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martedì 3 giugno 2008

Sarko: "Il matrimonio? E’ riservato a un uomo e a una donna".

Intervista al presidente che non lo era ancora. Sull’integrazione diceva di preferire "un islam della Francia, in linea con i valori della nostra Repubblica, che un islam sottomesso".
(Il Foglio) In Italia lei è considerato un uomo della destra dura, dalle posizioni sempre fisse sull’idea di sicurezza pubblica e dalle tendenze fortemente liberali e populiste, senza dimenticare la sua posizione definita “atlantista”, pro israeliana e pro americana, che tanto inquieta la sinistra italiana ed europea. Ritiene che questo ritratto sia quello giusto?

Sarkozy - Bene, vediamo, direi che non avete dimenticato nulla. Questa è la lista completa dei tratti più caricaturali solitamente utilizzati da tutti quelli che in generale non hanno esattamente le migliori intenzioni nei miei confronti. Con un pedigree del genere, viene da chiedersi come possa essere candidato alle elezioni in Francia. Questa percezione di me, evidentemente, non è né giusta né veritiera. Ho voluto essere il candidato di una destra repubblicana finalmente libera dal complesso di non essere la sinistra, di una destra sicura dei propri valori: il lavoro, l’autorità, il primato della vittima sui delinquenti, gli sforzi, il merito, il rifiuto dell’assistenzialismo, dell’ugualitarismo e del livellamento verso il basso. Questo fa di me un uomo della destra dura? Per anni, nell’esercizio delle funzioni ministeriali, mi sono speso per combattere e ridurre la mancanza di sicurezza che era letteralmente esplosa sotto il governo di sinistra di Lionel Jospin. Ho ottenuto risultati significativi e credo che domani dovranno essere rafforzati migliorando il funzionamento generale di tutto il sistema penale, in particolare per poter meglio lottare contro la recidività e la sensazione d’impunità dei minorenni pluri-reiteranti. I miei principali concorrenti sembrano avere idee meno chiare in merito e paiono inclini a tornare al lassismo. Questo fa di me un fissato della sicurezza? Per quel che concerne l’economia, sono innanzi tutto un adepto del pragmatismo. Credo nelle libertà economiche. Credo nell’economia di mercato. Ma so anche che il mercato non dice tutto e non può tutto. Credo al volontarismo politico in campo industriale e tecnologico, e non mi spiace aver fatto la scelta d’intervenire per salvare Alstom, un’impresa che è tornata a prosperare. Questo fa di me un liberale? Sono visceralmente attaccato all’indipendenza della Francia e dell’Europa di fronte a qualsiasi potenza. E deploro il fatto che l’Unione europea non dia prova d’unità, di realismo e di autonomia nelle relazioni economiche e commerciali con le altre regioni del mondo, come anche in politica estera e di difesa. Non vedo incompatibilità tra questo e il fatto di considerare gli Stati Uniti una grande democrazia con la quale abbiamo molti valori in comune e indefettibili legami storici. Così come non vedo incompatibilità tra il riconoscimento del diritto dei palestinesi a uno stato sostenibile e il fatto di considerare la sicurezza d’Israele non negoziabile. Questo fa di me un atlantista, un pro israeliano e un pro americano? E’ una lettura che quantomeno manca della più elementare sottigliezza. La verità è che chi afferma queste cose è anti israeliano e antiamericano. Pensino a sé, invece di denigrare gli altri.

F - Lei è il favorito, davanti a Mme Royal e François Bayrou. Ma l’ascesa di Bayrou è insidiosa. Teme l’alternativa “centrista”?

S - Credetemi, non vedo in me il favorito di queste elezioni, piuttosto lo sfidante. E’ mia intenzione fare campagna elettorale fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno per convincere i francesi della correttezza del mio progetto, delle mie proposte e del mio modo di procedere. Questa campagna dimostra due cose contemporaneamente: da una parte che i cittadini non hanno perso completamente la fiducia nella politica, ma dall’altra anche che sono sempre più esigenti nei confronti di chi ha la pretesa di rappresentarli. Le sale dei convegni non sono mai state così piene, le trasmissioni politiche mai così seguite. Non abbiamo più il diritto di deluderli. Voglio dire loro tutto prima, per poter fare tutto dopo, se sceglieranno di darmi la loro fiducia. E, onestamente, quando osservo il grado di imprecisione, d’improvvisazione e di confusione degli altri due candidati citati, mi dico anche che non abbiamo il diritto di perdere queste elezioni, decisive per l’avvenire del nostro paese e, per suo tramite, dell’Europa intera”.

F - Che rapporti ha con la classe dirigente italiana e che giudizio ne ricava?

S - Conosco bene la maggior parte dei responsabili politici italiani, Romano Prodi, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Giuseppe Pisanu. Li stimo. Ora, non sono i responsabili francesi a scegliere i dirigenti italiani, e viceversa. L’Italia è un grande paese europeo, per di più confinante con la Francia e, come il nostro paese, si affaccia sul Mediterraneo. Abbiamo sfide comuni da raccogliere: nel campo industriale, in quello della sicurezza, della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, della gestione dei flussi migratori. Anche l’Italia rientra nel novero degli stati fondatori dell’Ue, ed è difficile pensare a rilanciare il progetto europeo senza di lei. Se sarò eletto, tenterò quindi di mantenere relazioni ottimali con il governo che gli italiani avranno scelto per sé.

F - In Italia abbiamo seguito con grande attenzione l’istituzione del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm) e tutto il dibattito tra il governo e il capo del Consiglio, Dalil Boubaker. Può fare un bilancio e darci un’idea in prospettiva del futuro di questa istituzione?

S - Effettivamente mi sono impegnato a fondo nella creazione del Cfcm, l’istanza rappresentativa dei musulmani in Francia, e delle sue succursali regionali, le 25 Crcm. Perché? Perché preferisco un islam della Francia, in linea coi valori e le regole della nostra Repubblica, piuttosto che un islam in Francia, che resterebbe sottomesso a influssi stranieri. Il Cfcm riunisce le diverse correnti di pensiero musulmane e ci permette di instaurare un dialogo con loro, ma anche, naturalmente, con le autorità pubbliche e gli altri componenti della società francese. Concretamente, il Cfcm si occupa di costruire le moschee, gestire le zone musulmane nei cimiteri, organizzare le feste religiose, nominare i cappellani negli ospedali, le scuole e le prigioni, ma anche di formare gli imam. Il bilancio del Cfcm dalla sua creazione, nel 2003, per me è positivo e incoraggiante. Inoltre, sono convinto che nessun governo, in futuro, quale esso sia, metterà in dubbio la sua esistenza e le sue finalità.

F - La sicurezza e l’immigrazione sono temi sui quali lei ha concentrato maggiormente il suo operato come ministro dell’Interno. Cosa pensa della direttiva europea che riguarda lo scambio dei dati tra i diversi servizi segreti e l’armonizzazione delle norme che disciplinano l’arrivo dei clandestini?

S - Lei sicuramente fa riferimento alla proposta di direttiva riguardante il rimpatrio degli immigrati irregolari. La Commissione europea ha ritenuto necessario scrivere un nuovo capitolo nell’armonizzazione delle procedure di espulsione. E’ innegabilmente una buona cosa, a condizione però che gli stati possano conservare ancora un certo margine di manovra. Quanto alla cooperazione in materia di scambio d’informazioni tra i diversi paesi europei, ritengo che sia indispensabile, che si tratti di lotta all’immigrazione clandestina, e in particolare grazie al futuro sistema relativo alle informazioni sui visti, o alle reti della criminalità organizzata, che prosperano sfruttando la miseria e la disperazione degli uomini. In linea più generale, spero che gli stati europei un domani possano andare più lontano nell’approfondire il coordinamento delle proprie politiche in materia d’immigrazione, d’asilo e di controllo delle frontiere. Nell’ambito delle mie responsabilità come ministro dell’Interno, ho già avuto occasione di presentare ai nostri partner proposte in questa direzione.

F - Lei ha spesso dichiarato di voler rivedere la legge sulla laicità del 1905. Come pensa possa essere modificata, e in che direzione?

S - Per me non si è mai trattato di toccare i principi fondamentali della legge del 1905. Questa legge non impone proibizioni, ma chiarisce le relazioni tra lo stato e le religioni. E’ una legge di tolleranza, che assicura contemporaneamente la libertà di coscienza e la neutralità dello stato, in altre parole l’uguaglianza dei culti davanti all’autorità pubblica. Ho semplicemente espresso il desiderio di avviare una riflessione sulla necessità di precedere a un nuovo ritocco, per far fronte a una realtà nuova: e cioè il fatto che la religione musulmana, che oggi è diventata la seconda religione in Francia, dopo la religione cattolica, mentre nel 1905 praticamente non esisteva sul nostro territorio. Ricordo poi che questa legge è stata emendata tredici volte! Una relazione di esperti, che mi è stata presentata a settembre, mi raccomandava di modificare la legislazione in modo da dare ai comuni la possibilità, debitamente contestualizzata, di aiutare, se necessario, gli investimenti per il culto. Questa questione merita di essere studiata, proprio perché non è giusto che i fedeli di determinate confessioni apparse di recente sul nostro territorio incontrino difficoltà nella pratica del proprio culto. Non penso però che sia opportuno legiferare senza aver prima ottenuto un consenso molto ampio. Per legiferare su questioni così delicate mi sembra indispensabile che la grande maggioranza dei francesi e delle varie comunità religiose sia d’accordo.

F - In Italia si parla molto di famiglia, di matrimonio e del ruolo della chiesa, che oggi si rinnova. Lei è contrario al matrimonio omosessuale e all’adozione da parte delle coppie omosessuali. Che sensazioni le ispira la chiesa di Papa Ratzinger, ultima assise morale delle società postmoderne?

S - Tenuto conto della separazione tra stato e chiesa, è imperativo che i politici francesi mantengano un certo riserbo in materia religiosa. Detto questo, come la maggior parte dei miei compatrioti, ho davvero una grande considerazione e grande rispetto del Papa e di ciò che rappresenta. So cosa debbano all’eredità cristiana l’Europa in generale e la Francia in particolare. Quanto alla questione della famiglia e delle coppie omosessuali, l’ho detto molto chiaramente: non sono né a favore del matrimonio degli omosessuali, né dell’adozione da parte delle coppie omosessuali. Questo però non significa che io neghi la realtà e la legittimità dell’amore omosessuale. Non ha minore dignità dell’amore eterosessuale. Penso semplicemente che l’istituzione del matrimonio, per mantenere un senso, debba essere riservata agli uomini e alle donne. Penso, allo stesso modo, che una famiglia sia costituita da un padre, una madre e dei bambini. Per le coppie omosessuali in Francia abbiamo i pacs. Propongo di andare ancora più in là e creare un contratto d’unione civile che garantisca la perfetta uguaglianza con le coppie eterosessuali sposate, per quanto concerne i diritti alla successione, fiscali e sociali.

F - In Libano, i nostri soldati si sono conformati alla risoluzione dell’Onu che prevede una forza multilaterale lungo la frontiera con Israele. Certi rapporti delle Nazioni Unite segnalano il riarmo di Hezbollah. Pensa che sia necessario ripensare la missione Unifil perché sia efficace?

S - La missione Unifil 2, creata dalla risoluzione 1.701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, aveva ricevuto un mandato realista, ovvero assicurare un cessate il fuoco duraturo tra le parti libanesi e Israele. Fino a oggi ci è riuscita bene, senza dubbio anche perché la Francia, sotto l’impulso vigilante di Jacques Chirac, aveva preteso sin dall’inizio che si garantissero tutte le condizioni per l’efficacia dell’azione della forza internazionale: un mandato chiaro e rafforzato rispetto a Unifil e regole d’ingaggio predefinite. Ciononostante, l’equilibrio nella regione rimane fragile. Il disarmo delle milizie – elemento fondamentale per la stabilità – deve rimanere al centro delle preoccupazioni del governo libanese. Più che a Unifil 2, spetta al governo locale organizzare la deposizione delle armi da parte delle milizie e impedire il riarmo di una loro parte, garantendo un vero controllo della frontiera sirio-libanese. Dobbiamo augurarci che il processo politico libanese possa prendere il largo, che i libanesi riprendano in mano il proprio destino e ritrovino il cammino del dialogo interno. La consegna delle armi alle autorità libanesi legittime sarà la migliore garanzia del ritorno a una pace durevole”.

F- Oggi la Nato è messa a dura prova, che si tratti di Afghanistan o della costruzione dello scudo americano nell’Europa dell’est. Come pensa debba rispondere la Francia alle domande di flessibilità dell’Alleanza atlantica? E alle accuse della Russia?

S - La Nato conserva, in un mondo incerto e pericoloso, il suo valore e la sua legittimità, perché offre un solido ancoraggio euro-atlantico, che ormai da quasi sessant’anni dà prova della sua importanza per la sicurezza europea. Mi auguro che la Francia si assuma appieno la propria responsabilità nel quadro dell’Alleanza e contribuisca alla riflessione sull’evoluzione delle missioni. La Francia è già molto attiva, come lei sa, e contribuisce in modo importante alle operazioni nei Balcani e in Afghanistan. E’ mia intenzione confermare la solidità di questo impegno. Per il futuro, non dobbiamo perdere di vista però la specificità della Nato, che è un’alleanza militare. Non mi pare utile né opportuno che si sviluppi in direzione di un nuovo tipo di organizzazione a vocazione universale, più o meno concorrente all’Onu. Vorrei che conservasse la sua vocazione militare e un ancoraggio geopolitico chiaro sul continente europeo. Per il resto, l’Europa deve affermare la propria volontà e la propria capacità di assicurare in modo più autonomo la protezione del suo territorio. L’Ue deve darsi l’ambizione di definire e attuare una politica di difesa conforme alla sua situazione geografica e ai suoi interessi. Il progetto americano antimissile per ora non rientra nel campo Nato: è spunto per discussioni bilaterali tra Washington e alcune capitali europee, sulle quali non è mio compito esprimermi. Però l’Ue trarrebbe vantaggio dal parlare con una voce sola in merito a questioni tanto strategiche. Dov’è la sua legittimità se non è in grado di esistere su un capitolo nel quale il suo progetto politico dovrebbe raggiungere il pieno significato? La preferenza europea deve valere anche, e forse soprattutto, nel campo della sicurezza e della difesa. Lei fa notare che la Russia ha manifestato inquietudine. Non è una cosa nuova, queste reazioni hanno accompagnato tutte le evoluzioni della Nato. Dobbiamo incoraggiare il dialogo tra Washington e Mosca, in modo che non si creino malintesi, che sarebbero dannosi per tutti. A proposito dello scudo, esso non può sostituire la dissuasione, anche se può essere utile per completarla.

F - L’Iran è una minaccia sempre più imminente. La Francia e l’Italia sono più propense al dialogo rispetto ad altri membri della comunità internazionale. Qual è la sua posizione rispetto al regime di Ahmadinejad?

S - E’ inaccettabile e pericoloso che Teheran si doti di una capacità nucleare militare. Spetta all’Iran ristabilire la fiducia nella natura delle sue attività nucleari. E’ ciò che ha voluto dire il Consiglio di sicurezza quando ha votato all’unanimità la risoluzione 1.737. L’importante è mantenere la fermezza e l’unità della comunità internazionale di fronte alla prova cui è sottoposta la sua determinazione a contenere i rischi di proliferazione. E’ questo il senso dell’azione degli europei dal 2003. Tale politica di fermezza e di dialogo oggi è condivisa da tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza. In questa continuità si iscriverà la mia azione, se sarò eletto. Per quel che riguarda Ahmadinejad, i suoi interventi che incitano alla distruzione di Israele o che negano la realtà della Shoah sono inammissibili e irresponsabili. Ma non sono sicuro che abbiano trovato l’appoggio della maggioranza degli iraniani, tutt’altro.

F - Lei vorrebbe rilanciare la costruzione dell’Europa con un Trattato semplificato. Quali sono le alleanze che imbastirà, con i partner europei, per arrivarci? Contro la Turchia e la sua ammissione nell’Ue lei ha lanciato l’idea di un’Unione del Mediterraneo. Conta su una collaborazione privilegiata con l’Italia?

S - Presto saranno passati due anni da quando l’Europa è entrata in stallo a causa del rifiuto da parte di due paesi fondatori, tra cui la Francia, del Trattato costituzionale. Possiamo dispiacercene, ma non possiamo che prenderne atto e tentare d’immaginare alternative per uscire insieme dalla crisi. Non sarà possibile rilanciare l’Europa con le istituzioni attuali, che non sono concepite per un’Ue a 27. Ma due anni d’immobilismo sono più che sufficienti. Per questo propongo di riprendere le disposizioni della prima parte del Trattato che avevano trovato maggiore consenso. E’ quello che io chiamo Trattato semplificato. Su questa base è possibile raggiungere in tempi rapidi un consenso. Ho fiducia nella buona volontà, nel realismo e nel desiderio di progredire di tutti i partner. Per quel che concerne la Turchia, è un grande paese e un grande alleato per cui ho il massimo rispetto. Se sono contrario alla sua adesione non è perché sia contrario alla Turchia, ma perché sono a favore di un’Europa politica. Ci sarebbe una contraddizione tra l’adesione della Turchia e il progetto di un’Europa integrata a livello politico: l’Ue non può estendersi in modo indefinito e deve avere delle frontiere. Per ragioni storiche, geografiche e culturali, la Turchia non ha la vocazione a situarsi all’interno di tali frontiere. A meno che queste non siano comuni domani con la Siria o l’Iraq, il che mi sembra difficilmente accettabile. Il momento in cui si è pensato alla prospettiva di un’adesione è passato da quasi 45 anni, e si trattava di aderire a un mercato comune, non a un’unione politica. Sono a favore della creazione di una collaborazione strategica privilegiata, economica e culturale con la Turchia, come con altri stati del Mediterraneo. L’Unione euro-mediterranea che ho proposto s’inserisce in questo quadro. L’Europa, a cominciare da Francia e Italia, non può voltare le spalle al Mediterraneo, elemento strutturale della sua identità e della sua stabilità. (traduzione di Elia Rigolio)

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Bologna. Festa di laicità. Tre incontri verso il Gay Pride con Flamigni, Hack, Odifreddi.

In Cappella Farnese stasera primo confronto: si discuterà di scienza, libertà e diritti. E il 17 di matrimoni omosessuali.È un omaggio ai "liberi pensatori".
(Brunella Torresin - La Repubblica, edizione di Bologna) A chi contesta la natura «culturale» del Gay Pride, o solleva obiezioni su qualità e valore della manifestazione negando patrocini e spazi, la giusta risposta da dare è un invito al ciclo di conferenze, tre in tutto, che il martedì, da questa sera in Cappella Farnese, con il patrocinio di Comune e Provincia, affronteranno temi cardini della convivenza civile: la libertà della scienza, l´autonomia della politica, l´uguaglianza dei diritti. Nel percorso di avvicinamento alla giornata del 28 giugno, questa Festa di Laicità, com´è stato chiamato il ciclo di incontri curato da Sergio Lo Giudice, dal 1998 al 2007 presidente nazionale di Arcigay, di cui oggi è presidente onorario, può rivendicare l´adesione e il sostegno di personalità come l´astrofisica Margherita Hack e il matematico Piergiorgio Odifreddi, il padre della fecondazione assistita Carlo Flamigni, uno dei firmatari del Manifesto di Bioetica Laica, e il presidente della Consulta di Bioetica Valerio Pocar, Gilda Ferrando, esperta di diritto del matrimonio, e l´islamista Khaled Fouad Allam. Nessuno di essi è un politico: in questo caso «il dibattito si esercita tra posizioni di pensiero e non di appartenenza partitica», spiega Lo Giudice. Nessuno di essi appartiene alla comunità Gltb, ma ognuno di essi condivide i valori che ne animano la battaglia per i diritti civili e l´uguaglianza.
«Le radici d´Europa» è il tema dell´incontro che stasera riunisce Carlo Flamigni, Margherita Hack (la cui presenza è resa però incerta da problemi di salute), Chiara Lalli e Mauro Pesce: discuteranno di tolleranza, delle libertà di critica e di scienza che aèppartengono all´identità dell´Occidente. Tanto Flamigni che la Hack, così come Odifreddi e Pocar, sono anche membri del Comitato di presidenza della Uaar, l´Unione Atei e Agnostici Razionalisti, un´associazione internazionale con sezioni nei vari paesi (e che sostiene il Gay Pride). È l´Uaar che ha dato vita allo sportello «Sos Laicità», uno sportello «confidenziale e gratuito» che la Uaar, ha creato per dare sfogo ai «cittadini vittime o testimoni di prevaricazioni religiose o di violazioni della laicità dello Stato». Questo non è il tema della serata, ma dell´autonomia della politica rispetto alle religioni, del confine tra responsabilità politica e libertà di coscienza, della convivenza tra principi costituzionali e fede personale - ovvero «Il posto delle chiese» - si discuterà martedì prossimo, il 10 giugno (ore 21, Cappella Farnese) e lo faranno Khaled Fouad Allam, Erika Tomassone, pastore valdese, Paolo Flores d´Arcais, Piergiorgio Odifreddi e Sergio Staino. Soltanto martedì 17 giugno la Festa di Laicità affronterà uno degli argomenti di più stingente attualità per la comunità Gltb, e cioè «Il matrimonio gay». Lo affronta dal versante del diritto all´uguaglianza. Il governo spagnolo ha annunciato la rimozione del divieto di matrimonio per gli omosessuali richiamandosi al principio di uguaglianza giuridica, che non può essere frazionato: o l´uguaglianza è piena o non è uguaglianza. In Italia le coppie omosessuali non hanno diritto di sposarsi. Ne discuteranno Francesco Bulotta, giurista, Gilda Ferrando, matrimonialista, Vittorio Lingiardi, psicoanalista, e Valerio Pocar, avvocato e sociologo.

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Torino. ViewFest, tecnologia per il grande schermo.

Proiezioni in 3d e tecniche d´avanguardia in oltre 200 titoli.
Ci sono pure "Film breve" e "Flash festival": appuntamenti dedicati ai "corti".
(Clara Caroli - La Repubblica, edizione di Torino) Dall´avanguardia del filmaking digitale al nuovo cinema arabo, dalle pillole di animazione ai cortometraggi ai documentari della comunità rumena. Ricco di eventi grandi e piccoli, giugno sul grande schermo. Il principale è ViewFest, il Festival del cinema digitale che nel weekend del 6, 7 e 8 giugno porterà nella tecnologica multisala del Massimo (la sola a Torino ad essere dotata di proiettori digitali e in 3D ed ora anche in alta definizione grazie all´appena acquisito Blu Ray) eventi, autori e protagonisti dell´avanguardia legata all´immagine. Il futuro è già qui: tre giorni e oltre 200 titoli per esplorarlo. Tra gli hit, il ritorno di Harrison Ford nei panni del vecchio Rick Deckart in "Blade Runner", il capolavoro di Ridley Scott nell´ultimissima versione "Final cut" in digitale Hd, l´epic-fantasy di Robert Zemeckis "Beowulf", realizzato con le sofisticatissime tecniche della motion e della performance capture, che verrà proiettato in 3D con gli speciali occhiali in dotazione al pubblico, un´antologia di cortometraggi concessi in esclusiva dalla Pixar (ospite di View il mago dell´animazione digitale Craig Foster) e lo spettacolo teatrale ideato da Gianluca Nicoletti che con la "macchina per entrare e uscire dal mondo" di sua invenzione darà vita, negli spazi di Hiroshima Mon Amour, ad un gioco di scambi tra vita vera e Second Life, umani e avatar, realtà e virtuale. Tra gli omaggi del festival quello agli sperimentatori di Happy, al geniale duo Coniglio Viola, al graphic designer Guillaume Reymond, che ridà vita a vecchi videogiochi, all´autore di culto di videoclip Chris Milk, al videoartista Lorenzo Oggiano, creatore dei Quasi-Objects in 3D che giocano, ancora, sul tema delle relazioni tra naturale e artificiale. Programma completo su www.viewfest.it.
Dal 9 al 15 giugno il Museo del Cinema ospita "Tara mea" (La mia terra) – La Romania di oggi attraverso gli occhi dei giovani documentaristi", omaggio alla cultura romena, poco conosciuta (salvo l´exploit di "4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" di Cristian Mungiu, Palma d´Oro a Cannes l´anno scorso) nella città che conta il maggior numero di immigrati in rapporto alla popolazione. Tredici documentari, tra i migliori prodotti in Romania negli ultimi anni, su temi diversi legati al socialismo e alle libertà negate dal regime di Ceausescu. All´inaugurazione, lunedì 9, sarà presente il regista Dumitru Budrala, direttore dell´Astra Film Festival di Sibiu. Dalla cultura romena a quella araba. Dal 3 all´8 giugno al Museo Diffuso della Resistenza la rassegna "Uno sguardo sulla cinematografia araba", legata alla mostra in corso a Rivoli "Le porte del Mediterraneo", propone 15 film di autori maghrebini e mediorientali. Il clou sarà, il 5, la giornata dedicata ai capolavori inediti del cinema siriano.
Due appuntamenti dedicati al corto e al cortissimo, "Film Breve" e "Flash Festival" si sovrappongono dal 10 al 12 negli spazi del Massimo, dei Fratelli Marx e per "Flash" dell´Azimut. La rassegna dell´Aiace premia il miglior corto italiano e presenta una selezione di titoli dal festival di Clermont Ferrand e un´antologia di corti d´autore da Fellini a Wenders, da Kitano a Polanski (programma su www.aiacetorino.it). "Flash Festival" si ripropone come spazio di libera espressione e vetrina della creatività di autori italiani e stranieri di animazione e videogame nella forma cortissima. Flash, appunto. (Info su www.flashfestival.it).

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Al Pride da destra.

(Gaytoday) Lo scorso anno ero al Gay Pride di Roma. Non mi pento della mia scelta, né la rinnego. Fino a quel 16 giugno 2007 non avevo mai ritenuto il Pride un evento fondamentale per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali. Mi aveva sempre dato fastidio il lato carnevalesco della manifestazione, mi irritava l'immagine che i mainstream media davano della parata.
Poi qualcosa è cambiato e il merito, anzi la terribile colpa, è del governo Prodi. I gay di centrosinistra avevano confidato molto nel ritorno del Professore a Palazzo Chigi, avevano investito nella candidatura di Vladimir Luxuria, molti di loro si erano imbarcati con immense speranze nel progetto fallimentare della Rosa nel Pugno. Ma l'Unione prodiana non poteva (e forse nemmeno voleva) approvare i Pacs, Dico, Cus, o tutte le altre strane formule alchemiche che puntavano al compromesso. Il centrosinistra era debole, con una maggioranza risicatissima, senza spazi di manovra. E i gay si accorsero presto, dunque, di essere stati traditi di nuovo. Lo hanno capito chiaramente e senza possibilità di smentite il giorno del Family Day, quella retriva manifestazione a favore della famiglia (come se qualcuno abbia intenzione di distruggerla) che aveva riempito piazza San Giovanni in Laterano. C'erano anche ministri del governo Prodi e la comunità GLBT aveva finalmente aperto gli occhi: nemmeno Prodi avrebbe messo fine alla discriminazione nei confronti dei gay italiani.

E quello stesso giorno parte la mia personalissima ribellione. Liberale di centrodestra, ho sempre diffidato di pasionari dei diritti civili, di movimenti GLBT spesso troppo simili a un pollaio dentro il quale ci si becca e si litiga per una fetta (nemmeno così grossa) di potere. E intanto la lotta per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali va a farsi fottere. Però quella mia ribellione non ammetteva ripensamenti né distinguo. Dovevo scendere in piazza con il movimento, con migliaia di persone che la pensano in maniera diametralmente opposta, con gente come Imma Battaglia, Vladimir Luxuria, Titti De Simone, Aurelio Mancuso, tutta gente culturalmente e politicamente distantissima dal mio modo di vivere. Eppure c'ero, e non mi sono mai pentito di quella scelta. Era sicuramente una scelta politica, connessa alle rivendicazioni avanzate. Ma c'era anche, di fondo, una voglia di riaffermare la laicità del popolo e dello Stato italiano.
E' fondamentale, oggi più che mai, far capire a politici e vescovi che nel mondo libero e democratico esistono solo nazioni laiche, attente alle esigenze di qualsiasi credo religioso ma assoggettate a nessuno di essi. E' l'esempio degli Stati Uniti, così pervasi da vigore religioso eppure allo stesso modo consci che prima di ogni cosa vengono i diritti e le libertà dell'individuo. Per non parlare poi della laicissima Francia e degli Stati nordeuropei, ormai lontani anniluce dal bigotto "baciapilismo" dell'Italietta. Stretta come cinquant'anni fa tra Don Camillo e Peppone, l'Italia del 2007 restava a guardare il mondo che andava avanti a ritmi vertiginosi. Era tempo di mostrare prima a noi stessi e poi al mondo che l'Italia poteva diventare (perché non lo è ancora, non illudiamoci) una democrazia matura. Ecco perché c'ero, ecco perché rivendico ancora quella scelta.

E quest'anno? Ebbene, se è possibile il mio convincimento è ancora maggiore.
Se l'anno scorso l'Italietta era quella di Don Camillo e Peppone (cioè Chiesa, comunismo e postcomunismo, miei avversari culturali da sempre), nel 2008 si confrontano due don Camillo, dopo la decisa virata verso il centro impressa a Walter Veltroni al neonato Pd. E quindi spazio maggiore al "baciapilismo", alle colpevoli contiguità con le mura vaticane. Ecco che l'Italia si trasforma nella dependance del Vaticano, mentre si riaffacciano anche rigurgiti razzisti che di liberale hanno davvero ben poco.
L'Italia del 2008 è dunque peggiore di quella del 2007. E' una frase che mai avrei creduto di scrivere, pensare o pronunciare. E invece è così. I gay italiani forse se ne sono accorti. Ma non si illudano che tutto è frutto della vittoria di Berlusconi o della scomparsa della sinistra radicale. L'Italia è ridotta in questo pietoso stato di demenza civile per motivi storici e culturali. Ecco che la rivoluzione deve essere innanzitutto trasversale, scevra da divisioni ideologiche e politiche all'interno del movimento.
Io sono stato al Gay Pride l'anno scorso e ci sarò quest'anno proprio per questo motivo: dimostrare, nel mio piccolo, che le battaglie giuste e di civiltà non hanno colore né schieramento; che se vogliamo cambiare la mentalità italiana dobbiamo farlo unendo le migliori intelligenze e sensibilità della nostra società senza dividerci in guelfi e ghibellini; che il movimento GLBT deve smetterla di fare politica vecchia e tradizionali ma trasformarsi definitivamente in una lobby trasversale che ha una meta e lotta senza limiti politici per raggiungerla.
Quest'ultimo punto è quello che mi preoccupa di più. Il movimento GLBT italiano non è maturo per un passo del genere. Non siamo in America, né in Spagna. Siamo in Italia. Per fortuna o purtroppo.

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Roma, Gaypride. Le associazioni: Il no a piazza San Giovanni è pretestuoso.

Critiche al sindaco Alemanno. La Questura non è organo politico.
(Apcom) Dopo il 'no' della Questura a concedere l'autorizzazione per l'utilizzo di piazza San Giovanni per il Roma Pride 2008 di sabato 7 giugno, le associazioni gay, lesbo e trans della Capitale promettono battaglia e chiedono un incontro "urgentissimo" per trovare una soluzione. Questa mattina, nel corso della presentazione della kermesse che si è tenuta nella sede della provincia di Roma a palazzo Valentini, i responsabili del comitato promotore hanno rivolto un appello al buon senso da parte di tutte le parti in causa.

"Se la decisione della Questura ha motivazioni tecniche allora è risolvibile, ma se interpreta qualche malumore diffuso allora è pretestuosa", afferma Rossana Praitano, presidente del circolo Mario Mieli e membro del comitato Roma Pride 2008. "Non credo che la Questura sia un organo politico, anche se la sua decisione certamente sarà stata accolta con favore da qualcuno". Riferimento, non troppo velato, alla nuova amministrazione capitolina che per quest'anno non ha rinnovato il patrocinio, a differenza di Regione Lazio e Provincia di Roma, presenti alla conferenza stampa con l'assessore al bilancio, Luigi Nieri e con l'assessore alla cultura, Cecilia D'elia.

"Restiamo profondamente critici verso Alemanno", prosegue l'esponente del circolo Mario Mieli, "con lui c'è stato un incontro conoscitivo durante il quale il sindaco, a cui non si può certo dire che faccia difetto l'ipocrisia, ha messo in chiaro i punti di distanza rispetto alle nostre richieste, ad esempio sulle coppie di fatto". Nel merito della vicenda, se il problema è davvero la presenza di un coro nella basilica di San Giovanni, le associazioni si dicono disposte ad anticipare il loro arrivo in piazza e affermano di aver già ottenuto la disponibilità dal coro stesso a posticipare di mezz'ora l'evento. "In ogni caso il gay pride è sempre stato una manifestazione pacifica e la presenza contemporanea dei due eventi sarebbe invece un gran segnale culturale", spiega la Praitano.

Un parere condiviso anche dall'assessore regionale, Luigi Nieri che afferma: "mi auguro che anche da parte del Comune ci sia un atteggiamento di apertura da qui alle prossime ore. Il gay pride è una manifestazione pacifica che rivendica diritti negati". D'accordo anche l'assessore provinciale, Cecilia D'Elia: "dare il patrocinio quando il governo e altri enti non lo hanno fatto è una responsabilità che rivendico in nome dell'articolo 3 della nostra Costituzione". Per Paola Concia del Pd, "il gay pride fa parte della cultura storica del nostro Paese e che piaccia o no non deve essere oggetto delle decisioni della politica. Mi auguro che si trovi una soluzione anche per smorzare un clima pesante che si sta creando in questi giorni".

Una manifestazione che vedrà comunque confermati i colori di sempre. Ad aprire il corteo, che partirà sabato alle 16 da piazza della Repubblica, un pullman a due piano, rigorosamente fucsia, con lo slogan scelto per questa edizione: "Testardamente parità, dignità, laicità". A seguire quindici carri delle ventidue associazioni omosessuali che procederanno in un percorso già deciso a cui manca però la tappa conclusiva. Invitati a partecipare anche la comunità ebraica e i rom, "visto il clima di intolleranza di questi giorni", spiegano i promotori.

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Gay Pride. Il 7 giugno a Roma e Milano.

A Roma, questa mattina, a Palazzo Valentini sede della Provincia di Roma, si è tenuta la conferenza stampa sulla manifestazione che il 7 giugno si terrà a Roma e Milano. In tutta Italia ci sarà un intero mese di Pride. Il 14 giugno a Biella. Il 28 a Bologna (Pride Nazionale). La conclusione il 5 luglio a Catania. La madrina del Gay Pride di quest'anno è Rita Rusic.
(Michele Imperio - Ami)

Il “romapride08” è organizzato dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, e la sua presidente Rossana Praitano, insieme con Luigi Nieri (Assessore al Bilancio della Regione Lazio) e Cecilia D'Elia (Assessore alla Cultura della Provincia di Roma), ha presentato alla stampa la manifestazione del 7 giugno che si terrà a Roma.
Lo slogan che caratterizzerà il Pride di quest'anno è: testardamente. Testardamente: parità, laicità, dignità. E come scritto nel “documento politico” del comitato romapride08: «Queste parole costituiscono il fulcro delle esigenze dei cittadini e delle cittadine lesbische, gay, bisessuali e trans, ma sono anche la base di una vera democrazia libera e matura. Una paese mostra la sua solidità e la sua giustizia sociale se c'è una cittadinanza piena per tutti». La presidente del Mario Mieli ha anche aggiunto che “le minoranze” sono: «le sentinelle della democrazia, perché sono quelle che avvertono per prima un clima di insofferenza e intolleranza».
La conferenza è iniziata con una polemica nei confronti del questore, che soltanto quattro giorni fa, ha negato la piazza di San Giovanni che doveva essere il luogo d'arrivo del corteo, che invece, ha come punto di partenza piazza della Repubblica. Rossana Praitano spiega il perché del rifiuto.
Quattro giorni fa ci è stato comunicato che la piazza di San Giovanni non era più disponibile: il 7 giugno all'interno della basilica c'è la presenza di un coro sacro, e «da questa compresenza di eventi, la questura ha deciso la incompatibilità, e quindi ci ha negato la piazza di san Giovanni».
La presidente del Circolo Mario Mieli ha anche ricordato che a differenza della Regione Lazio e della Provincia di Roma, la giunta comunale guidata da Gianni Alemanno non ha dato il patrocinio alla manifestazione. Rossana Praitano ha anche ricordato che il sindaco capitolino ha anche incontrato le organizzazioni omosessuali, ma in quella occasione Alemanno «è stato molto chiaro nei possibili punti di distanza e nei possibili punti d'incontro; e sui punti di distanza è stato di una nettezza straordinaria, con la contrarietà a qualsiasi idea concettuale e culturale della coppia di fatto, e con il rimarcare che l'unica forma sociale da difendere e tutelare in Italia è la famiglia tradizionale composta da uomo e donna».
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Gay Pride, bus fucsia e tre parole: parità, dignità e laicità.
(Dire) Colorato e gioioso, come sempre. Aperto da un bus a due piani, rosa fucsia scioccante, e 15 carri al seguito. Musica per ballare e parole da rivendicare: "Parità, dignità, laicità", le stesse dell'anno scorso, segno che grandi passi in avanti non se ne sono fatti. E allora meglio aggiungere, per quest'anno, l'avverbio "testardamente" per sostenere, ancora, le richieste legislative dello scorso Roma Pride: il riconoscimento delle unioni di fatto, ma anche lotta alla violenza, chiunque colpisca, rifiuto di ogni ingerenza politica nelle istituzioni da parte delle religioni.

Al Gay Pride, organizzato da 21 tra associazioni e comitati, aderiscono molte realtà associative, personalità politiche e del mondo dello spettacolo. Sabato 7 giugno il corteo partirà da piazza della Repubblica alle 16 attraverserà il centro città (via Cavour, via dei Fori Imperiali, viale Manzoni) anche se ancora incerto è la piazza d'arrivo poichè piazza San Giovanni è stata momentaneamente esclusa dalla questura.

L'evento clou sarà la manifestazione di sabato, ma in realtà gli eventi si snoderanno in tutta la settimana fra cinema, spettacoli teatrali, presentazione di libri, sport e musica. Sabato sera, poi, festa di autofinanziamento al Qube, dalle 22.30 perchè "a differenza degli altri paesi- lamentano gli organizzatori- in Italia non c'è nessuno sponsor per la manifestazione e quindi dobbiamo autosostenerci".

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Grecia. Celebrate le prime nozze gay. Sindaco sfida la legge.

(AGI/AFP) Prime nozze omesessuali in Grecia. Sfidando il rischio di un’incriminazione e l’ira della Chiesa ortodossa, il sindaco dell’isoletta dell’Egeo di Tilos ha unito in matrimonio una coppia di gay e una coppia di lesbiche. I preparativi erano stati tenuti riservati fino all’ultimo per timore che la polizia bloccasse la cerimonia.

La prima a sposarsi e’ stata la quarantasettenne Evangelia Vlami, leader della principale organizzazione omosessuale della Grecia, con una compagna sua coetanea. “E’ un passo avanti verso l’eguaglianza”, ha commentato. I matrimoni sono stati celebrati davanti a una ventina fra parenti e amici dal sindaco socialista di Tilos, Anastasios Aliferis.

I matrimoni gay non sono mai stati legalizzati in Grecia, ma la legge del 1982 non precisa se i matrimoni civili possano essere celebrati solo tra persone di sesso diverso.

Poche ore dopo le nozze il procuratore di Rodi, che ha la giurisdizione su tutto il Dodecanneso, ha intimato al sindaco di annullare i matrimoni e ha aperto un’inchiesta a suo carico per violazione dei doveri di ufficio. Ma Aliferis ha replicato che non vi erano ostacoli giuridici ai due matrimoni, con cui ha voluto dare un contributo “alla lotta per i diritti umani”.

Nei giorni scorsi il procuratore generale della Grecia e il ministro della Giustizia, Sotiris Hatzigakis, avevano avvertito che la celebrazione di matrimoni gay non solo sarebbe stata nulla, ma anche “illegale”. In prima linea nella condanna dei matrimoni gay c’e’ la Chiesa ortodossa: in passato l’arcivescovo Christodoulos ha definito l’omosessualita’ “un difetto”.

L’iniziativa delle nozze e’ stata decisa dalle organizzazioni omosessuali greche dopo che il governo ha varato una legge sulla convivenza per le coppie non sposate che non faceva riferimento a gay e lesbiche. Negli ultimi anni gli omosessuali hanno rivendicato una maggiore visibilita’ in Gracia, dove nel 2005 si e’ tenuto il primo Gay Pride.

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Gaypride 2008. A Roma una "sala civile itinerante" per unioni simboliche.

(Agenzia radicale) Una "sala civile itinerante" che, in qualsiasi momento durante il corso del Gay Pride 2008 del 7 giugno a Roma potrà essere usata da chiunque voglia per celebrare la propria unione simbolica. E' l'iniziativa promossa dall'Arcigay della Capitale, per unire simbolicamente le coppie di fatto.
A fare da testimoni alle unioni saranno Paola Concia, deputata lesbica del Parlamento italiano e Stefano Campagna, giornalista e conduttore del Tg1. Pronte per l'occasione anche 160 bomboniere, donate ad 80 coppie dall'azienda Pelino alle coppie che vorranno testimoniare il loro amore.

In serata si svolgerà anche una festa per tutte le coppie che si sono unite, un "Love Gay Pride Party" con torte nuziali e altre sorprese presso la Gay Street di via di San Giovanni in Laterano (Colosseo), che già dal primo pomeriggio darà il via con "Aspettando il Pride e poi per tutta la durata del corteo del Pride a 12 ore no stop di iniziative durante le quali si alterneranno interventi di personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura.

"Le coppie di fatto omosessuali ed eterosessuali non hanno nel nostro Paese alcun diritto – afferma Fabrizio Marrazzo, presidente di Arcigay Roma – E' questo il motivo per cui abbiamo deciso di allestire una luogo itinerante dell'amore a cui qualsiasi coppia possa avere accesso nel corso della manifestazione per unirsi e per testimoniare il proprio amore. Questo per ricordare che anche le amministrazioni locali possono approvare provvedimenti in favore delle coppie di fatto come il sostegno economico a tutte le giovani coppie o l'accesso agli stessi servizi offerti elle coppie sposate. Sarà un gesto significativo, peccato che l'atto non potrà avere nessun valore per l'Amministrazione".

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Danimarca. Gara di masturbazione con giornali porno in mano.

(Tiscali notizie) Una maratona di masturbazione si è tenuta per la prima volta in Europa in una cittadina vicino a Copenhagen, Ishoej. Uomini e donne dai 18 anni in su, nudi o con abbigliamento sexy, forniti di giornali porno e giocattoli erotici e con il volto coperto da una mascherina, si sono masturbati dalle 11,30 del mattino fino alle dieci di sera nella struttura per spettacoli Swingland. Alla fine non è mancata la premiazione per la migliore prestazione di autoerotismo.
L'iniziativa, organizzata dalla sessuologa locale Pia Struck, è ispirata da una kermesse analoga negli Stati Uniti, "Masturbate-a-Thon", che si tiene tutti gli anni dal 1998. I partecipanti non potevano toccarsi fra di loro, ma potevano "ispirarsi" guardando quello che facevano gli altri. Erano rigorosamente proibiti alcool, fumo e droghe, ma venivano distribuiti gratuitamente te, caffè e bevande.

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Indagine. La nuova castità è maschile.

(Serena Grassia - Julienews) C'è la versione "fisicata" e "palestrata", apposta per attrarre compagnie femminili e c'è chi scappa, per evitare di farsi spezzare il cuore un'altra volta. C'è un'altra categoria, appena emergente, di chi vuole il sesso sicuro e l'unico sicuro, a quanto pare, è quello che non si fa.
Sabina Minardi firma un articolo sull'Espresso sulla castità maschile, fenomeno ormai sempre più alla moda. Dalla religiosa astinenza dalle tentazioni della carne al laicissimo black-out di chi è troppo stressato per mettersi in gioco tra le lenzuola. E così gli uomini inaccessibili per scelta sono un fenomeno sempre più ingombrante: atleti o sciamani, promessi sposi o fidanzati delusi, maschi ispirati dalle ragioni più diverse.
Dal calciatore brasiliano Kakà, arrivato vergine al matrimonio ad una Magic Johnson sopravvissuto all'Aids, che suggerisce un'astinenza perpetua. Ed ancora la castità per non distrarsi da un obiettivo sportivo, come ha da poco confessato il pilota Jorge Lorenzo in pieno Moto Gp o per riprendersi da una vita caratterizzata da un'overdose di sesso, come per il cantante Lenny Kravitz, al terzo anno di una sbandierata e felice castità.
Ad indagare questo comportamento è ora Elisabeth Abbott, con un mastodontico saggio in uscita per Mondadori, dal titolo "Storia della Castità". Esperta di coppie, amanti incluse, l'autrice canadese ha lavorato per più di un lustro a questo libro, nello sforzo di descrivere quante più situazioni è possibile. E lei stessa, nel frattempo, ha scelto la strada dell'astinenza sessuale. Il risultato è un viaggio all'interno di un'ossessione, di una rinuncia, di una condizione che ha modellato intere vite, religiose e laiche.
Un fenomeno che oggi fa parlare dell'asessualità come di una nuova identità sessuale.
Il sesso oggi è diventato un fenomeno troppo complesso per gli uomini, a quanto pare. Perfezione fisica e performance eccellenti li inducono ad evitare incontri erotici, perchè preoccupati del giudizio o della non riuscita. L'aggressività femminile, poi, dà il colpo di grazia: le donne sono diventate troppo esigenti in fatto di sesso e così la castità diventa un rifugio, l'espressione estrema di una barriera emozionale che li trattiene dal mettersi in gioco. Ma - fa notare il filosofo Leonardo Arena - il sesso non è solo quello che si consuma a letto ed il desiderio non si esprime solo nell'amplesso. In molte culture ci sono tante attività espressione di sessualità: le cosiddette perversioni o i feticismi, scambi mediati da oggetti. Non si parla di castità, quindi, ma di desiderio soddisfatto in altre forme. "La nuova castità può aiutare l'uomo a scoprire forme alternative di rapporti interpersonali - ha dichiarato la Abbott. A confermare le teorie suddette, le ultime affermazioni del difensore juventino Legrottaglie, casto per ragioni spirituali: "prima se non andavo con una donna ogni 4 o 5 giorni venivo colto dal panico. Ora non mi importa più. Non faccio sesso non perchè non mi piacciono le donne, ma perchè aspetto quella giusta".

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La svolta di Veltroni: Compagni, vi rivoglio bene.

Walter Veltroni

(Stefano Brusadelli - Panorama) Rapporti con Rifondazione, motori indietro. Nel loft del Pd, assorbite con qualche ammaccatura le turbolenze postelettorali, è tornata l’ora della real- politik. Nella primavera del 2009 non ci sono solo le elezioni europee: si vota per rinnovare le amministrazioni di due regioni (Campania e Sardegna), di 65 province (Milano compresa) e di 4.500 comuni, tra i quali Firenze, Bologna, Ferrara, Cesena, Avellino, Bari, Messina, Lecce. L’indebolita leadership di Walter Veltroni non sembra in grado di reggere anche il ridimensionamento del Pd nella mappa del potere locale. Così, un po’ paludata con le formule del politichese (”Non abbiamo preclusioni per nessuno, conta l’accordo sul nostro programma” ha precisato il segretario a Milano il 24 maggio), è tornata in campo la disponibilità a ritrovare un’intesa a tutto campo con gli orfani di Fausto Bertinotti. E già alle provinciali di Palermo del 15 e 16 giugno il candidato sostenuto dal Pd, Franco Piro, sarà lo stesso di Rifondazione.

A spingere di più per la correzione di rotta sono stati i dalemiani, da sempre scettici sull’autosufficienza veltroniana e antichi fautori di un centrosinistra il più possibile polifonico, dall’Udc al Prc.
Pur consapevole che il risultato della primavera 2009 sarà decisivo per il segretario, il numero due dei senatori Nicola La Torre, autorevole voce della componente dalemiana, spiega che il ripristino di un sistema di alleanze con la sinistra radicale “va ben al di là del destino personale di Veltroni. Il radicamento del Pd dipenderà anche dalla nostra capacità di governare negli enti locali, e con l’avvicinarsi della stagione federalista non possiamo correre il rischio di lasciare interi pezzi d’Italia al centrodestra, alterando l’equilibrio democratico del Paese”. Un modo per dire che, soprattutto al Nord, non sarà il caso di fare gli schizzinosi con Rifondazione, pena il ritrovarsi con un bicolore Pdl-Lega dal Po in su.
Ma gli stessi toni si ritrovano nelle parole di un ex dc, oggi molto vicino a Veltroni, come il presidente dei deputati Antonello Soro. “Sul piano locale” sostiene “trovare convergenze su un programma condiviso sarà più facile di quanto lo sia ritrovarle su un programma di governo generale per l’Italia. Tanto più che in regioni, province e comuni governiamo insieme da anni e con soddisfazione reciproca”.
Soro annuncia a Panorama che Pd e Prc saranno alleati alle regionali della Sardegna, la sua regione. Dove il 13 e 14 aprile il Pdl ha prevalso sul Pd-Idv con 2,8 punti percentuali di vantaggio, un risultato che si sarebbe potuto capovolgere se il 3,6 per cento della Sinistra arcobaleno si fosse aggiunto ai voti veltroniani.
Basta osservare la geografia delle alleanze locali per misurare l’importanza del rapporto tra le due forze principali dell’ex Unione. Il centrosinistra governa in comuni importanti come Torino, Genova, Venezia, Napoli, Bari, Perugia, Cagliari, Foggia, Taranto e Cosenza grazie all’intesa tra il Pd e il partito (ex) bertinottiano. E lo stesso avviene in ben 10 regioni: Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sardegna.
Già le amministrative di Roma, dove Francesco Rutelli è stato sconfitto per un soffio da Gianni Alemanno anche per la renitenza della sinistra radicale a votarlo nel ballottaggio dopo la rottura sul piano nazionale, è stato un chiaro segnale d’allarme. Se al secondo turno gli elettori della sinistra pura e dura se ne resteranno a casa, nel 2009 per il Pd si prospetta un bagno di sangue.
Persino nelle parole di un moderato come Marco Follini, ex segretario dell’Udc approdato al Pd, traspare la consapevolezza che l’autosufficienza è suicida. “Non è più tempo di preamboli Forlani” dice ricordando il documento con il quale nel 1980 l’allora segretario della Dc vietò intese locali con il Pci, “la politica italiana ha una sua naturale complessità, che non può essere compressa più di tanto”.
La ricucitura, naturalmente, ha come condizione la disponibilità di Rifondazione, che dopo il disastro dell’Arcobaleno resta in campo come l’unica forza consistente della sinistra radicale.
Il governatore della Puglia Nichi Vendola e l’ex ministro Paolo Ferrero si sfideranno per la leadership al congresso di Chianciano, dal 25 al 27 luglio. In caso di vittoria del primo, molto appoggiato dai dalemiani, nessun problema. Ma pure nell’altro caso le previsioni sussurrate nel partito dicono che l’accordo si farà lo stesso, solo con qualche asperità in più.
Per il Prc, soprattutto dopo l’uscita dal Parlamento, restare nelle amministrazioni locali è vitale. Peserà, piuttosto, la vicenda della riforma della legge elettorale europea. “Noi” dice l’ex sottosegretario Alfonso Gianni “possiamo stringere accordi anche con chi ha linee diverse sul piano nazionale, ma non con chi ci vuole cancellare”.
È un esplicito ammonimento al Pd perché respinga la proposta berlusconiana di sbarramento al 5 per cento. Una soglia (tabella sotto) che metterebbe il Prc fuori gioco anche a Strasburgo. Con il duplice, disastroso effetto di privarlo del finanziamento pubblico (circa 2 milioni di euro a legislatura per ogni punto percentuale, a condizione di eleggere almeno un eurodeputato) e di costringerlo alla raccolta delle firme per potersi presentare alle prossime elezioni politiche. Questa palla, adesso, deve giocarla Veltroni.
(hanno collaborato Antonio Calitri ed Emanuele Costanti)

La tabella delle elezioni europee

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Sorpresi a fare sesso orale in Cattedrale. Il vescovo dispone una messa riparatrice.

Lui 31 anni, lei 32, sorpresi in cattedrale alla funzione delle 7: «Siamo atei, per noi un luogo vale l'altro».
(Roberto Rizzo - Il Corriere della Sera) I carabinieri del Comando di Compagnia di Cesena pensavano ad uno scherzo quando, domenica mattina poco dopo le 7, hanno ricevuto una telefonata proveniente dal vicino Duomo della città romagnola: «Sto seguendo la funzione mattutina e da uno dei confessionali della cattedrale provengono gemiti e rumori sospetti», diceva una voce alquanto agitata.

Non era uno scherzo. All'interno del confessionale i militari hanno infatti sorpreso E.B., 32 anni di professione educatrice, e G.S., 31 anni operaio, entrambi incensurati. I due erano impegnati in un appassionato rapporto orale. Nonostante l'intervento dei carabinieri, la messa è stata interrotta solo per pochi istanti e poi portata a termine come se nulla fosse successo. E chi sedeva nelle prime file non si è accorto di nulla. Nei confronti della coppia, immediatamente condotta in caserma, sono scattate tre denunce: atti osceni in luogo pubblico, turbamento di funzione religiosa e atti contrari alla pubblica decenza. «Siamo atei e per noi fare sesso in chiesa è come farlo in qualsiasi altro posto», si sono giustificati E.B. e G.S. con i carabinieri.

Al Corriere di Romagna la donna, cultrice di moda e musica dark, ha anche dichiarato che «prima di domenica, nella mia vita ero entrata in chiesa solo un'altra volta». La gente chiacchiera e la vicenda è diventata l'argomento di questi giorni nei bar di Cesena dove è immediatamente partita la caccia per individuare i due protagonisti. Che, per ora, hanno deciso di rimanere chiusi nelle rispettive abitazioni senza aggiungere altro sul perché di quei pruriti sessuali sfogati in confessionale e di primo mattino. Monsignor Antonio Lanfranchi, vescovo della città, si dice «molto amareggiato» per quanto accaduto ed è immediatamente corso ai ripari. Venerdì prossimo, alle 21, verrà celebrata una messa per riparare all'offesa ricevuta. «Siamo rimasti spiazzati, non era mai successo prima. Così abbiamo consultato un esperto di diritto canonico e tra i canoni c'è la possibilità di indire una funzione riparatrice se l'offesa è particolarmente grave», dicono dalla diocesi cesenate. Il vescovo invita «tutti i fedeli ad intervenire per pregare e riparare all'affronto subito. Si tratta di un atto che offende la nostra comunità cristiana e che denota totale mancanza di rispetto verso le persone». Nessun giudizio da parte di monsignor Lanfranchi nei confronti della coppia: «Non giudichiamo le persone, ma quello che hanno compiuto». Se ne parlerà venerdì durante la messa riparatrice.

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La Rete Nazionale Femminista e Lesbica scrive alla Ministra Carfagna.

(Server donne) Pubblichiamo la lettera che la Rete Nazionale Femminista e Lesbica ha scritto alla Ministra delle Pari Opportunità, Mara Carfagna.

"Egregia Ministra Carfagna, abbiamo letto con attenzione la Sua "lettera al direttore" di Repubblica nella quale descriveva le Sue considerazioni sulla questione della violenza alle donne. Di queste considerazioni non condividiamo quasi nulla. Il contenuto della lettera ci ha invece indotto a scriverLe per introdurLa ad una differente lettura dei dati statistici sulle violenze contro le donne che certamente Le sono noti.

Una lettura che trova d'accordo le 150 mila donne, femministe e lesbiche che hanno partecipato al corteo contro la violenza maschile dello scorso 24 novembre.
La causa delle violenze degli uomini non risiede nella presunta fragilità delle donne e di sicuro non va ricercata nel minore interesse a realizzare "la famiglia, quale cellula primaria della società italiana".
Noi sappiamo che la famiglia è effettivamente il luogo all'interno del quale si realizzano le più atroci violenze. Sembra invece più credibile quanto Lei afferma circa il fatto che la famiglia, in quanto "ammortizzatore sociale" necessiterebbe di tutela. E' infatti noto che il welfare italiano chiede alla famiglia di supplire alle carenze di uno Stato che non provvede alla risoluzione della precarietà di tante persone non in grado emanciparsi dal bisogno ed essere autosufficienti.

Il fatto che la famiglia sia eletta ufficialmente al ruolo di "ammortizzatore sociale" ci rende molto chiaro quale sia il ruolo che viene attribuito alle donne in un contesto che richiede surrogati di servizi, figure palliative obbligate ad assolvere ai ruoli di cura che altrimenti nessuno svolgerebbe.
Sappiamo che le scelte economiche del nostro paese in relazione al "lavoro" hanno come immediata conseguenza quella di riportare a casa le donne obbligandole ad una dipendenza che di sicuro non le aiuta a sottrarsi da situazioni di violenza. Invece crediamo che la famiglia, qualunque essa sia e da chiunque sia composta, debba essere una "scelta" e non un obbligo. Di sicuro non riteniamo che la famiglia sia "un luogo di realizzazione".
Lei non può negare che la famiglia sia il luogo per eccellenza, a parte poche eccezioni, in cui le donne subiscono violenze. Ciò è possibile per una distorsione di quella stessa cultura della quale Lei si fa portatrice.

Promuovere una politica familista all'interno della quale è ammesso un unico modello di sessualità - secondo quanto da millenni qui in Occidente la Chiesa cattolica impone, e altrove analogamente fanno altre religioni - è il modo migliore per legittimare una mentalità discriminatoria e sessista di per se' veicolo di violenza.
E' poi estremamente pericoloso che Lei assegni alle separazioni, ai divorzi e all'affidamento dei figli e delle figlie la causa delle tensioni che determinano gravissime tragedie all'interno dei nuclei familiari.
Una simile considerazione non tiene conto dei dati storici che dimostrano proprio che la maggior parte delle violenze da ex coniugi avviene in occasione degli incontri tra padre e madre per lo scambio del figlio. Stiamo parlando di quei tanti casi in cui l'affido condiviso è stato concesso nonostante la presenza di denunce per violenze e maltrattamenti nei confronti del coniuge e si permette così all'ex di avere la opportunità di continuare a fare del male a moglie e figlio.

Lei evidentemente non sa che se è vero che l'umore degli uomini violenti si appesantisce in presenza di fattori di stress è anche vero che questi non derivano di sicuro soltanto dalle separazioni e dagli affidi di figli e figlie. Ha Lei forse intenzione di semplificare la vita di queste persone in ogni aspetto?
Gli uomini non picchiano perché fremono dal desiderio di vedersi affidato il figlio dopo una separazione. Saprà certamente che il padre troppo spesso non versa gli alimenti ne' adempie al proprio ruolo di genitore nonostante vi sia ampia disponibilità da parte delle madri.
Capita anzi che i bambini e le bambine vengano uccisi assieme alle loro mamme proprio da quei padri che intendono l'intera famiglia quale proprietà. Ed è questo l'aspetto fondamentale sul quale la cultura non interviene: il possesso.

Non sono passati molti anni da quando è stata eliminata la figura del capofamiglia. Non è trascorso molto tempo neppure dal momento in cui il padre è stato privato dello ius corrigendi, il diritto di correzione di ogni membro della famiglia.
E' di quella modalità che stiamo parlando, prima legalizzata e ora culturalmente legittimata.
Bisogna intervenire sulla cultura. Bisogna impedire che vi sia una attribuzione di ruoli alle donne che devono poter autodeterminare le proprie esistenze. Ed è a questo punto che siamo obbligate a ricordarLe che è Lei per prima a dare un messaggio distorto sul ruolo e le funzioni delle donne.
Siamo certe che è in grado di capire che sostenere la Sua posizione contraria all'interruzione di gravidanza equivale a dire che le donne non possiedono il proprio corpo e non hanno il diritto di autodeterminarsi. Delegittimare le donne nelle proprie scelte rafforza quella visione che le immagina bisognose di tutori che decidano per loro quasi non fossero in grado di intendere e volere.

Il messaggio che Lei trasmette è che le uniche donne che non meritano di essere picchiate o, peggio, uccise, sono quelle che si dedicano alla famiglia come luogo primario di realizzazione e che accettano supinamente di fare dei figli. Secondo questi parametri è facile che gli uomini si sentano in diritto di dover esercitare su di noi una sorta di controllo sociale, come fossero aguzzini che ci tengono a bada mentre adempiamo ai nostri ruoli, o che si sentano autorizzati a dover reintrodurre il loro sistema di correzione per insegnarci ad essere ben educate, protese alla cura delle esigenze familiari e mai in contraddizione con i ruoli che proprio questa cultura patriarcale ci assegna.

Bisogna anche intervenire praticamente, siamo d'accordo, ma non nel modo che intende Lei. Di sicuro non ci sembra un gran segno di "concretezza" il fatto che il governo tagli il fondo di 20 milioni di euro per la prevenzione e il sostegno alle vittime della violenza sessuale. Anzi questo ci dimostra che avevamo ragione: il governo usa i nostri corpi per legittimare la propria politica razzista e poi ci sottrae fondi indispensabili per attuare una politica contro la violenza.

Ecco invece quanto noi intendiamo per "concretezza:
- E' necessario puntare su una politica che rafforzi le possibilità di autodeterminazione delle donne. Non serve un sistema di leggi che rafforzino il modello securitario. Dentro le nostre case serve che noi siamo in grado di difenderci, di individuare i pericoli per prevenirli, di avere luoghi ai quali poter fare riferimento per andare via prima che si possano verificare mille tragedie, di avere diritto ad una abitazione e ad un lavoro che ci permettano di vivere autonomamente senza dover restare piegate alla dipendenza economica dai mariti.
- Abbiamo bisogno che i centri antiviolenza non dipendano dagli umori degli amministratori locali ma che vengano stanziati fondi nazionali che ne garantiscano l'operatività.
- Abbiamo bisogno di interventi strutturali che stabiliscano delle priorità difficili, certamente non plateali come l'adozione di eserciti o centinaia di poliziotti che in ogni caso non saranno mai in grado ne avranno mai il diritto di pattugliare le nostre case.
- Abbiamo bisogno che i genitori non siano prescrittivi nei confronti delle preferenze sessuali delle proprie figlie e dei propri figli. Non ci deve essere nessun genitore autorizzato ad accoltellare una figlia perché è lesbica.

Il suo obiettivo come Ministro per le Pari Opportunità è garantire che le opportunità siano veramente "pari" per tutte le donne. Le azioni del Ministero delle Pari Opportunità devono essere improntate a riconoscere e promuovere le nostre reali necessità.Sia garante della concreta promozione dei diritti umani delle donne, primo tra tutti il diritto ad una vita libera dalla violenza, il diritto alla scelta su cosa fare della nostra vita e dei nostri corpi, così come voluto dalle principali convenzioni internazionali”.

Cordiali saluti, Rete Nazionale Femminista e Lesbica.

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