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mercoledì 2 gennaio 2008

Da Montecitorio alle Ande: Bertinotti in Sud America.

Fausto Bertinotti, presidente della Camera

(Mario Sechi - Panorama) È un viaggio verso l’utopia, verso il mondo nuovo. Il 2008 di Fausto Bertinotti s’apre con un tour sudamericano. Quattro tappe, un poker di paesi mito dell’immaginario della sinistra italiana che, nonostante le fratture carsiche e le divisioni in superficie, continua a sognare di poter essere un giorno “unida”. Nomi che “attengono alla sfera mondiale della politica” dice Bertinotti a Panorama, e che evocano simboli storici: Bolivia (dove cadde il Che), Perú (la ribellione degli inca), Ecuador e Venezuela (due tessere del mosaico della Grande Colombia di Simón Bolívar).

Il presidente della Camera sta mettendo a punto i dettagli in queste ore: 11 giorni di missione, si parte il 7 gennaio da Roma. Atterraggio a La Paz per la prima tappa, in Bolivia, il giorno dopo alle 8 del mattino. “L’arrivo potrebbe ritardare di 1 ora e 30 minuti causa vento contrario” recita con precisione il promemoria dell’ufficio del cerimoniale di Montecitorio.
Bertinotti invece cerca il vento a favore. Serve per il suo progetto politico, per dare sostanza e programma alla Cosa rossa. Uomo colto, sensibile alle suggestioni, alle culture e al mix di socialismo, mercato e dirigismo che alberga nel ventre di quei paesi, si inoltra per la seconda volta da quando è presidente della Camera in quel continente quadro di contraddizioni, pencolante tra dittatura e democrazia, povertà e ricchezza, idealismo e realismo, quest’ultimo non sempre magico come quello letterario.
È magma in movimento e a una sinistra incapace di scrollarsi di dosso la polvere dei decenni, i frazionismi, i personalismi, il film della contemporaneità sudamericana piace. D’altronde, non parliamo certo di una novità, di una svolta recente. La storia è costellata di tentativi d’imitazione, rielaborazione, rivisitazione spesso tragica di quelle esperienze.
La sinistra italiana è sempre stata sensibile a tutto quello che accade nel quadrante che parte da Cuba, attraversa le Ande e si spegne nella Terra del Fuoco. Fu il segretario del Pci Enrico Berlinguer a guardare con grande interesse e troppa speranza all’esperienza della Unidad popular di Salvador Allende. L’influenza di quel modello si fece sentire sulla politica del segretario comunista, sulla strategia del compromesso storico, sull’arco di storia che va dal 1973 al 1984.
Quella linea di pensiero è stata ripresa dallo stesso Fausto Bertinotti, prima con la fascinazione per il subcomandante Marcos (il leader dell’esercito zapatista messicano), al punto da portare anch’egli con orgoglio l’appellativo di “subcomandante Fausto”. Poi durante il primo viaggio in Sud America nel 2007, quando, proprio dal Cile, aveva lanciato un segnale di rottura con le icone del “movimento” che si muove in parallelo a Rifondazione. “Allende è meglio di Che Guevara” disse il presidente della Camera in quell’occasione. Si aprì un dibattito sui giornali, ma non ebbe quel che meritava davvero: la fortuna di durare.
Bertinotti però in questi mesi ha continuato a pensare a quella sua prima esperienza, alla frontiera del Sud America, al laboratorio politico discusso, discutibile, ma certamente nuovo e dinamico di quella sinistra di cui il presidente venezuelano Hugo Chávez è il simbolo. Bertinotti incontrerà Chávez il 16 gennaio e non sarà solo uno scambio di cortesie istituzionali. Per Fausto c’è molto di più in gioco.
Al cronista di Panorama il presidente della Camera offre una lettura doppia, politica e culturale. Ci sono le ragioni della politica estera, perché “questo secondo viaggio in America Latina rappresenta il completamento di una nuova stagione nei rapporti fra Italia, Europa e Sud America. Una nuova stagione che mette fine a un periodo di una qualche distrazione su questa materia. Questo secondo viaggio vuole anche valorizzare un nuovo protagonismo sulla scena mondiale” spiega il Bertinotti in versione diplomatica.
C’è l’attenzione per il magma che ribolle in quella parte del mondo, perché “appena un anno fa, nel primo viaggio nella parte meridionale di quel continente (Argentina, Cile, Brasile, Uruguay), è stato possibile vedere da vicino esperienze di grandi paesi, abbiamo visto fiorire e sviluppare rapporti di amicizia, abbiamo capito e toccato con mano il punto di forza di un rinascimento che riguarda, pur tra tante difficoltà, tutta quella parte di mondo” ribadisce il Bertinotti che insegue il vento della izquierda unida.
C’è il fascino del problema globale, dello sfruttamento dei poveri, di un altermondismo da costruire, perché “soprattutto, e qui ecco la novità e lo spunto che offre l’imminente trasferta, si vuole indagare la questione indigena, di particolare interesse storico e culturale. La questione indigena riveste un peso e un’importanza di primo piano nelle vicende dell’America Latina e riguarda direttamente i problemi dell’integrazione e del riconoscimento delle diversità”.
Temi che forse potrebbero apparire remoti, eppure “sono fondamentali perché attengono alla sfera mondiale della politica. E riguardano in primo luogo anche l’Europa. Stiamo parlando di convivenza, di coesistenza. Per dirla diversamente, si sta parlando del grande tema della nuova cittadinanza” dice il Bertinotti mondialista.
Il presidente della Camera non ignora che tra questi paesi ci sono grandi produttori di petrolio. Con il barile del greggio che sfiora i 100 dollari, incassano cifre da capogiro, ma sottosviluppo e miseria sono ancora là.
Non ignora che Hugo Chávez ha programmi militari ambiziosi, che il suo controllo sui media è quasi totale, che persegue una politica che non è solo di autonomia dagli Stati Uniti ma qualcosa che richiama all’antimperialismo. Fenomeno complesso.

Hugo Chavez, presidente del venezuela

Bertinotti sa che quando stringerà la mano a Hugo Chávez, quello sarà un flash simbolico che in Italia aprirà discussioni sul suo rapporto con i nuovi condottieri del socialismo del Ventunesimo secolo. Per questo il viaggio di Bertinotti è un mix di incontri istituzionali e immersione rapida nel mondo reale, quasi un educational.
A La Paz visiterà il progetto “Unicef Fortalecimiento de las defensorías de la niñez” e incontrerà le ong italiane prima di parlare di politica e sinistra con il presidente Evo Morales, già leader del movimento dei cocaleros boliviani.
In Perú, dopo aver inaugurato un affresco di Giuseppe Garibaldi sul muro esterno dell’ambasciata italiana a Lima, salirà in macchina per vedere l’impresa YoPer contro la prostituzione infantile e poi passeggerà nei cerros, i quartieri più poveri della città.
Il debito pubblico dei paesi poveri sarà il protagonista a Quito, con la riunione al Fondo italoecuadoriano che gestisce il condono del debito bilaterale di 27 milioni di dollari.
A Caracas, dopo aver incontrato Chávez, Bertinotti potrebbe conoscere il lavoro degli architetti dell’Urban think tank che stanno ridisegnando i barrios della capitale venezuelana.
È un viaggio tra paradiso e inferi. Potrebbe uscirne un Bertinotti trasfigurato e più disponibile, dopo 2 anni in cui ha imprigionato nella grisaglia istituzionale se stesso e il suo partito, ad archiviare una stagione deludente per riprendere il viaggio verso l’utopia.

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