una promessa, una cosa che avrebbero realizzato sicuramente nel 2007. Oggi loro sono ancora tutti negli stessi posti. Molte delle cose che avevano promesso, però, non ci sono ancora.
Diceva Michele Emiliano per esempio: «Il parco di Punta Perotti sarà finalmente completato». Gli faceva eco il suo assessore comunale ai Lavori pubblici, Simonetta Lorusso: «Nel 2007 nascerà certamente il parco di Punta Perotti, con pista ciclabile e tensostrutture». Ecco, il parco non c´è. Nel senso che c´è il prato, ci sono gli ulivi per ricordare la sciagura dell´Atr, ma non ci sono ancora i baresi. L´area è ancora inaccessibile, chissà ancora per quanto tempo. Non è stato profetico nemmeno il governatore, Nichi Vendola. «Il 2007 - prometteva - dev´essere l´anno della sanità». Effettivamente lo è stato, ma probabilmente non nel senso che si aspettava il presidente della Regione: proprio gli ospedali pugliesi, le Asl, hanno causato il grande buco che ha costretto il governo locale ad aumentare le tasse. «Più attenzione al sociale» diceva poi Vendola.
I fondi rispetto al passato non sono ancora aumentanti ma sono state avviate tante iniziative in quel senso: prima tra tutte, l´inaugurazione degli alberghi diffusi in Capitanata per i lavoratori del pomodoro. La politica, quindi. Ma non soltanto. «Prometto che la nostra famiglia si continuerà a impegnare. Avremo un gioco migliore, più risultati e chissà che la serie A non sia soltanto un sogno». Parlava così Vincenzo Matarrese, presidente del Bari, ed è inutile infierire e ricordare quello che (non) è successo dopo. Ritornando a Bari il programma dei cantieri non è certo stato rispettato alla lettera. «Piazza Risorgimento diventerà pedonale» annunciava l´assessore Lorusso. E ancora: «Sarà ristrutturato il Palaflorio». Nulla è pronto, ma in compenso (così come da impegni) sono partiti i lavori a Carbonara e del sesto percorso Urban.
Perché qualcuno ha mantenuto le promesse. Il rettore Corrado Petrocelli assicurò: «Faremo il codice etico», ed effettivamente il codice etico è stato approvato seppur a dicembre. Domenico Di Paola assicurò il bando per i nuovi voli internazionali (fatto), l´assessore comunale alla Mobilità, Antonio Decaro, il via del servizio di bike sharing (fatto). Rispettata anche la promessa del prefetto, Carlo Schilardi: «Chiuderemo la partita sull´esproprio del Petruzzelli» disse, e ora dodici mesi dopo sono cominciati i lavori. L´assessore comunale all´Ambiente, Maria Maugeri, si impegnò (e ha mantenuto) a terminare la prima fase della bonifica di Torre Quetta e ad avviare quella dell´ex Gazometro (non ha lanciato però come annunciato la campagna pubblicitaria sulle piccole questioni ambientali). Sono stati di parola anche due uomini della giunta Vendola: Minervini promise il concorso per i dipendenti (e l´ha fatto) ma non è riuscito a inaugurare il primo laboratorio di Bollenti spiriti. Losappio, invece, è riuscito a far approvare le leggi sugli ulivi secolari e le attività estrattive. E il 2008? Per l´anno nuovo (dal Petruzzelli agli ospedali) ci sono già tante promesse, da tutte le parti. In attesa di vedere, tanti auguri.

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Bologna. "Cofferati deve ricandidarsi".

Il leader regionale del Pd: "Il nostro partito baricentro della discussione. Rifondazione si è autoisolata".

(Luciano Nigro - La Repubblica, edizione di Bologna) Caronna: ma faremo le primarie se dovesse scegliere diversamente
"A La Forgia vorrei dire che non mi risulta che Mauro Zani sia un nostro iscritto"
"Il Prc vive un travaglio che l´ha portato a rompere con i suoi uomini di governo"
Ci sono tutte le condizioni per portare a termine il mandato. La città non capirebbe le elezioni anticipate
Faremo il bilancio delle esperienze di governo insieme e indicheremo la prospettiva futura

«Cofferati deve concludere la sua esperienza e ricandidarsi nel 2009. Ma se il sindaco dovesse scegliere altrimenti, il Pd avanzerà comunque un progetto e una candidatura e lo farà con le primarie». Ha aspettato due mesi e mezzo per tornare a parlare del "caso Bologna" Salvatore Caronna. Appena eletto segretario regionale del Pd, il 14 ottobre, disse che senza una maggioranza in Comune si doveva andare a votare. Ora che sta per formarsi una nuova coalizione, più piccola dell´Unione, senza Prc e Verdi, Caronna deve fare i conti con una battaglia per la successione in vista del 2009 che si sta aprendo in casa del Pd con la minoranza di Antonio La Forgia che punta sull´ex segretario Pci-Pds-Ds Mauro Zani. Da navigato politico, il segretario regionale del Pd si tiene aperte sia la strada di un Cofferati-bis nel 2009, sia l´eventuale ricerca di un nuovo candidato. In questo caso, avverte Caronna, l´arbitro della contesa sarà comunque il Pd.
Lei chiedeva un rilancio dell´Unione perché «solo l´elettorato piò cambiare le maggioranze». Il 9 gennaio in Comune ci sarà il vertice che potrebbe portare alla nascita di una maggioranza Pd-Sd. Le pare un risultato soddisfacente?
«E´ Rifondazione comunista ad aver scelto di isolarsi e chiamarsi fuori dalla maggioranza. Da tempo il Prc vive un travaglio che l´ha portato a rompere con i suoi uomini di governo».
E´ scontato l´accordo con la sinistra democratica?
«Vedo tutte le condizioni per portare a compimento il mandato. La città non capirebbe le elezioni in un anno in cui ci sono tantissime cose da fare».
Mentre si chiude la crisi in Comune, si apre lo scontro sulla prospettiva. Cofferati non piace agli alleati e una parte del Pd già pensa a soluzioni alternative come Zani.
«Noi pensiamo che Cofferati debba concludere l´esperienza e candidarsi per il successivo mandato».
Ma il sindaco ha detto che solo il 18 giugno chiarirà se intende ripresentarsi.
«E´ una sua scelta».
E voi starete a guardare fino a giugno?
«Nient´affatto. Il Pd sarà il baricentro della discussione sulla prospettiva. Non solo a Bologna, ma in tutta la regione noi faremo un bilancio delle esperienze di governo e insieme indicheremo una prospettiva futura».
Non la prende alla larga?
«Non credo. I cittadini si aspettano da noi proposte concrete per migliorare la vita delle persone».
Che cosa è, un augurio di buon anno?
«Anche. Vogliamo dare fiducia in un futuro migliore, proprio quando sembra prevalere il pessimismo».
E fino a giugno si limiterà a questo?
«Tutt´altro. Stiamo costruendo un partito nuovo a velocità inimmaginabile. Abbiamo fatto le primarie, organizzato i gruppi dirigenti, in gennaio radicheremo il Pd in ogni comune e in ogni quartiere, lanceremo la campagna di adesione dei fondatori del partito. E insieme faremo il punto sulle esperienze di governo».
La Forgia chiede che non ci sia un solo candidato del Pd come vorrebbe Cofferati. Lei con chi sta?
«Il Pd ha il dovere, non solo il diritto, di avanzare un suo progetto e una candidatura. E per il ruolo che ricopre di indicare una strategia per l´intera coalizione».
E se ci saranno più concorrenti?
«Chi ha idee e progetti, li presenti se sta al merito delle questioni».
Anche se si candidasse Zani?
«Non mi risulta che abbia aderito al Pd».
Non teme una faida, una resa dei conti per la leadership?
«Abbiamo un antidoto: le primarie si sono rivelate uno strumento efficacissimo».
Dovremo abituarci alle vostre turbolenze interne?
«Perché temere il confronto? E´ utile che chi ha proposte si metta in gioco, poi come si diceva un tempo, chi ha più filo tesserà».
Su Bologna in molti sono delusi. Anche Vassallo parla di un declino.
«Declino, laboratorio sono espressioni che temo nascondano un atteggiamento provinciale. Bologna sta subendo cambiamenti radicali».
Ma nel rapporto con Roma perde rispetto alle grandi città.
«E´ un problema che riguarda le città medie, perciò occorre l´area metropolitana».
Il sindaco chiede un suo giudizio su ciò che la giunta ha fatto dal Psc al people mover.
«Nel mio piccolo, da consigliere ho contribuito a quelle scelte, come potrei non essere d´accordo?».
Cofferati dice che è il programma conta più di chi lo porta avanti. Condivide?
«Sì».

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Teatro: De Sica infortunato, spettacolo rinviato a data da destinarsi. Forse poca prevendita.

Sembra più grave del previsto l'infortunio al ginocchio di Christian De Sica. L'attore - dominatore del botteghino cinematografico del 2007 con "Natale in Crocierà" - si sarebbe rotto il menisco nella serata del debutto milanese dello spettacolo teatrale "Parlami di Mè". Ora la direzione del Teatro Nuovo ha confermato che le repliche dello spettacolo sono state rinviate a data da destinarsi. Chi avesse già acquistato i biglietti per le repliche può chiederne il rimborso.
Voci maligne riferiscono che l'infortunio di De Sica sarebbe piuttosto la conseguenza dell'esito avuto della poca prevendita per le date milanesi dello spettacolo.

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"Su don Gelmini e Pasolini non facciamo elucubrazioni", Daniele Priori, GayLib, scrive a "Il Foglio" di Ferrara.

Caro Direttore;
Comprendiamo tutti i moti del suo animo dopo l’elezione de “Il Foglio” a giornale prediletto da parte di Paola Binetti, neuropsichiatra e senatrice dalla dubbia deontologia. Tuttavia il paragone che pone in un unico calderone don Gelmini e i suoi peccati, i reati che gli si addebitano, la letteratura di Nabokov, quella di Pasolini e da ultimo la cultura gay, presenti nell’editoriale “Don Gelmini e Pasolini” pubblicato a pagina 3 del suo quotidiano in data 29 dicembre 2007, è parso davvero spropositato e persino offensivo di una memoria giusta, delle conquiste in materia di cultura e diritti civili maturate negli anni, di una minoranza gay certo imperfetta e fracassona ma comunque meritevole di quel rispetto che Montanelli leggeva come sintomo primo della democrazia di un popolo.
E’ singolare come la sua elucubrazione, ripresa da molti intellettuali solitamente omofobi, ma a quanto pare non dal Vaticano che ha invitato coerentemente Gelmini a fare un passo indietro, vada di fatto – per giustificare le presunte porcate sottobanco di un prete già molto discusso per altre vicende – a mettere sullo stesso piano la cultura laica e quella cattolica, il modo di vivere di una comunità civile e secolare con le regole chiare e nettissime della Chiesa Cattolica e ancora, triste consuetudine dell’ultimo periodo a cavallo tra islamismo e cattolicismo, il peccato mischiato al reato.
Non sappiamo in quale mondo viva l’anonimo editorialista de “Il Foglio”, resta il fatto che il pur bel romanzo di Nabokov così come i pasoliniani ragazzi di vita sono stati concepiti e restano, con tutti i tormenti ad essi acclusi, tra le pagine di due opere letterarie.
La vita e l’intelletto di Pasolini sono stati ben altro. Così il suo tormento e la sua coscienza fin troppo chiara del peccato. In questo senso, non so se concorda, ma proprio gli scritti corsari di Pasolini si avvicinano molto di più agli accigliati concetti espressi dal pensatore Joseph Ratzinger, poi papa Benedetto XVI.
Così la cultura gay, colpevole pure di mille vizi e diecimila tic tra cui spesso – e lo dico a ragion veduta – la scarsa democrazia interna, non può essere certo accusata di chissà quale conformismo quando si unisce alla comunità civile nel chiedere un giusto processo contro un sacerdote che, abusando del suo ruolo carismatico in una comunità di recupero per tossicodipendenti, approfitta in maniera più o meno lecita di quegli stessi ragazzi alcuni dei quali, parrebbe, anche minorenne.
Questi si chiamano reati. Poco c’entrano Nabokov, Pasolini, la maledetta modernità dei costumi e delle coscienze e persino la concezione del peccato cui l’editorialista fa cenno.
Al peccato ci penserà, semmai, la Chiesa. E fa onore a don Gelmini, questo sì, la lettera inviata al Papa nella quale si dice pronto a essere ridotto alla condizione laicale per non invischiare la Chiesa nella sua vicenda giudiziaria.
Quest’ultimo passaggio è parso essere, nel guazzabuglio improprio di concetti emersi finora anche nell’editoriale de “Il Foglio, la risposta più appropriata a una vicenda triste ma fin troppo chiara. Di peccati e reati da accertare e distinguere ma tutti strettamente legati alla realtà e non alla letteratura. Lasciando in pace, se possibile, la memoria di scrittori certamente peccatori che, però, non hanno mai aspirato al ruolo di santi o, forse, di santoni.

Daniele Priori
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L'editoriale a cui fa riferimento Daniele Priori e pubblicato il 29 dicembre su "il Foglio".

Don Gelmini e Pasolini

Nabokov ha fatto del suo eroe, che si faceva Lolita, una bambina di tredici anni, un simbolo di liberazione sessuale, estetica e morale per generazioni di occidentali. Pasolini, che si faceva
una quantità di ragazzi di vita, amandoli scrutandoli raccontandoli pagandoli e seducendoli, ha fatto di se stesso il poeta italiano della condizione umana moderna ed è stato riconosciuto
come l’usignolo della chiesa cattolica, un martire dell’amore, come lui voleva. E don Gelmini?
Il castello di accuse trapelato sui giornali, per il tono e le circostanze delle chiamate in causa, per i soggetti che chiamano in causa quel prete, è fragile come un castello di carte. La storia di un ottantenne che molesta i giovani della sua comunità tirando in ballo “nomi di politici” per ricattarli e con trucchi di seduzione da giovane checca (“mi piaci con i capelli corti”) ha lo stesso valore della caccia alle streghe di Rignano Flaminio e di molte altre storie di ordinario esorcismo
di massa (non l’esorcismo buono, quello che dovrebbe essere esercitato con cura presbiteriale e professionale in ogni diocesi, secondo Benedetto XVI). Ma questa è un’opinione, suffragata da parecchi fatti, che attende solo di essere smentita da un giusto processo, in cui a contare non siano solo le parole confuse delle vittime bensì i riscontri, se ci siano, e in cui si tenga nel dovuto conto il fatto che una cosa sono le responsabilità penali addebitate a don Gelmini e un’altra cosa sono le eventuali responsabilità nel malaccorto difendersi dalle accuse con un’azione sospetta
di cover up, di depistaggio delle indagini. Si può non aver nulla da nascondere, ma qualcosa di importante da difendere, quando la propria reputazione sia decisiva per le sorti di un impero della carità al termine di una lunga vita di impegno sociale, comunque lo si giudichi. Siamo nel paese in cui Gaetano Salvemini esortava a riparare all’estero chiunque fosse accusato di aver rubato o stuprato la Madonnina che protegge Milano dalla più alta guglia del suo Duomo.
La faccenda appassionante e inquietante è un’altra. Nasce nel caso fosse accertato per vero, allo stato delle cose un’ipotesi assurda ma un’ipotesi, l’omoerotismo di un vecchio prete, il suo bisogno di dare e ricevere piacere o libero amore, se preferite, a ragazzi ragazzi che gli pullulano intorno in un contesto comunitario in cui si cercano speranza e salvezza per vite perdute. Allora, cari nabokoviani, cari sperimentalisti letterari, cari pasoliniani: vogliamo dare al prete immerso nella “condizione umana” dell’omosessualità (Walter Veltroni), innamorato dei ragazzi al punto di gridare ancora adesso apertamente che non semetterà mai di abbracciarli, bisognoso del loro sesso o della loro affettività (dicono così gli psicologi), la stessa chance laica di essere considerato in modo sfaccettato e complesso, se non la sorte di diventare perfino simbolo poetico del dramma eterno e torbido dell’amore maledetto? Perché mai sui giornali della borghesia intellettuale italiana emerge solo e soltanto la dimensione criminale, che resterebbe parte del dramma in un serio racconto laico, e non anche l’altra, quella dimensione tollerante e sublimata che ha permesso agli stessi giornali di essere nabokoviani e pasoliniani? Come mai considerate elegante e universale lezione letteraria lo stupro di Lolita, come mai considerate profetica e corsara assunzione di responsabilità verso il proprio mondo poetico le marchette notturne di Pasolini, se poi non vi riesce di capire la perdizione di un prete? Siamo sempre allo stesso punto, cari amministratori della coscienza laica divisa, quella coscienza falsa, ideologica, che non dà a ciascuno il suo e non fa giustizia nemmeno sul piano simbolico. Avete cacciato dal vocabolario
la parola “peccato”, non sapete dunque né giudicare né perdonare, né assolvere né condannare, sapete soltanto sublimare il secolo e aggredire il clero, vi esercitate in questo sport banale. Nella prima metà del Novecento si leggeva lo straordinario racconto di Bernanos, il diario di un curato di campagna, e si sapeva di che cosa si parlava quando si parlava di un prete e dei suoi tormenti. Nella seconda metà del Novecento si è letto di fretta Lolita o Ragazzi di vita e si è pensato che, tolto il peccato, ferrovecchio in mano alla chiesa e ai suoi confessionali, sarebbe rimasto il diritto
eguale, l’unicuique suum, e invece siete approdati a una giustizia morale divisa, dalla pena di morte in moratoria ma con l’aborto di massa in efficiente funzione, dall’omoerotismo dei preti esorcizzato senza sapienza ai fasti conformisti della cultura gay.

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Arcigay: protesta laica a marzo. Probabilmente senza governo.

Il presidente Mancuso, non vogliamo essere governati da poteri terzi.

(Ansa) Si terra' a Roma il 15 marzo la manifestazione ''LiberaItalia'' promossa da Arcigay. Lo annuncia il presidente Aurelio Mancuso. ''Sara' una grande manifestazione, non contro qualcuno, ma per riaffermare i valori della liberta' e del pluralismo per uno Stato che non ha vergogna a definirsi laico''. Mancuso critica ''il card. Ruini e gli atei devoti come Ferrara'' per gli attacchi alla legge 194 e richiama quei laici che non vogliono ''essere governati da poteri terzi'' a partecipare.

Ndr. E' talmente urgente il problema visto l'evolversi dei fatti che con lungimiranza il Presidente Mancuso indice la sua protesta a metà marzo. E' probabile che per quell'epoca il governo Prodi sarà stato mandato a casa proprio dai partiti a cui fa riferimento il Mancuso per cui non si capisce il perchè una manifestazione laica per ribadire la laicità dello stato sia organizzata alle "idi di marzo". Problemi organizzativi? Vai a saperlo cosa passa per la testa quelli dell'Arcigay, l'importante è che lo sappiano loro, visto che ormai li seguono in pochi, anche se ne dubitiamo fortemente.

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Cinema: La Cina mette al bando film erotici, censura anche per Ang Lee.

(Adnkronos/Cinematografo.it) - Produttori di film erotici? La Cina li mette al bando. I censori del Paese asiatico hanno dichiarato che i producer a luci rosa saranno esclusi dallo showbiz e non potranno concorrere per qualunque premio cinematografico nazionale. Una presa di posizione paradossale, poiche' porno e nudita' sono gia' tabu' in Cina. Secondo Beijing News, la State Administration of Radio, Film and Television ha chiesto agli studios di non produrre film con "immagini di sesso esplicito, stupro, prostituzione e genitali". Nel mirino, secondo il quotidiano di Pechino, sarebbero anche "volgarita' verbali, canzoni maliziose ed effetti sonori con connotazioni sessuali". Registi e interpreti verranno esclusi dai premi, e chiunque sia coinvolto nella realizzazione di film erotici potrebbe incorrere in una moratoria di cinque anni dallo showbiz. Recentemente, il thriller erotico di Ang Lee, 'Lussuria', Leone d'Oro alla Mostra di Venezia e in uscita il 4 gennaio nelle sale italiane, e' stato distribuito e acclamato in Cina, ma solo dopo il taglio delle scene di sesso piu' esplicite.

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Binetti la dura e la nuova crociata per la revisione della legge sull’aborto.


(Panorama) Mancava solo la sua. E infatti è arrivata: la benedizione della senatrice Paola Binetti contro la legge 194. Per nulla intimorita da chi la voleva fuori dal Pd per aver votato contro, lo scorso dicembre, al primo e pasticciato pacchetto sicurezza voluto da Veltroni; per nulla imbarazzata dalla lettera che lo stesso segretario le ha inviato per dirle che affermare che “i gay vanno curati” è “pericoloso e sbagliato”, ora la cattolica Binetti interviene nel dibattito sulla revisione della legge sull’aborto.

E c’è poco da sorprendersi, visto che la senatrice non è nuova nel giocare ruoli di rottura, sui temi etici, con le posizioni laiche della sinistra della propria maggioranza.
Esponente di punta dei teo-dem - corrente del Partito Democratico di stampo democristiano e cristiano-sociale (ne fanno parte Luigi Bobba, Emanuela Baio Dossi, Enzo Carra e Marco Calgaro), molto vicina alle posizioni dottrinali propugnate dalla Chiesa sulla procreazione assistita e sui Dico - alla vigilia di Natale, per far capire di che pasta è fatta, la Binetti ha rincarato la dose contro le dure critiche del suo leader e le accuse di “nazismo” delle associazioni Lgbt: “È grave che Veltroni, spinto dalle pressioni degli omosessuali, voglia soffocare il confronto su temi così importanti. No, Walter, non è con i diktat su unioni civili e omosessuali che si costruisce il partito Democratico”. E a conferma della sua tesi, la Binetti ha rispolverato i suoi trascorsi professionali. La senatrice, che in passato non ha nascosto di usare il cilicio come forma di penitenza, altri non è che una neuropsichiatra. Una scienziata, insomma. “Ho esperienza decennale di omosessuali che si fanno curare” scriveva sulla Stampa “non sono andata a cercarli io, sono loro che sono venuti in terapia da me”.
Veltroni o non Veltroni, scienza o non scienza, comunque Paola Binetti le idee chiare le ha sempre avute: “La mia coscienza resta qua”. Senza uscire o farsi cacciare, come vorrebbero in tanti, dal Pd. Ma ora la posizione della senatrice si è fatta ancor più estrema, dicendosi pronta non solo a sostenere la crociata lanciata dal direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara e dal Cardinale Ruini, ma anche di essere disposta a votare con Forza Italia e con una formazione trasversale in Parlamento: “Sulla salvaguardia della vita” spiega “non valgono logiche di schieramento o posizioni di partito”. Altro che inciucio, insomma: “Sono convergenze alla luce del sole”.
A raccogliere politicamente le proposte del giornalista e del cardinale, è stato Sandro Bondi, coordinatore nazionale di Forza Italia, che ha confermato di aver presentato, già tre mesi fa, una mozione parlamentare per”l’istituzione di linee guida (attualmente non previste dalla 194) per permetterne un’applicazione piena, coerente e omogenea'’. E la Binetti si è accodata: “Nel Pd e in Parlamento” rivela “siamo in più di quanti si creda a ritenere indispensabile la rivisitazione della legge 194″.

Un numero che non contempla certo Marina Sereni, vice capogruppo del Pd alla Camera: “La legge 194 è stata un’ottima legge che ha contribuito a sconfiggere l’aborto clandestino e a dare alle donne tutele e aiuti per una maternità consapevole. Mi auguro” ha aggiunto Sereni “che l’iniziativa a titolo personale dell’onorevole Bondi, che sa tanto di speculazione politica, resti assolutamente tale”. Dice sì al dialogo, ma no alla modifica della legge, il ministro della Salute Livia Turco. Che ha lanciato un messaggio forte e chiaro: “È una legge applicatissima”. La legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, infatti, “ha fatto sì che da trent’anni ad oggi gli aborti si siano praticamente dimezzati riducendosi del 45% e sia stato cancellato l’aborto clandestino e la conseguente altissima mortalità materna”.
Va dritta al bersaglio, invece, la capogruppo del Pdci al Senato Manuela Palermi: “La senatrice Binetti sta coprendo di vergogna e di ridicolo l’intera coalizione di governo. Affermare di essere pronta a sottoscrivere la mozione di Forza Italia contro la 194, significa insultare tutte le donne”. Ma non è solo vergogna, è totale incompatibilità: “Il suo incredibile comportamento” prosegue ancora la Palermi “rende incompatibile la sua presenza in un centrosinistra che nel suo programma ha riaffermato la laicità dello Stato. che Veltroni intervenga”.
Ma, essendo lei una senatrice, con i numeri risicati che il governo si trova a Palazzo Madama, a dover intervenire per quietare gli animi e accontentare tutti i riottosi alleati, sarà, come al solito, Romano Prodi. Che non aveva messo in conto una tegola di queste proporzioni, nella già delicata agenda d’inizio anno.

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Anglicani. Vescovi conservatori sfidano Canterbury. Organizzeranno conferenza parallela a Gerusalemme.

Ribadito il no alle ordinazioni dei sacerdoti e dei vescovi omosessuali, nè le benedizione delle unioni fra persone dello stesso sesso pena l'espulsione.

(Apcom) - I vescovi dell'ala più conservatrice della comunione anglicana hanno intenzione di organizzare a Gerusalemme un vertice parallelo alla tradizionale Conferenza di Lambeth, che verrà convocata quest'anno dall'Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams.

Come riporta il quotidiano britannico The Guardian, circa un terzo dei 900 vescovi anglicani intende sfidare l'autorità di Williams, considerato dai conservatori troppo tiepido nei confronti di alcune denominazioni, come la Chiesa Episcopale statunitense, che hanno autorizzato la consacrazione di vescovi omosessuali.

Le divisioni fra conservatori e liberali sono state infatti innescate nel 2003 dalla consacrazione di Gene Robinson (nella foto) a vescovo della Chiesa Episcopale, nonostante la sua dichiarata omosessualità; nello stesso anno la diocesi canadese di New Westminster autorizzò le prime nozze gay.

Nel suo discorso di fine anno Williams aveva criticato quei vescovi - soprattutto africani - che avevano consacrato dei propri vescovi per guidare quelle comunità statunitensi che avevano scelto di abbandonare la Chiesa Episcopale, creando di fatto delle chiese parallele e violando il principio dell'indipendenza delle singole denominazioni.

Nel marzo scorso infatti la Chiesa Episcopale aveva respinto l'ultimatum lanciato dai vescovi conservatori sulla proibizione delle unioni omosessuali e sulle ordinazioni dei vescovi gay, accusando i Primati della chiesa anglicana di "colonialismo".

Williams era riuscito ad evitare nello scorso febbraio - almeno temporaneamente - lo scisma nella sua Chiesa sacrificando però l'ala più liberale della Chiesa episcopale statunitense. Una decisione non priva di rischi finanziari, dato che la Chiesa Episcopale - pur rappresentando il 3% dei circa 70 milioni di fedeli - contribuisce a circa un terzo del bilancio dell'intera Comunione, che verrebbe seriamente decurtato da un eventuale scisma.

La conferenza dei Primati della Comunione Anglicana - che come tutte le Chiese protestanti non ha una struttura centralizzata - aveva deciso nell'ultimo incontro di Dar es Saalam di varare delle nuove regole assai più conservatrici dando tempo agli episcopali (questa la denominazione anglicana negli Stati Uniti) fino al prossimo 30 settembre per la loro applicazione.

Il piano ordinava ai vescovi episcopali di non accettare più le ordinazioni dei sacerdoti e dei vescovi omosessuali, nè le benedizione delle unioni fra persone dello stesso sesso: altrimenti non potranno restare nella Comunione. Per dare applicazione all'eventuale espulsione delle diocesi 'liberali', il piano prevedeva inoltre la possibilità di creare una struttura parallela all'interno della Chiesa Episcopale, con un vescovo in grado di amministrare quelle diocesi che non si sentissero a loro agio con l'attuale dirigenza.

I Primati avevano infatti accettato il principio secondo il quale vescovi di altre province possono travalicare i confini della loro chiesa per occuparsi di altre diocesi: in questo caso, quelle statunitensi più conservatrici, come già è il caso dell'arcivescovo nigeriano Peter Akinola. Un principio che rappresenta una violazione dell'indipendenza delle Chiese individuali della Comunione. E' stato un rospo da inghiottire anche per l'arcivescovo di Canterbury: Williams, notoriamente di idee piuttosto liberali, ha visto sbriciolarsi i suoi tentativi di compromesso, e si è limitato ad affermare che si tratterebbe di "un esperimento".

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Angius: Aborto, nessuno minaccia la famiglia e la vita umana. Gerarchie ecclesiastiche attaccano libertà e laicità.

(Apcom) - "La questione che si sta aprendo in Italia è ormai una questione di libertà e di democrazia". Lo afferma il vice presidente del Senato ed esponente del Partito Socialista, Gavino Angius, che aggiunge: "Nessuno in Italia minaccia la famiglia. Tutti in Italia difendono la vita umana, ciò vale per i credenti e per i non credenti. Piuttosto alludere, come fa il cardinale Ruini, con il sostegno aperto di componenti politiche cattolico-integraliste, che in Italia esisterebbe una legislazione assassina sull'aborto o che altre componenti politiche vorrebbero distruggere l'istituto della famiglia, è semplicemente falso, moralmente riprovevole, e politicamente infondato".

Per Angius, "siamo in presenza di una nuova offensiva 'politica' della Chiesa di Roma che sempre più pretende di agire come Partito-Stato attraverso suoi rappresentatati in tutte le istituzioni al fine di imporre un modello di società secondo le sue ispirazioni e la sua dottrina. Le gerarchie ecclesiastiche - prosegue l'esponente socialista - vanno costantemente alimentando uno scontro di religione sui temi etici rifiutando di misurarsi con la complessità delle trasformazioni delle società contemporanee e con i grandi enigmi e dilemmi del multiculturalismo e all'opposto preferisce chiudersi in sé stessa".

"Impedire una legislazione avanzata sulla fecondazione assistita, ostacolare in ogni modo di avere una legge moderna ed europea sulle unioni civili, negare i diritti delle persone omosessuali e ora mettere in discussione la legge sull'aborto - fa notare Angius - significa colpire i diritti civili, ottundere le libertà personali, far regredire la società italiana in un oscurantismo medievale che pensavamo superato. In verità - aggiunge ancora - in Italia è oramai apertamente messo in discussione quel principio di laicità proprio di ogni libera democrazia. E' inquietante il conformismo di molte forze politiche del centro destra e del centro sinistra che pensano di trarre consenso da un silente atteggiamento verso chi così apertamente pretende d'imporre la propria concezione di fede sulla famiglia, sulla società, sullo Stato".

"Non sorprende che forze di destra abbiano subito avallato, come in altre circostanze, questa offensiva. E' mortificante, invece - osserva - che il Pd, principale partito del centro sinistra, sia incapace di esprimere una posizione chiara su valori di libertà della persona e di laicità delle istituzioni. Più in generale - conclude Angius - è debole quella democrazia incapace di reagire a chi sostanzialmente ne nega il fondamento".

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Roberto Schena: Chi è oggi alla deriva? Il declino Made in Italy.

(Roberto Schena) Ricordate la "deriva Zapatero", ricordate i commenti furiosi che accolsero l'elezione del premier spagnolo nella primavera del 2004? Il premier più laico e "liberal" d'Europa fu accusato per i mesi e gli anni seguenti, fino a ieri, di distruggere l'identità occidentale: la deriva spagnola consisteva nell'allontanamento dagli Usa e dal quadro occidentale, dalle responsabilità internazionali, nella vocazione anticristiana implicita in provvedimenti come i matrimoni allargati agli omosessuali e nelle restrizioni alle scuole cattoliche, nella difesa della ricerca scientifica e della fecondazione assistita, nell'intransigenza sulla laicità dello Stato, nel cedimento alle forze centrifughe interne (baschi, catalani, etc).

Che disastro per la Spagna. Quale vaso di Pandora aveva aperto Zapatero!
Ebbene, qual è nazione oggi citata nel mondo per una deriva che è reale, fondata cioè su dati certi e incontrovertibili, non su stravaganti considerazioni politico-moralistiche? I reportage del New York Times e quello ancora più duro del Times londinese sul "declino italiano" in atto da anni sono stati ampiamente ripresi da tutta la stampa occidentale: in Germania, in Francia, nell'Ue in generale, in Canada, nell'America latina, in Turchia e nel mondo arabo, si pensa che se c'è un Paese da citare come paradigma odierno di una depressione (o di una deriva") da evitare questo è proprio l'Italia.

E' un colpo durissimo per il made in Italy, il quale vive d'immagine, un elemento delicatissimo e fondamentale della psicologia alla base delle vendite.
Come si sarà notato, le risposte fornite dalla nostra classe dirigente sono poco convincenti e imbarazzate, più borbottate che organiche, non c'è stato nemmeno un guizzo d'orgoglio corale, anche perché sono pochi gli italiani a non pensarla, e da tempo, nel modo descritto dalla stampa anglofona. Per la verità, il NYT e il Times non hanno fatto altro che dare loro voce, giacché non c'è un solo media nostrano che sia stato capace di altrettanta severità nel denunciare il "mare di merda" in cui siamo finiti. Avrebbero anzi potuto essere ancora più cattivi nel sottolineare i meccanismi bloccati che provocano un declino apparentemente inarrestabile in ogni campo della vita nazionale, citando per esempio il peso senza precedenti che la chiesa cattolica ha assunto nella selezione la classe politica, l'arresto dei diritti civili per la stessa ragione, nel quadro di una sostanziale restrizione delle libertà civili.

Avrebbero potuto parlare di un Paese comunque vecchio, incapace di comprendere la modernità, inchiodato agli anni '80-'90, alla prima Repubblica, quando decollarono le uniche due "eccellenze" che ancora sopravvivono: il sistema della moda e il sistema sanitario.
Sulla "Dolce vita che diventa amara" valga il raffronto con la Spagna di Zapatero, quella che secondo gli accorti politici nostrani avrebbe dovuto essere alla "deriva". La Spagna ha sorpassato l'Italia in termini di Prodotto Interno Lordo pro capite con due anni di anticipo rispetto alle previsioni già favorevoli del 2009: gli spagnoli sono già più ricchi degli italiani. L'economia iberica è ormai allo stesso livello di quella canadese e riguardo lo "sfascio della famiglia" che avrebbe dovuto verificarsi con l'introduzione dei matrimoni gay, le tendenze demografiche registrano invece un boom delle nascite. Con Zapatero la Spagna si è unita a Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia nel club delle "grandi d'Europa".

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Da Montecitorio alle Ande: Bertinotti in Sud America.

Fausto Bertinotti, presidente della Camera

(Mario Sechi - Panorama) È un viaggio verso l’utopia, verso il mondo nuovo. Il 2008 di Fausto Bertinotti s’apre con un tour sudamericano. Quattro tappe, un poker di paesi mito dell’immaginario della sinistra italiana che, nonostante le fratture carsiche e le divisioni in superficie, continua a sognare di poter essere un giorno “unida”. Nomi che “attengono alla sfera mondiale della politica” dice Bertinotti a Panorama, e che evocano simboli storici: Bolivia (dove cadde il Che), Perú (la ribellione degli inca), Ecuador e Venezuela (due tessere del mosaico della Grande Colombia di Simón Bolívar).

Il presidente della Camera sta mettendo a punto i dettagli in queste ore: 11 giorni di missione, si parte il 7 gennaio da Roma. Atterraggio a La Paz per la prima tappa, in Bolivia, il giorno dopo alle 8 del mattino. “L’arrivo potrebbe ritardare di 1 ora e 30 minuti causa vento contrario” recita con precisione il promemoria dell’ufficio del cerimoniale di Montecitorio.
Bertinotti invece cerca il vento a favore. Serve per il suo progetto politico, per dare sostanza e programma alla Cosa rossa. Uomo colto, sensibile alle suggestioni, alle culture e al mix di socialismo, mercato e dirigismo che alberga nel ventre di quei paesi, si inoltra per la seconda volta da quando è presidente della Camera in quel continente quadro di contraddizioni, pencolante tra dittatura e democrazia, povertà e ricchezza, idealismo e realismo, quest’ultimo non sempre magico come quello letterario.
È magma in movimento e a una sinistra incapace di scrollarsi di dosso la polvere dei decenni, i frazionismi, i personalismi, il film della contemporaneità sudamericana piace. D’altronde, non parliamo certo di una novità, di una svolta recente. La storia è costellata di tentativi d’imitazione, rielaborazione, rivisitazione spesso tragica di quelle esperienze.
La sinistra italiana è sempre stata sensibile a tutto quello che accade nel quadrante che parte da Cuba, attraversa le Ande e si spegne nella Terra del Fuoco. Fu il segretario del Pci Enrico Berlinguer a guardare con grande interesse e troppa speranza all’esperienza della Unidad popular di Salvador Allende. L’influenza di quel modello si fece sentire sulla politica del segretario comunista, sulla strategia del compromesso storico, sull’arco di storia che va dal 1973 al 1984.
Quella linea di pensiero è stata ripresa dallo stesso Fausto Bertinotti, prima con la fascinazione per il subcomandante Marcos (il leader dell’esercito zapatista messicano), al punto da portare anch’egli con orgoglio l’appellativo di “subcomandante Fausto”. Poi durante il primo viaggio in Sud America nel 2007, quando, proprio dal Cile, aveva lanciato un segnale di rottura con le icone del “movimento” che si muove in parallelo a Rifondazione. “Allende è meglio di Che Guevara” disse il presidente della Camera in quell’occasione. Si aprì un dibattito sui giornali, ma non ebbe quel che meritava davvero: la fortuna di durare.
Bertinotti però in questi mesi ha continuato a pensare a quella sua prima esperienza, alla frontiera del Sud America, al laboratorio politico discusso, discutibile, ma certamente nuovo e dinamico di quella sinistra di cui il presidente venezuelano Hugo Chávez è il simbolo. Bertinotti incontrerà Chávez il 16 gennaio e non sarà solo uno scambio di cortesie istituzionali. Per Fausto c’è molto di più in gioco.
Al cronista di Panorama il presidente della Camera offre una lettura doppia, politica e culturale. Ci sono le ragioni della politica estera, perché “questo secondo viaggio in America Latina rappresenta il completamento di una nuova stagione nei rapporti fra Italia, Europa e Sud America. Una nuova stagione che mette fine a un periodo di una qualche distrazione su questa materia. Questo secondo viaggio vuole anche valorizzare un nuovo protagonismo sulla scena mondiale” spiega il Bertinotti in versione diplomatica.
C’è l’attenzione per il magma che ribolle in quella parte del mondo, perché “appena un anno fa, nel primo viaggio nella parte meridionale di quel continente (Argentina, Cile, Brasile, Uruguay), è stato possibile vedere da vicino esperienze di grandi paesi, abbiamo visto fiorire e sviluppare rapporti di amicizia, abbiamo capito e toccato con mano il punto di forza di un rinascimento che riguarda, pur tra tante difficoltà, tutta quella parte di mondo” ribadisce il Bertinotti che insegue il vento della izquierda unida.
C’è il fascino del problema globale, dello sfruttamento dei poveri, di un altermondismo da costruire, perché “soprattutto, e qui ecco la novità e lo spunto che offre l’imminente trasferta, si vuole indagare la questione indigena, di particolare interesse storico e culturale. La questione indigena riveste un peso e un’importanza di primo piano nelle vicende dell’America Latina e riguarda direttamente i problemi dell’integrazione e del riconoscimento delle diversità”.
Temi che forse potrebbero apparire remoti, eppure “sono fondamentali perché attengono alla sfera mondiale della politica. E riguardano in primo luogo anche l’Europa. Stiamo parlando di convivenza, di coesistenza. Per dirla diversamente, si sta parlando del grande tema della nuova cittadinanza” dice il Bertinotti mondialista.
Il presidente della Camera non ignora che tra questi paesi ci sono grandi produttori di petrolio. Con il barile del greggio che sfiora i 100 dollari, incassano cifre da capogiro, ma sottosviluppo e miseria sono ancora là.
Non ignora che Hugo Chávez ha programmi militari ambiziosi, che il suo controllo sui media è quasi totale, che persegue una politica che non è solo di autonomia dagli Stati Uniti ma qualcosa che richiama all’antimperialismo. Fenomeno complesso.

Hugo Chavez, presidente del venezuela

Bertinotti sa che quando stringerà la mano a Hugo Chávez, quello sarà un flash simbolico che in Italia aprirà discussioni sul suo rapporto con i nuovi condottieri del socialismo del Ventunesimo secolo. Per questo il viaggio di Bertinotti è un mix di incontri istituzionali e immersione rapida nel mondo reale, quasi un educational.
A La Paz visiterà il progetto “Unicef Fortalecimiento de las defensorías de la niñez” e incontrerà le ong italiane prima di parlare di politica e sinistra con il presidente Evo Morales, già leader del movimento dei cocaleros boliviani.
In Perú, dopo aver inaugurato un affresco di Giuseppe Garibaldi sul muro esterno dell’ambasciata italiana a Lima, salirà in macchina per vedere l’impresa YoPer contro la prostituzione infantile e poi passeggerà nei cerros, i quartieri più poveri della città.
Il debito pubblico dei paesi poveri sarà il protagonista a Quito, con la riunione al Fondo italoecuadoriano che gestisce il condono del debito bilaterale di 27 milioni di dollari.
A Caracas, dopo aver incontrato Chávez, Bertinotti potrebbe conoscere il lavoro degli architetti dell’Urban think tank che stanno ridisegnando i barrios della capitale venezuelana.
È un viaggio tra paradiso e inferi. Potrebbe uscirne un Bertinotti trasfigurato e più disponibile, dopo 2 anni in cui ha imprigionato nella grisaglia istituzionale se stesso e il suo partito, ad archiviare una stagione deludente per riprendere il viaggio verso l’utopia.

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Russo Spena, di Rifondazione: dal Quirinale avrei voluto un richiamo alla laicità dello Stato. D'Alema, adesione all'appello di Ratzinger.

Ma nell'Unione scoppia la polemica. Bindi con il Pontefice, no di Boselli

(Gianna Fregonara - Il Corriere della Sera) Se per Benedetto XVI la famiglia è la «principale agenzia di pace», per Massimo D'Alema la famiglia è innanzitutto «insostituibile». Così scrive il ministro degli Esteri nel rituale messaggio di auguri al segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone: «Esprimo profonda e sentita adesione» al discorso del Papa in occasione della Giornata della pace. Un tema, quello della famiglia scelto dal Pontefice per il messaggio pastorale per il 2008, «particolarmente propizio», secondo D'Alema.
L'elogio della famiglia da parte del vicepremier non è una novità. Proprio qualche settimana fa, intervenendo in una scuola romana, D'Alema aveva parlato del matrimonio, rispondendo ad una domanda sui gay: «Non sono favorevole al matrimonio tra omosessuali — ma lo Stato deve riconoscere loro diritti civili e sociali — perché il matrimonio tra un uomo e una donna è il fondamento della famiglia, per la Costituzione.
E, per la maggioranza degli italiani, è pure un sacramento».
Le parole del vicepremier e soprattutto la sua «adesione» all'insostituibilità della famiglia come «principale agenzia di pace», in un tempo in cui «la globalizzazione ha pervaso la società», fanno discutere la maggioranza. Se Rosy Bindi, ministro cattolico della Famiglia, non può che essere entusiasta delle parole del Pontefice, che considera un «messaggio aperto alla speranza e alla vita, una verità alla portata di tutti», perplesso è il socialista Enrico Boselli: «È vero che la famiglia è il nucleo fondamentale della società, ma la famiglia è cambiata in questi anni e non è solo quella fondata sul matrimonio: in Italia ci sono un milione di famiglie fondate non sul matrimonio ma sul rispetto e sull'amore». Insomma: «Quello che vale per il Vaticano non può valere per uno Stato laico». E proprio a questo proposito al leader socialista non è piaciuto il fatto che nel discorso di Capodanno, «molto positivo e bello», il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non abbia fatto «un accenno deciso di difesa dello Stato laico dall'offensiva integralista».
Anche Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato, si sarebbe aspettato un richiamo più forte sia da Napolitano che da D'Alema sulla laicità dello Stato: «D'Alema avrebbe dovuto nel suo messaggio tener conto anche del fatto che i cattolici democratici in Italia sono laici». Quanto all'elogio della famiglia, nulla da dire: «Non è più — spiega Russo Spena — questione di negare il ruolo della famiglia come è avvenuto in passato».
Piacciono invece sia a Marina Sereni, vicecapogruppo del Pd alla Camera, che a Peppino Caldarola le parole di D'Alema: «La famiglia non è solo un tema religioso. È giusto promuoverla come luogo della solidarietà e della crescita sociale — argomenta Sereni —. Il punto è che non bisogna mettere in discussione i diritti individuali. Quando si parla di famiglia, si intende il modo di stare insieme degli italiani, matrimoni o no. Non siamo troppo sospettosi sulle parole». Altro discorso invece sarà la capacità del Parlamento «di legiferare e tutelare anche altri tipi di convivenza». «Ma in questo contesto non c'entra, siamo su un altro livello — insiste Caldarola —. Ed è evidente a tutti che non c'è parita concettuale tra famiglia e altri modelli di convivenza. Non possiamo accettare che una minoranza laicista pretenda di imporre il suo modello alla maggioranza degli italiani». Parole che fanno sussultare il radicale Guido Viale, che invece accusa il Papa di aver «chiamato la famiglia alla guerra, stabilendo un collegamento improprio con la pace per negare i diritti», intesi quelli di chi non si vuol sposare o dei gay. «Ormai la politica italiana si è clericalizzata — attacca infatti Franco Grillini, presidente onorario dell'Arcigay —. L'Italia è un Paese clericale senza religione, succube del Vaticano, da Napolitano in giù».

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Il calendario benefico della "Wanda".

Il 4 gennaio ore 19.30 presso la Galleria d'Arte BluOrg (A Bari in via Celentano 92/94) si svolgerà la Presentazione ufficiale del Calendario L.I.L.A. (Lega Italiana per la Lotta contro l'AIDS). Saranno presenti all'incontro i due testimonials protagonisti del Calendario, La Wanda Gastrica (drag queen barese) e Micky Falcicchio (modello, Bellissimo Sud Italia 2003), Dottori e Responsabili L.I.L.A. Puglia, lo staff di fotografi Attoterzo.

Nato da un'idea di La Wanda Gastrica, nota drag queen barese, il progetto vuole convogliare l'attenzione dei media e della popolazione in generale, su un problema mai troppo trattato e dibattuto: la prevenzione dell'aids mediante l'uso di precauzioni. Il calendario ha come protagonisti la stessa ideatrice La Wanda Gastrica e l'ex Bellissimo Sud Italia Michele Falcicchio. Essi rappresentano scene di vita quotidiana caratterizzata da un tono ironico e canzonatorio. Tema caratterizzante delle foto è infatti il leit motiv "Mai distrarsi", il quale assume connotati simpatici nelle diverse situazioni (una casalinga distratta dal bel marito brucia una camicia, una cameriera alle prese con un cliente avvenente gli verserà addosso il vino, ecc..). All'angolo di ogni foto compare la frase "Mai distrarsi!". A causa, infatti, della distrazione, della scarsa attenzione o della frettolosità spesso si consumano rapporti occasionali non protetti con le conseguenze che tutti conosciamo.

Al termine dell'incontro sarà offerto un buffet. Ingresso gratuito ed aperto a tutti

Per informazioni:
Diego Claudio
tel. 389.1851066 - 340.5091445
mail: diegorobertoclaudio@gmail.com
Web: www.lawandagastrica.it

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Sexy scandalo, si dimette il ministro. E’ stato filmato mentre faceva sesso con un’amica in un hotel. Il dvd circola già nel Paese.

E' vicepresidente del secondo partito di governo della Malesia.

(Il Corriere della Sera) Il ministro della Salute della Malesia, Chua Soi Lek, si è dimesso dopo aver ammesso pubblicamente di essere il protagonista di un video in cui compare mentre fa sesso in una camera d’hotel con una donna non identificata. «Io sono l’uomo della videocassetta», ha detto Chua riferendosi al dvd che ha incominciato a circolare la scorsa settimana in Malesia. Parlando in una conferenza stampa Chua, 61 anni, ha chiesto scusa alla moglie, ai tre figli e ai suoi sostenitori. Chua, ex medico e politico dalla veloce ascesa realizzata negli ultimi anni, ha detto che la donna è un’amica personale.

TRAPPOLA POLITICA? - «Voglio sottolineare che non ho realizzato io il video. Chi l’ha fatto e perché è ovvio. Ma ora non ha più importanza sapere chi l’ha fatto», ha detto facendo capire che gli artefici potrebbero essere i suoi rivali politici. Il ministro in un primo tempo aveva deciso di lasciare la decisione delle sue dimissioni al premier Abdullah Ahmad Badawi, ma lo scandalo ha sollevato un polverone tale da convincerlo a lasciare il posto. Ong Ka Ting, leader della Malaysian Chinese Association, secondo partito della coalizione di governo,di cui Chua è vicepresidente, ha convocato una riunione di partito per discutere dello scandalo che sta fornendo materiale all’opposizione per rafforzare le accuse di immoralità contro il governo. Per ora Chua ha ottenuto il perdono della moglie che ieri in un comunicato ha annunciato che resterà al fianco del marito.

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Aborto: Della Vedova, Il centro destra non diventi partito confessionale.

Giusta la prudenza di Bondi: nello schieramento berlusconiano su questi temi è essenziale il massimo pluralismo.

Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, Presidente dei Riformatori Liberali e deputato di Forza Italia:

L’aborto volontario è un fenomeno dai risvolti giuridici e etici delicatissimi e controversi. Ed è quindi non solo legittimo ma in qualche modo necessario che quanti, nella Chiesa e nel mondo cattolico, intendono esercitare fino in fondo la propria influenza culturale e spirituale si interroghino e interroghino l’opinione pubblica sugli esiti di una legge, come la 194, vecchia di quasi 30 anni.
Detto questo, è altrettanto necessario, anche se oggi assai meno "à la page", che lo schieramento di centro-destra (e ancor più il Popolo delle Libertà) non corra il rischio di divenire e neppure di sembrare un partito confessionale: sarebbe un errore sul piano politico ed elettorale.
La politica, prima di ogni altra considerazione, è responsabile delle Leggi e dei loro effetti. Si può - anche "da destra", mi pare - affermare sulla base di documentabili ragioni che la legalizzazione dell’aborto non abbia comportato, né in Italia né altrove, una diffusione epidemica del fenomeno, ma ne abbia, al contrario, arginato il contagio. In modo altrettanto ragionevole e senza indulgere al "lassismo morale", si può inoltre sostenere che dal punto di vista politico gli aborti di massa - nel "primo" come nel "terzo" mondo - si prevengono assai più promuovendo l’adozione di misure contraccettive efficaci che con il pur doveroso sostegno alle gravidanze indesiderate.
Da questo punto di vista, occorre plaudire alla prudenza del coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, che nell’annunciare una mozione per la revisione - non l’abrogazione - della legge 194, ha precisato che la presenterà a titolo personale. Nello schieramento berlusconiano, su temi come questo (che non connotano un programma di governo, ma riflettono le complessità culturale e civile di un paese moderno) è necessario assicurare lo spazio per il massimo pluralismo, anche per garantire la possibilità di una discussione vera.

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Babilonia e le altre: cinque mostre evento del 2008.

(Marco Di Capua - Panorama) L’evento si annuncia maestoso. E benché a prima vista la scena sembri remota, coperta da una leggendaria sabbia di deserto, poi capisci che ci riguarda molto da vicino. In effetti Babylon, la mostra post-trans-archeologica che si apre al Museo del Louvre di Parigi dal 14 marzo al 2 giugno, simbolicamente ci mette in scena con una certa precisione, provando, se mai ve ne fosse ancora bisogno, che la storia è un cerchio e non una linea retta.

Insomma, qui si narra di Babilonia, l’antica città della Mesopotamia che sorgeva sul fiume Eufrate a qualche decina di chilometri da Baghdad. Al centro di Babilonia Erodoto descrisse una torre, e quella torre nella Genesi è detto che fosse voluta, dopo il Diluvio, dall’orgoglio e dal desiderio di potenza degli uomini, cosicché Dio li punì, facendo loro parlare migliaia di lingue diverse: finirono col non capirsi più gli uni con gli altri. Bella storia, vi dice vagamente qualcosa?
Curata da Béatrice André-Salvini, l’esposizione è una grandiosa combinazione di reperti oggettivi, nelle tappe fondatrici dell’antica città, e di pure visioni di una Babilonia immaginaria. Per dire: qui le fatiche dell’archeologo tedesco Koldewey, che alla fine dell’Ottocento disseppellì la città di Nabucodonosor II, servono da fonte per un racconto fantastico alla Jorge Luis Borges.
Così l’epopea della civiltà babilonese è rappresentata da steli, statue, papiri, manoscritti, tavolette cuneiformi, accanto alla sua individuazione come luogo mitico, con miniature, disegni, quadri. Stupendi i fiamminghi che ebbero in sogno la Torre di Babele, le sue sette terrazze digradanti, di diverso colore.
Più che sognare, si divertirono un mondo i tre geniali moschettieri del Dadaismo, Marcel Duchamp, Man Ray, Francis Picabia: la Tate Modern di Londra li presenta in blocco, in una mostra che si apre il 21 febbraio, si chiude il 26 maggio e si annuncia allegramente sorprendente.
Dipinti, collage, “oggetti trovati” subito dichiarati opere d’arte, fotografie e film raccolgono l’aria di una stagione di grazia che, rivista al suo stato nascente, funziona ancora benissimo. Voglio dire quella roba lì, i giochi e le invenzioni, il gusto per la sperimentazione, tra sense of humour e nonsense, un’etichetta scoperta aprendo a caso il vocabolario (Dada: cavalluccio a dondolo) in un ispirato giorno zurighese del 1916, e poi, che so, l’Orinatoio di Duchamp, i ferri da stiro chiodati e le stampelle di Man Ray, i quadri danzanti di Picabia, e l’energia che li sintonizzò tutti sulle medesime onde di frequenza: non c’è trasgressione attuale, diventata di massa e obbligatoria, che ce li possa rovinare. Quel bel terzetto di spiritosi diffuse Dada in America: il gesto anarchico diventò democratico. Diventò Pop.
Proprio gli Stati Uniti, a New York il Metropolitan, propongono dal 27 febbraio al 18 maggio una completa retrospettiva di Gustave Courbet: 100 opere superbe di un pittore che della passione per la democrazia fece un palcoscenico per il proprio enorme talento. E per la propria vanità.
Francese, originario di Ornans, Courbet (1819-1877) entra con passo narciso e deciso nella storia dell’arte come il padre del Realismo. Nei suoi quadri la percezione di una natura potente e sgarbata è sventolata come uno stendardo polemico contro la città. Parigi diventa tuttavia il teatro d’azione per questo egotico e polemico precursore di ogni artista star: è lui che si fa un vanto dello scalpore che la brutalità delle sue opere suscita. È lui che, con un infallibile istinto di autopromozione espone al pubblico ludibrio i suoi quadri nei salon ufficiali e, contemporaneamente, in uno spazio tutto per sé che intitola al Realismo. Nel trionfo monumentale di operai e contadini, nella fisicità di prostitute accaldate in riva alla Senna, e di animali, rocce e alberi, c’è l’indizio di quella «volontà selvaggia» e di quell’«energia distruttrice di facoltà» di cui, non senza ammirazione, parlava Charles Baudelaire.
Nulla a confronto della spettacolare violenza pittorica che corre sulla linea B dell’angoscia e dell’irrequietezza novecentesche: cioè nelle prossime antologiche italiane dedicate a Francis Bacon e Georg Baselitz. A 10 anni dalla sua ultima mostra in Italia, il Madre di Napoli presenterà (17 maggio - 15 settembre) Georg Baselitz: 88 lavori selezionati in tutto il mondo da Norman Rosenthal, tra quadri, sculture e disegni (Catalogo Electa).
Lui in realtà si chiamerebbe Kern, ma cambia nome quando, espulso da Berlino Est a 18 anni, approda all’Ovest. Decide allora di prendere un suo nome d’arte dalla città dov’è nato nel 1938, Deutschbaselitz, in Sassonia. Funziona come una specie di ancora, di semplice radice dichiarata.
Le sue opere sono essenzialmente campi d’azione pittorica, un’overdose di stimolazioni ottiche. Larghe, potenti pennellate di colori accesi, l’esibizione eloquente di chi si richiama, come si trattasse della sua madrelingua, ai segni dell’Espressionismo tedesco, creano intensissime atmosfere emozionali. Ogni artista contemporaneo impone un tratto, decide un’azione, che lo distingua da tutti gli altri. Quello di Baselitz, a un certo punto, è stato di capovolgere le sue figure. Se ci pensi, un gesto semplice. Bastava pensarci. Un mondo di capoccioni a testa in giù vi guarda, e silenziosamente grida, dai suoi dipinti.
Gridano anche certe figure di Bacon (Dublino 1909 - Madrid 1992), ma quella lì non è gente qualunque. Quelli sono addirittura dei papi. Ogni mostra di Bacon è un evento. E di certo lo sarà anche quella che si apre a Palazzo Reale di Milano dal 4 marzo al 29 giugno. A cura di Rudy Chiappini sono stati scelti 50 dipinti ad alto impatto storico e qualitativo (catalogo Skira). Nel senso che l’intenzione è proprio quella di fornire una visione complessiva dell’opera di colui che, senza dubbio, è stato il più grande artista inglese del ‘900.
A proposito: niente Irlanda, niente gente di Dublino, insomma niente James Joyce. Bacon, il quale pare discendesse dal celebre filosofo-scienziato elisabettiano, si sentiva inglese purosangue.
Indimenticabili le Teste (1949) di questo fedele al volto, benché Bacon quel volto lo sfigurasse, ne contorcesse i lineamenti. Ecco il corpo battuto come fosse in gabbia, il corpo in una stanza, minimo campo di concentramento esistenziale per figure solitarie, papi urlanti, colluttazioni furibonde, nell’impassibile calma di interiors dal design implacabilmente perfetto.
Sempre la figura, perché senza l’uomo non vale la pena. Tranne forse una sola volta: non c’è nulla, soltanto blood on the floor, una pozza di sangue sul pavimento.

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Miniserie su Coco Chanel, Shirley MacLaine sarà Coco. Nel cast anche Manuel Casella.

(Televisionando) La grandissima Shirley MacLaine è stata scelta da Lifetime per interpretare Coco Chanel in una nuova miniserie dedicata a questa icona della moda mondiale. La McLaine vestirà i panni di Coco Chanel adulta mentre Barbora Bobulova sarà Coco Chanel da giovane.
La miniserie sulla vita di Coco Chanel voluta da Lifetime sarà diretta da Christian Duguay e vedrà la luce nel 2008 divisa in due parti. La sceneggiatura ad opera di Enrico Medioli segue tutta l’ascesa di Coco Chanel, la cui storia comincia in un orfanatrofio vicino a Parigi.

La miniserie si apre con Coco Chanel che alla soglia dei suoi 70 anni decide di reinventare se stessa dopo anni di esilio. Duguay ha spiegato di essere stato sempre molto intrigato dalla storia di Coco Chanel e di non avere intenzione di fare un semplice lungometraggio sulla moda. Karl Lagerfeld di Chanel si trova d’accordo con Duguay e ha dato la sua benedizione alla miniserie, la famosa casa di moda sta lavorando in stretta collaborazione con la produzione perchè la miniserie riesca al meglio. Per fare un esempio il costumista Stefano de Nardis sta lavorando con Chanel per ricreare al meglio abiti di scena in stile Coco Chanel. Coco Chanel è morta nel 1971 ed è considerata uno dei personaggi che più hanno influenzato ventesimo secolo.

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Il sindaco di New York ha deciso di correre per la Casa Bianca. La scommessa del supersindaco: "Bloomberg in pista contro tutti".

L'ufficializzazione solo il 5 febbraio. La vigilia del voto in Iowa. Così il miliardario prepara la sua corsa. Lunedì lancerà un appello ai candidati per superare gli steccati di parte.

(Mario Calabresi - La Repubblica) Ogni mattina appena sale sulla sua Chevrolet Suburbans per andare dalla 79esima strada dove abita fino a City Hall, in fondo a Manhattan, spegne il telefonino e si mette ad ascoltare dall'autoradio il suo corso di spagnolo in cd. Chi ha viaggiato con lui racconta che ripete diligentemente ogni esercizio ad alta voce e poi prima di scendere commenta orgoglioso che il suo spagnolo sta proprio migliorando. Michael Bloomberg, imprenditore miliardario e sindaco di New York, non lascia nulla al caso, cura ogni particolare, studia ogni scenario e vuole essere pronto a correre per la presidenza degli Stati Uniti. "Ha perfino pensato - ci confida un suo intimo amico, che lo sostiene nell'avventura politica da anni e oggi lo immagina già alla Casa Bianca - al voto degli ispanici. Il suo ragionamento è che i repubblicani lo stanno perdendo completamente con la loro politica anti-immigrati, mentre lui pensa di conquistarli, anche con comizi in spagnolo".

Nato a Boston 65 anni fa da una famiglia ebrea russa, il 142esimo uomo più ricco del mondo è tornato ad occupare le prime pagine dei giornali per la sua voglia sempre più forte di lanciarsi nella corsa alla presidenza. Alla vigilia dell'inizio delle elezioni primarie, mentre quindici candidati - otto democratici e sette repubblicani - aspettano il primo verdetto degli elettori dell'Iowa dopo essersi sfidati a colpi di comizi, trasferte in pullman e in aereo e migliaia di spot, l'attenzione si è spostata su New York.

Prima il Washington Post, poi tutti i quotidiani della Grande Mela hanno rilanciato l'idea di una candidatura del sindaco come indipendente. Anche se, dopo aver dato il via al conto alla rovescia del Capodanno a Times Square, Bloomberg ha assicurato davanti alle telecamere di non volersi candidare, non ci crede più nessuno. Anche perché i suoi amici e collaboratori si muovono ormai freneticamente per rendere possibile la sfida.

Lunedì prossimo, 7 gennaio, un gruppo di influenti "saggi" dei due schieramenti, preoccupati dall'eccesso di scontro politico, lo hanno invitato all'università dell'Oklahoma per lanciare un appello ai candidati per superare gli steccati di parte e lavorare insieme per il bene dell'America. L'ex governatore e senatore David Boren, un democratico centrista, che ha organizzato l'incontro con l'ex senatore della Georgia Sam Nunn, ha rotto gli indugi: "Se entro i primi di marzo i candidati non avranno trovato un approccio bipartisan per affrontare le sfide fondamentali del Paese chiederemo a Bloomberg di mettersi in pista".

L'amico che viaggia in macchina con lui e che con lui è nella lista di Forbes dei più ricchi d'America è molto più esplicito e - con la garanzia di non essere citato - si lascia andare a confidenze: "Sono sicuro, Michael scenderà in campo, lo farà probabilmente il 6 febbraio, dopo il supermartedì quando voteranno 23 Stati. Quel giorno si conosceranno i due candidati e se appariranno logori e troppo di parte, come Hillary Clinton o Giuliani o Mike Huckabee, allora farà il grande passo. Davanti a elettori stanchi, stufi, delusi, si presenta lui e spariglia: "Ecco la novità, l'uomo nuovo" e in quattro mesi, entro l'estate, è in grado di imporsi con una campagna nazionale di spot televisivi".

Resta il dubbio del suo rapporto con Barack Obama, nella famosa colazione a due fatta sotto gli occhi delle telecamere esattamente un mese fa si racconta che abbiano sottoscritto un patto di non belligeranza: troppi due "uomini nuovi" nello stesso momento. In quel caso Bloomberg potrebbe non correre.

Con una fortuna stimata in 11 miliardi di dollari, dopo aver speso 150 milioni per farsi eleggere sindaco - più di quanto abbiano raccolto in un anno la Clinton e Obama - è in grado serenamente di pagarsi la campagna da solo. Chiediamo all'amico se però questo eccesso di ricchezza non possa essere un limite agli occhi degli elettori: "No, assolutamente no, anzi è l'unico che può dire: farò la politica per i cittadini e non per le lobby e le aziende che mi hanno pagato la campagna elettorale e non dimentichiamoci che per il suo lavoro da sindaco ha rinunciato allo stipendio e riceve solo la cifra simbolica di un dollaro l'anno".

Nella pianificazione della campagna, Bloomberg, che si schernisce di essere troppo basso e troppo ebreo newyorkese per arrivare alla Casa Bianca, sa che avrà bisogno di un buon consigliere di politica estera e di relazioni internazionali, per questo ha cominciato ad "andare a lezione" da Henry Kissinger e da Nancy Soderbergh, ex ambasciatrice all'Onu sotto la presidenza di Bill Clinton. Ha anche cominciato ad immaginare un vice e starebbe pensando ad un militare, il nome è top secret ma sarebbe un generale in grado di garantire chi mettesse in discussione la sua capacità di rispondere alla minaccia del terrorismo.
La domanda ora è se i soldi possono riuscire a convincere gli americani e a farlo diventare popolare ovunque: secondo un recente sondaggio Pew è conosciuto solo dal 65 per cento degli elettori e non più di un decimo di questi lo voterebbe. Ma lui è convinto che basti far passare il messaggio della politica del risultato concreto e i risultati ottenuti a New York sono lusinghieri.

L'ultimo è l'aver ridotto il numero dei reati in città alla cifra più bassa dal 1963: nell'ultimo anno sono state uccise 492 persone, nel 1990 gli omicidi erano stati 2.245. Le battaglie che l'hanno reso famoso sono soprattutto quelle ambientaliste e per l'efficienza amministrativa e finanziaria della città, ma alcune sue convinzioni - è favorevole ai limiti al commercio delle armi, al diritto di scelta delle donne per l'aborto, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso ed è per l'abolizione della pena di morte - lo rendono troppo "progressista" per una gran parte degli elettori.

Intanto lui prepara la festa per la madre Charlotte che domani compirà 99 anni ed è in ottima salute.Il più grande sostenitore del sindaco però non è il suo amico miliardario ma è il proprietario del negozio di hot dog Gray's Papaya, all'angolo tra la 72esima strada e Broadway che all'immenso cartello sulla vetrina "Corri Mike, corri!", ha aggiunto la scritta: "Nel giorno dell'inaugurazione della sua presidenza hot dog gratis per tutti".

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Arriva il film hard di Ang Lee che ha scandalizzato la Cina.

(Maurizio Cabona - Il Giornale) A Venezia - dove ha vinto l’ultima Mostra con Lust, Caution - Ang Lee mi diceva: «Più che ad amore e sesso, il titolo allude a vita ed arte. Lo espliciterei così: “Voglia di vivere? Prudenti in società”».

Il concetto doveva esser caro al regista taiwanese, figlio di esuli nazionalisti sconfitti nella guerra civile, se lo ha ripreso nella cartella stampa diffusa dal distributore italiano (Bim). Eppure dopodomani il film uscirà come Lussuria. Seduzione e tradimento. Ancora una volta, dunque, in Italia dieci minuti di sesso - con un attimo hard - prevalgono come motivo di richiamo sui centocinquanta minuti complessivi di Lussuria, vasto e verosimile affresco della resistenza cinese all’occupazione giapponese fra 1938 e 1942, con Hong Kong e Shanghai come sfondo.

Certo, nel film di Ang Lee c’è anche seduzione: a opera di una studentessa (Tang Wei) patriota. Certo, c’è anche tradimento: a opera del ministro cinese (Tony Leung) d’un governo insediato dai giapponesi. Ma soprattutto i due, da antagonisti, diventano innamorati. Fra loro perciò divampa la passione, che ha una radice affettiva, non la lussuria, che ha una radice biologica. Ma, rispetto alla prospettiva dell’incasso, si sa, il rispetto del lessico cede.

Paese che vai, arbitrio che trovi. Produzione di Taiwan girata in Malesia e Cina, Lussuria non è stato candidato da Taiwan all’Oscar per il film non americano! Eppure proprio Ang Lee ha vinto l’Oscar per il miglior film, con I segreti di Brokeback Mountain, preventivamente premiato nel 2005 - proprio come Lussuria nel 2007 - col Leone d’oro a Venezia.

Peggio: a Hong Kong, per il suo statuto speciale nell’ambito della Cina, Lussuria è uscito in versione integrale: a Shanghai e nel resto della Repubblica popolare cinese il film è uscito, sì, ma senza sesso, hard o no. In Cina infatti non ci sono divieti ai minori: i film sono per tutti o per nessuno. Così ora, fra i moventi dei cinesi dell’interno per recarsi a Hong Kong, c’è anche vedere le scene altrove proibite. E davanti alle sale di Hong Kong, generalmente inospitali per la produzione cinese, Lust, Caution - qui il titolo è rimasto invariato - ci sono lunghe file.

Nella vicenda di Lussuria, il sesso - vero o simulato - fra i due interpreti assume però anche valenza politica ed è questo secondo ostacolo a rendere, per ora, insuperabile il primo. Dice Ang Lee: «La parte censurata è parsa inaccettabile perché rafforzava il concetto di simpatia fra ragazza patriota e collaborazionista».

Da questo punto di vista, è già stupefacente - per chi ignora la rapida evoluzione della Cina e vi applica schemi e tabù occidentali - che Lussuria abbia potuto esser girato (in buona parte) in Cina e vi possa (per la maggior parte) esser visto. Immaginate le reazioni se si girasse in Italia un film dove la studentessa partigiana, anziché uccidere - per esempio - il Pavolini della Repubblica sociale, non gli negasse proprio nulla?

Quanto a moralismo, i comun-capitalisti cinesi sono ormai meno codini dei critici post-sessantottardi europei, quelli che alla Mostra hanno stroncato la versione che ancora s’intitolava Lust, Caution. Il sesso, che due anni prima pareva liberatorio di Brokeback Mountain, ora li disturbava, anche perché privo delle attenuanti psicanalitiche di cui si sono avvolti sapientemente altri sulfurei film da festival, come Il portiere di notte e Interno berlinese di Liliana Cavani! Quel che preoccupa per patriottismo certi censori pechinesi, preoccupa per moralismo certi critici milanesi (o romani). Lo schema che prevede la polarizzazione fra «buoni» e «cattivi» politici e soprattutto il dislivello morale fra loro è ormai uno stanco retaggio retorico: prima di Lussuria, altri film da festival - di varia origine e valore, come Malèna, Senso '45, Black Book... - ne hanno fatto strame. E in Cina L'imperatore e l'assassino di Chen Kaige e Hero di Zhang Yimou hanno ristabilito l’equità: basta buoni e cattivi, largo a forti e deboli. Così va il mondo.
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Rifugiati iraniani: Teheran prepara una trappola all’Europa. Tra i rifugiati anche gli omosessuali.

(Miriam Bolaffi - Secondo protocollo) E’ una vera e propria trappola quella che sta preparando l’Iran per “costringere” i paesi occidentali a estradare i dissidenti iraniani residenti all’estero. Con un discorso pronunciato ad un convegno che vedeva presenti i più alti funzionari della polizia iraniana, dei servizi segreti e dell’Interpol iraniana il Ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, ha chiesto all’Europa maggiore collaborazione contro il crimine organizzato.

Fin qui niente da ridire specie se si parla di lotta al traffico di stupefacenti che in Iran prospera rigoglioso specie nelle zone di confine con l’Afghanistan, se non che Mottaki ha incluso nel crimine organizzato tutte le organizzazioni di resistenza iraniane, i rifugiati politici, i retinenti alla leva obbligatoria e tutte quelle persone che per vari motivi sono ricercati in Iran, comprese quindi le persone ricercate per “reati morali” quali l’omosessualità etc. etc.

Il Ministro degli Esteri Iraniano ha chiesto all’Europa una maggiore collaborazione nell’individuare i ricercati ed estradizioni più veloci verso l’Iran. Secondo Mottaki infatti i paesi europei, fuorviati dalle “menzogne” delle organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani e dalle falsità della Resistenza Iraniana, non collaborano sufficientemente con le autorità iraniane rimandando le estradizioni verso l’Iran di persone “colpevoli di gravi reati contro l’ordine pubblico e contro la morale”.

Al Ministro degli Esteri ha fatto eco il comandante in capo della polizia iraniana, il generale Ahmadi Moqaddam, il quale nel confermare le parole di Mottaki ha ribadito la scarsa collaborazione delle “Organizzazioni Internazionali”, con chiaro riferimento all’Onu e all’Unione Europea, nella lotta al crimine portata avanti dalle forze di polizia iraniana, ricordando che dette forze non fanno altro che far rispettare le leggi della Repubblica iraniana e che il rifiuto di una estradizione è “una palese intromissione negli affari interni iraniani”.

Con questa importante presa di posizione l’Iran cerca di imporre le proprie leggi interne alla Comunità Internazionale, ventilando l’ipotesi che il rifiuto di una richiesta di estradizione avanzata da Teheran altro non sia che una intromissione negli affari interni e nella legislazione iraniana. Mottaki ha promesso quindi che parlerà con le cancellerie europee per ottenere quanto richiesto sottolineando che “qualsiasi intromissione negli affari interni iraniani” comporterà ritorsioni di tipo commerciale verso quei paesi che non si piegheranno alle leggi iraniane.

Ancora una volta quindi l’Iran mette sul tappeto i propri giacimenti di petrolio per costringere l’Europa a piegarsi ai suoi voleri. Ci auguriamo che l’Europa non ceda a questi ricatti e che anzi inserisca al più presto i rifugiati dall’Iran tra coloro che hanno diritto all’asilo politico, in applicazione della Carta Europea dei Diritti Umani. Non c’è affare che possa comprare il diritto.

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