banda http://blografando.splinder.com

mercoledì 19 marzo 2008

«Cover boy» un film del regista lancianese Carmine Amoroso. Ioan e Michele, amici precari.

(Giuliano Di Tanna - Il Centro) Ioan è romeno, Michele italiano. Due mondi che casualmente s’incontrano: l’esperienza di chi, figlio della rivoluzione post-comunista, è fuggito dal proprio Paese alla ricerca di un futuro migliore e quella di chi, precario, vive la crisi del lavoro occidentale.
Un refolo di realtà spira, da qualche tempo, nelle stanze del cinema italiano. La realtà del lavoro (della sua mancanza o precarietà) è al centro della storia di Ioan e Michele nel film «Cover boy», diretto dal regista abruzzese Carmine Amoroso, che sarà da venerdì nelle sale. Per Amoroso, 49 anni, lancianese, si tratta della seconda prova registica, a dodici anni dall’esordio con il film «Come mi vuoi» interpretato da Monica Bellucci e Vincent Cassel, all’epoca non ancora moglie e marito. Ma già nel ’92 aveva firmato il soggetto e la sceneggiatura di «Parenti serpenti», diretto da Mario Monicelli, ambientato a Lanciano e girato a Sulmona.
«Cover boy», di cui Amoroso ha scritto anche la sceneggiatura insieme a Filippo Ascione, ha collezionato una lunga serie di premi, fra cui quello di miglior film nel Festival del film politico di Barcellona. La pellicola è interpretata da Eduard Gabia (Ioan), Luca Lionello (Michele), Chiara Caselli, Francesco Dominedo, Gabriel Spahiou e Luciana Littizzetto. Amoroso parla del suo cinema e del suo (precario) lavoro di regista in questa intervista al Centro.
Amoroso, perché un film sui precari?
«La mia idea era quella di fare un film non sui precari ma sul rapporto fra un immigrato e un giovane italiano e siccome la precarietà è ormai quasi una forma naturale di essere dei giovani... Precario lo sono anch’io nell’universo del cinema italiano che è un mondo di privilegiati. Il film, in realtà, è la storia di un’amicizia».
In che modo i rapporti di classe e quelli inviduali sono influenzati, oggi in Italia, dalla precarietà del lavoro?
«La precarietà del lavoro oggi condiziona anche i sentimenti, i rapporti affettivi. Non avere i soldi per pagare affitto e bollette condiziona tutto, creando infelicità nelle persone. Un’infelicità che, però, non viene raccontata dal cinema italiano».
Perché?
«Il cinema italiano ormai è completamente scollato dalla realtà, racconta un mondo irreale. Il nostro cinema era grande quando i De Sica, i Rossellini, i Monicelli, i Risi parlavano della realtà. E quei maestri lo potevano fare perché conoscevano la realtà che raccontavano. Oggi, il cinema è un luogo del privilegio. Chi lo fa non conosce né la realtà né, quindi, il pubblico a cui dice di rivolgersi e che, perciò, non va più al cinema. Mi dànno un enorme fastidio i personaggi che dominano le storie del nostro cinema: sono tutti architetti, ingegneri, professionisti. Mai uno che faccia un lavoro normale».
«Cover boy» è anche un film sull’amicizia virile contrapposta alle donne come la padrona di casa della Littizzetto e la fotografa della Caselli?
«E’ vero, racconto la storia di un’amicizia fra due uomini, ma questo non significa che io abbia una visione anti-femminile. A me premeva raccontare la storia di questi due giovani. Il ragazzo italiano lavora come pulitore alla stazione Termini con contratti che scadono e, alla fine, si ritrova sempre disoccupato con l’ansia di vedersi rinnovare il contratto. Lui e il ragazzo romeno sono persone normali che vivono la loro quotidianità. Io non parto da un tema, come potrebbe essere quello del precariato, ma dalla vita reale, dalla concretezza».
Ha avuto dei modelli cinematografici o letterari per questo film?
«Non specificamente per questo film. Ovviamente ho dei modelli. Marco Ferreri e Pier Paolo Pasolini sono i registi italiani che amo di più. Poi c’è il cinema americano, che è quello che preferisco attualmente per la sua capacità di creare linguaggio e di descrivere un mondo che si conosce. Penso soprattutto a registi come Gus Van Sant e Larry Clark. Nel cinema italiano, invece, c’è l’ipocrisia di descrivere una realtà che non si conosce. Penso, per esempio, alle sorelle Comencini, che io chiamo le sorelle Carlucci del cinema italiano».
Lei si è laureato con una tesi sulla religiosità nel cinema di Pasolini: che cosa direbbe Pasolini di questo nuovo proletariato occidentale nato dalla flessibilità del lavoro?
«Pasolini, oggi, si occuperebbe proprio del mondo marginale e degli extracomunitari. I ragazzi pasoliniani degli anni ’50- ’60 e ’70, oggi a Roma, sono i giovani extracomunitari e, in particolare, quelli romeni».
Dal suo primo film «Come mi vuoi», girato a Lanciano con Monica Bellucci e Vincent Cassel, a questo «Cover boy» sono passati dodici anni: perché così tanto tempo?
«Il sistema cinematografico del nostro Paese è impantanato in un sistema basato sui privilegi. I film, i progetti, le persone sempre più spesso sono scelti, non in base ai meriti professionali, ma in base alle conoscenze, alle parentele, ai maneggi, alle spartizioni politiche. Tutto questo rende difficile realizzare qualcosa di nuovo e di diverso. O sei all’interno di questo sistema - che è uguale a quello televisivo - oppure non ti fanno lavorare, ti bocciano i progetti. Il progetto di “Cover boy” è stato fermato due volte dal ministero: una via crucis».
Quanto è stato importante per lei lavorare con Monicelli per la sceneggiatura del film «Parenti serpenti»?
«Monicelli mi ha insegnato il cinema. Mi ha confermato nella mia idea di un cinema normale. Lui non ha mai pensato di fare qualcosa di artistico, si considera un artigiano che fa il suo mestiere. Mi ha insegnato la semplicità, quel tipo di cinema che i maestri italiani di un tempo sapevano fare, che facevano bene e con felicità».
Come è presente l’Abruzzo nelle storie che lei scrive e dirige?
«“Parenti serpenti” era ambientato a Lanciano, anche se l’hanno girato a Sulmona perché Monicelli considerava Sulmona una città più cinematografica di Lanciano. “Come mi vuoi” è ambientato e girato a Lanciano e sul litorale. In “Cover boy” il protagonista italiano, a un certo punto, dice di essere di Lanciano. Io sono orgogliosissimo delle mie radici abruzzesi e lancianesi. Vengo da una terra e da una cultura, quella contadina, che rivendico per la sua eticità. Mi dispiace solo che la mia comunità non sostenga a sufficienza gli artisti abruzzesi».
---

Sphere: Related Content

Charlotte di “Sex and the city” in un video porno. Ma per Panorama è una patacca. Guardate le foto e decidete voi.

(Panorama) Il sito “Tuttogossip” ha messo online alcuni fotogrammi molto espliciti di Kristina Davis, l’attrice che interpreta Charlotte, la santarellina di Sex and the city. E alcuni blogger lasciano intendere che ci sia dell’altro. Ma dall’entourage dell’attrice negano: quella non è Kristin, è solo una ragazza che le somiglia.

Ndr. E dell'altro c'è, eccome infatti, l'attrice nega di essere lei nel video che la ritraggono nel corso di una "seduta" di sesso orale ma non nega che le foto in cui la ritraggono nuda siano le sue. Probabilmente Ron Jeremy ha proprio ragione...

Sphere: Related Content

Pavia accusa al Ploclinico: "Io, licenziato perché gay". Ma dall'ospedale negano.

(TGCom) "Mi hanno licenziato perché sono gay". E' la denuncia di un 22enne di Agrigento che accusa il Policlinico di Pavia di aver troncato il rapporto, al termine di un periodo di prova al Servizio di Radiologia, per ragioni legate al suo orientamento sessuale. Il San Matteo: "Nessuna discriminazione - chiarisce il direttore generale -. E' una teoria assurda e offensiva". Il provvedimento, spiegano, è stato preso per motivi professionali.
"Sono arrivato dalla Sicilia con la promessa di un lavoro, come tecnico radiologo - rivela il giovane sulla 'Provincia pavese' - Ma dopo neanche due mesi il policlinico mi ha liquidato. Perché? Io credo sia per il mio aspetto, perché sono gay. In realtà il mio lavoro l'ho sempre fatto con scrupolo". Una motivazione che il San Matteo contesta con fermezza.

Il caso del tecnico radiologo è al vaglio di una commissione allargata, di cui fa parte anche il coordinatore che ha motivato il licenziamento. Dalla sua il giovane ha una dozzina di firme, quelle dei colleghi che hanno lavorato con lui in queste settimane e che trovano ingiustificata la decisione. Ma nel polverone che il caso sta sollevando "emergono aspetti poco chiari - scrive il quotidiano lombardo - A cominciare dalle firme che, si dice, siano anche una palla al balzo colta per segnalare un disagio interno nelle relazioni professionali. C.D. si è rivolto ai sindacati all'inizio di marzo (a più di un'organizzazione all'interno dell'ospedale) dopo aver ricevuto la comunicazione dell'interruzione del rapporto di lavoro. Un incarico a tempo determinato che prevedeva due mesi di prova".
"Credo sia una questione personale - dice il giovane tecnico - non professionale. Per il mio aspetto fisico, per come mi presento. Ma così è discriminatorio".

Sphere: Related Content

"I video hard? Messi apposta in Rete", parola di pornoattore.

(Tiscali notizie) "Perché non la piantano di fingersi scandalizzati? I loro video hard finiti su Internet sono una gran cosa, dovrebbero esserne orgogliosi". A parlare così è Ron Jeremy, mito del porno che ha deciso di intervenire a proposito dei cosiddetti sex tape, cioè i filmini a luci rosse fatti in casa da celebrità e poi diffusi sul Web, apparentemente contro la loro volontà.

Pam, Paris e gli altri: valore aggiunto - Ron Jeremy non ha dubbi: "Sono un collezionista di quei video, li ho tutti. Ho visto in azione Pamela Anderson e Paris Hilton, ho apprezzato moltissimo Kim Kardashian, non me ne sono perso uno. Però la piantino di fare gli scandalizzati. Mi gioco quello che volete che quei video porno casalinghi sono stati realizzati apposta perché fossero resi di dominio pubblico su Internet. Quello di Paris Hilton è davvero ben fatto. Tutti quei video hanno rivitalizzato l'attenzione attorno all'industria del porno".
Lo scandalo porno aiuta - Icona controversa del mondo del porno, il corpulento Ron conclude con una staffilata: "Adoro le scuse che questa gente tira fuori. Frasi tipo: oddio, come hanno fatto a venirne in possesso? E' troppo divertente. Tutti sanno molto bene che mostrarsi con un video porno online, anche se sei una mezza calzetta, ti farà fare un balzo di celebrità altrimenti impossibile".

Sphere: Related Content

Chad Allen interpreta al cinema un ruolo gay.

Janeane Garofalo e Chad Allen reciteranno in For Better or for Worse (Nel bene e nel male).
Un matrimonio gay sarà al centro della trama della commedia For Better or for worse (nel bene e nel male), che sarà diretta da Joshua Tunick, con la produzione di Brad Rowe.
Il cast è stato annunciato e include Janeane Garofalo, nata nel New Jersey, attrice statunitense di origini italiane e irlandesi conosciuta per la sua partecipazione alla settima serie del telefilm 24, Chad Allen, Rebecca Gayheart, Soleil Moon Frye, e Patrick Muldoon.
La trama ruota intorno a due sposi, e alle loro questioni familiari legate al giorno di nozze. Il film sarà girato nel corso di sei giorni, con un paio di videocamere digitali, la prossima estate.

Sphere: Related Content

Gf8. La Arcuri e lo spogliarello dei maschietti. I video completi.

Mario, Francesco e Roberto, i tre "boys" di punta del Gf8, ospiti dalla De Filippi per uno spogliarello gestito da Manuela Arcuri. Niente di speciale per carità ma i tre si dimostrano molto disinvolti ed affiatati tra loro. Tutto fa brodo pur di alzare un audience che si dimostra sempre più stitico...
---

---

---

Sphere: Related Content

Il re del gossip italiano. Roberto D'Agostino: "Sono gay dalla cintura in su".

«Il pettegolezzo è l’unica forma di giornalismo. Briatore è il gigante della comunicazione cazzona».

(Claudio Sabelli Fioretti - La Stampa) Nato a Roma nel ‘48, Roberto D’Agostino ha debuttato a 16 anni come disc-jockey nella trasmissione radiofonica «Bandiera gialla» con Arbore e Boncompagni. Giornalista pubblicista, esperto di look a «Quelli della notte», ha aperto su Internet «Dagospia», uno dei siti più seguiti per pettegolezzi e scoop sul mondo economico e politico italiano

Per alcuni è un pettegolo, un seminatore di zizzania, un superficiale. Per altri è un giornalista libero, informato, coraggioso. La maggior parte dei computer delle aziende e dei giornali italiani hanno il suo sito, Dagospia, perennemente aperto sui loro monitor. Lui, Roberto D’Agostino, incassa 300 mila visite al giorno e anche tante querele. «Soprattutto da altri giornalisti», si lamenta.

Da chi per esempio?
«Dal Corriere della Sera. Ostellino, Folli, Ermini...»

Lo stesso Romiti...
«Con lui ho risolto con una bella cena. Gli altri sono stati tremendi. Io mi aspettavo querele da banchieri, da politici, non da colleghi. E poi che cifre! Condannato a pagare 160 mila euro a Ostellino, per aver scritto che voleva tornare a dirigere il Corriere. Follia».

La rubrica di Dagospia più famosa è Cafonal, la foto-cronaca di Umberto Pizzi delle cene dei salotti romani...
«Il cafonalesimo è la cafoneria trasformata nel massimo rito sociale della comunicazione. Cafonal è l’esibizionismo pacchiano che travolge tutti. Tutti vogliono comunicare agli altri chi vorrebbero essere, tentando di far dimenticare chi sono veramente».

Il campione del cafonal?
«Il cafonal per eccellenza è Berlusconi, l’irresistibile parvenu brianzolo. Felice di aver messo un piedino nel salotto buono di Mediobanca. Quando Mediobanca non conta più niente, destinata ad essere inglobata dalle Generali».

Altro cafonal?
«Anna Finocchiaro. Atteggiamento da infermiera sadica (“Vieni qui, che ti infilo la supposta”). E poi va alla cene dell’Angiolillo con un groviglio di peli di un branco di lupacchiotti spiaccicati spacciati per un cappotto. E Veltroni. Il buonismo è cafonalissimo ipocrita».

Cafonal economico? Ricucci?
«Ma no, Ricucci non è cafonal, è ruspante».

Dagospia è un affare?
«Dagospia è stata la mia terapia. Superati i cinquant’anni, avevo bisogno di riprendermi dalle vicissitudini che avevo avuto con la carta stampata dove facevo pagine e pagine di vita pettegola su l’Espresso. Una rubrica chiamata Spia».

Quali erano le tue fonti?
«Feste tutte le notti. Anche tre a volta. Stare a casa a vedere la tv mi faceva passare la voglia di fare sesso. Alle cene conoscevo tutti e tutti mi raccontavano delle storie, anche i giornalisti. Mi dicevano: alla Rai è successo questo. Il giorno dopo sui giornali non c’era scritto niente. Non capivo per quale motivo loro non le scrivessero. E allora le scrivevo io. Poi ho commesso degli errori. Non ho capito che se scrivevo certe cose sull’avvocato Agnelli prima o poi pagavo».

Che cosa hai scritto?
«Una cazzata. Scrissi che ad Auckland Bertelli aveva detto che “l’Avvocato porta sfiga". Se avessi scritto "gufare" non sarebbe successo niente. Ma scrissi "porta sfiga". La parola sfiga è stata micidiale... Fine della mia rubrica sull’Espresso».

Eri a spasso.
«Barbara Palombelli mi consigliò: apri un sito, ti sfoghi e scrivi quello che ti pare».

Tanto gossip anche su Dagospia...
«All’inizio. Ma poi ho scoperto che l’economia e la finanza avevano preso il sopravvento sulla politica. Una settimana dopo aver lanciato il sito mi arrivò la notizia che Tatò, amministratore delegato dell'Enel, stava studiando lo sposalizio fra telefonini e televisione. Nel frattempo aveva fatto in modo che sua moglie Sonia Raule venisse nominata direttore dei programmi di Tele Montecarlo. Io all’epoca non ero così smaliziato da capire che dando la notizia avrei bruciato l'operazione. Titolai "Sonia e lumière" e successe un casino. Così capii che non erano le scopatine degli attori ad interessare i miei lettori, ma l’insieme gossip-potere- economia».

I tuoi scoop?
«Fui sbeffeggiato quando annunciai con due giorni di anticipo la nomina di Folli a direttore del Corriere. Nessuno ci credeva. Mi dicevano: “Così perdi credibilità”».

Chi sono i tuoi informatori?
«Il potere invisibile. Mi contattano persone insospettabili, quelle che muovono davvero il teatrino dei burattini».

Non hai mai il sospetto di essere strumentalizzato?
«Sempre».

Cossiga è un tuo informatore?
«E’ di più. E’ la guida spirituale di Dagospia. E’ stato il primo a darmi fiducia. All’epoca della guerra da parte di Profumo e Geronzi a Maranghi per la conquista di Mediobanca, Cossiga scelse Dagospia come veicolo per picconare a difesa di Maranghi».

Oltre Cossiga anche altri... Calabresi... Mieli... Rossella...
«No. La verità è che tutti collaborano a Dagospia, in un modo o nell’altro».

La tua vita.
«Padre saldatore, madre bustaia. Sono nato in via dei Volsci, quella degli autonomi romani. Ho vissuto in quel quartiere fino a trentasette anni. Sono andato a lavorare a 18 anni, come ragioniere, alla Breda. Mia madre faceva i reggiseni su misura all’amante di un leader socialdemocratico. Ottenne una raccomandazione per la Cassa di Risparmio di Roma. Era il ’68. Avevo 20 anni».

Hai fatto il ’68...
«L’anno cruciale per me è stato il ’64, Bandiera Gialla, Arbore, Boncompagni, Zaccagnini. Andavamo a via Asiago, nella sede Rai. Stavamo seduti lì, in studio, accanto a Lucio Battisti, Loredana Bertè, Renato Zero... E la sera andavamo al Piper. Una volta eravamo su una 500 con Renato Zero e avemmo un incidente. Finimmo dentro un negozio di pompe funebri in via Sicilia. Ci portarono al Policlinico. Zero, che allora non era ancora Zero, ma era già tutto truccato, capelli lunghissimi, pantacollant, lo ricoverarono direttamente al reparto femminile. La nostra passione era la letteratura anglo-americana. Ricordo il nostro incontro con Fernanda Pivano. Per noi era un mito. Ci presentammo io e Paolo Zaccagnini all’Hassler vestiti da Kerouac e Ginsberg de’ noantri, gilet da mercatino dell’usato, jeans stracciati, capelli lunghissimi, proprio on the road. Entrammo ma non vedemmo nessuna signora beatnik. Dissi a Paolo: “Ci ha dato la buca”. Poi il portiere: “La signora Pivano è quella signora bionda vicino al pianoforte”. Rimanemmo a bocca aperta. Caschetto, tailleur, filo di perle, tacchetto basso. Era lei».

Dagospia ti ha procurato un sacco di nemici. Celli…
«La Rai per Dagospia è sempre una pacchia. Se ogni giorno faccio un articolo sulla Rai ho assicurati ventimila navigatori in più. Celli era il direttore generale della Rai. Litigare era inevitabile. Oggi siamo amici».

Maria Angiolillo...
«Ce l’ha con me perché scopro quando lei fa le sue cene di potere. Ma io le voglio bene. Per me è un mito di Roma, come Romolo e Remo. Quando la cito scrivo “Mariasaura Angiolillo, fondata nel 1918”. E scrivo che accende il forno con la pietra focaia. Da piccola aveva come animali domestici due pterodattili».

Afef...
«Le sciure milanesi ce l’avevano con lei perché si era pappato Tronchetti Provera. Facevano a gara a mandarmi notizie. Linciaggio di carattere razzista con sottofondo di invidia. Afef giustamente si incazzò. Mi sono pentito di aver esagerato. Le ho chiesto scusa».

Vittorio Sgarbi?
«Su quello schiaffo ho campato per anni. Mi fermavano per strada e mi dicevano: “In quella mano c’ero anche io”».

Perché lo schiaffo?
«Eravamo all’Istruttoria di Ferrara. Sgarbi mi stava travolgendo con la sua parlantina. Ero in un angolo. Allora incalzai: “Professore de che? Sei un asino. Per tre volte hai fatto l’esame per la cattedra e per tre volte sei stato bocciato”».

E lui?
«Cominciò a urlare. Io gli ripetevo: “Asino. Bocciato tre volte. Asino. Bocciato tre volte”. Artificio retorico. Ripetere, ripetere, ripetere. Ogni volta aumentavo il volume. Lui mi tirò in faccia la minerale. Io provai a spaccargli la bottiglia in testa, lui la bloccò, io lasciai e con la mano libera partì lo schiaffone».

Avete fatto pace?
«Mi offrirono un sacco di soldi per farlo in tv. Rifiutai sempre. Lui avrebbe voluto. Anche se continuava a considerarmi uno stronzo. E anche io».

Raoul Bova?
«E’ un ingrato. Ho girato solo un film nella mia vita, un film sciagurato e trascendente, “Mutande pazze”. E ho fatto debuttare Raoul Bova sul grande schermo. Una volta diventato famoso poteva anche, en passant, citare il fatto, no? Invece mai. Lo so, è una piccineria da parte mia. Mai una volta che avesse detto: “Ringrazio D’Agostino che mi ha scelto nel mucchio…”».

Stefano Folli...
«Aveva dato la sua prima intervista da direttore del Corriere ad un mensile della destra post-fascista, e aveva parlato bene di Fini».

Tu hai scritto: “Camerata Folli”.
«Gli ho telefonato per chiedergli scusa. Mi ha sbattuto la cornetta in faccia».

Quanto tempo hai lavorato in banca?
«Dodici anni. Ma intanto avevo cominciato a scrivere di musica. Ho fatto anche il disc-jockey al Titan, che era la prima discoteca rock per compagni sbandati (’77). Ho lavorato all’estate romana di Nicolini. Ho scritto per “Moda”, il giornale di Vittorio Corona, dove mi inventai l’edonismo reaganiano, il look e quelle cosette lì».

Michele Serra disse: «D’Agostino è tutto quello che io non sono, lui ama il look io la bellezza».
«Infatti, il famigerato look ha stravinto anche a sinistra (il marinaretto D’Alema, il cachemirizzato Bertinotti, la chanellizzata Pollastrini). La bellezza serve ma non apparecchia la comunicazione. In fondo, cosa diceva Longanesi? “Il superficiale è l’unico essenziale”».

Per chi voti?
«Da Bertinotti ai radicali, da D’Alema a Rutelli, ho votato tutti… ma sempre a sinistra.»

Hai dato soprannomi a mezza Italia.
«Pierfurby Casini, Daniela Santadeché, WalterEgo Veltroni, Marpionne».

Fosti tu a definire Prodi «la mortadella dal volto umano».
«E Cossiga il Gattosardo. De Benedetti è la Tigre di Compracem. Brass il Cinecologo dell’erotismo. Armani, Trenta e loden. Valentino è il Sarto Cesareo. Funari, la Forza dell’intestino. E Barbara, la Palomba».

Non parli mai male della Palombelli.
«Sono affetto da palombellismo. E’ la mia ideologia politica, il cinismo romano (perché escludere, quando si può aggiungere?), l’andreottismo letta-letta (tra destra e sinistra, meglio il centro-tavola), la convinzione che qualsiasi problema si può risolvere attovagliati al Bolognese. Quello che oggi è tragedia, domani è farsa. Meglio evitare prese di posizione all’ultimo sangue».

Di chi altri non parli male?
«Di Cossiga, Boncompagni, Arbore. Renzo può anche stuprare la Angiolillo sugli scalini di Trinità dei Monti. Io scrivo che l’Angiolillo l’ha molestato oltre misura».

Quali sono i salotti migliori secondo te?
«Quelli che hanno il giusto mix. Il parrucchiere frocio, lo scrittore moscio, la poetessa lesbica, il compagno tradito dalla Storia, il prete mondano, l’imprenditore gagà. Deve esserci il poeta scalzo Valentino Zeichen ma anche Paolo Villaggio in pantofole, Lisa Vanzina e l’ultima zoccola della tv. Un salotto senza una bombastica sgallettata non è un salotto. Occorre farsi anche due risate».

Qual è il giornalista che ti piace di più?
«Filippo Ceccarelli. Scrive benissimo risparmiandoci il suo ego».

Quello che non ti piace?
«Mi irritano quelli che pur avendo talento, lo sprecano».

Nomi.
«Francesco Merlo. E’ bravissimo. Ma perché spreca tutto quello spazio con i ricami? Che cos’è, il barocco siciliano?»

C’è un pettegolezzo che non hai scritto?
«L’ho scritto senza scriverlo. Quello di un esponente di primo piano di Forza Italia buttato fuori casa dalla moglie per aver messo incinta la sua amante. Ma siamo sotto elezioni. Ed è riuscito a farsi dare una proroga: farà fagotto il 15 aprile, ad urne aperte».

La televisione che non ti piace?
«Fabio Fazio. E’ un trottolino amoroso. Veltroni in confronto è Attila. Marzullo è Jack lo Squartatore».

Gioco della torre. Luca Sofri o Adriano Sofri?
«Li butto tutti e due. Adriano Sofri ci racconterà mai quello che sa dell’assassinio di Calabresi?»

Afef o Sonia Raule?
«Afef è il massimo della simpatia maschile, tendenza finocchiona».

Santanchè o Mussolini?»
«Quando la duciona butta la bocca avanti è la commedia all’italiana che ti mangia»

Cossiga o Andreotti?
«Andreotti è dentro di noi. Ognuno di noi ha il suo pezzo di Andreotti».

Travaglio o Santoro?
«Travaglio è come il dottor House: elenca i misfatti delle persone con la freddezza di una Tac».

Briatore o Della Valle?
«Forza Briatore… Un gigante della comunicazione cazzona, quindi perfetta per i nostri tempi».

Grasso o Dipollina?
«Salvo Beniamino Placido. Grandissimo critico: ha applicato la cultura della contaminazione interdisciplinare alla tv».

Il pettegolezzo è giornalismo?
«E’ l’unica forma di giornalismo. E di letteratura. Arbasino è stato un grande scrittore di gossip. “Fratelli d’Italia” è un libro di pettegolezzi. Come la ”Ricerca del tempo perduto”…».

Il giornale più pettegolo in questo momento?
«Tutta la stampa è piena di robaccia, che per me è roba buona. Io leggo e taglio di tutto. E pubblico. Forzando un po’ il titolo. I quotidiani ammorbidiscono i titoli. Io li ravvivo. Prendi il Sole 24 Ore. Nemmeno quando cade il governo titolano “Prodi è caduto”. Sono formidabili: riescono a fare titoli senza la minima asperità. Sono degli arrotondatori di titoli».

Le cose peggiori che hanno detto su di te?
«Quando facevo il lookologo a “Quelli della notte“ dicevano tutti che ero gay».

Sei gay?
«No. Ma sono stato sempre di cultura gay. Sono frocissimo dalla cintura in su. Sono finocchio come è finocchia Afef, come è finocchia Irene Ghergo. La cultura etero è noiosissima».

Sphere: Related Content

GF8. Attrazioni gay? Tra Gianfilippo e Roberto è "amore"?

(Gaywave) Continuano le avventure di Gianfilippo e Roberto, concorrenti del Grande Fratello sempre più legati (nonostante qualche ultima piccola scaramuccia) e sempre più intimi. Naturalmente non sappiamo se fra i due ragazzi sia scattato qualcosa di più dell’amicizia, anche se qualche sospetto ci è già venuto. Magari si tratta soltanto di un affetto complice tipico dei commilitoni, costretti ad essere reclusi insieme per tanto tempo, ma in rete i pettegolezzi sui due ci sono e questo video scovato su youtube ne è una prova.

Entrambi provenienti dal bel mondo, entrambi ricchi ed beneducati (anche delicati in diversi loro atteggiamenti) Gianfilippo e Roberto sin dall’ingresso nella casa del Gf8 hanno dichiarato il loro affetto e la loro stima reciproca, lasciandosi andare in atteggiamenti confidenziali.
Tra scherzi, battute, risate e divertenti gag, i due concorrenti stanno sempre insieme. Cucinano insieme, dormono spesso insieme, parlano tanto e si confidano.
Non vogliamo fare la parte di quelli che non appena due ragazzi si mostrano in intimità calano il sospetto di una celata omosessualità, ma un po’ per gioco un po’ perché in fondo in fondo siamo anche un po’ cattivelli, permetteteci di instillare un dubbio, lecito e fatto senza brutte intenzioni.
---

Sphere: Related Content

Dan Gillespie: "Gay dichiaratevi!".

Così il frontman dei The Feeling Dan Gillespie: "Gay uscite allo scoperto come me e vivremo felici!".

(TGCom) In Italia i The Feeling sono famosi per il singolo "Sewn" tratto dal primo cd "Twelve Stops and Home" del 2006. In attesa di pubblicare in Italia "Join With Us" il leader del gruppo, Dan Gillespie, si è confessato al tabloid Sun. Il cantante, cresciuto da due lesbiche, si è dichiarato gay nel 2006 e auspica una "società libera in cui tutti possono esprimersi". Invita così gli omosessuali a dichiararsi senza paura per render tutto più semplice.

“Il mondo sarebbe più sano - ha detto Dan - se le persone fossero più oneste riguardo la loro sessualità, così come l´industria dello spettacolo. Ovviamente bisogna farlo per se stessi e non per gli altri". Ha poi conluso: "Non è bello vivere nella menzogna".

I The Feeling sono cinque ragazzi inglesi provenienti da Sussex e Londra: Dan Gillespie Sells - voce, chitarra; Kevin Jeremiah - chitarra, voce; Richard Jones - basso, voce; Paul Stewart - batteria e Ciaran Jeremiah - tastiere, voce. Il disco di debutto "Twelve Stops and Home", trainato dal singolo di successo "Sewn", è uscito il 5 giugno 2006 in Inghilterra e poi il 27 febbraio 2007 in America.
---

Sphere: Related Content

Il cappottino per il pene? Si, per solidarietà.

(Antiblogger) La sensibilità verso chi passa le pene dell’inferno (è proprio il caso di dirlo!) a causa dei malanni che affliggono il suo pene può far aguzzare l’ingegno. Come non ammirare la genuina trovata di tale Shannon Gerard, audace bloggatrice canadese, la quale, per una giusta causa, ha deciso di mettersi sotto con i ferri, sfornando questi curiosi “arnesi”. Ovviamente questi falli tanto carucci e morbidosi non sono stati creati per essere utilizzati come delle protesi, o per farne usi che Ruini non approverebbe, ma per venire indossati ai party di compleanno e soprattutto per finanziare la lotta contro i tumori. Per ogni pene venduto pare che vengano devoluti 5 dollari alla ricerca contro il cancro ai testicoli.

Per par condicio, Shannon ha pensato anche a noi femminucce, ahimè, scarsamente dotate di airbag sostitutivi, creandone degli appositi (i peni sono molto più belli però, diciamocelo). Un’ottima e sana alternativa alla chirurgia plastica che potrebbe entusiasmare perfino le nostre nonne, accendendo la loro fantasia creativa (dite la verità, un bel penone in regalo al posto del solito centrino o maglione non vi piacerebbe?)

Sphere: Related Content

Cinema. Crimini e misfatti in nome dell'arte. Lo Scamarcio di Rubini è maledetto.

Nel noir "Colpo d'occhio" il divo più amato dalle ragazzine cambia registro è protagonista di un triangolo amoroso si trasforma in uno scontro mortale. Il regista e co-protagonista: "E' un film che ruota intorno alla nostra ambiguità". E tra i due antieroi c'è la donna contesa, Vittoria Puccini: con tanto di nudo integrale...
(Claudia Morgoglione - La Repubblica) Avvertenza d'obbligo: Colpo d'occhio non è un film adatto alle scamarcine, le fan teenager di Riccardo Scamarcio che stravedono per le sue pellicole adolescenziali. Stavolta infatti il divo cambia registro e affronta una storia decisamente adulta, diretta (e co-interpretata) da Sergio Rubini. Con atmosfere più nere del nero. E tutta centrata sullo scontro mortale tra i due personaggi principali: da un lato un giovane, bello e talentuoso scultore; dall'altro un uomo di mezza età, principe dei critici d'arte, capace di fare e disfare le fortune di chiunque. Uniti e insieme divisi, col classico meccanismo noir del triangolo amoroso, dall'amore per una donna.

LA GALLERIA FOTOGRAFICA

VIDEO: LA CONFERENZA STAMPA di CHIARA UGOLINI

"L'idea del film - racconta Rubini, alla conferenza stampa di presentazione - è nata così: sapevo che Riccardo, pugliese come me, aveva una certa simpatia e stima nei miei confronti, ma non avevo ancora trovato un ruolo adatto a lui. Così una volta l'ho invitato a casa mia. E mentre lo aspettavo, mi sono chiesto: cosa succederebbe se questo ragazzo che viene da me pensando di trovare un amico, un punto di riferimento, trovasse invece un nemico, qualcuno disposto perfino a ucciderlo, che invidia il suo talento e la sua giovinezza? E cosa succerebbe, dall'altro lato, se in questo ragazzetto ci fosse la volontà di portarmi via tutto, pur di raggiungere i suoi scopi? Da questo doppio pensiero negativo, è nato Colpo d'occhio".

E in effetti la pellicola - in uscita il 20 marzo - si concentra esclusivamente sull'incontro-scontro tra i due personaggi principali. Tutto comincia quando, a una mostra, Adrian Scala (Riccardo Scamarcio), giovane scultore praticamente sconosciuto, incontra una bella esperta d'arte, Gloria (Vittoria Puccini): tra i due, inevitabilmente, scoppia la passione. Il problema è che lei è, da sedici anni, la compagna inseparabile del re dei critici d'arte, Lulli (Sergio Rubini). Che viene scaricato, con Gloria che va a vivere col nuovo compagno.

Ma Lulli non si arrende. Si trova un'altra compagna (Paola Barale) e riesce a entrare nella vita di Adrian, sfruttandone l'ambizione, plasmandolo a sua immagine e somiglianza. Provocando la crisi del rapporto tra il ragazzo e la sua partner, e svelando il lato senza scrupoli della sua volontà di raggiungere la fama. Un gioco del gatto col topo, a cui la donna assiste impotente, e che porterà a conseguenze estreme... non diremo di più, per non rovinare il finale.

Quanto alla storia, il regista spiega che "ruota intorno all'idea del successo: non quello ignorante della tv, ma il riconoscimento di quello che vali. Ma la vicenda ruota anche intorno all'ambiguità dei personaggi: in fondo, Adrian e Lulli rappresentano ciascuno la zona d'ombra dell'altro. Uno incarna l'istintività, la leggerezza dell'artista; l'altro la razionalità dell'intellettuale".

Certo che, sullo schermo, entrambi sembrano, in molti momenti, dare il peggio di sé. Ma le simpatie di Rubini, tra i due, "vanno tutte allo scultore: perché è uno che comunque sa commuoversi, sa cambiare idea. Invece la ragione è più profonda, ma non ha mai un cambio di marcia. In questo senso, il film è contro di voi (critici, ndr) e contro di noi: contro questa ragione che ci attanaglia. Siamo tutti super-intelligenti, ma super-tristi".

Al di là dei contenuti, resta il fatto che si tratta di un film difficile da interpretare. E se Rubini si muove sullo schermo col consueto carisma, Scamarcio a volte sembra fare un po' di fatica: "Questo tipo di recitazione così non naturalistica, così poco improvvisata e tirata via, per me è stata una sfida - racconta l'attore - avevo molta voglia di fare un percorso del genere. Una novità anche nel rapporto col regista: di solito io resisto ad affidarmi completamente a chi mi dirige, ma stavolta Rubini mi ha fregato...".

Quanto alla protagonista femminile, la Puccini sullo schermo si fa notare anche per alcune sequenze di nudo integrale frontale: "Avevo già spogliato Vittoria in un altro film, Tutte le donne della mia vita - racconta Rubini - e avevo voglia di rifarlo: la sua nudità non ha nulla di volgare. E comunque non è stato facile trovare una ragazza di 25 anni credibile, nel ruolo di una intellettuale".

Ultima annotazione: nel film vediamo tante suggestive sculture contemporanee, tutte realizzate dal consulente del film, l'artista Gianni Dessì. Che oggi, in conferenza stampa, ammette che la pellicola, nel suo ambiente, un po' di maretta l'ha già creata: "Percepisco una leggera irritazione - rivela - per essere usciti dal recinto protetto in cui ci muoviamo". L'ultima parola, anche su questo, spetta però al regista: "Se qualcuno nel mondo dell'arte si incazza, a noi non fa che piacere...".

Sphere: Related Content