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domenica 31 agosto 2008

Venezia polemiche. "Guareschi offeso" si dimette Bertolucci.

I figli dello scrittore fanno dimettere il regista dal comitato per il centenario. Il documentario «La rabbia»: cancellata la parte dell'autore emiliano, è rimasta solo quella di Pasolini. Gli eredi irritati dalla frase del cineasta che ha curato il restauro: «Il testo di Guareschi era razzista. Gli abbiamo fatto un piacere a non recuperarlo».

(Corriere della Sera - Giuseppina Manin) Esplode la nuova Rabbia. Quarantacinque anni dopo la prima versione del film documento sull'Italia vista «da destra» e «da sinistra » da due personaggi del mondo culturale che più lontani non si poteva, Pasolini e Guareschi, il comunista eretico e il cattolico conservatore, La rabbia, ricomposta dalla Cineteca di Bologna secondo il progetto originario che l'affidava solo a Pasolini, scatena le ire degli eredi Guareschi. Che, poche ore dopo la sua presentazione alla Mostra del Cinema, chiedono le dimissioni del presidente della Cineteca, il regista Giuseppe Bertolucci, dal Comitato per le celebrazioni del centenario della nascita di Giovannino Guareschi, di cui fanno parte, tra gli altri, Baricco, Zavoli, Ettore Mo, Gustavo Selva e Michele Serra. E Bertolucci, riconoscendo come legittima la richiesta, si dimette all'istante.
A spingere Alberto e Carlotta, figli dello scrittore emiliano ideatore della saga di Don Camillo e Peppone, non è stata solo la scelta di Bertolucci, nata da un'idea di Tatti Sanguineti, di restituire al film la sua fisionomia originaria ricostruendo tramite i materiali degli Archivi Pasolini ospitati nella Cineteca bolognese quella parte iniziale a cui lo scrittore friulano aveva dovuto rinunciare per far posto, su pressione del produttore, al controcanto di Guareschi. A irritarli ulteriormente sono state le dichiarazioni fatte da Bertolucci alla Gazzetta di Parma: «Guareschi è un autore che ha avuto i suoi meriti. Ma il suo testo in La rabbia è insostenibile, addirittura razzista. Gli abbiamo fatto un piacere a non recuperarlo ». Opinioni che hanno fatto prendere la penna ai figli di Guareschi. In una lettera a Vincenzo Bernazzoli, presidente del Comitato, scrivono: «Lei capirà che non possiamo, pur rispettando l'opinione di Bertolucci, accettare che da un esponente del Comitato d'Onore per Guareschi escano affermazioni di questo tenore. Saremmo del parere che lei invitasse il maestro a rassegnare le proprie dimissioni».
Non ce n'è stato bisogno: «Ribadisco il mio giudizio fortemente critico rispetto a un testo che considero tra i meno felici di Guareschi — ha risposto Bertolucci —. Giudizio che riguarda solo un aspetto della sua opera. D'altro canto, consapevole che le mie affermazioni possano aver irritato Alberto e Carlotta, ritengo legittima la loro richiesta di mie dimissioni che rassegno nelle mani del presidente Bernazzoli, riaffermando il mio rispetto per un autore così significativo di una fase importante della nostra storia ».
Comunque, La rabbia secondo Pasolini, dal 5 settembre nei cinema, avrà un seguito da «par condicio». «Dopo la ricostruzione della versione originale di Pasolini sarà la volta di quella di Guareschi », annuncia Luciano Sovena, presidente del Luce. «Quella del '63 fu un'operazione mal riuscita, che aveva tentato di metter insieme due caratteri così incompatibili. Il risultato fu che ad entrambi i film venne amputato un pezzo. Completato il lavoro su Pasolini, abbiamo intenzione di fare la stessa cosa per ridare dignità dell'opera di Guareschi, recuperando quello che anche lì era stato eliminato».
I volti Giovannino Guareschi; a sinistra, don Camillo (Fernandel) e Peppone (Cervi); a destra, il regista Giuseppe Bertolucci

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Venezia Festival. Il giorno imperfetto di Ozpeteck.

(Alberto Crespi - L'Unità. "Un giorno perfetto" di Ferzan Ozpetek ha aperto la serie dei registi nostrani in concorso. Bravi Valerio Mastandrea e Isabella Ferrari a interpretare una coppia separata con figli, ma è un melodramma con troppa carne al fuoco
Verso la metà di Un giorno perfetto, il film di Ferzan Ozpetek passato ieri a Venezia (primo italiano in concorso), Stefania Sandrelli - la mamma della protagonista - fa le carte a una vicina. «Vedo un uomo, un fidanzato… ce l'hai il fidanzato?». E quella risponde di sì, che ce l'ha, fa il ballerino, ma non la porta mai a ballare perché preferisce andarci con un suo amico che fa il camionista. La Sandrelli la scruta, perplessa, e mormora: «Ho capito… sì, ho capito». La scena durerà un minuto e mezzo, è estranea alla trama - che parla di tutt'altro, come fra poco vedremo - e sembra raccontare un altro film di Ozpetek, magari il prossimo, più vicino alle sue atmosfere consuete. Un giorno perfetto, invece, è una decisa virata rispetto all'Ozpetek delle Fate ignoranti e di Saturno contro, l'Ozpetek dell'Ostiense, del gasometro e delle cene fra amici, l'Ozpetek che se non mette Serra Yilmaz in un film si sente male (e infatti la mette pure qui, ma in un passaggio finale di circa 10 secondi).
Un giorno perfetto è una storia disperata, tratta da un romanzo di Melania Mazzucco che squaderna uno spaccato familiare dolorosissimo. Emma (Isabella Ferrari) e Antonio (Valerio Mastandrea) sono separati, hanno due figli. Lui fa il poliziotto, è di servizio come scorta ad un politico inquisito, passa le notti sotto casa della sua ex; lei è andata a vivere con la madre e i bambini, si arrabatta facendo tre lavori - tutti precari - e va in giro vestita in un modo di cui la figlia maggiore, ormai quasi signorina, si vergogna. Lui vorrebbe tornare con lei, lei lo teme perché l'uomo, apparentemente dolce, nasconde improvvisi scoppi di violenza. Il film si apre con il sospetto di una tragedia: la polizia arriva a casa di Antonio perché qualcuno, nella notte, ha sentito degli spari. Dopo la scritta «24 ore prima», viene narrato il «giorno perfetto» in cui Antonio insegue Emma, la implora di ripensarci, quasi la stupra sull'argine del Tevere e infine va a riprendersi i bambini che non vede da moltissimo tempo. Ci fermiamo qui: raccontarvi il finale sarebbe delittuoso.
Il nucleo drammatico del rapporto fra Emma e Antonio è denso e ben raccontato, anche grazie alla bravura dei due attori: spinti a lavorare su toni assai più cupi del solito, sia Valerio Mastandrea che Isabella Ferrari sfidano la propria immagine e la sconfiggono. I difetti del film stanno altrove: soprattutto nel coro di personaggi che circondano Emma e Antonio e che spesso si riducono a semplici bozzetti.
È come se Un giorno perfetto raccontasse un giorno con più di 24 ore, o contenesse altri film che per forza di cose rimangono solo abbozzati. Ozpetek, si sa, ha talento per il melodramma: e il mélo è un genere in cui si deve anche esagerare. Ma qui c'è troppa carne al fuoco, con l'ambizione di dire troppe cose sull'Italia di oggi. Valga, per tutte, la famiglia dell'onorevole: con una moglie morta suicida, un figlio che odia il padre e vuole fuggire in Spagna, una nuova moglie giovanissima (una velina?) che scopre di essere incinta e sembra accettare la corte del figliastro… Forse Un giorno perfetto doveva intitolarsi Molti giorni perfetti. Titolo impossibile, perché i giorni perfetti sono merce rara.

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Matt Mitcham all'Eur: "Io gay alle olimpiadi".

(Il Corriere della Sera) A Roma per un viaggio di riposo dopo le fatiche di Pechino, il tuffatore australiano Matthew Mitcham, che è stato il primo atleta a fare outing alle Olimpiadi dichiarando di convivere con il suo compagno Lachlan, sarà stasera al Gay Village dell'Eur per incontrare i ragazzi della comunità omosessuale romana. Matt, 20 anni, racconterà le sue Olimpiadi da gay - anche se, sottolinea, «vorrei solo essere ricordato come un tuffatore australiano che ha fatto bene i Giochi» - tra gioie e speranze, fatiche e conquiste. Mitcham ha portato i gay sul gradino più alto delle Olimpiadi vincendo l'oro nella piattaforma da 10 metri: 537,95 punti contro i 533.15 del cinese Zhou Luxin.

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Domenico e Pierrick morti su quell'aereo manipolati e strumentalizzati.

Vorrei tornare sulla polemica che è stata creata intorno all'incidente aereo di Madrid. Non posso dire di tornarci a testa fredda, perché io Pierrick (il ragazzo francese che viaggiava assieme a Domenico, l'unica vittima italiana della tragedia) lo conoscevo w lo shock è oggi lo stesso che ho provato il primo giorno quando ho appreso la notizia. Ma cercherò di restare calmo ed oggettivo, anche se è chiaro che io questa lettera non la scrivo per pura speculazione, la scrivo per Pierrick perché sento di avere nei suoi confronti una responsabilità morale. Purtroppo è l'unica cosa che ormai posso fare per lui.
Voglio ribadire con forza un principio: nessuno ha il diritto di esporre la vita privata altrui, e ancor meno le proprie personali interpretazioni della vita privata altrui. Un gruppo di persone tra cui, con mio sgomento, figurano persino alcuni parlamentari, si è invece permesso di fare esattamente ciò, non limitandosi a frugare nella vita privata di persone morte in circostanze drammatiche, ma sovrapponendo addirittura ai fatti la propria libera interpretazione. A me pare una violenza inaudita, una violenza dell'anima non dissimile né meno grave o dolorosa della violenza che si può fare ai corpi. Davvero in Italia un gruppo di persone può fare pubblicare impunemente una lettera aperta sui giornali nella quale espone e interpreta questioni della vita privata che nemmeno conosce? Io trasecolo.
Potrei entrare in una discussione sul merito delle cose che sono state dette a proposito di Pierrick e di Domenico (per il quale provo la stessa profonda pietà umana ma che non ho avuto la fortuna di conoscere) e contestare versioni, ipotesi e interpretazioni. Ma non lo faccio perché lo considero osceno. Vorrei soltanto fare notare una cosa che a me pare decisiva: in Francia due persone, anche dello stesso sesso, che vogliono essere una famiglia possono esserlo legalmente grazie all'istituto del pacs. Non c'è perciò alcun bisogno che persone come Grillini ci siano la loro interpretazione sui legami che secondo loro intercorrerebbero tra persone che neppure conoscono, tanto più quando queste persone sono appena decedute in circostanze drammatiche.
Io vivo a Parigi e da una settimana purtroppo non parlo d'altro, con amici e conoscenti. I più, quando cerco di spiegare la polemica che c'è stata in Italia, non capiscono. Nel senso che tutti in un primo tempo pensano che sia accaduto il contrario: i giornali hanno invaso oscenamente la vita privata di alcune persone e le associazioni di difesa dei diritti dei gay li hanno, giustappunto, difesi. Quando spiego che è successo il contrario, che sono quelle associazioni che hanno invaso la vita privata di quelle persone, manipolandola e strumentalizzandola, la gente non mi segue più. E' un elemento che mi ha fatto percepire ancora più acutamente la barbarie di questa vicenda. Ho cercato di sollevare queste questioni in due lettere che ho indirizzato al Presidente dell'Arcigay, ma la risposta è stata la ripetizione, come un disco rotto, delle argomentazioni risibili che sono state proposte sui giornali.

Giovanni Mastrogiacomo - Parigi (La Repubblica, 30 agosto 2008)

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