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domenica 7 settembre 2008

Papa: ai giovani, attenti a false idee e forme di famiglia.

(Ansa) La famiglia, intesa come matrimonio uomo-donna, puo' essere una sola: e' tornato a denunciare il Papa incontrando i giovani a Cagliari. Benedetto XVI ha sottolineato come oggi domini 'una mentalita' diversa', abusando il termine famiglia 'per unioni che famiglia non sono'. Il Papa ha anche avvertito i giovani a guardarsi dagli idoli del 'guadagno e del successo', imposti dalla societa' consumistica evitando l'errore di 'dar valore solo a chi ha fatto fortuna e ha una notorieta''.
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Madonna scalda e provoca all'Olimpico di Roma.

(Sky tg24) Stadio Olimpico tutto esaurito, ieri sera a Roma, per l'unica data italiana del tour "Sticky.
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"Parliamo troppo di omosessualità", lo scrive un collaboratore di Liberazione.

L'omofobia sembra diventare uno dei problemi dominanti del nostro vivere quotidiano. Intervento utile a capire quale Rifondazione e quale giornale vogliamo.

Caro direttore, vorrei aggiungere la mia alle molte opinioni espresse sul ruolo e la funzione di "Liberazione". Il mio è un punto di vista in parte "interno" - avendo scritto di arte su questa testata per oltre nove anni - e in parte no, perché non sono organico alla redazione. Ho goduto quindi di un osservatorio particolarmente felice e sopratutto libero, perché svincolato da ogni tipo di condizionamento. Penso quindi, con cognizione di causa, di poter dire tre o quattro cose per riossigenare un dibattito che altrimenti rischia l'asfissia (paradossalmente) autocelebrativa (vedi gli ultimi interventi di Graziella Mascia e di altri). Lo farò con una nettezza che va intesa come aspirazione a quel "parlar chiaro" che si impone in una discussione fra compagni.

La prima è che, con tutta evidenza, "Liberazione" non gode del consenso della maggior parte degli iscritti al Partito, l'ho potuto constatare nella triplice veste di collaboratore, lettore e iscritto a Rifondazione comunista. Si tratta di un singolare caso di giornale di partito poco apprezzato e sostenuto proprio dagli iscritti al Partito editore. Mi pare che ogni ragionamento sul giornale debba partire da questa verità elementare, che va verificata e quantificata per poi studiarne le ragioni; il resto viene dopo. La seconda è che con altrettanta evidenza il giornale appare come il frutto asimmetrico di un lavoro realizzato a più mani, ciascuna delle quale imprime la propria impronta sulla linea editoriale, senza escludere punte di qualità e di interesse. Il risultato è che viene ignorata qualsiasi idea di misura, di proporzione e di equilibrio fra i temi e le parti e fra le parti e il tutto. La linea che viene distillata dalla somma algebrica di queste tendenze è quella che si identifica con una cultura libertaria, un po' casinista, tendenzialmente acomunista (se non peggio) per la quale i problemi della corporeità e del sesso pesano come le ecocompatibilità nei programmi dei verdi, senza evitare (non ci facciamo mancare niente) i clamori grotteschi dell'antitogliattismo più becero, dell'antiberlinguerismo più sommario fino alle stroncature persino divertenti dell'incolpevole Giorgio Morandi (solo per citare le più recenti gemme). La regola è leggere, ad esempio, articoli su articoli sull'omofobia che, alla fine, sembra diventare uno dei problemi dominanti del nostro vivere quotidiano. Ora, compagni, qualcuno bisognerà pure che ve lo dica: i temi della sessualità etero omo transegender della corporeità e del piacere e così via sono importanti, ma non fondamentali per un quotidiano di partito. Non è che se qualcuno si azzarda a dirlo significa che deve consultare l'andrologo o che odia gli omosessuali e le lesbiche. Ve lo giuro. Non è così.

Così come il cinema è importante ma esistono anche - per esempio - le arti visive (la pittura, la scultura ecc.). Nel paese che detiene i tre quarti dei capolavori dell'intera umanità e ha tesaurizzato ampiamente le conclusioni del Concilio di Nicea questo è un fatto ampiamente condiviso. E allora, perché, tanto per fare un esempio, quando ho segnalato l'"assurdo" rappresentato dal fatto che non si riusciva ad avere una sede per una mostra sulla Falce e martello, di cui sono coautore, con più di cento opere di artisti di valore internazionale (se ne sono occupati il "Venerdì" con quattro pagine, l'"Unità" con una pagina intera e il "Corriere della Sera") nessuno mi ha dato retta (si fa ancora in tempo a darmela). Forse perché la Falce e Martello è un tema politicamente troppo sensibile? E ancora perché non sono stato autorizzato a scrivere sulla mostra che riabilita Mario Schifano con tanto ritardo e solo in presenza di una "quadratura" affaristica? E perché ancora ignorare la "Mostra rotonda" che facemmo anni fa (come partito!) a Fonte Ostiense e quella realizzata alcuni mesi fa (da due circoli) a Spinaceto sugli omicidi sul lavoro? L'ultima cosa che voglio dire è che non mi convince nemmeno lo stereotipo di una redazione libertaria, goliardica e un po' libertina che non impone alcun veto a chicchessia. La stagione delle logiche correntizie, infatti, ha infiltrato anche l'ambiente redazionale che ha subito l'influenza del partito o meglio di una parte di esso (l'allora maggioranza). Non aggiungo particolari per motivi di misura e di stile. E perché nessuno è sotto processo e, se vuole ed è in buona fede, può capire facilmente. Del resto la crisi di questo partito proprio in questo ritrova la sua principale ragione: nella schisi che nel tempo si è determinata fra una ristretta oligarchia e il corpo vivo del partito. Il giornale non è stato estraneo a queste vicende. In questo è stato, semmai, "troppo poco" autonomo. Ma oggi, forse, dopo Chianciano, si può invertire la rotta. Senza processi. Laicamente e con stile.

Roberto Gramiccia via e-mail
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Caro Gramiccia, intanto grazie per la nettezza e la sincerità delle critiche. Le obiezioni che tu poni riguardano soprattutto l'eccessivo spazio dato ai temi quali la sessualità, il corpo o l'orientamento sessuale. Tu dici che non sono fondamentali per un quotidiano di partito e che gli viene dato troppo peso a discapito di altre importanti questioni.

Partiamo dai dati di fatto. Contestiamo prima di tutto l'accusa dell'eccesso. Gli articoli su gay, lesbo, trans o queer non sono così numerosi come tu dici, soprattutto non hanno preso il sopravvento sugli altri. Si sono aggiunti, punto e basta, colmando una gravissima lacuna giornalistica ma ancora prima politica, culturale. Umana. Ma questa aggiunta, fin da subito, cioè fin dall'inizio della direzione di Sansonetti e della nascita del settimanale culturale Queer, ha dato fastidio.

Come mai?
Lo spieghi tu molto bene. Non sono considerati importanti. Ma secondari, rispetto ad altre questioni, ad altre contraddizioni, ad altri conflitti. E' la vecchia diatriba che esiste da quando esiste la sinistra. Da una parte c'è chi pensa che l'unica vera contraddizione stia nel conflitto di classe e chi invece sostiene che altre contraddizioni hanno scritto la storia del mondo e del cambiamento. Dicono di più: che senza tener conto di quei conflitti, di quelle contraddizioni, anche il nostro comunismo, il cambiamento che rivendichiamo non va da nessuna parte. Il femminismo lo dice da molto, da quando esiste. E su questo ha aperto uno scontro esplicito con la sinistra. La storia, caro Gramiccia, non si cancella e non è tutta chiusa nelle stanze del Pci e nemmeno del Prc. Chiami questo acomunismo (o anche peggio). Per noi si tratta di esercitare pensiero critico sempre e comunque. Di non arrenderci all'esistente, anche quando questo esistente è rappresentato da un partito comunista. Su questi punti è bene chiarirsi per capire di quale Rifondazione comunista parliamo, di quale giornale vogliamo dotarci, quale futuro vogliamo costruire non solo per noi.

Teniamo conto del dissenso che tu dici esiste intorno al giornale. E' però anche vero che ognuno parte dalle sue esperienze e dalle sue relazioni e che in tante realtà di movimento (e di questo partito), il giornale è apprezzato e gli viene riconosciuto un ruolo importante. Sugli articoli nessuna censura ma libero esercizio dell'autonomia della redazione (selezionare le proposte è una delle cose per cui siamo pagati). Anche se - va detto - degli esempi che fai ci risulta di averne respinto solo uno.
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Ndr. Quelli di Liberazione, non c'è che dire sono veramente formidabili! Un colpo al cerchio ed uno alla botte... Leggete un po cosa scriveva in aprile di prode Mancuso:
Aurelio Mancuso (Arcigay) accusa "Liberazione": "I miei articoli vengono puntualmente scartati e censurati".

E poi a ricordar bene, le scorse elezioni non erano state perse dai rifondaroli perchè si occupavano troppo dei gay?
Mirafiori ha bocciato l'Arcobaleno: "Pensa solo a froci e zingari, non a noi".

E vi ricordate questo articolo, sempre di Liberazione?
A furia di pensare ai gay la sinistra li perde per strada.

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Il Gay Pride 2009 a Genova, l'ha deciso per conto suo l'Arcigay e i suoi satelliti.

La motivazione: Genova è medaglia d’oro alla Resistenza, già capitale europea della cultura, e storicamente laica, abituata all’incontro fra popoli, culture, individualità differenti.

(Il Secolo XIX) Si svolgerà a Genova il Gay Pride del 2009. È quanto annuncia il presidente di Arcigay, Aurelio Mancuso: «Arcigay, Agedo, Azione Trans, Famiglie Arcobaleno, ribadiscono la loro volontà di promuovere con forza i valori di dignità, parità e laicità che costituiscono i fondamenti della loro azione sociale. In questo contesto il Pride nazionale è la migliore occasione per sollecitare ed aiutare l’emersione della visibilità lgbt in tutto il paese. In questi anni il Pride ha percorso migliaia di chilometri toccando diverse città del nord, del centro e del sud Italia».

«Intendiamo mantenere questa felice intuizione sociale e politica - spiegano le associazioni - che tra l’altro ha determinato un’impetuosa diffusione delle reti lgbt in tutta Italia. Per queste ragioni il Pride nazionale 2009 si terrà sabato 13 giugno a Genova.

Genova è medaglia d’oro alla Resistenza, già capitale europea della cultura, e storicamente laica, abituata all’incontro fra popoli, culture, individualità differenti. Per questo fin d’ora invitiamo tutta Genova a partecipare alle iniziative e al corteo del Pride nazionale.

Le reti nazionali lgbt registrano l’attribuzione da parte dell’Epoa, associazione degli organizzatori di Pride europei, alla città di Roma dell’Euro Pride 2011. Consapevoli dell’importanza di questo appuntamento nella capitale, sottolineano la necessità che siano condivisi l’impegno organizzativo e le proposte politiche».

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Aggressione a Napoli. Quell'ultrà di Piazza Bellini era sul treno per l'Olimpico.

Le associazioni gay pensano a organizzare una manifestazione nazionale in città.

(La Repubblica) Pallone e violenza. La coesistenza stretta fra questi due mondi è confermata dall´arresto ieri di un uomo ritenuto fra i responsabili dell´aggressione, avvenuta una settimana fa, a tre ragazze lesbiche in piazza Bellini. Il punto è che l´arrestato è un ultrà del Napoli, che ha ammesso di aver partecipato alla disgraziata spedizione di domenica scorsa a Roma. L´episodio ai danni delle ragazze lesbiche avvenne nella notte fra il 29 e il 30 agosto. Tre giovani furono affrontate a male parole e una di esse venne sfregiata con un bicchiere. La polizia si è messa subito sulle tracce del gruppo di aggressori, anche grazie alla collaborazione delle vittime e delle associazioni gay. Si è giunti così ieri all´arresto di Luigi Del Bono, 36 anni, con l´accusa di tentata violenza sessuale e lesioni aggravate in concorso con altre persone che naturalmente sono ancora in fase di identificazione. Del Bono è stato catturato all´interno di un albergo di via Mezzocannone, dove aveva trovato rifugio. Ad arrestarlo sono stati gli uomini del commissariato Decumani, guidati dal vicequestore Maurizio Casamassima. Ultrà dichiarato, Del Bono è anche pregiudicato con precedenti in tema anche di devastazioni e saccheggi. I reati tipici insomma degli ultras in trasferta. E infatti era sul treno per Roma domenica scorsa anche se ha negato di aver partecipato a incidenti. Circostanza che naturalmente è ora al vaglio della Digos.

Di sicuro da ieri Del Bono è accusato anche di un atto di tipica violenza urbana, che si inscrive nel clima di crescente omofobia in varie città italiane. L´Arcigay di Napoli aveva già denunciato a luglio una aggressione a due giovani gay all´interno di un convoglio della Circumvesuviana. E nessuno ha dimenticato le aggressioni dell´agosto 2007 ai danni di ragazzi gay, sempre a piazza Bellini (nella foto sopra una manifestazione contro l´intolleranza). Episodi a cui fa esplicito riferimento la nota con la quale Arcilesbica Napoli commenta l´arresto di ieri: «Un anno è trascorso, ma non inutilmente. É stato infatti un periodo pieno d´iniziative finalizzate al coinvolgimento della cittadinanza nella lotta all´omofobia. Riconfermiamo la nostra denuncia nei confronti di autorità statali e locali, che mancano di portare a realizzazione pratica uno stato sociale di diritto in grado di garantire pari diritti e pari dignità a tutti i cittadini, siano donne, immigrati, omosessuali o transessuali». E, mentre analoga soddisfazione viene espressa dall´avvocato Elena Coccia per la «Associazione giuristi democratici» che assiste le tre vittime, si lavora a una manifestazione nazionale da tenersi a Napoli, come rivela l´assessore comunale Valeria Valente: «Domani dovremmo avere un incontro con le associazioni LGBT (è la sigla che racchiude i sodalizi lesbian, gay, bisexual e transgender, ndr) per approntare una piattaforma comune».

Probabile che la convocazione della manifestazione scatti per fine settembre. D´altro canto negli ambienti gay napoletani si lavora anche alla possibilità di convocare il gay-pride del 2009 a Napoli. Intanto Valente plaude alle forze dell´ordine: «A loro va il compito della repressione, che è una delle strade da perseguire. A noi spetta l´altra, quella della prevenzione, per promuovere l´integrazione, far sì che le differenze siano percepite come un valore, non un problema. Spero che così la parte migliore di Napoli dia alla città il ruolo che merita e continui a relegare i protagonisti di questi episodi lì dove sono, in una ristretta minoranza».

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Passaggi di genere. Il romanzo-autobiografia di McCloskey, economista marito e padre che diventa donna.

(Affari italiani - Nicole Cavazzuti) Rinomato docente di economia e storia all'università dell'Iowa, marito e padre, Donald McCloskey (ora Deirdre) si travestiva dall'età di 11 anni, in segreto, senza desiderare di più. Solo a 52 anni la sensazione di negare la propria identità è diventata tanto forte da fargli decidere di diventare una donna. E così ha fatto. "Il mio passaggio è avvenuto dal 1994 al 1997, cominciando a casa mia in Iowa, successivamente un anno in Olanda (dove la tolleranza è la religione civica), poi di nuovo in Iowa, con vari viaggi in mezzo", ricorda l'autrice di "Passaggi. Da Donald a Deirdre: un viaggio in tre atti ai confini dell'identità", primo volume della collana "Persone" di Transeuropa dedicata al genere letterario dell'autobiografia.

Un'autobiografia, quindi, che si legge però come un romanzo: ironica e divertente, ma anche ricca di spunti. Un viaggio tra ricordi di famiglia, incontri di travestiti, incomprensioni coniugali, litigi e difficoltà con la sorella (che non voleva accettare la sua decisione), mandati di arresti per analisi mentali, visite a psichiatri e cliniche, si ripercorre la vita della McCloskey dall'infanzia ad oggi.

"Ho cercato di raccontare una storia vera, anche se nessuna delle conversazioni e delle descrizioni è perfettamente fedele", specifica la McCloskey, che ha mostrato il manoscritto alle persone più importanti della sua vita prima di mandarlo in stampa "per ricevere un aiuto". E che spiega, a tutti quelli che le chiedono "perché l'hai fatto?": "Se siete stati forestieri potete in qualche modo capire, perché il cambiamento di genere è molto simile a un viaggio in un paese straniero. Il mio passaggio, o cambiamento, migrazione, crescita, scoperta di me stessa, ha comportato molti piaceri che non mi sarei mai immaginato, come anche molti dolori, certo. Il punto non era però fare il calcolo dei piaceri e dei dolori, il punto era chi io ero".

Passaggi. Da Donald a Deirdre: un viaggio in tre atti ai confini dell'identità
di Deirdre McCloskey
Prefazione di Gianni Vattimo
Pagine: 288; Prezzo: 17,60 euro

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Torna L’isola dei famosi, tra sorperese e amarcord.

(Panorama) Sono 18 i naufraghi della sesta edizione de L’isola dei famosi, al via lunedì 15 settembre, in diretta su Raidue. Dieci i personaggi famosi, otto i non famosi selezionati per tenere testa ai colleghi noti. I Vip arruolati sono la modella Belen Rodriguez, l’ex velina di Striscia la notizia Veridiana Mallman, l’attore Massimo Ciavarro, Giucas Casella, l’ex deputato di Rifondazione Comunista Vladimir Luxuria, Flavia Vento (alla sua seconda esperienza, dopo “La Talpa”), l’ex calciatore Antonio Cabrini, Michi Gioia il nuotatore Leonardo Tumiotto, l’ex tronista Giuseppe Lago. Inviato in Honduras, a Cayo Cochuinos dove si svolgerà per il terzo anno consecutivo il reality show è il nuotatore Filippo Magnini. Il montepremi finale a disposizione del vincitore verrà dimezzato: il 50% infatti, per regolamento, sarà devoluto in beneficenza ad un ente indicato dalla stesso primo classificato.

In studio, a Milano, con Simona Ventura, storica padrona di casa, due opinionisti fissi presenti in tutte le undici puntate previste: Mara Venier e Luca Giurato. Ci sarà anche una puntata speciale dedicata all’amarcord dell’avventura. I concorrenti partiranno il dieci settembre, separatamente: famosi e non famosi non si dovranno incontrare se non sull’isola solo quando lo decideranno gli autori. Nel 2007 si incontrarono dopo una settimana di permanenza. Le otto persone comuni, selezionate attraverso casting, provengono un po’ da tutt’Italia: ci sono professionisti e donne in carriera, tutti naturalmente di bell’aspetto e dal carattere forte. Anche il pubblico li conoscerà soltanto a trasmissione iniziata: forse nella seconda o terza puntata. La puntata d’esordio si aprirà, come al solito con il traghettamento dei naufraghi sull’isola: dall’elicottero ad uno ad uno saranno catapultati in mare. Il regolamento è simile, almeno nelle prime puntate, a quello dello scorso anno, ma gli autori si riservano di inserire novità ed elementi spettacolari nel corso delle settimane.

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Nel Pd non gira un'idea che sia una.

(Biagio De Giovanni - Il Riformista) Ipnotizzato da Berlusconi, dal berlusconismo e soprattutto dall’antiberlusconismo, il centrosinistra italiano non sembra essersi reso conto non dico dell’entità della sconfitta subita, ma del carattere periodizzante delle elezioni di aprile e delle radicali novità di storia politica che esse comportano. Per la prima volta tutte le forze che hanno governato la Prima Repubblica sono state collocate all’opposizione; per la prima volta, una coalizione di centrodestra, senza confini a destra se non marginali, governa l’Italia, priva anche del contributo di alcuni eredi della Dc; per la prima volta, nella storia dell’Italia democratica, un grande partito di centrodestra in formazione (la De era tutt’altra cosa) si va radicando nella società, e sviluppa i tratti di una sua cultura politica e si colloca in una reinterpretazione dei canoni più consolidati della stessa storia repubblicana, a muovere dal senso dello Stato unitario, ricostituendo le linee di una sua nuova e inedita legittimazione.

Quante cose stanno accadendo per la prima volta! Dinanzi a questo terremoto culturale e politico, sicuramente di portata storica, sul fronte opposto dominano scarsa consapevolezza della posta in gioco, poco coraggio di interrogare l’Italia e se stessi, e ci si divide tra un fragile gioco di rimessa e una persistente analisi paragiudiziaria del berlusconismo, visto o come una clamorosa e provvisoria(!) eccezione, o come causa ed effetto di una mucillagine sociale - che Berlusconi ha magari contribuito a produrre e che lo riproduce moltiplicato per mille - dentro la quale si vanno disperdendo i "valori" di una comunità nazionale ed emerge la "vitalità" dell’Italia peggiore. Di una analisi storico-politica non sembra che si avverta il bisogno. Su questo fronte, a parte la differente eleganza e complessità delle argomentazioni, si ritrovano insieme Eugenio Scalfari e Furio Colombo, e mi scuso con il fondatore di Repubblica per questa semplificazione che tuttavia non mi pare inappropriata. Non parlo di Antonio Di Pietro, che la sua piccola rendita la realizza proprio nella diagnosi indicata e dunque non può che riprodurla per naturale istinto di sopravvivenza.

In questo quadro, la difficoltà del centrosinistra appare anzitutto culturale, come avviene sempre quando la crisi di una forza politica è talmente profonda da toccare la struttura intima del suo sistema ideale. Il Partito democratico ha commesso un clamoroso errore nell’immaginare di poter nascere, come è stato detto, «perché il Novecento è finito», e dunque i vecchi sistemi di idee potevano semplicemente andare in soffitta. La verità è che essi erano attraversati pur sempre da un senso della storia e germinavano da una dialettica storica e politica che dava corpo e sostanza alle forze esistenti. Perché nella "melassa conflittuale" del Partito democratico non gira una idea? Forse perché, vichianamente, «natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise», e se quel partito ha deciso di nascere mettendo insieme delle oligarchie almeno in parte stanche e sconfitte, rinunciando a costruire un processo autocritico di rilettura della storia d’Italia e della propria funzione nazionale, il risultato non poteva essere granché diverso. Veltroni ha provato a dare una scossa, ma si è come fermato a mezz’aria, bloccato da che cosa? Un elemento è nella sottovalutazione della strategia avversaria, di quella capacità del centrodestra di trasmettere una visione dell’Italia, di mettersi in sintonia, insieme, con gli strati più vitali e aggressivi e quelli più tradizionalisti (l’Italia peggiore nella rappresentazione di Eugenio Scalfari), in un quadro rozzo e profondo, demagogico e penetrante, parolaio e decisionista, ma capace di rimettere in discussione idee che sono state cardini della storia repubblicana. La raffinata sinistra perde il confronto proprio sulle idee, dopo aver dominato in lungo e in largo, attraverso di esse, l’Italia repubblicana? Sarebbe un bel contrapasso, ma è proprio così che si stanno svolgendo le cose. Il centrosinistra è senza idee, è come lo stanco erede di se stesso, disunito e conflittuale non sulle idee ma sulle microlotte di potere al proprio interno.

Il centrodestra sembra invece avere una visione dell’Italia, e a modo suo la porta avanti. Ha mandato in soffitta la questione meridionale, e quella decisiva rappresentazione della storia d’Italia che ha fatto perno su di essa. Il Mezzogiorno oggi dibatte sul federalismo fiscale. La questione settentrionale indica un’altra direzione alla storia d’Italia: la "rozza" Lega (ma si può star tranquilli: Colombo ci ricorda di non aver mai stretto la mano a Calderoli) ha deciso, con genuino istinto politico, le priorità di questa agenda, che costituisce un altro modo di leggere la formazione della coscienza nazionale e un’altra risposta al dualismo italiano. Il revisionismo storiografico (che non appartiene, certo, esaustivamente a un campo politico, ma che è comunque segno di una sensibilità una volta inconsistente) sta lavorando ai fianchi la lettura mitica della Resistenza e anche della Costituzione, mettendo in discussione l’enorme patrimonio di egemonia accumulato nella Dc e nel Pci per cinquant’anni. Si va incrinando il corporativismo sindacale, e si mostra che il re è nudo: il paese più sindacalizzato d’Europa - risultato del compromesso Dc-Pci - è quello con i salari più bassi d’Europa e con la strage pressocché quotidiana delle morti bianche. Alla visione di Giulio Tremonti sulla globalizzazione, al netto di tutte le ironie che si è tirato dietro, non corrisponde molto sul piano opposto se non spesso una vaga melassa cosmopolita. E si potrebbe naturalmente continuare.

Nessuno è in grado di prevedere, certo, quale fisionomia avrà l’Italia alla fine della legislatura. Ma sarà assai diversa da quella attuale, e al centrosinistra servirà un Tony Blair - dopo, mutatis mutandis, Berlusconi-Thatcher - per riprendere il filo di un proprio discorso con questa Italia che la "cultura" del centrodestra (posso utilizzare questa parola senza scandalo a sinistra?) avrà certamente contribuito a cambiare. Per ora, questa figura non si intravede. come non si intravede l’abbozzo di una nuova cultura politica, ma se non dovessero, prima o dopo, quella figura e quella cultura irrompere sulla scena politica, sarà difficile ridurre i tempi di una lunga separazione del centrosinistra italiano dall’Italia reale.

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Dossier di Panorama. Gli italiani che comprano le bambine a Malindi.

Baby prostitute a Malindi

(Senio Bonini - Panorama) “Lui mi ha preso la prima volta che avevo 9 anni. Da allora lo incontro tutte le settimane, l’ultima volta due giorni fa. Arriva, ferma la macchina. Io entro, mi porta nella villa. A volte ci sono altri uomini con lui. Poi, quando tutto è finito, mi riporta a casa. I soldi? Cinquecento scellini, più o meno 5 euro”. In fondo lui paga bene. È puntuale. E si comporta come tanti qui. “E poi lui non picchia. E non vuole neanche quelle cose strane…”. È anche gentile, lui. “Qualche volta mi fa anche dei regali, vestiti, una collana, caramelle”. Lui è un “mzungu”, un uomo bianco. Agisce indisturbato, forte del suo portafoglio. Lui ha modi morbidi e morbosi. Lui è italiano. E non è solo, ma in buona compagnia.

Evelyne vive a Maweni, sobborgo d’argilla e lamiera di Malindi, in Kenya. Poche centinaia di metri dai resort a cinque stelle, dalle spiagge bianche miste a saponaria che disegnano la costa, a un palmo dalle “villas” di Casuarina, Mayungo e Mambrui, muri di protezione alti 3 metri e buganvillee. Ed è lei una delle vittime silenziose dell’orco italiano che in questa cittadina un tempo portoghese si macchia di violenze che guai a commetterle in patria.

“Karibuni italiani”, benvenuti. La sua infanzia si sgretola quando diventa “proprietà degli italiani” e in un sol colpo donna, seppure violata. “Il mio si chiama Angelo, viene da Roma” racconta sull’uscio della baracca che divide con la madre e due sorelline. Avrà sì e no 13 anni, anche se come una nenia ripete di averne 18. In fondo spera di trovarsi di fronte a un altro acquirente, magari l’ultimo, pronto a strapparla dall’inferno quotidiano che è la sua esistenza. Pronto a portarla via, laggiù in Italia. “È il mio lavoro” dice con un filo di voce mentre violenta la magliettina rossa incapace di coprire una pancia sospettosamente pronunciata. Al suo fianco c’è la madre, meno di 40 anni e il volto solcato dalle rughe. Un passato da “malaya”, prostituta: sette figli e la convinzione che Evelyne non possa far altro che emulare il suo passato. Prende le mie mani, le guida sulla pelle ancora liscia della figlia e in swahili sibila qualcosa, come a garantire della qualità della merce. “È roba buona, te la sta consegnando” interviene Alì, la nostra guida nei bassifondi di Malindi. Non sono solo le spiagge o la buona cucina ad attrarre gli italiani a Malindi. C’è anche il suo serbatoio umano a buon mercato. Ragazzine e ragazzini a portata di mano, ma soprattutto a rischio zero. “Di bambine come Evelyne ne trovi a centinaia qui” spiega Alì, un tempo trafficante d’eroina a Mombasa, oggi venditore di conchiglie, quattro figli da sfamare. “Gli italiani fanno quello che vogliono, prendono i nostri bambini, li violentano, ne abusano e nessuno fa niente. I poliziotti non intervengono, ogni tanto ne beccano uno sulla spiaggia, si fanno dare un ‘kitu kidogo’, una bustarella di 5 mila scellini (50 euro, ndr), e lo lasciano andare. Però quelli più organizzati, quelli che qui ci vengono da anni, non si fanno trovare. Prendono i bambini e li portano nelle ville che affittano o che hanno comprato. E i genitori lasciano fare, è normale”. In un Paese dove un cameriere riesce a guadagnare 60 euro al mese, e dove secondo le usanze tribali sposarsi a 13 anni è considerato naturale, lo sfruttamento sessuale dei bambini appare fisiologico. E alcuni italiani (2.500 i residenti solo a Malindi, molte migliaia quelli che ogni anno vi si recano in vacanza) ne approfittano. Nero su bianco, c’è un rapporto diffuso dall’Unicef che mette spalle al muro la comunità italiana di Malindi (qui il report in pdf).
Non solo Thailandia, Filippine, Cambogia: il nuovo confine del sesso proibito è qui. Si legge che nel tratto di costa compreso tra Mombasa e Lamu sarebbero 10-15 mila ragazzini e adolescenti fino a 18 anni vittime dello sfruttamento e del turismo sessuale. Il 10 per cento al di sotto dei 12 anni. E gli italiani (il 18 per cento dei clienti) occuperebbero saldamente la prima posizione nella triste classifica delle nazionalità che ne fanno uso e abuso. Prima di tedeschi (14 per cento), svizzeri (12), poi a ruota ugandesi, tanzaniani e britannici. Un mercato a luci rosse accettato dal 75 per cento dei keniani.
Procurarsi un minorenne è semplice. Basta rivolgersi a loro, i beach boy sulla spiaggia, i disperati di Uhuru Park, gli accattoni dei quartieri malfamati. Solerti imprenditori di se stessi, pronti a consegnarti per poche centinaia di scellini una bambina o un bambino, a seconda dei gusti.

La rete sommersa. Oppure frequentare i locali giusti. Le più giovani aspettano fuori. “Italiano? Scopare?”. Ti avvicinano, trucco e vestiti scelti per celare l’età. “Io ci vado tutte le sere” spiega Chris, 13 anni e un rossetto sbavato sulle labbra. “Gli italiani sono i clienti migliori. Pagano fino a 2 mila scellini, quasi 20 euro. Di più senza preservativo. Del resto tu le caramelle mica le mangi con la carta”. Poche battute e l’affare è fatto. Altrimenti, “per le cose fatte bene” come dice Alì “per il servizio a domicilio, pochi rischi e divertimento assicurato”, non resta che votarsi alla “rete”.
“Esiste, eccome, è tutto in mano loro”: Philip Opiyo è un giovane poliziotto a capo della stazione di Malindi. Scuote la testa: “Molti italiani hanno formato negli anni una rete neppure troppo sotterranea che controlla il traffico sessuale dei nostri bambini. Sono imprenditori, proprietari di bar, ristoranti, tour operator. Gli ’shugada’, i pedofili, si rivolgono a loro per avere i piccoli che vengono presi e portati nelle ville. Sappiamo che spesso partono dall’Italia tour organizzati con tanto di ordinazioni. Gli intermediari ci guadagnano e non di rado partecipano ai festini. Noi difficilmente riusciamo a fare qualcosa. In primo luogo perché le ville sono come fortini, blindati, inaccessibili. Secondo perché povertà e corruzione inquinano i nostri uomini”.

Corruzione e rassegnazione. Tesi sostenuta anche da Fred Olouch, giornalista del Nation, il più importante quotidiano del Kenya, da anni in prima linea nella battaglia contro lo sfruttamento dei bambini. “Perché un poliziotto che coglie in flagranza un italiano con un minorenne dovrebbe denunciarlo? Con il suo silenzio guadagna in 5 minuti l’equivalente di mesi di lavoro. Senza considerare che, se anche fa il suo dovere, c’è sempre la possibilità che l’italiano sorpreso con un minorenne la faccia franca corrompendo un giudice o pagando una cauzione di poche decine di migliaia di scellini: niente per le vostre tasche”.
Toni rassegnati come quelli che usa Haman Shambi, una sorta di prefetto della città, per disegnare la cartina e la storia del potere degli italiani a Malindi. “I primi arrivarono qui negli anni 80, ma il boom vero e proprio esplose 10 anni più tardi. Attirati dalla bella vita e dalle belle donne a buon prezzo e, per alcuni di loro, qualche camorrista e brigatista in fuga dall’Italia, dalla certezza di non poter essere estradato”.
Oggi Malindi parla italiano, le insegne e i cartelli stradali sono in due lingue e il tricolore sventola dai palazzi. La comunità si riunisce attorno agli esercizi commerciali: il Bar Bar, il Sultana Cottage, il Baby Marrow. “Sotto sotto qui molti odiano gli italiani” puntualizza Alì. “Ci hanno comprato, fanno quel che vogliono e non puoi ribellarti, non ci metterebbero molto a fartela pagare”. Evelyne, Chris, Maria, Jenny recitano un rosario fatto di nomi e cognomi. E così scopri che nella rete vengono inclusi imprenditori, turisti qualsiasi e gente che qui è venuta per ricominciare una nuova vita, addirittura qualcuno degli storici rappresentanti della comunità italiana.
“È vero, la situazione è gravissima” conferma Robert Nyagah, un tempo giornalista e ora tour operator. “Questo è il regno degli italiani che sfruttano il lassismo delle istituzioni e del governo, delle organizzazioni non governative interessate solo ai fondi della cooperazione internazionale, in un paese dove il turismo, anche in questo periodo di disordini, resta la terza risorsa economica”.

Prostitute in attesa a Malindi

Prostitute in attesa a Malindi

“Nessuna emergenza”. “Non ho niente da dichiarare, gli italiani qui godono di ottima reputazione. Questa storia dei bambini non ha senso. Arrivederci”: Roberto Macrì, console onorario di Malindi, liquida così qualsiasi discussione che sfiori le accuse che molti qui muovono contro i nostri connazionali. “Non c’è alcuna emergenza, queste sono infamie belle e buone contro un’intera comunità che qui è ben vista”. Ma decine di testimonianze, le voci dei bambini, il dito puntato contro degli organi di polizia… “Niente da aggiungere. Arrivederci”. E quel rapporto dell’Unicef? “Figuriamoci. Non ci hanno neppure contattato per sentire il nostro parere, per noi quel dossier non ha alcun valore”. Perché allora non avete affidato a una lettera, a un intervento pubblico, il vostro risentimento contro quello che considerate un affronto? “Non è mio compito. Vi prego di andarvene adesso”.
Diverso il registro di Pierandrea Magistrati, ambasciatore italiano a Nairobi. “Non lo possiamo nascondere, la situazione a Malindi è preoccupante. Più fonti in nostro possesso confermano quanto avete raccolto sul campo in queste settimane, per questo bisogna affrontare seriamente il problema. Dobbiamo promuovere un’efficace azione di cooperazione internazionale del nostro ministero degli Esteri”.
Promessa mantenuta: tutto è pronto al ministero degli Esteri per l’avvio ufficiale di un progetto di cooperazione internazionale per combattere la piaga dello sfruttamento della prostituzione minorile a Malindi. “Il nostro progetto, preparato in collaborazione con Unicef, Ecpat e Cisp, sta per muovere i primi passi” spiega Paola Viero, responsabile dei progetti per i minorenni dell’Unità tecnica centrale del ministero: 1,5 milioni di euro, corsi di formazione per operatori sociali, funzionari di polizia, psicologi. “Per sensibilizzare da un lato le popolazioni locali, sviluppando quella che noi definiamo un’educazione inclusiva, tutta rivolta ai loro piccoli, dall’altro per infittire i rapporti di collaborazione con organi di sicurezza e procure che oggi sono ancora scarsi”. Un modo per agire chirurgicamente sul campo, ma anche per aggirare “quella rete di nostri rappresentanti sparsi per il mondo che troppo spesso si rendono complici silenziosi di questi traffici” puntualizza Viero. Un po’ come è avvenuto per Malindi, se è vero che “proprio nei giorni immediatamente successivi al vostro colloquio con l’ambasciatore Magistrati” prosegue la funzionaria della Farnesina “al ministero è arrivato un telegramma a sua firma che chiedeva immediati provvedimenti per contrastare l’emergenza pedofilia sulla costa keniana”.

La guerra all’orco. Sono almeno una ventina i progetti di cooperazione internazionale attivati dalla Farnesina negli ultimi 10 anni: 20 milioni di euro investiti a partire dal 1998. Un’azione capillare riconosciuta dal Consiglio d’Europa che lo scorso anno, in occasione della firma della Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, “ha individuato nell’Italia l’avanguardia dei progetti di cooperazione a livello europeo” ricorda Paola Viero. “Siamo sulla strada giusta” è il commento di Marco Scarpati, presidente della sezione italiana dell’Ecpat (End child prostitution, pornography and trafficking). “Però c’è ancora molto da fare. Il problema è che le leggi italiane contro lo sfruttamento della prostituzione minorile, introdotte nel 1998 e ampliate nel 2006, non bastano. Sebbene siano tra le migliori e più rigide al mondo, mancano di un tassello fondamentale: gli strumenti di raccordo tra le polizie e le procure dei diversi stati. Quando in Italia viene scoperta un’organizzazione criminale che si muove all’estero, la nostra polizia non sa con chi parlarne”.
Opinione condivisa da Antonio Sclavi, presidente dell’Unicef Italia: “Questo gap vanifica ogni sforzo in termini di contrasto allo sfruttamento dei bambini, in più si aggiunga la complicata questione delle prove. Si pensi a quanto può essere difficile portare a testimoniare in Italia un bambino vittima all’estero di violenze sessuali”. Ed è in questa direzione che si inscrivono le ultime iniziative dell’Unicef e dell’Ecpat: sostenere le spese di viaggio e alloggio dei testimoni che si costituiscono parte civile nei processi. “La nostra sfida resta comunque quella di convincere i paesi finiti nella rete della criminalità transfrontaliera a denunciare chi si macchia di reati contro i bambini” precisa Scarpati. “Deve passare il principio secondo il quale la denuncia, in termini di sostegno, aiuti economici, cooperazione, paga più del silenzio”.

Una prostituta a Malindi

Prostituta in attesa a Malindi

L’identikit. Già, la denuncia: un passaggio che spesso resta lettera morta. “Il più delle volte dei nostri connazionali fermati all’estero non si sa proprio niente perché le nostre ambasciate non ne vengono informate” spiega il colonnello Giorgio Manzi, del reparto analisi criminologiche dei carabinieri del Ris di Roma. “E spesso, contrariamente a quanto si possa pensare, sono gli stessi pedofili arrestati a preferire la via del giudizio all’estero, vuoi perché le pene sono meno dure, vuoi perché possono sempre sperare che il giudice applichi il cosiddetto principio della corruzione del maggiorenne. Attenzione, non si tratta di una categoria giuridica vera e propria, ma della diffusa convinzione che l’adulto possa essere, come dire, indotto in tentazione dal minorenne. Vuoi, infine, perché così salvano la loro reputazione in patria”. Non sono invece riuscite a farla franca quelle 30, 40 persone condannate fino a oggi in Italia per turismo sessuale. “Dal primo caso, quello di Roberto Rossinelli, anche noto come “il Thailandese”, condannato nel 1998 a 12 anni, sono alcune decine i pedofili che abbiamo incastrato” continua Manzi. “Ma almeno il doppio hanno subito condanne all’estero”. E questa sarebbe solo la punta visibile: “Dai dati che abbiamo sono centinaia quelli che non vengono mai presi”. C’è da crederci. Secondo i dati forniti dall’Ecpat, sarebbero 80 mila gli italiani che ogni anno si dedicano al turismo sessuale, dei quali il 3 per cento (circa 2.400 persone) alla ricerca di minorenni. Uno scenario sconcertante reso ancora più torbido dall’identikit dei moderni orchi. “Giovani, di età compresa in media tra i 25 e i 27 anni, ricchi o meno abbienti non importa” spiega Manzi. “I viaggi low cost hanno reso accessibili un po’ a tutti le mete turistiche anche più lontane”.
Insospettabili in Italia, non appena varcato il confine queste persone “vengono prese da quella particolare condizione che indichiamo come “craving”, uno stato d’ansia e frustrazione crescente, quasi patologico, alimentato dalla privazione dell’oggetto del desiderio, in questo caso il bambino. E poi ci sono i cosiddetti pedofili di reflusso, persone che in questa società all’insegna della libertà sessuale hanno già provato tutto e cercano nei minorenni l’ultima trasgressione possibile”.

Il miraggio di una vita nuova. In fondo Evelyne, la bambina di Malindi, sa che il sapore amarognolo del marungi, l’erba oppiacea dei poveri della costa keniana, non è altro che un modo per ingannare se stessa e le sue giornate alla luce del sole. Per le notti non c’è niente da fare: bisogna viverle, lavorarle con l’ultimo mzungu, l’uomo bianco di turno, dall’accento italiano ormai maledettamente familiare. L’erba in bocca, i soldi nel pugno, un “grazie” sommesso, rassegnato. Nonostante i 13 anni Evelyne ha capito benissimo il perché le siano stati dati questi 2 mila scellini: per i suoi racconti e “senza mangiare nemmeno la caramella”, come dice lei. L’altra mano è sempre lì, testarda come a tormentare quella magliettina esausta. Di parole come craving, procure, convenzioni internazionali non ha mai sentito parlare e forse mai ne sentirà. Per lei la vita è questa, è sempre stata questa e sembra accettarla così com’è. O forse no, quando ti si avvicina e chiede, apparentemente distratta: “Com’è l’Italia?”. “Karibuni italiani”, benvenuti.

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Il wrestler decadente di Aronofsky trionfa a Venezia.

The Wrestler vince il Leone d'oro, a Orlando va la Coppa Volpi.
(Chiara Renda - Mymovies.it) Come previsto dagli ultimi pronostici è il film di Aronofsky The Wrestler a vincere questa 65^ edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Il wrestler sconfitto di Mickey Rourke, dopo anni costretto a lavorare in un grande magazzino praticando il wrestling nelle palestre dei licei, ha conquistato la Giuria presieduta da Wim Wenders. All'interno di un festival che negli ultimi anni ha privilegiato l'Oriente, è stato forse proprio merito del regista tedesco ormai naturalizzato americano se a spuntarla quest'anno è stato un film targato USA. Il regista Aronofsky, che già nel corso della sua non lunghissima carriera aveva esplorato il tema del fallimento, ha stavolta dato prova (dopo il troppo sperimentale L'albero della vita, a Venezia due anni fa) di saper raccontare gli angoli più bui dell'animo di un uomo decaduto.
Se il Premio Speciale per la Regia è andato al russo Paper Soldier di Aleksei German jr. (vincitore anche dell'osella per la miglior fotografia), e il Gran Premio della Giuria a Teza di Haile Gerima (anche osella per la miglior sceneggiatura), il cinema italiano è riuscito a portare a casa due premi: la Coppa Volpi come miglior attore protagonista a Silvio Orlando (per il film di Pupi Avati Il papà di Giovanna) e Il Premio De Laurentiis miglior opera prima alla rivelazione Pranzo di ferragosto di Gianni Di Gregorio. La Coppa Volpi come miglior attrice protagonista è andata invece a Dominique Blanc per il film L'Autre di Patrick Mario Bernard e Pierre Trividic, anche se molti avrebbero preferito la "ragazza interrotta" Anne Hathaway per il Rachel Getting Married.

A Inju, la bête dans l'ombre di Barbet Schroeder è andato il Leone speciale per l'insieme dell'opera, mentre alla giovane Jennifer Lawrence del film di Arriaga (The Burning Plain) è andato il Premio Mastroianni come miglior emergente.
Vista la difficoltà nel concordare i premi tra i membri della giuria, Wim Wenders ha chiesto di riconsiderare le regole di premiazione, che proibiscono la sovrapposizione tra i tre premi maggiori. Il suo era un riferimento all'impossibilità di premiare Mickey Rourke con la Coppa Volpi.


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Tutu: "Chiesa ossessionata da gay"

Per il premio Nobel prima viene lotta alla povertà.

(TGCom) "Dio sta soffrendo nel vedere tutto questo affanno sul tema della sessualità e giustamente la Chiesa viene vista da molti come irrilevante nella lotta alla povertà". Lo ha detto l'Arcivescono africano Desmond Tutu a Londra per una conferenza organizzata dalla "Tearfund", un'ente di beneficenza cristiana britannica. Il premio Nobel ha affermato di vergognarsi per quello che ha chiamato una "concentrazione ossessiva" sul tema della omosessualità.

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Festivaletteratura di Mantova tra esordienti e grandi nomi.

Carlo Lucarelli

(Panorama) La città dei Gonzaga celebra la letteratura internazionale, quella nota e quella meno nota fino al 7 settembre. Il folto elenco degli ospiti (qui in pdf) del Festivaletteratura di Mantova n. 12 rischia di accontentare tutti. Gli amanti del fantasy possono essere soddisfatti con Licia Troisi, autrice de Le cronache del mondo emerso, e Shimon Adaf, ritenuto l’iniziatore del fantasy in lingua ebraica. Chi cerca nomi nuovi ha a disposizione gli spagnoli Bernardo Axtaga e Julio Llamazares, il romeno Mircea Cartarescu, l’islandese Guðrún Eva Mínervudóttir… E per un po’ di giallo dal sapore glaciale ci sono gli scandinavi Maj Sjöwall, autrice con il marito Per Wahloo della serie di polizieschi con protagonista il commissario Martin Beck, Jo Nesbø, Håkan Nesser e il maestro del giallo svedese Leif GW Persson.

Il programma è ricco, e non poteva non includere anche un omaggio a Cesare Pavese, nell’anno del centenario della nascita. Per celebrare lo scrittore torinese si susseguiranno un reading collettivo dei poeti ospiti, una lezione che Eraldo Affinati dedicherà a La casa in collina e lo spettacolo Non fate troppi pettegolezzi portato in scena da Fabrizio Gifuni e Cesare Picco.
Per la prima volta presenti al Festival Jonathan Safran Foer, Nicole Krauss, William
Langewiesche
, Eugenio Scalfari, Paolo Villaggio e Sebastian Faulks, nuovo autore delle storie di James Bond. E anche l’inventore del legal thriller, Scott Turow.
Festivaletteratura si apre anche al Medio Oriente, con al centro il Libano, con autrici come Najwa Barakat, Joumana Haddad, Nisrine Ojeil, Rania Zghir. E anche Yael Lerer, coraggiosa editrice di una collana di testi arabi in Israele.
Naturalmente saranno a Mantova anche nomi più immediatamente riconoscibili: Hans Magnus Enzensberger, Gianrico Carofiglio, Daniel Pennac, Michele Serra, Corrado Augias, Carlo Lucarelli, Eric-Emmanuel Schmitt, Jeanette Winterson, Alberto Arbasino, Piergiorgio Odifreddi.

Qui il programma completo del Festival (in pdf).


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Tutto esaurito al Teatro Arcimboldi di Milano per il concerto di Antony and the Johnsons, l'evento più atteso del festival MiTo.

(Affari italiani) Una voce meravigliosa e una presenza conturbante hanno fatto di Antony un fenomeno di culto osannato in tutto il mondo. E infatti per il concerto del newyorkese Antony & the Johnsons, mercoledì 10 settembre nell'ambito del Festival MiTo, si annuncia un Teatro Arcimboldi di Milano tutto esaurito: le prenotazioni, fanno sapere gli organizzatori ad Affaritaliani, sono arrivate da tempo non solo dall'Italia, ma da tutta Europa, per ammirare questo talento di prima grandezza della musica internazionale. Tanto che stona il fatto che su molti media, evidentemente più attenti ai fenomeni d'immagine che alla sostanza artistica, l'evento trovi scarso spazio.

Al MiTo, in prima europea, Antony and the Johnsons presenta, con l'Orchestra Milano Classica, un'anticipazione del nuovo disco in un concerto tra i più attesi della stagione.
Antony è un transessuale che canta in modo esplicito della sua condizione: per alcuni, la sua voce sembra unire Nina Simone e Brian Ferry. Ha anche molti fans celebri come Philip Glass, Marc Almond, Rufus Wainwright, Devendra Banhart, Diamanda Galás ("Every emotion in the planet is in that gorgeous voice" - "Ogni emozione nel pianeta è in quella voce meravigliosa"), Lou Reed and Boy George, entrambi ospiti in "I Am a Bird Now", il suo cd più recente. Il Village Voice ha, comunque, criticato Antony per non riuscire ad unire con l'estrema emozione l'ironia o lo humor.
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Antony canta "If It Be Your Will".

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Antony (nome completo Antony Hegarty) debuttò nel 2000 con l'album "Antony and the Johnsons", ma la consacrazione arrivò dopo l'incontro con Lou Reed (guarda caso, altra grande star di questa edizione del MiTo), che lo reclutò per il suo progetto "The Raven".
Il secondo album di Antony, "I Am a Bird Now" (2005), ha ottenuto recensioni entusiastiche e una maggiore attenzione da parte del panorama mainstream, vincendo un Mercury Music Prize per il miglior album del 2005. Un disco chè è diventato un "must have", uno di quei cd che gli esperti consigliano assolutamente di tenere nella propria ristretta selezione di album ai quali non è possibile rinunciare.

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Sarà il centrodestra a dare una normativa alle unioni civili comprese le coppie Lgbt? Pare di si.

PRESTO UNA PROPOSTA SULLE UNIONI CIVILI PREPARATA CON IL MINISTRO BRUNETTA. ROTONDI VUOLE UNA LEGGE ANCHE PER LE COPPIE GAY.

(Agi) Una proposta di legge sulle unioni civili: e' la "sorpresa" che stanno preparando Gianfranco Rotondi e Renato Brunetta. Lo rivela in una intervista al Tempo il ministro per l'Attuazione del programma, chiarendo che "il governo sara' tenuto fuori da questa iniziativa. Sara' un progetto di legge a firma mia e di Brunetta". Rotondi spiega che, anche se la materia non riguarda il programma dell'esecutivo, "c'e' da legiferare in ordine a un fenomeno che non e' marginale e che riguarda le persone che a vario titolo convivono senza essere sposati. Spesso indipendentemente dal fatto sessuale". Rotondi e Brunetta pensano dunque a tutele come "l'assistenza in caso di malattia, la successione, i diritti relativi all'alloggio, insomma tutti i diritti che rendono il convivente prioritario rispetto ai parenti e che per ora non esistono. E ci occuperemo anche delle coppie gay".
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Gianfranco Rotondi parla della sua proposta di legge durante un'intervista rilasciata a Radio radicale.

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Arturo Parisi: ecco dove Veltroni ha sbagliato.

Arturo Parisi

L’ex ministro della Difesa, Arturo Parisi

(Panorama) Tutto inizia dall’inizio. Frase buona per il titolo di un film, ma anche (veltronianamente) per la breve storia del Partito democratico, la sua fondazione, la sua sorprendente crisi prematura. “Tutto inizia dall’inizio” dice a Panorama Arturo Parisi, progettista dell’Ulivo ieri e oppositore interno del Pd di Walter Veltroni oggi. L’ex ministro della Difesa nel centrosinistra è uno dei pochi che possa dire a testa alta: l’avevo detto. Ha dimostrato nuragica durezza nel criticare il ponte di comando del loft e nel chiedere il ritorno del centrosinistra a una rinnovata formula dell’Ulivo. I dialoghi dei consiglieri di Romano Prodi sulle primarie nel Pd, intercettati nell’ambito dell’inchiesta Siemens dalla procura di Bolzano, non lasciano spazio a dubbi politici: il presidente del Consiglio Prodi cercava di contrastare la vittoria annunciata di Veltroni per evitare quella che nei colloqui privati viene chiamata “farsa” del candidato unico, o quasi.
“Invece di candidarsi alla leadership del nuovo partito per succedere poi nella premiership del nuovo governo, Veltroni rovesciò la sequenza, candidandosi immediatamente alla premiership e in quanto tale alla leadership del partito” ricorda Parisi. Ovi e Cavazza parlano delle primarie del Pd nei giorni che precedono l’investitura ufficiale di Veltroni. Prima della discesa in campo di Rosy Bindi ed Enrico Letta, candidati deboli destinati a soccombere al cospetto della macchina elettorale dei Ds e degli ex dc di Franco Marini.
“Nelle prime scelte sta tutto lo sviluppo successivo. Innanzitutto nella sua investitura unanimistica da parte dell’apparato, che riconobbe in lui l’unico candidato spendibile nella gara di popolarità con Silvio Berlusconi, anche se il meno adatto a fondare un partito. E poi nel discorso del Lingotto, che proponeva un programma per un nuovo governo e non un progetto di un partito nuovo. Tutto il resto ne viene di conseguenza” continua Parisi in un flashback che, alla luce degli avvenimenti e delle scelte fatte da Veltroni, è rivelatore degli errori compiuti.

Parisi è un gentiluomo e non dice quali errori ha compiuto Prodi. Il primo, lampante, è non avere ostacolato subito e alla luce del sole la corsa semisolitaria di Veltroni, appoggiando la linea sostenuta da Parisi invece di affidarsi alle sortite spuntate e discutibili dei suoi consiglieri più pratici di business che di politica. Quando discutono del progetto per le primarie, la porta del confronto con Veltroni, duro e spietato come può capitare in politica, è ancora aperta. I Ds inoltre sono nel vortice del caso Unipol: il 22 maggio 2007 Il Giornale apre il caso Visco-Guardia di finanza, mentre a metà luglio 2007 il magistrato di Milano Clementina Forleo trasmette al Parlamento le trascrizioni di 68 delle intercettazioni sulle scalate di Antonveneta, Bnl e Rcs Mediagroup e cita politici della Quercia del calibro di Piero Fassino, Massimo D’Alema e Nicola Latorre, chiedendo di poterle utilizzare.
L’allora maggioranza di centrosinistra è allo sbando, pressata dalle procure di Nord (Milano, inchiesta Unipol) e Sud (Catanzaro, inchiesta Why not), si dibatte in una crisi strisciante. Il procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris iscrive il 13 luglio 2007 Romano Prodi nel registro degli indagati dell’inchiesta Why not e qualche mese dopo, il 14 ottobre 2007 (ironia della sorte, giorno delle primarie del Pd), tra gli indagati finisce anche il ministro della Giustizia, Clemente Mastella.
Ds e Margherita si trovano nel pieno di una tempesta politico-giudiziaria mentre è in corso la delicata costruzione del Pd, le rispettive leadership sono ammaccate e il vento anticasta le travolge. In ordine sparso, e confusamente in cerca d’autore, trovano rabdomanticamente l’uomo della salvezza in Veltroni, ma il sindaco di Roma non vuole avversari e ha un atteggiamento liquidatorio nei confronti del Professore di Bologna. “Dietro il sostegno formale a Prodi c’era la contestazione dei limiti e delle contraddizioni del suo governo” sostiene Parisi. Politicamente si consuma la frattura con la sinistra radicale, il piano secondo Parisi è chiaro: “In vista di una accelerata sostituzione del governo, c’era la separazione consensuale concordata con Fausto Bertinotti, guidata dall’illusione che dividersi da buoni fratelli fosse per ambedue elettoralmente più redditizio che arrivare a un vero confronto su un progetto politico. Mentre Berlusconi portava a ulteriore avanzamento, con le buone e con le cattive, il processo di unificazione del polo di centrodestra iniziato nel 1994, Veltroni metteva fine a quel processo proclamando la discontinuità con i 15 anni della esperienza dell’Ulivo” ricorda l’ex ministro della Difesa.
La rottura dell’esperienza ulivista per Parisi è l’origine della crisi del partito guidato da Veltroni: “Il Pd invece di riproporsi in continuità con l’Ulivo come il baricentro, la guida e il timone del campo di centrosinistra, esattamente come il Pdl nell’altro polo, proponeva la sua parzialità come totalità guidato dall’illusione di battere pressoché in solitudine lo schieramento avverso”.

Lanfranco Tenaglia, ministro ombra della Giustizia del Pd

Lanfranco Tenaglia

Il disegno veltroniano fallisce, prima che nell’urna, nelle manovre delle primarie, quando è chiara la volontà di depotenziare i prodiani ed escludere outsider di peso scarsamente controllabili come Marco Pannella e Antonio Di Pietro. Con il senno di poi, la defenestrazione dalle primarie dei radicali e del leader dell’Italia dei valori è stata la premessa degli smarcamenti dei radicali e, nel caso di Di Pietro, della costruzione di una linea alternativa nell’opposizione che oggi drena consensi alla base del Pd ed è una delle ragioni più gravi della crisi di leadership di Veltroni, che nel frattempo ha perso pure Prodi, dimessosi dalla presidenza del Pd alla vigilia delle elezioni.
Il destino con il Pd si diverte a giocare a dadi, i dalemiani che nel 2007, anche sotto la pressione giudiziaria, avevano digerito il boccone amaro della scelta di Veltroni (avversario storico di Massimo D’Alema) si ritrovano di nuovo nel mirino della magistratura.
In questi giorni la procura di Milano ha chiesto nuovamente al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni che riguardano il senatore Nicola Latorre, braccio destro di D’Alema. Riemerge così il fascicolo depositato da Clementina Forleo nel luglio 2007 sul caso Unipol. Veltroni finora non ha voluto ascoltare chi nel centrosinistra chiede un riequilibrio del rapporto tra magistratura e politica e ha scelto di non tagliare il cordone ombelicale con la magistratura associata, come testimonia la nomina dell’ex magistrato Lanfranco Tenaglia a ministro ombra della Giustizia. Veltroni finora aveva tratto vantaggio da questa situazione, ma oggi rischia di pagarne le conseguenze, il gioco infatti sta per sfuggirgli di mano. D’Alema si è sottratto all’abbraccio di Walter e manovra nel partito con l’associazione Red, mentre i prodiani, sempre più esacerbati e solitari, sembrano già con la valigia in mano. Tutto inizia dall’inizio. Anche la fine.

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La Chiesa della vice di McCain invita i gay a pregare per "guarire".

La Wasilla Bible Church, la chiesa della candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Stati Uniti Sarah Palin, rivolge ai gay dell'Alaska preghiere per gli omosessuali d'America, affinché guariscano dalla loro vita condizionata dalla omosessualità. La chiesa alla quale il governatore dell'Alaska aderisce da sei anni sta promuovendo una conferenza per «convertire gli omosessuali alla eterosessualità». Nella campgna di sensibilizzazione si spiega agli omosessuali che saranno «incoraggiati dal potere dell'amore di Dio e dal Suo desiderio di trasformare le vostre vite condizionate dalla omosessualità».

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Mondiali 2006 truccati? I tedeschi insinuano.

(Calcioblog) Il quotidiano tedesco Bild ha pubblicato alcuni giorni fa un’intervista nella quale il giornalista canadese Declan Hill insinua sospetti circa la presunta irregolarità di alcuni match (di cui uno dell’Italia) dell’ultimo Mondiale, disputato in Germania due anni fa e vinto proprio dagli Azzurri di Marcello Lippi.

Secondo Hill, che ha ribadito le sue accuse ieri sera nella trasmissione televisiva Beckmann dove è stato invitato come ospite per fornire ulteriori dettagli sulla sua presunta scoperta, almeno tre incontri sarebbero stati “truccati” per favorire un giro di scommesse clandestine, legato alla criminalità organizzata asiatica.

Più precisamente si tratterebbe delle partite degli ottavi di finale Inghilterra-Ecuador e Brasile-Ghana e del quarto di finale Italia-Ucraina, conclusosi col successo degli uomini di Lippi per 3-0. Le presunte combine sarebbero state scoperte in seguito a dichiarazioni rilasciate da alcuni ex nazionali del Ghana, che avrebbero ammesso di essere stati “comprati” per permettere il successo del Brasile con più di due reti di scarto.

Per ora dal numero uno della Fifa, Joseph Blatter, non è arrivata nessuna dichiarazione ufficiale, anche se un suo portavoce ha dichiarato che lo stesso dirigente svizzero ha incontrato Hill e che “si riserverà di rilasciare commenti solo dopo aver ottenuto maggiori dettagli sulla viceda“.

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Festivaletteratura a Mantova. L'autrice gay che scriveva sermoni.

Parla Jeanette Winterson: la letteratura per ragazzi è più libera.

(Cristina Taglietti - Il Corriere della Sera) Circolano molte leggende su Jeanette Winterson, inglese, scrittrice per ragazzi e per adulti, oggi e domani ospite del festival di Mantova. Alcune hanno un fondamento (candidata a un premio letterario avrebbe proposto il suo come miglior libro), tutte sono alimentate dal suo carattere brillante e spigoloso. «Si raccontano sempre un sacco di storie sugli scrittori e, in generale, sui personaggi pubblici: la gente ama il gossip. Io non credo mai a nulla di quello che leggo su qualcuno, proprio perché so per esperienza come vengono inventate le cose», attacca subito.

Rimasta orfana da piccola, adottata da una coppia di pentecostali ultrareligiosi («scrivevo sermoni, il che è stato un ottimo esercizio»), cresciuta in un paese agricolo, nel Nord dell'Inghilterra, in una casa dove c'erano soltanto sei libri compresa la Bibbia, Jeanette Winterson ha raccontato brandelli della sua vita in Non ci sono solo le arance

(Mondadori), vincitore, nell'85, del Whitbread Award per l'opera prima («Non è un'autobiografia — precisa ora —. È una riscrittura immaginativa su ciò che ero e su da dove venivo. Non va letto per ricostruire la mia vita, ma per il suo potere emozionale»). A quello sono seguiti numerosi romanzi, tra cui alcuni diventati di culto come

Scritto sul corpo (Mondadori), storia di una passione bruciante per una donna (l'autrice in questo caso riesce a non dire mai il sesso dell'io narrante). Quest'anno da Mondadori è uscito Gli dei di pietra, romanzo fantascientifico, per adulti e ragazzi, in cui immagina un pianeta Terra in cui tutti possono rimanere giovani. «È un romanzo su un futuro che potrebbe essere e su un passato che potrebbe essere stato. Noi non sappiamo perché, pur essendoci tante stelle e pianeti nella nostra galassia, soltanto la Terra sia adatta alla vita. Ho immaginato che la Terra venisse distrutta continuamente e continuamente l'uomo dovesse ricominciare. Quindi tutte le stelle morte e i pianeti della galassia potrebbero essere luoghi in cui siamo già stati, universi di errori ».

Se in tutti i suoi libri il tema cardine è l'amore (qualche volta la critica l'ha accusata di sentimentalismo), la straordinaria immaginazione di Jeanette Winterson si manifesta soprattutto nei suoi libri per ragazzi (ne parlerà domani con Chiara Valerio), come Argenta nel tornado del tempo (Mondadori) o

Il re di Capri (Il castoro). «Scrivere per i ragazzi è bellissimo. È molto impegnativo, ma posso davvero dare libero sfogo alla mia fantasia e fare esattamente ciò che voglio, anche se la storia, a differenza di quelle per adulti, deve avere uno svolgimento più lineare. Insomma la letteratura per bambini è un posto più libero per l'immaginazione ma più rigoroso per la struttura. Dal punto di vista linguistico si può fare di tutto, perché i bambini amano i giochi di parole e non si attengono rigorosamente al significato». La Winterson pensa che ci siano molti buoni libri per bambini. «Gli unici che mi annoiano a morte sono quelli socio-realistici, senza sprazzi di immaginazione. I bambini non hanno bisogno di questa roba, hanno bisogno soltanto di aprire il più possibile le porte della loro mente ». Le sue protagoniste sono spesso ragazzine coraggiose pronte ad affrontare qualunque sfida, quasi una reazione alla sua infanzia. Sul suo sito si legge che «in quanto figlia della working class non è stata incoraggiata ad essere intelligente»: «Vengo da una cultura pre-femminista, sono cresciuta negli anni Sessanta quando le ragazze non contavano niente. Quelle intelligenti erano pure noiose e quelle di famiglie povere, come me, non avevano nessuna chance. Ho dovuto cambiare la situazione da sola». Su ciò che l'ha salvata, Jeanette Winterson, che non ha false modestie né sensi di inferiorità, è certa: «Un grande cuore e un grande cervello. Sono uscita da una situazione senza speranza perché sapevo come pensare e perché ero piena di amore. Le persone acide, che non sanno perdonare, non riescono mai a fuggire da nulla, portano tutto con sé».

Però quando si parla dell'etichetta di «scrittrice lesbica» un po' si inalbera: «Sono stufa di queste cose. Non sono una scrittrice gay, qualunque cosa questo voglia dire e non scrivo per un pubblico di omosessuali. Se uno scrittore è etero, non si sente mai la necessità di sottolinearlo. Oltretutto attualmente ho una storia con un uomo, e questo non fa alcuna differenza per il mio lavoro. Ali Smith e A.M. Homes sono due delle migliori scrittrici in circolazione, chi se ne importa se sono gay o etero. Non ho mai fatto mistero delle mie preferenze, non c'è nulla di cui vergognarsi né di cui essere fieri. Il mio impegno è che tutti, qualunque siano le loro preferenze sessuali, possano vivere in un mondo più libero». Ali Smith è, assieme a Ruth Rendell, una delle sue più care amiche: «Con Ruth ci conosciamo da 22 anni. Per me è come una madre buona, un'ottima sostituta della mia perduta madre biologica e della mia pazza madre adottiva. Ali invece è un'amica nuova che ammiro e con cui parlo di qualunque cosa. Abbiamo molto in comune, come scrittrici e come persone. Con lei (e con A.M. Homes e Jackie Kay ndr) sto scrivendo un racconto seriale sul Guardian, un progetto molto eccitante».

Scavando un po' a fondo si scopre che Jeanette Winterson è una donna tranquilla che vive in campagna e coltiva l'orto, non guarda la tv dai tempi di

Doctor Who e al momento sta prendendo lezioni di motocicletta perché vuole andare in Cambogia e le hanno detto che la moto è il mezzo migliore per girarla. «Ho anche una casa a Londra. Quando ci vado, una volta alla settimana, tiro tardi, vado alle feste sbagliate, bevo champagne e non scrivo nulla».

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Colombia, poliziotti addestrati al rispetto dei gay.

Le forze di polizia lavoreranno di concerto con le associazioni Lgbt, per accordare meccanismi di lavoro e di tutela delle comunita' stesse.


(Ansa) La polizia di Bogota' ha annunciato oggi un programma di addestramento per 650 agenti al ''rispetto dell'identita' sessuale'' dei fermati, durante le procedure di arresto e perquisizione. Lo scrive la stampa colombiana.
Il programma, diretto principalmente al rispetto dei diritti di membri della comunita' gay della capitale della Colombia, sarebbe attivo da alcuni mesi, ma le forze di polizia lo hanno reso noto solo dopo che un rapporto di 'Colombia Diversa', associazione attiva nel rispetto dei diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (Lgbt), ha denunciato che 67 omosessuali erano stati uccisi in Colombia nel biennio 2006-2007 (13 a Bogota') e che troppe volte i delitti erano stati liquidati come passionali.
Lo stesso rapporto denunciava anche le violenze di cui gli omosessuali sono vittima in carceri, caserme o scuole. Il colonnello Claudia Puentes ha fatto sapere che la polizia della capitale sta sviluppando soprattutto ''un protocollo speciale per le pattuglie che operano nelle zone dove e' piu' alta la concentrazione di membri della comunita' gay''.
Puentes ha anche fatto sapere che le forze di polizia lavoreranno di concerto con le associazioni Lgbt, per accordare meccanismi di lavoro e di tutela delle comunita' stesse.
La Colombia, dopo l'Uruguay, e' il paese latinoamericano dove i diritti degli omosessuali sono piu' tutelati. Recentemente una sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che in condizioni di poverta', i membri delle coppie gay hanno diritto a ricevere gli alimenti proprio come accade per le coppie eterosessuali.

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