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sabato 5 gennaio 2008

Fini scuote il partito e progetta la Rifondazione nazionale.

Il presidente di An Gianfranco Fini

(Mario Sechi - Panorama) “L’unità della coalizione è un valore che va costruito con pazienza e profondità, coinvolgendo tutti coloro, e sono la maggioranza, che hanno valori e programmi alternativi al fallimento delle sinistre. Noi siamo pronti a fare la nostra parte”.

Con questa frase si chiude la bozza di un documento politico che Alleanza nazionale sta mettendo a punto in vista della conferenza programmatica fissata dall’8 al 10 febbraio a Milano. Una mano tesa agli ex alleati della Casa delle libertà e in particolare a Silvio Berlusconi che studia il varo del Partito del Popolo della libertà mentre contemporaneamente Gianfranco Fini lancerà l’Alleanza per l’Italia “che agisce nell’immediato ma guarda al futuro”. E proprio con gli occhi puntati ai prossimi appuntamenti istituzionali (e alle sorti del centrodestra) in via della Scrofa si lavora al programma di un partito non nuovo ma rinnovato. Perché se la coabitazione dentro la Casa delle libertà ora sembra impossibile, è chiaro che un condominio bisognerà metterlo su e allora tanto vale cominciare a (ri)progettarlo. Cinque tavoli sono apparecchiati da settimane per consegnare entro il 19-20 gennaio il documento definitivo che sarà prima discusso in venti conferenze regionali e poi presentato in grande stile a Milano. Panorama è in grado di anticipare i punti principali della nuova piattaforma politica di An, capitoli di un programma al quale stanno lavorando Maurizio Gasparri (Sicurezza), Ignazio La Russa (Riforme), Altero Matteoli (Ambiente), Gianni Alemanno (Economia e lavoro), Andrea Ronchi (Identità italiana e cultura) che saranno presto integrati da altri contributi. A Gianfranco Fini toccherà fare sintesi e dare uno scenario e un’agenda di questo passaggio da Alleanza nazionale all’Alleanza per l’Italia “che parte dai valori della destra politica”.
La bozza del documento in possesso di Panorama riprende alcune tesi politiche del “sarkozismo”, tanto da aprirsi con un forte richiamo al “radicamento identitario, il primo passo della costruzione del partito degli Italiani” e alla critica a tratti quasi “tremontiana” del sistema economico mondiale quando parla di “globalizzazione non governata, senza una cultura dell’interesse nazionale” arrivando a mettere sul banco degli imputati “nazioni che posseggono grandi risorse finanziarie grazie all’esplosione incontrollata dei prezzi energetici (…) che fanno shopping di aziende e industrie, anche in Italia. Questo pone un problema di difesa degli interessi strategici economici nazionali”.
Critica alla globalizzazione e politiche protezionistiche in economia, identità e “riaffermazione del modello italiano”. C’è chi dirà che si tratta di un passo indietro rispetto alla visione laica e moderna del partito modellato da Fini. Forse non è così, ma certo un “ritorno” ai temi più in linea con il motto Dio, patria, famiglia è evidente e avrà un peso decisivo nelle prossime scelte di An in Parlamento. Si può leggere una dura critica ai disegni di legge in discussione al Senato sull’accanimento terapeutico che in realtà nascondono “l’introduzione dell’eutanasia, mascherandola sotto il nome di testamento biologico”. Un attacco a testa bassa ai Dico, definiti una “cambiale ideologica”, una “famiglia fai da te”, e infine la denuncia del “pedaggio ideologico” sulle norme antiomofobia. Se queste sono le premesse, la conclusione è che il partito di Fini lancerà una campagna “in difesa del diritto alla vita e della persona”. Questa linea segnerà un riavvicinamento se non di Fini quantomeno del partito alle posizioni del Vaticano sui temi etici. Sul piano fiscale la proposta di introduzione del quoziente familiare avrà un alleato certo nell’Udc di Pier Ferdinando Casini. An infatti pensa a un sistema di deduzioni per il minimo vitale (con la possibile creazione di un paniere di beni) e al Basic Incom per le deduzioni dei familiari a carico. Niente flat tax, sì alla riduzione delle tasse verso i redditi medio-bassi e le famiglie.
Sul caro vita l’Alleanza per l’Italia a Milano scoprirà le sue carte. A leggere la bozza in corso d’opera, sono proposte molto più vicine a quelle di un partito di sinistra che di centrodestra, ma è interessante anche qui vedere come riemerge il fil rouge della critica al capitalismo. E allora ecco spuntare soluzioni che faranno strabuzzare gli occhi ai liberisti: microcredito, mutuo sociale, attacco “ai grandi cartelli monopolistici rappresentati dalle banche”, dalle assicurazioni, dalla grande distribuzione organizzata, dai petrolieri e dalle telecomunicazioni”. Toccato il tema dei mutui – e processata la Banca centrale europea sulla quale bisogna “intervenire per abbassare il tasso di sconto e ridurre il costo del denaro per le famiglie e le imprese” – è naturale arrivare al mattone e… toh, rispunta la vena “socialista” perché “è necessario non solo finanziare l’edilizia economico-popolare, ma lanciare una vera politica di housing sociale che metta a disposizione case con affitti controllati per il ceto medio”.
Proposte in certi punti “eretiche” per un partito moderato, ma interessanti per cogliere i prossimi passaggi del partito di Fini. È un programma che muove la facile accusa di populismo, ma con il governo Prodi in sella è logico che l’opposizione – e soprattutto un partito più che mai in cerca d’autore come An – punti sulle debolezze dell’esecutivo per cercare di rilanciarsi dopo la “rivoluzione del predellino” di Silvio Berlusconi.
In questa strategia di attenzione ai temi caldi, rientrano la sicurezza e l’immigrazione perché “diventare italiani è possibile, ma bisogna accettarne regole e doveri” e l’inasprimento della legge Bossi-Fini è una necessità, così come l’esame di italiano e il giuramento sulla Costituzione in stile Casa Bianca. La ricetta di An qui è nota, anche se la linea law and order in realtà ne esce ancora più netta e in una versione “movimentista”, anche per parare i colpi della Destra di Storace: si pensa infatti a un referendum per la modifica della legislazione premiale, in particolare della legge Gozzini, si propone l’instaurazione nelle aree metropolitane delle corti di giustizia permanenti (modello americano, attive 24 ore su 24) per giudicare i reati processabili per via direttissima, si studiano pene alternative per i reati minori perché “la tolleranza zero comincia da qui” e, dulcis in fundo, si chiederanno, anche attraverso una petizione popolare, più risorse per le forze dell’ordine.
Mentre An lima il programma da presentare a Milano, il dibattito sulla legge elettorale entra nella sua fase più incandescente e il partito di Fini chiede sistemi di democrazia diretta, premierato, semipresidenzialismo alla francese o il presidenzialismo all’americana. Tre carte e un soldo: ma su quale tavolo giocare? Quello dell’Assemblea costituente, per ora chimerico. A Milano ci sarà molto da discutere e da ascoltare cosa diranno gli ospiti (ancora non c’è una lista) su questo mix di rinascita italiana, identità, legge e ordine, Dio, patria e famiglia, destra sociale che si ridesta per passare da An all’Api, dall’Alleanza nazionale all’Alleanza per l’Italia. Oppure è Rifondazione nazionale?

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Gay a Napoli: ci resta solo la monnezza!

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(GayAP) In questi giorni assistiamo forse alle fasi finali della presidenza Bassolino. Me lo ricordo ancora “Antonio” che sul palco del gaypride di Napoli del 1996 gridava, con il suo personale modo di parlare, “Napoli diventerà la capitale dei diritti civili!!”. Non solo Napoli non lo è diventata la situazione dei gay a Napoli è peggiorata. Eppure alla festa a piazza Matteotti per la sua prima elezione a sindaco di Napoli di gay ce n’erano tanti. Al suo posto ci siamo ritrovati Rosa Russo Jervolino, certo dal primo momento abbiamo capito che sicuramente non avrebbe partecipato ad un gaypride, ma non ci aspettavamo che affossasse tutte le proposte sul registro delle unioni civili al comune o delibere per iniziative culturali! Più ambigui i consiglieri e gli assessori: chi ha appoggiato le lotte dei gay come Impegno, Carotenuto, Anniciello e la Madaro (a cui va la nostra gratitudine anche se i risultati sono stati deludenti) chi si è dichiarato disponibile solo a parole come la Valente o chi ha deciso di appoggiare solo una parte come Riccio, per il resto la completa indifferenza se non addirittura l’odio. Eppure di gay ce ne sono a Napoli, molti sono emigrati in paesi più civili come la Spagna di Zapatero, ma la maggior parte ha deciso di stare in questa città. Oggi che la monnezza sta ricoprendo la città e il suo nauseabondo odore arriva anche nelle stanze del palazzo San Giacomo, noi gay speriamo che questi politici si dimettano magari consapevoli del loro fallimento e si facciano un bel viaggio in Spagna ad imparare un po’ come si amministrano le città ed il paese.

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Cbs: «Sangue gay? No grazie». Gli studenti si battono a favore dei donatori omosessuali.

(Il Corriere Canadese) Gli studenti canadesi non si arrendono e continuano a fare pressione sulla Canadian Blood Services perché cambi le regole che attualmente impediscono agli uomini gay sessualmente attivi di donare sangue. E presto inizieranno la loro campagna contro il divieto.
«Ritengo che sia una forma di discriminazione istituzionalizzata», dice Amanda Aziz, portavoce della Canadian Federation of Students, che giudica questa linea di condotta datata, discriminatoria e da cambiare.
«Il mantenimento di questa prassi è basato su di un malinteso e sta promuovendo stereotipi», ha dichiarato Andrew Brett, cordinatore degli studenti della UofT del campus di Mississauga, che racconta come la battaglia contro la discriminazione operata dall’agenzia sia iniziata nel 2006 e da allora abbia trovato appoggio nelle università di tutto il Paese.
Per parte sua, la Canadian Blood Services ammette che altri Paesi hanno linee di condotta più flessibili. In Australia, ad esempio, il divieto riguarda solo chi ha avuto rapporti nell’ultimo anno, mentre in Italia il discrime è il comportamento dei donatori. L’agenzia canadese ha deciso che il sistema più sicuro era impedire a vita a uomini che avevano avuto rapporti con altri uomini di donare il sangue dopo una valutazione di rischio fatta dal McLaughlin Centre for Population dell’Università di Ottawa ha infatti concluso che l’opzione “di un anno” era troppo rischiosa.

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Monte-Carlo, con la scusa del rally.

Un'auto sfreccia per le strade del Principato durante il Rally di Monte-Carlo
(Donatella Brun - Panorama) L’evento che inaugura la stagione monegasca è il Rally di Monte-Carlo, alla sua 76ma edizione. La corsa si svolge a fine gennaio (24-27), lontano dalla mondanità del gran premio, e conserva un sapore d’altri tempi: il percorso a tappe si snoda fra boschi e colline dell’entroterra. Ci si va per emozioni sul filo della nostalgia e per sfiorare le celebrità all’ombra della Rocca.

Tra le attrazioni, il porto è fra le più accessibili. Dopo la passeggiata tra i moli, da visitare la galleria d’arte Marlborough. Spaziosa e di taglio contemporaneo, la galleria con sede sulla 57esima strada a New York è lontana dai casinò e dai grandi alberghi, e si affaccia con grandi vetrate sugli yacht della darsena, all’ombra del Palazzo Grimaldi.
Il Grimaldi Forum è una costruzione audace in riva al mare che ospita tutto l’anno eventi e mostre storiche. Imperdibili i numerosi giardini a tema: quello degli animali, l’esotico, il giapponese, i Saint Martin, quelli del casinò e il roseto della principessa Grace. Per i cultori della lirica, l’Opera di Monte-Carlo, progettata dall’architetto Charles Garnier nel 1879, è stata riaperta a fine 2005, dopo 3 anni di restauri. Un teatro unico con grandi vetrate per contemplare il Mediterraneo prima che il sipario si alzi su Tosca o Traviata.
Fra la moltitudine di bei negozi del centro c’è la griffe monegasca Ichthys di Alexandra Pastor, detta Alex. Il negozio minimalista su due piani propone la moda irriverente e sexy della giovane stilista moglie di David Halliday, figlio del cantante Johnny.
Fra gli alberghi e ristoranti di design, il Monte-Carlo Bay Hotel & Resort, sulla penisola del Larvotto, ha ispirazione esotica, spa des Cinq Mondes e piscina sotto la cupola d’acciaio e vetro che si prolunga all’esterno in Jacuzzi e lagune. Due torri in vetro di fronte al mare per il restyling d’avanguardia dell’hotel Meridien Beach Plaza, l’unico albergo con spiaggia privata e due piscine di acqua di mare, sulla terrazza prospiciente. Al Métropole oggetti d’arte, libri antichi, quadri d’epoca con il gusto di un collezionista esperto.

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"Opera notte. Senza cure": incursione nell'oscurità metropolitana a ritmo di rock.

(Milano 02 - Foto Chiara Cera) Un pezzo di storia della città di Sesto San Giovanni rinato dalle proprie ceneri sotto forma di teatro e uno spettacolo tutto metropolitano per le prime due settimane del 2008. Il primo è lo Spazio Mil (dove Mil sta per Museo dell'Industria e del Lavoro) ex magazzino della Breda oggi teatro a tutti gli effetti sotto la direzione artistica di Emilio Russo che già ha portato al suo attuale splendore il Teatro dei Filodrammatici, un amante delle sfide insomma. Lo spettacolo, invece, è Opera notte. Senza cuore rivelazione della scrittrice Renata Ciaravino con la regia di Valeria Talenti.

Protagoniste dell'opera sono la notte e la musica. Le note rock, pop e blues che si fondo in un crescendo di emozioni che accompagnano gli amanti delle ore più oscure del giorno tra sogni e segreti. Sul palco un quartetto rock dialoga con gli attori, in un racconto in cui le note e le parole parlano la stessa lingua.

Plasmato sugli stereotipi di uomini e donne dei nostri giorni, che vivono al limite e con parole dalle tinte forti, in una sociatà che non capiscono e che non li coinvolge, ma che alla fine trovano il coraggio di rimettersi in gioco e riprendere in mano la propria vita per cambiare in meglio. Sono i trentenni che popolano la metropoli della notte disperati che alla fine vedono la luce in fondo al tunnel. Non uno spettacolo triste quindi, anche se molto esplicito e senza paura di dire le cose come stanno. la musica che non è certo un mero sottofondo ma parte integrante dell'opera, non fa altro che enfatizzare una condizione di disagio.

Fino a domenica 13 gennaio la compagnia Dionisi, dopo l'anteprima estiva alla Fabbrica del Vapore, sarà in scena allo Spazio Mil di via Granelli a Sesto San Giovanni e promette di essere uno spettacolo capace di lasciare il segno. Tra gli attori Alessandro Sampaoli, l'imbranato ragioniere di Camera Cafè, che cambia completamente look per trasformarsi in un duro di periferia allo sbando, perditempo, che sogna un futuro migliore ma non fa nulla per cambiare. Come lui anche gli altri personaggi hanno storie simili, con epiloghi diversi, che rappresentano benissimo il senso di smarrimento di un'intera generazione che vive veramente tra di noi.

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Qualcuno rassicuri Kaka': piacere a gay non vuol dire essere gay.

(Davide Varì) Sarà per quel suo destro pennellato, quel dribbling devastante; o forse per via di quei suoi lineamenti femminei, muliebri: occhi languidi e labbra carnose incastonate in un mento volitivo. Sarà per questo che Ricardo Izecson dos Santos Leite, meglio noto come Kaká, piace tanto ai gay. O almeno ne è convinta la redazione di G-magazine, il mensile gay brasiliano che ha annunciato la pubblicazione di un gustoso reportage fotografico. Protagonista un sosia del centravanti rossonero, un giovane modello sudamericano che ha posato come Dio l'ha fatto: nudo e venusto come un bronzo di Riace.

Ma lui, il campione del mondo e d'Europa, il pallone d'oro e Fifa world player in carica, di queste cose da checche non ne vuol proprio sentir parlare. E' un ragazzotto per bene, lui, ed è un devoto cristiano serio e pudico. Per questo ha mobilitato il suo stuolo di avvocati che hanno già pronte le scartoffie per la querela .

Eppoi, è noto, il campione rossonero è un fedele seguace della Chiesa Pentecostale Renacer em Cristo, una sorta di setta religiosa che ultimamente è finita nei guai per uno strano giro di soldi. Alcuni dei quali proprio di Kakà, visto che il nostro versa loro il 5% delle proprie entrate – quella dozzina di milioni di euro a stagione che tanto avvicinano alla gioia divina.

E dire che negli stessi giorni in cui Kakà minacciava querela Ambra Angiolini, l'ex lolita show-girl di "Non è la Rai" - quella che girava con l'auricolare nell'orecchio ripetendo a pappagallo i cinici suggerimenti di Gianni Boncompagni - ecco, quell'Ambra lì mostrava tutta la propria gioia nell'apprendere la notizia di essere proprio lei la più amata dalle lesbiche italiane. Chi sia l'autore di queste strane classifiche non è dato sapere, e forse la gran parte delle lesbiche non sa neanche chi sia Ambra. Ma tra una punizione, un dribbling e un pallonetto, almeno in questa storia la vera campionessa è risultata lei. Chissà che anche Kakà non abbia bisogno di un bell'auricolare nelle orecchie, di una voce saggia che ogni tanto gli ricordi che lui è un campione e un modello per migliaia di persone, etero o omo che siano. Di qualcuno che lo rassicuri (il giovane ne ha tanto bisogno) che piacere ai gay non significa essere gay. E un primo suggerimento arriva proprio da un suo collega, David Beckam: "Io un'icona gay? Sono molto onorato". Uno a zero, palla al centro.

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Cinema. Sugli schermi "Cous cous", vincitore morale alla Mostra del cinema di Venezia.

Arriva nelle sale italiane il film francese rivelazione dell'anno.
A 4 mesi dall'anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia, arriva l'11 gennaio nelle sale italiane 'Cous Cous' di Abdellatif Kechiche. Il film ha vinto a Venezia il premio Speciale della giuria, ma l'autore lo ha definito un riconoscimento 'modesto'. 'Venezia resta una delusione che non dimentichero' mai - afferma Kechiche - 'Cous Cous' e' una tale dichiarazione d'amore per il cinema italiano che pensavo quel premio (il Leone d'Oro, ndr) fosse il piu' giusto'.
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Il presidente dell'Arcigay Aurelio Mancuso ed il portavoce di Don Gelmini, Alessandro Meluzzi, assieme ad un convegno.

Convegno
"Liberaci dal male: Quis custodiet custodes?"

Domenica 13 gennaio | Ore 16.00
Sala Conferenze Fondazione Olivetti - via Zanardelli 34 (nei pressi di piazza Navona)

coordina: Stefano Campagna, giornalista, Tg1
introduce: Carlo Guarino, responsabile nazionale Arcigay - 13 Gennaio

intervengono:
Alessandro Meluzzi, psichiatra
Chiara Lalli, filosofa
Davide Varì, Liberazione
Khalid Chaouki, direttore di Minareti.it e componente della Consulta per l´Islam italiano
Luca Ghiretti, componente consiglio nazionale FGEI - Federazione Giovanile Evangelica
Haim Cipriani, rabbino Lev Chadash
Renato Sabbadini, Ilga Europe
Francesco Paoletti, coordinamento nazionale UAAR
Francesca Grossi, segreteria nazionale ArciLesbica

conclude: Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay

"Chi custodice i custodi?
Questa è una delle domande che la morte di Alfredo Ormando ci pone: I custodi della fede – chi sono? Chi spiega loro che “la fede” non è un qualcosa di avulso dall’essere umano, soltanto un dogma sterile? Chi veglia affinché la religione non venga utilizzata per giudicare, condannare, escludere ed emarginare?

Alfredo ha scelto lo stesso gesto usato in passato da molti monaci buddhisti contro la guerra, la dittatura e la repressione della religione e questo ci da l’opportunità di discutere insieme rendendo sempre più intenso il dialogo tra il popolo lgbt e le religioni. L’iniziativa per il decennale della sua morte sarà una grande occasione di confronto e di crescita culturale. Già per questo non dobbiamo dimenticare quel 13 Gennaio di dieci anni fa".

Il programma del Convegno verrà comunicato al più presto.
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Ndr. Avete notato che nomi altisonanti...? Ci domandiamo la star del trash di raidue Meluzzi e il Presidente-poeta Mancuso che avranno da dirsi ma, soprattutto, a che servono questi convegni così allargati? La solita discussione a "circuito chiuso"? Si perchè si parlerà di omosessualità e religione o meglio, cattolicesimo e manca proprio un qualsiasi esponente della "grande accusata" la chiesa cattolica. E il programma non c'è neppure tenuto conto che mancano una decina di giorni... Organizzazione Arcigay, evidentemente. Mandiamoli a casa quelli dell'Arcigay, magari assieme al governo Prodi. (Aspis)

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Presidenziali Usa. Ecco perché Giuliani ha scelto di perdere l’Iowa per vincere l’America.

(Christian Rocca) Des Moines (Iowa). C’erano tutti tranne uno, ieri notte in Iowa, al primo caucus elettorale del lungo e laborioso ciclo politico che nel novembre 2008 porterà all’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. In prima fila ovviamente gli aspiranti presidenti democratici e repubblicani. E poi i militanti di partito, i consiglieri, gli staff, i finanziatori delle campagne elettorali, migliaia di giornalisti e blogger, centinaia di cameraman e fotografi, osservatori, esperti, studenti. Da settimane non si trovava una camera d’albergo o un posto in aereo o una macchina a noleggio. Il sistema dei trasporti locali è andato in tilt, prendere un taxi è stata un’impresa. Al ristorante Centro di Des Moines, gli staff dei candidati si rubavano a vicenda le prenotazioni dei tavoli, mentre alcuni bar della capitale sono stati trasformati in set televisivi, da dove i network hanno trasmesso in diretta i talk show politici. “Andatevene dalla nostra città, levatevi di torno, anche se la sanità per tutti sarebbe un’ottima cosa”, dice il testo di una canzone, “The Caucus Lament”, scritto per l’occasione da una rock band locale. Tutta l’America sembrava fosse in Iowa, tranne una persona. Non una qualunque, ma il candidato che i sondaggi nazionali continuano a indicare come il favorito del gruppo repubblicano: Rudy Giuliani. L’ex sindaco di New York non si è curato del caucus e ha trascorso la vigilia in New Hampshire e il giorno del voto in Florida.
La strategia di Giuliani è perdere l’Iowa per conquistare l’America. La scelta è stata in parte obbligata dal calendario e dalla tradizione politica dei primi stati in cui si è votato ieri e in cui si voterà nei prossimi giorni, ma è anche una decisione studiata a tavolino dagli strateghi di colui che la neo-obamiana Oprah Winfrey nei giorni dell’11 settembre aveva definito “America’s Mayor, il sindaco d’America”. Giuliani punta sul 29 gennaio, il giorno in cui si voterà in Florida e saranno distribuiti più della metà dei delegati. E poi sul “super tuesday” del 5 febbraio, quando si apriranno le urne negli stati più grandi. Gli osservatori e un po’ anche i sondaggi cominciano a dubitare di questa scelta nazionale di Giuliani, ma se avrà ragione lui in fututo tutto questo clamore intorno al voto in Iowa, e poi in New Hampshire, potrebbe attenuarsi. L’approccio tradizionale, inaugurato da Jimmy Carter e Bill Clinton, è stato seguito da tutti gli altri. L’idea è che una vittoria o un buon piazzamento in Iowa e New Hampshire garantiscano un’inerzia positiva in termini di spazi tv, soldi e sondaggi necessaria a conquistare la nomination.
La candidatura di Giuliani, malgrado gli scetticismi strategici, resta quella che continua a preoccupare di più il mondo liberal. I grandi giornali non lesinano articoli e inchieste negative, volte a smontare l’immagine di leader efficiente, efficace e risoluto che Giuliani trasmette agli elettori. Il suo ultimo spot elettorale mostra le immagini di attentati terroristici, alternate a manifestazioni di radicali islamici di ogni tipo. Lo spot descrive “un nemico senza frontiere, un odio senza confini, un popolo abusato, una religione tradita, una potenza nucleare nel caos, uomini pazzi pronti a creare disordine, leader assassinati, democrazia sotto attacco e Osama bin Laden ancora minaccioso”. E, infine, conclude: “In un mondo in cui la prossima crisi sta per arrivare, l’America ha bisogno di un leader che sia pronto”.
La stampa però da mesi prova a smontare questa immagine, da ultimo il New Yorker, raccontando un Giuliani inefficiente e autore di errori decisionali che avrebbero potuto salvare parecchie vite l’11 settembre. Nel mondo dei media nessuno crede nelle sue possibilita di vittoria, eppure i democratici sono spaventati. Ai loro occhi Giuliani ha gli stessi difetti di Bush, ma al cubo: si circonda di amici da cui pretende fedeltà assoluta, non ascolta le critiche e adora esercitare fino ai limiti, se non oltre, il potere esecutivo. A New York, da sindaco, governava ingaggiando violente battaglie amministrative con avversari e critici. I liberal si chiedono con terrore che cosa potrebbe combinare nel mondo avendo a disposizione l’esercito e i codici nucleari. Giuliani spera che gli elettori si pongano la stessa domanda, perché saranno costretti a riconoscere che con lui al comando l’America sarà più protetta e sicura.

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Il profilo su Facebook. Bilawal Bhutto, sex symbol sul web.

Ma ci sono i primi dubbi: «Pagine fasulle per screditarlo».
Il neoleader del Ppp ama i Simpson e i film di Tarantino. E le ragazze sbavano per lui: «Oddio quanto è carino...».

(Elmar Burchia - Il Corriere della Sera) Bilawal Bhutto, come quasi ogni studente d'oggi, ha una sua pagina su Facebook, il social network nato negli ambienti delle università Usa che rappresenta oggi una delle maggiori community della rete. Bilawal Bhutto, tuttavia, non è un ragazzo qualsiasi. Domenica scorsa il 19enne è stato nominato presidente del Partito popolare pachistano (Ppp) come successore della madre, Benazir Bhutto, assassinata da terroristi vicini ad Al Qaeda.

PROFILO SUL WEB - Fino a pochi giorni fa il ragazzo godeva di una tranquilla vita universitara nella prestigiosa Università di Oxford Altrettanto spensierate e disinvolte erano le frasi e le foto che il giovane, che alla carriera politica probabilmente non pensava ancora, pubblicava sulla popolare community. La sua pagina personale è stata oscurata dopo la designazione alla guida del Ppp. Ma è comunque presente in Rete: la rivista online Radar ha infatti tempestivamente scrutinato e copiato il profilo dello studente, riproponendolo ai propri lettori.

DAI SIMPSON A TARANTINO
- Liberale e contro l'Islam estremista, recitava la sua descrizione. Tra i suoi hobby: il cricket, molto popolare in Pakistan; il nuoto, lo squash e il tiro al poligono. In tv il giovane guarda i Simpson, il telefilm con l'ammazzavampiri Buffy e «West Wing», serial incentrato sullo staff della Casa Bianca. Tra i suoi registi preferiti - racconta il magazine americano - ci sono Michael Moore e Quentin Tarantino. Insomma, gusti davvero comuni ad altri studenti qualunque. Dal web è spuntata anche una foto del neo-leader vestito da vampiro durante una festa con alcuni amici lo scorso Halloween. La didascalia dell'immagine scovata sul Facebook di un amico e pubblicata dai tabloid britannici recitava: «L'inferno in terra ... mwaaahahahahahah».

SEX SYMBOL - Ma la sua pagina su Facebook lo ha di fatto lanciato anche come sex symbol. Numerose le fan nella comunità online che hanno lasciato commenti decisamente espliciti: «Oddio, quant'è carino», dice una ragazza nel forum dal titolo «Non uccideteci Bilawal Bhutto, lui è troppo sexy, okay?». «Sono assolutamente d'accordo. E' troppo sexy», ha scritto invece un'altra. E sono solo due tra le decine di commenti pubblicati subito dopo l'annuncio della sua elezione.

PAGINE FASULLE - Quella riportata da Radar non sarebbe però l'unica pagina di Facebook attribuita al giovane Bhutto. Anzi: potrebbe essere uno spazio web fasullo creato proprio con l'obiettivo di screditare l'immagine del novello leader politico. I responsabili del sito hanno infatti comunicato di avere ritirato due profili attribuiti a Bilawal «dopo un'inchiesta interna che ha rivelato la loro non autenticità». Il vero spazio creato dal figlio di Benazir è intestato a Bilawal Lawalib, l'alias con cui il giovane era conosciuto a Oxford. Mentre invece quello citato da Radar è intestato a Bilawal Bhutto Zardari, il suo vero nome.

IPOTESI DI COMPLOTTO - A far propendere all'ipotesi di un sito «farlocco» creato magari proprio per dare un'immagine meno carismatica al nuovo capo del Partito del popolo, è stato un messaggio firmato proprio Bilawal Bhutto Zardari che, in risposta a uno dei tanti post di condoglianze ricevuti, spiegava: «Non sono un leader nato, non sono un politico o un gran pensatore: sono appena uno studente. Mi piace fare tutto quello che fanno tutti gli studenti: fare errori, mangiare schifezze, guardare Buffy e soprattutto imparare. Verrà il momento in cui comanderò, ma per adesso io sono quello che fa le domande, non quello che dà le risposte». Dietro a questo ci sarebbe un vero e proprio complotto. «E' stato il governo - ha detto un aiutante di Asif Ali Zardari, il padre di Bilawal -: stanno cercando di far passare il messaggio che è un errore eleggerlo perché troppo giovane».

IN ESILIO - Bilawal Bhutto è nato nel settembre 1988, un mese prima della vittoria di sua madre alle elezioni generali che la fecero diventare la prima donna premier di un paese musulmano. E' stato costretto all'esilio assieme alle due sorelle ed ha vissuto tra Londra, Dubai e gli Stati Uniti, dove, per ora ha intenzione di completare gli studi.

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Cinema. Sean Penn presidente della giuria del prossimo festival di Cannes.

La scelta degli organizzatori è caduta sull'attore-regista americano.
"Una voce particolare, l'incarnazione di un aspetto dell'America che ci piace".

(La Repubblica) Sarà Sean Penn a presiedere la giuria del sessantunesimo Festival del cinema di Cannes, in programma dal 14 al 25 maggio. "Cannes è stato a lungo l'epicentro della scoperta di nuove tendenze fra i registi di tutto il mondo. Non vedo l'ora di partecipare al Festival di quest'anno come presidente della giuria", ha commentato l'attore e regista 47enne, premio Oscar come migliore attore nel 2004 per Mystic River.

L'ex enfant terrible di Hollywood si è fatto conoscere ai suoi esordi più per il turbolento matrimonio (e divorzio) con la cantante Madonna a metà degli anni Ottanta, ma col tempo si è guadagnato rispetto per la sua bravura, sia come attore che come regista. "In ogni parte del mondo - ha detto Penn - il cinema sembra essere oggetto di un intenso rinnovamento: sempre più spesso i film risvegliano l'immaginario provocando emozioni e riflessioni, facendo emergere una nuova generazione di cineasti di estremo talento".

Il direttore artistico del festival, Thierry Fremaux, ha parlato di una scelta quasi "scontata" dato che Penn è "una voce americana unica e particolare che incarna il cinema indipendente americano e un certo aspetto dell'America che ci piace".

Personaggio tra i più controversi di Hollywood, Sean Penn non ha mai fatto mistero della sua profonda avversione per l'amministrazione Bush e per l'intervento militare in Iraq. Nel 2002 aveva brillato per la sua assenza alla cerimonia degli Oscar, nonostante la sua candidatura, e qualche mese prima aveva intrapreso un polemico viaggio in Iraq per denunciare le conseguenze delle sanzioni americane sul popolo iracheno.

Figlio di un regista di serie televisive, Leo Penn, e di un'attrice, Eileen Ryan, e fratello maggiore di Chris, anche lui attore, trovato morto nella sua abitazione due anni fa, Sean Penn ha debuttato a 21 anni, ma ha cominciato a farsi notare per la sua interpretazione in Colors (1988) di Dennis Hopper. Nel 1991 ha firmato il suo primo film da regista, The Indian Runner (Lupo solitario), presentato proprio a Cannes, e dal '96 ha cominciato a collezionare candidature agli Oscar, ma ha conquistato la statuetta solo nel 2004 per Mystic River diretto da Clint Eastwood. Le sue interpretazioni e le sue regie sono state apprezzate da pubblico e critica, in particolare ai festival come è accaduto con La promessa, acclamato a Cannes 2001, o 21 grammi con cui ha vinto la seconda Coppa Volpi a Venezia (dopo quella per Hurlyburly nel '98)

Il suo ultimo lavoro da regista, Into the wild, tra i candidati di punta per l'Oscar del miglior film 2007, è basato sulla storia vera di un ragazzo che aveva abbandonato la civiltà per tornare alla vita selvaggia, trovando la morte nel freddo dell'Alaska. La tragica fine di Christopher McCandless aveva commosso gli Stati Uniti una quindicina d'anni fa, e nel 1996 è diventata soggetto del best-seller Nelle terre estreme di Jon Krakauer.

Sean Penn è riuscito a conquistare il pubblico (compresa la platea della Festa del Cinema di Roma) pur scegliendo di raccontare la storia in due ore e mezza di film e soffermandosi soprattutto sulla solitudine del ragazzo a contatto con la natura. Una scelta coraggiosa sostenuta dagli interpreti - Emile Hirsch nel ruolo del protagonista, Marcia Gay Harden, William Hurt, Catherine Keener, Vince Vaughn - e dalla colonna sonora, con pezzi di chitarra di Michael Brook e Kaki King e con brani di Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam in versione solista, che in passato aveva già realizzato le musiche di due film interpretati da Sean Penn, Dead man walking e I am Sam.

Di Sean Penn si sono occupati di recente anche i giornali di gossip: una settimana fa è infatti apparsa la notizia di un suo imminente divorzio dalla seconda moglie Robin Wright dopo 11 anni di matrimonio e due figli, Hopper Jack, di 14 anni, e Dylan Frances di 16. Indiscrezione confermata dalla portavoce della coppia, Mara Buxbaum.

L'unione tra Sean e Robin era un sodalizio che sembrava dovesse durare per sempre. La coppia si era conosciuta sul set di Stato di grazia di Phil Joanou nel 1990, e il matrimonio era arrivato qualche anno dopo, nel 1996. I due attori hanno anche lavorato insieme in diversi film tra cui She's so lovely del 1997, diretto da Nick Cassavetes, con cui Penn ottenne il premio per la miglior interpretazione maschile proprio a Cannes. In quell'anno lui dichiarò in un'intervista a Entertainment Weekly: "Il matrimonio non è facile, ma è allo stesso tempo una cosa meravigliosa".

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L'umorismo è maschio, figlio del testosterone.

(Affari italiani) L'umorismo è maschio in quanto figlio del testosterone e dell'aggressività che questo e gli altri ormoni maschili inducono nei comportamenti. E' quanto avrebbe dimostrato con un bizzarro e comico esperimento Sam Shuster dell'Università di East Anglia in Gran Bretagna.

Secondo quanto riferito sul British Medical Journal l'esperto ha collezionato molte centinaia di risposte e reazioni a un suo personale esperimento, girare per le strade dela città con un monociclo - insolito mezzo di trasporto per i nostri tempi che quanto meno induce curiosità - mostrando che le risposte più maligne, sprezzanti, sagaci e umoristiche venivano sempre proferite da giovani maschi nell'apice della loro virilità.

Le risposte di uomini e donne sono diversissime, lei più accondiscendente e positiva nei commenti, al massimo preoccupata per l'ignoto sperimentatore in giro su una ruota sola. Lui 'cattivello', quando non aggressivo nelle risposte e reazioni allo sconosciuto in monociclo. Una risposta tipo maschile? 'Ehi, ti manca qualche rotella', a voler umoristicamente sottolineare che il 'tizio' in monociclo è un po' 'svitato'.

Sempre umoristiche e taglienti le risposte maschili, fatta eccezione per i piccoli sotto i 12 anni che non hanno ancora raggiunto la pubertà. Non 'drogati' dal testosterone, ha spiegato Shuster, i bambini rispondono come le donne con curiosità e positività al 'fenomeno monociclo' manifestatosi nella loro cittadina. Ma quando arriva la pubertà, e con lei la tempesta di androgeni, ecco nascere umorismo e aggressività in lui, una chiara prova, ha concluso Shuster, che le basi dell'umorismo si devono ricercare nell'aggressività maschile indotta dagli androgeni. L'evoluzione avrebbe poi favorito che l'aggressività fisica fosse incanalata nella veemenza verbale, nelle battute che però non è detto facciano meno male della violenza fisica.

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Ferreri, omaggio a un talento altalenante.

(Maurizio Cabona - Il Giornale) Nato a Milano nel 1928, Marco Ferreri morì a Parigi, dove s’era trasferito, nel 1997, proprio durante il Festival di Cannes, quello che gli aveva dato i primi trionfi. Nell’occasione Il Giornale evocò il suo quasi sempre ricordato valore di regista e il quasi sempre rimosso passato di militare della Rsi; gli inizi difficili nella Cinecittà dell’Italia democristiana come produttore e come regista, poi il successo di regista (El Pisito, 1958; El Cochecito, 1960) nella Spagna franchista, dove stranamente Ferreri aveva trovato la sua... libertà. Ciò non gli impedì, una volta tornato in Italia, di divenire un’icona progressista. Infatti i registi si occupano meno di politica che di film: il regime che glieli finanzia è sempre un buon regime. Ma forse ciò vale per qualunque mestiere.
L’articolo del Giornale su Ferreri - eterodosso rispetto alla devozione e all’autocensura d’altre commemorazioni - suscitò la replica dell’Unità con un articolo del suo critico cinematografico d’allora, Michele Anselmi. In quel periodo le idee avevano ancora un peso, seppur declinante, nel cinema come nella stampa. Perciò vedere oggi i film di Ferreri - soprattutto i primi e i migliori - permette di farsi un’idea molto imprecisa del loro potenziale dirompente allora.
Nella sua genialità, Ferreri sapeva esser irritante. Una volta rispose a cenni del capo a un radiocronista... Era il Festival di Cannes del 1978, e il regista milanese - che si era abituato alle mirabilie che di lui scrivevano in Francia - presentava una delle opere del declino: Ciao maschio con Gérard Depardieu e Gail Lawrence (domani, h. 19; mercoledì 23, h. 21,30).
La rassegna di quindici film di Ferreri alla Cineteca italiana comincia oggi allo Spazio Oberdan di via Vittorio Veneto 2 con la proiezione di Nitrato d'argento (h. 17) e Storie d'ordinaria follia (oggi, h. 19) e soprattutto del suo capolavoro, Una storia moderna: l'ape regina (h. 21,30; sabato 12, h. 19,15). Nonostante il valore molto ineguale delle opere, essa è l’occasione di vedere cinema di una qualità insolita perfino allora, quando la qualità media era ancora notevole.
Il talento di Ferreri ebbe un picco iniziale, non sempre prontamente colto dalla critica, e un abisso finale, quasi sempre negato dalla medesima, forse per un senso di colpa (lo stesso accadde con Federico Fellini).
Col senno di poi, pochi autori sono classificabili facilmente come Ferreri basandosi anche solo sulla cronologia delle opere. Da non perdere sono quindi La donna scimmia con Annie Girardot e Ugo Tognazzi (giovedì 10, h. 21; domenica 13, h. 17); El Cochecito con Nino Manfredi (venerdì 11, h. 17 e sabato 12, h. 15); Marcia nuziale con Ugo Tognazzi (giovedì 17, h. 21.30; mercoledì 23, h. 19).
Solo per lo scherno dell’interventismo umanitario, quando non si chiamava ancora così, è da segnalare Come sono buoni i bianchi! (venerdì 18, h. 17), una delle non molte interpretazioni di Maruschka Detmers, attrice olandese di non eccezionale talento ma di rara bellezza.
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Omaggio a Marco Ferreri
Spazio Oberdan
dl 3 al 24 gennaio
Biglietto 3/5 euro + cinetessera
tel. 02.77406300

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Tv. Il tubo catodico sconfitto dai cristalli liquidi.

(La7) Da quest'anno la Sony sospenderà la produzione degli apparecchi televisivi di vecchia generazione, sempre meno richiesti dal mercato.
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Guerrilla gardening. Il giardinaggio vincente.

(Il blog di Alessio) Guerrilla Gardening; è questo il nome di un bellissimo movimento nato negli Stati Uniti d'America che si sta diffondendo in tutto il mondo (esattamente come per la Critical Mass).

Il funzionamento è semplice, un gruppo di persone si riuniscono spesso di notte e trasformano un punto morto della città abbellendolo con piante e fiori.

Questo è il sito ufficiale mondiale
http://www.guerrillagardening.org

Qui quello di Milano
http://www.guerrillagardening.it

Ecco anche un esempio video di una trasformazione nella città di Londra:
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La trovate anche voi una splendida iniziativa?

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A Berlino la prima casa di riposo per anziani gay d'Europa.

Sorge in Germania il primo ricovero per anziani omosessuali maschi, "Village Haus è il suo nome ed stato costruito in Winterfeldstrasse a Schoeneberg, distretto di Berlino e luogo tradizionalmente gay della citta'.
Ideato e progettato dall'architetto Christian, l'idea gli era venuta nel '99 per un'esperienza personale e relativa a sua nonna, "Fu li che ho capito così come e' importante l'assistenza quando si e' anziani''.
Qual'è differenza tra una casa di riposo gay da una "eterosessuale"?
La risposta è che in questo ricovero non viene discriminato nessuno, "tutti hannola stessa storia, una vita da omosessuale alle spalle. Inoltre, un pensionato del genere e' importante anche perche' i gay non hanno figli che si occupano di loro".
La struttura è costata oltre otto milioni di euro ed è entrata in funzione nella metà del 2006, costruita senza finanziamenti pubblici ma solo grazie a investitori.
Nella casa ci sono 40 appartamenti di 50 mq e 16 stanze per anziani bisognosi di assistenza'.

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Gli "inciuci" dell'Arcigay romana e le difese d'ufficio del Pd. Foschi, locale Ater riconoscimento ad Arcigay che conta trentaduemila iscritti...

(Adnkronos) - ''Ne' regalie ne' compensazioni ma vero e proprio riconoscimento a un'associazione, l'Arcigay appunto, che da ben venti anni si batte per la difesa dei diritti delle persone omosessuali, che conta oltre 32mila iscritti solo nella citta' di Roma e che con l'attivazione del suo numero verde ha dato supporto, in 2 anni, a piu' di 30mila persone". Con queste parole Enzo Foschi, consigliere del Pd, replica alla dichiarazione di Alessandro Cochi, consigliere di An del comune di Roma sull'assegnazione all'Arcigay di un locale di 460 mq nel rione Testaccio.
"Il consigliere Cochi, dunque, credo possa stare tranquillo che nessuna arbitrarieta' o ingiustizia si e' compiuta con l'assegnazione dei locali dell'Ater all'Arcigay'', conclude Foschi.
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Ndr. Una difesa d'ufficio quanto mai risibile e non richiesta. 32mila iscritti sono il "minimo sindacale" per una città che conta quasi tremilioni di abitanti e quasi quattro con la sua banlieu.. Ma che ci faranno in questo spazio? Locali culturali e ricreativi? Hanno un progett? C'è la Bocciofila? E il locale con la tv? E' prevista una dark? Ricordate di mettere un distributore di preservativi, almeno li... (Aspis)

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