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lunedì 25 agosto 2008

Malcostume. Il titolo di "onorevole" per Grillini è come i diamanti: per sempre...

Che sia stato trombato è un dato di fatto ma pare che l'ex onorevole Franco Grillini, ami dimenticarsene, spesso ma soprattutto volentieri. Infatti in un comunicato no e tre si (noi li riceviamo in redazione), ama continuare a firmarsi "Onorevole Grillini". Eccovi alcuni esempi, [1][2] [3] [4] [5] [6] ... tra cui uno di oggi ma, la letteratura è più vasta... Si sa che agli italiani piacciono i titoli dinnanzi al nome, avvocato, dottore, ingegnere, professore, ecc, conquistato magari con sacrifici e nottate a studiare, vengono poi quelli conquistati sul campo come cavaliere, commendatore, grand'ufficiale e poi presidente ed onorevoli e questio, sebbene sia passeggere come la legislatura, ti resta appiccicato addosso... Per carità un peccatuccio veniale, forse solo vanità, certamente non dimenticanza, farebbe un torto alla sua intelligenza e comunque la dice lunga su come la politica e soprattutto i palazzi del potere, possono cambiare le persone... o forse è colpa del suo ufficio stampa... Certo possiamo dire con tutta la simpatia che merita la persona, non è un Cincinnato. (Aspis)
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AGGIORNAMENTO
Continueremo ad aggiornare questo post perchè l'ex onorevole persevera
[7] [8] [9]

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Gabriel Garko: "Io single? No, era solo una crisi".

(Affari italiani) Io single? No, ero solo in crisi con la donna di cui mi sono innamorato due anni fa, Sara, incontrata per caso a una cena e che non fa parte del mondo dello spettacolo. Adesso ci siamo riuniti. Siamo in fase decisionale". Così al settimanale "Grazia", diretto da Vera Montanari, in edicola martedì 26 agosto, l'attore Gabriel Garko smentisce le voci che circolavano sulla sua vita privata.

E sul rapporto con la collega Isabella Orsini, con cui ha girato alcune scene calde nell'ultima fiction di Canale 5 "Il sangue e la rosa", chiarisce: "Capita che sia io sia la mia partner ci si innamori del personaggio che stiamo recitando, e quindi si venga trasportati da un sentimento suscitato dall'immedesimazione, dal sentirsi calati nella storia. Con Isabella Orsini non è successo nulla, perché io sono fidanzato".

Infine, Gabriel Garko fa autocritica: "Sono geloso e forse permaloso. Il brutto è che lo dimostro dopo, non subito. Se mi sento offeso da qualche atteggiamento di una donna, sto zitto e a distanza di tempo la ricambio con la stessa moneta".

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Arcigay Roma. Sosteniamo la candidatura di una persona coerente.

Federica Pezzoli si candida all'Arcigay di Roma.
(Nicola Tranfaglia - Articolo 21) Siamo in un paese anomalo nel quale le leggi che riguardano quelli che sono deboli o diversi sono assai di rado fedeli allo spirito e alla lettera della costituzione repubblicana. Purtroppo, a sessant’anni dai giorni fervidi del testo costituzionale, le cose non sono cambiate e, al contrario, rischiano di peggiorare notevolmente in un futuro assai vicino, come sanno bene gli amici e i lettori di Articolo 21. In questa situazione una candidatura come quella di Federica Pezzoli alla presidenza dell’Arcigay di Roma mi fa pensare che anche noi osservatori esterni di quella associazione abbiamo qualcosa da dire.
Riteniamo cioè che, al di là delle ideologie, conti molto quello che può garantire una persona che accetta di lavorare per gli altri, dentro e fuori un’associazione che difende in questo paese i diritti di tutti gli italiani come degli stranieri che vengono in Italia e accettano di osservare le nostre leggi.
Oggi c’è un grande bisogno del protagonismo non solo delle istituzioni chiamate a osservare e difendere la nostra costituzione ma anche della società più larga fatta di persone che lavorano nel nostro paese e ne condividono le leggi.
Oggi l’opinione pubblica è debole, la destra domina il governo e il parlamento e i mezzi di comunicazione preferiscono tacere o mistificare la realtà quando c’è qualcosa che può dar fastidio ai potenti e ai loro amici.
Di qui nasce la necessità di far quello che possiamo fare con la parola e con l’azione di sostenere chi, nella sua esperienza, si è sempre comportato in maniera coerente rispetto ai valori costituzionali e propri di un’umanità civile ed evoluta.
C’è, intorno a noi molta ignoranza e molta inciviltà. Le Chiese si schierano, soprattutto quella cattolica di Roma, a fianco di chi ha il potere e sembrano dimenticare il vangelo di Cristo e il senso stesso della dottrina cristiana.
Non sarà sempre così, speriamo, ma dobbiamo tener conto di quello che è oggi il clima della penisola, e sappiamo che Federica Pezzoli può svolgere un lavoro rigoroso e serio a favore di chi è oppresso dai pregiudizi e dalla xenofobia condita di razzismo.
Siamo preoccupati per le nuove generazioni che sempre di più trovano punti di riferimento legati a una vecchia cultura autoritaria e arretrata rispetto alle parole d’ordine più avanzate della democrazia planetaria. C’è chi ancora sostiene la pena di morte, la lotta a chi sarebbe fuori di una natura dipinta come l’esclusivo regno dell’uomo piuttosto che del mondo di tutte le specie animali.
Per queste ragioni, legate alla drammatica realtà di oggi, sosteniamo la sua battaglia e ci auguriamo che possa rappresentare, accanto a tutti gli iscritti dell’Associazione, anche quelli che hanno difficoltà a trovare un avvocato o un’istituzione repubblicana che li rappresenti.

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Torna George Michael con un concerto a Londra e un singolo a Natale.

(Sky tg24) Registrare il tutto esaurito per lui non è certo una novità. Ma sicuramente gli ultimi due concerti della sua carriera a Londra, almeno a quanto dice, avranno avuto un sapore tra il malinconico e il sentimentale. George Michael saluta una affollatissima Earl Courts Arena dicendo ai fan provenienti da tutto il mondo"E' bello essere a casa". Loro rispondono con applausi, calore e forse la speranza che The final two, questo il titolo delle due esibizioni finali del 45enne cantante inglese, non siano effettivamente tali.


Un singolo natalizio per George Michael.
(La Repubblica) La popstar ha annunciato l’uscita ai suoi fan durante il concerto tenuto ieri sera a Londra: il brano sarà inedito e sarà accompagnato dalla cover di “Feeling good” di Nina Simone, registrata dal vivo all’inizio di quest’anno negli studi di uno show televisivo in America. Dunque, sebbene Michael abbia intenzione di dire addio alla sua attività concertistica (le date di Londra e quella di Copenaghen chiudono il suo ultimo tour), il lavoro in studio continuerà in maniera alacre. Gli ‘Wham! ‘ pubblicarono nel 1984 uno dei singoli di maggior successo della loro carriera proprio nel periodo natalizio: “Last Christmas”.

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Inghilterra. I cattolici vogliono riesumare il cardinale gay sepolto accanto al suo compagno.

Polemici con gli anglicani.
(TGCom) E' polemica in Inghilterra per la decisione della Chiesa cattolica di riesumare il corpo di un celebre cardinale, John Henry Newman. Il prelato, anglicano ma poi diventato cattolico, riposa dal 1890 accanto alla tomba dell'uomo che amò e con il quale convisse per gran parte della sua vita. Secondo i gruppi gay, il Vaticano vuole semplicemente spostare Newman per coprire l'omosessualità del religioso.

La Santa Sede respinge le accuse. La decisione di riesumare la salma sarebbe stata presa per avviare il processo di beatificazione. Per gli attivisti gay, invece, si violerebbe in questo modo il desiderio del cardinale di essere sepolto accanto al compagno di una vita.

Contrari alla riesumazione anche molti cattolici britannici. Un sondaggio condotto dalla rivista "The Church Times" ha evidenziato che la maggioranza degli anglicani è contraria a separare il cardinal Newman da padre Ambrose St. John, con il quale visse "come marito e moglie" per lungo tempo.

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Calcio & Omosessualità. I giocatori viola: "Per noi non esistono gay". Che autogol!

Calcio e omosessualità. Ne parlano i giocatori viola in un articolo che comparirà sul settimanale 'GQ'. Ecco alcuni pareri...

Donadel: "Magari qualcuno ci sarà pure, però io credo di non averlo mai incontrato".

Gamberini: "Per me, qualcuno ci sarà pure".

Frey: "Però, sai, visto che l’argomento principale nello spogliatoio è quell’altro là… Insomma, se c’è, deve dissimulare proprio bene". Gamberini: "Okay, ma se qualcuno tirasse fuori il problema, cambierebbe anche l’atteggiamento di tutti gli altri, no?".

Frey: "Scherzi? In questo mondo dove la tifoseria già ti attacca mogli e fidanzate, figurati se uno si dichiara gay. Lo massacrano. Striscioni, cori. Un inferno".

Donadel: "Comunque, negli sport Usa ci sono molti che hanno fatto coming out e sono stati accettati tranquillamente".

Pazzini: "Verissimo. Però, magari mi sbaglio, ma la mia sensazione è di non aver mai incontrato un calciatore gay".
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La Fiorentina si spoglia "Nessun gay nel calcio".
Il mensile GQ entra nel luogo proibito del calcio, lo spagliatoio, e vive tre giorni con i giocatori. Il presidente Andrea Della Valle lancia l'invito: "Caro Toni, ti aspettiamo tra due anni". I giocatori dichiarano sicuri: "I gay nel calcio? Non esistono".

(La Gazzetta dello sport) GQ nel suo nuovo numero in edicola dal 26 agosto, propone un particolare Speciale Fiorentina, grazie a un evento straordinario nel calcio moderno: aver infiltrato i suoi inviati nel luogo solitamente più inaccessibile di una società di calcio, lo spogliatoio. Lo scopo? Capire come si passa dalla C2 del fallimento alla Champions League in soli 6 anni. Per GQ, infatti, sono proprio i viola la squadra più cool del momento. Una lunga marcia separa la squadra viola da quella del fallimento. Il presidente Andrea Della Valle ha fatto incorniciare una foto scattata nel settembre 2002, prima di Sangiovannese – Florentia Viola: "Sono io con tre amici davanti alla nostra panchina, sembra una foto fatta in vacanza, è l’inizio del campionato di C2. Sei anni, ma sembra passata una vita". Da allora non è cambiata solo la ragione sociale, la categoria, la rosa, le ambizioni: sono cambiati, molto in meglio, anche i tifosi, un tempo tra i più aggressivi d’Italia, perchè, sono parole del Presidente: "Il patto con la città è chiaro: la violenza è l’unico motivo per cui la famiglia Della Valle se ne va in 24 ore". Il d.s. Pantaleo Corvino s’accontenterebbe di placare una piazza mediatica: "Se la stampa ti spara 200 giorni l’anno è critica, ma se lo fa 365 quando pure arrivi in Champions c’è qualcosa che non quadra. Ma io mica m’arrendo, lo farò soltanto quando alla mattina invece di alzarmi per andare a lavoro mi verrà da girarmi dall’altra parte. Solo così capirò che le energie dovrò dedicarle ad altro". Ma è negli spogliatoi che si scopre la vera anima della Fiorentina, questa è un’estrema sintesi dell’esclusiva chiacchierata che i big viola (Donadel, Frey, Gamberini, Gilardino e Pazzini) hanno fatto con GQ.

CALCIO E OMOSSESSUALITA' -GQ: "Luciano Moggi, in una sua recente uscita, ha dichiarato che il calcio non è per i gay".
Donadel: "Magari qualcuno ci sarà pure, però io credo di non averlo mai incontrato".
GQ: "Statisticamente mi pare improbabile".
Gamberini: "Per me, qualcuno ci sarà pure".
Frey: "Però, sai, visto che l’argomento principale nello spogliatoio è quell’altro là… Insomma, se c’è, deve dissimulare proprio bene". Gamberini: "Okay, ma se qualcuno tirasse fuori il problema, cambierebbe anche l’atteggiamento di tutti gli altri, no?".
Frey: "Scherzi? In questo mondo dove la tifoseria già ti attacca mogli e fidanzate, figurati se uno si dichiara gay. Lo massacrano. Striscioni, cori. Un inferno".
Donadel: "Comunque, negli sport Usa ci sono molti che hanno fatto coming out e sono stati accettati tranquillamente".
Pazzini: "Verissimo. Però, magari mi sbaglio, ma la mia sensazione è di non aver mai incontrato un calciatore gay".
VOGLIA DI PREMIERSHIP -GQ: "Perché Premier e Liga hanno più fascino della serie A?"
Gilardino: "Chi lo dice? Il nostro è il campionato migliore d’Europa".
Pazzini: "Be’, dai, il contorno, la tifoseria, gli stadi, il modo di vivere il calcio là sono un’altra cosa".
Donadel: "L’Italia paga lo scotto di una tassazione troppo sfavorevole. I club di Premier e Liga pagano molte meno tasse e hanno un potere contrattuale troppo forte".
Frey: "Però poi i campioni tornano tutti qui".
Donadel: "La vera differenza con la Premier è che lì non c’è un giornale che dia un voto. Vero, Gambero?".
Gamberini: "Io difficilmente guadagno l’attenzione della stampa, ed è giusto così: le prime donne sono gli attaccanti, gli Adrian Mutu, gli Jovetic, il nostro nuovo fenomeno".
Pazzini: "Be’, guarda che essere primedonne va considerato nel bene, ma anche nel male".
Frey: "Ma dai, nell’ultima amichevole c’è stato uno di noi che è stato una vergogna. Prima pagina: 'Questo giocatore da sballo'. Gamberini per 90 minuti si fa il mazzo? È un difensore e non lo vede nessuno".
Frey: "Prendete con l’Everton, abbiamo fatto barricate per 120’. Ci siamo fatti un mazzo così, poi uno tocca un pallone e fa gol. Il titolo è: 'Grande difesa'? No, è: 'Tizio trascina la Fiorentina'. Noi difensori ci mettiamo a ridere e amen".
E fuori dagli spogiatoi GQ incontra Andrea Della Valle, che racconta come in realtà col calcio italiano è dura fare soldi.
Presidente Della Valle, quale molla vi ha spinto a prendere una patata bollente come la Fiorentina, al tempo del fallimento?
"Senza un po’ di incoscienza, pure nel mondo dell’imprenditoria certi traguardi non li raggiungi. Ma qui si trattava di salvare la squadra di una delle città più belle e famose del mondo. Poi c’è chi ci ha letto una scelta legata alla nostra azienda, ma in realtà i nostri prodotti di lusso hanno poco a che fare con il mass-market del calcio".
Sinceramente: quanto guadagnate col calcio?
"Sfatiamo il mito: non si guadagna un bel niente. L’Italia è ben diversa da Inghilterra e Spagna".
Su quali aspetti si deve lavorare per ridurre il gap?
"Molti: la fiscalità è troppo pesante, c’è poca sensibilità verso i settori giovanili, troppe barriere tra società e tifosi. Quest’ultimo aspetto proprio non lo capisco: costa così poco essere educati. Io e mio fratello cerchiamo di esserlo sempre: è l’impronta che ci ha dato mio padre, e a lui mio nonno. La Fiorentina è una famiglia con 25 ragazzi? Credo di sì, con gli inevitabili problemi di tutte le famiglie".
Come, per esempio, i figli che vogliono andarsene di casa prima del tempo. Mutu però ha capito che i contratti hanno un valore.
"Non mi do pace per questa cultura contrattuale. Ma come, i contratti valgono dappertutto fuorché nel calcio? Non è mentalità italiana, è europea, si pensi al caso Cristiano Ronaldo. A noi era già successo con Luca Toni, però gli sono bastati 5 minuti per capire e rinunciare ai tanti soldi che gli aveva promesso l’Inter. E io gli dico: guadagna più che puoi al Bayern e poi torna da noi fra un paio d’anni".
La trasformazione più straordinaria riguarda la tifoseria.
"Il patto con la città è chiaro: la violenza è l’unico motivo per cui la famiglia Della Valle se ne va in 24 ore. Aspetto con ansia il giorno in cui potremo abbattere le barriere allo stadio. Mi piacerebbe fosse tra tre anni".
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Ndr. Una reltà terrbilmente cruda come le risposte dei supermilionari gladiatori in mutande. Omertosi più che mai, hanno in testa solo le palle a cui corron dietro. Quanto hanno dichiarato è superficiale e pazzesco e magari la loro intenzione era quella di dimostrarsi aperti, tolleranti e disinibiti, mentre invece risultano infastiditi ed impreparati. Ma il loro ufficio stampa dov'era? Che autogol! (Aspis)

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Sesso, una ricerca sdogana il sadomaso: "Chi lo pratica è felice". Video.

Lo studio dell'università australiana del Nuovo Galles del Sud.
Le pratiche sessuali sadomaso e bondage non sono dannose per la salute mentale. A sdoganare cuoio, frustini e veneri in pelliccia è una ricerca dell'università del Nuovo Galles del Sud, in Australia, pubblicata sul Journal of Sexual Medicine. Sul campione di 20mila australiani adulti esaminato, è risultato che il 2% prende parte in ruoli sessuali di sadomasochismo, dominazione o sottomissione. Ma contrariamente agli stereotipi, questo non dipende da abusi o mancanze sessuali...

Continua su Sesso news.
Attenzione, contiene video vietati ai minori.

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Anche Marco Carta a Sanremo?

La notizia è di stamane, e, dopo aver parlato di classifiche e graduatorie al riguardo, sembra che ora l'orizzonte si sia spostato altrove. Come si apprende da LeggoOnLine, infatti, appare quasi scontata la presenza di Marco Carta sul palco dell'Ariston nel prossimo febbraio. Traspare una scontatezza nella sicura partecipazione del vincitore dell'ultima edizione di Amici di Maria De Filippi alla prossima kermesse canora in onda, probabilmente su RaiUno.
Il problema è proprio questo. Il problema è proprio il fatto che, tutt'oggi, siamo ancora costretti ad aggiungere un "probabilmente" intriso di dubbi ed incertezze. Nel frattempo, ecco la notizia: ...

Continua su Telereality

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La sinistra italiana deve ritrovare la via dei diritti umani.

(Roberto Malini e Dario Picciau) Un amico Sinto italiano, uomo di sinistra da tanti anni, ci scrive, esponendoci i suoi dubbi e le sue speranze riguardo alla posizione del suo partito nei confronti dei Rom e dei Sinti in Italia: "Cari Roberto e Dario, cari compagni, ci siamo conosciuti qualche anno fa a Bologna, durante la proiezione del vostro bel film 'L'Uovo, un'allegoria profetica che spiega, secondo me, come nasce l'intolleranza verso chi è diverso. Ho una domanda che mi assilla da tempo: è conciliabile che un 'nomade' continui a credere in questa sinistra e nelle organizzazioni per i diritti umani che essa sostiene? E' vero, il Partito Comunista e la corrente progressista non esistono più. E' anche vero che quando si parla di Rom e Sinti, non sono più così evidenti le differenze fra destra e sinistra. Ma l'alternativa per uno 'zingaro' non può essere solo l'anarchia. Cosa ne pensate?"
Rispondono Roberto Malini e Dario Picciau. Cari amici, come giustamente sottolineate, in questo frangente destra e sinistra inseguono il consenso dell'elettorato cavalcando il pericoloso "destriero" della sicurezza, che il movimento razzista, un'ideologia transpartitica, ha demagogicamente e in mala fede identificato nei Rom, nei Sinti e nei "clandestini". Una scelta xenofoba e intollerante, perché i problemi di sicurezza sono ben altri: la criminalità organizzata, la corruzione politica, l'inadeguatezza delle forze dell'ordine, la pericolosità sulle strade e negli ambienti di lavoro, la violenza razzista (i cui autori, spesso squadre armate, non vengono perseguiti dalle autorità). Riguardo poi ai crimini sessuali e alle violenze sulla persona, come Amnesty International ha ribadito attraverso diverse campagne, il nemico non è "fuori", ma "dentro": oltre il 90% di tali atti criminali vengono infatti compiuti fra le mura domestiche. Ai politici, però, fa comodo indicare, quando servono voti o consenso, un capro espiatorio indifeso ed esterno alla famiglia, simbolo - oggi come negli anni del nazifascismo - della "nazione" e della "razza": adesso gli "zingari" e i rifugiati (perché chiamare "clandestino" o addirittura "autore di reato di clandestinità" un essere umano che cerca rifugio nel nostro Paese, per sottrarsi a guerre, carestie, condizioni di indigenza inaccettabili?), domani, non ci si illuda, le altre minoranze. Votare a sinistra o impegnarsi nelle organizzazioni per i diritti umani che gravitano attorno alla sinistra è un atto di fede nel domani, un auspicio che le forze politiche che dovrebbero essere vicine alle classi sociali più vulnerabili ritrovino la loro anima. La Comunità ebraica, per esempio, sostiene la destra, che mantiene buone relazioni con Israele, ma così facendo regala il suo consenso a forze politiche antisemite, neofasciste e intolleranti. Personalmente, ribadiremo sempre e in ogni sede che le ultime elezioni politiche costituiscono un gigantesco broglio, un'immane truffa perpetrata ai danni del popolo italiano, perché è iniquo, secondo le leggi nazionali ed internazionali, condurre una campagna elettorale su basi di xenofobia e razzismo. E' necessario impegnarsi perché un fenomeno perverso come quello verificatosi in occasione del suffragio dello scorso aprile non si ripeta mai più. Non bisogna dimenticare, però, che fu proprio la sinistra ad aprire la strada all'attuale governo xenofobo, ancora più intollerante del regime di Mussolini: fu il precedente governo, infatti, a iniziare la campagna razziale, gli sgomberi senza alternativa, la persecuzione del popolo Rom. E' importante riconoscere, tuttavia che vi sono persone che si impegnano dall'interno delle forze politiche e umanitarie di sinistra per ripristinare in esse una linea di condotta tollerante e antirazzista. Tocca a loro, uomini e donne illuminati, cercare di far comprendere ai compagni che non bisogna temere di tornare sulla via dei diritti umani e che è una pericolosa devianza competere con la destra sui temi della "legalità" e della "sicurezza", per conseguire e mantenere risultati elettorali. La sinistra dei diritti umani, al contrario, deve impedire - senza eccezioni - che la controparte politica attui propaganda razziale e xenofoba. Se continuasse a imitarla, seminando fra la popolazione italiana pregiuizi e terrori immotivati, il confine che separa fascismo e antifascismo sarebbe cancellato per sempre.

Contatto:
Gruppo EveryOne
Tel: (+ 39) 334-8429527 – (+ 39) 331-3585406
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Travaglio e l'Unità. Le cose che non si dovevano dire.

Leggo e rileggo il comunicato dell’editore e, lo confesso, continuo a non capire. Una sola cosa capisco: il licenziamento di Antonio Padellaro da direttore dell’Unità non dipende dal fatto che Padellaro non è abbastanza “multimediale”. Sgombero subito il campo da un paio di equivoci. Primo: sono molto affezionato al principio di autorità, nonché al motto lombardo “offelè, fa el to mestè”. Dunque riconosco agli editori il potere di nominare i direttori che più li aggradano e non penso affatto che l’umile collaboratore di un giornale debba metter becco nelle loro decisioni. Ma, siccome a questo giornale collaboro fin dal 2002, avrei preferito che qualcuno spiegasse ai lettori e ai giornalisti dell’Unità perché l’avventura di questo giornale morto nel 2000 e risorto nel 2001 grazie al duo Colombo-Padellaro, a una redazione tenace disposta a ogni sacrificio e a un pugno di editori coraggiosi debba concludersi così bruscamente e inspiegabilmente. Secondo: sono abituato a basarmi sui fatti e dunque non farò processi alle intenzioni, ergo non dirò una parola sul nuovo direttore, Concita de Gregorio, se non che è un’ottima giornalista e una persona squisita, che ho avuto modo di sentirla un paio di volte nelle ultime settimane, che mi ha garantito massima continuità e libertà, che le auguro i migliori successi.

Ma il punto è ciò che è accaduto finora, negli ultimi tre mesi sottotraccia e negli ultimi tre giorni alla luce del sole. Prima le voci. Poi l’intervista di Walter Veltroni al Corriere della sera che, all’indomani dell’acquisto dell’Unità da parte di Renato Soru, auspicava un “direttore donna”, cioè il licenziamento di Padellaro (che purtroppo è maschio). Lì s’è avvertita la prima, violenta rottura: non è usuale che un segretario di partito licenzi un direttore di giornale e indichi le caratteristiche del successore, specie se quel giornale non appartiene né a lui nè al suo partito. Se, nell’autunno del 2002, pur provenendo da tutt’altra storia e tradizione, accettai con gioia la proposta di Colombo e Padellaro, mediata dal comune amico Claudio Rinaldi, di collaborare all’Unità con una rubrica quotidiana, fu proprio perché l’Unità non era più un giornale di partito, ma un giornale libero, che rispondeva soltanto ai suoi editori, direttori e lettori. Infatti in questi sei anni mi sono sentito libero di scrivere in assoluta autonomia, senza mai subire le benchè minima censura. Ora quel fatto da troppi trascurato - l’intervista di Veltroni - comporta una svolta non da poco, un peccato originale destinato inevitabilmente a incombere sul futuro. Il secondo fatto è che l’uscita di scena di Padellaro segue, a tre anni di distanza e in qualche modo completa, quella di Colombo, l’altro direttore che aveva resuscitato l’Unità. E attende spiegazioni più plausibili delle chiacchiere sulla “multimedialità”. Il giornale va male? Pare di no, anche se paga le scarse risorse finanziarie (e pubblicitarie) e, politicamente, la grande depressione seguita al biennio della cosiddetta Unione al governo. Se dunque non è un problema di copie (la media giornaliera di 48 mila, con 274 mila lettori, è tutt’altro che disprezzabile, visti i chiari di luna, e speriamo di non doverla mai rimpiangere), è un problema “di linea”. Lo stesso che era stato sollevato nel 2005, quando fu allontanato Colombo.

Ora l’esperienza nata sette anni fa dalla straordinaria alchimia di questi due direttori, capaci di coinvolgere e coalizzare in una sorta di campo-profughi collaboratori delle più varie provenienze e culture, oggettivamente si chiude. Si finisce il lavoro e si completa il disegno avviato nel 2005, quando Furio fu defenestrato dopo mesi di mobbing praticato da ben noti ambienti Ds, insofferenti per la linea troppo autonoma, troppo aperta, diciamo pure troppo libera del giornale. Tre anni fa il disegno si compì a metà, magari nella segreta speranza che Antonio capisse l’antifona e riconsegnasse il giornale al partito che l’aveva ucciso. Padellaro, pur con la sua diversa sensibilità rispetto a Colombo, l’antifona non la capì. Continuò a scrivere e a farci scrivere in assoluta libertà. Beccandosi le reprimende più o meno sotterranee di molti politici del Pd e quelle pubbliche del Caimano. Il quale avrà tanti difetti, ma non quello di nascondere simpatie e antipatie. Lui i veri oppositori li riconosce subito e, a suo modo, li onora molto meglio di chiunque altro. Infatti, a dimostrazione del nostro successo, nei giorni delle ultime elezioni tornò a sventolare minacciosamente l’Unità additandola a nemico pubblico numero uno (chi sostiene che l’antiberlusconismo fa il gioco di Berlusconi, mentre le vere spine nel fianco del Cavaliere sono i “riformisti”, spiegherà forse un giorno perché lui abbia continuato a sventolare l’Unità, anziché Il Riformista o Europa, semprechè ne abbia notata l’esistenza). Ora, è evidente che la chiusura di questo ciclo non si deve a lui. E’ il padrone di quasi tutto, ma non ancora di tutto. Lo si deve a chi, nel centrosinistra, vedeva in questa Unità una minaccia. Salvo poi, si capisce, meravigliarsi insieme a Nanni Moretti se l’opinione pubblica latita (o forse, più propriamente, non trova sponde politiche, punti di riferimento, occasioni di manifestarsi e manifestare). Nell’Agenda Unica del Pensiero Unico del Padrone Unico, mentre la gran parte dell’opposizione dialogava o andava a rimorchio, l’Unità ha continuato a proporre pervicacemente un’altra agenda, un altro pensiero, un altro vocabolario. A dire le cose che, altrove, non si possono dire e a vedere le cose che, altrove, si preferisce non vedere. Nel paese dove, come ha detto efficacemente Gianrico Carofiglio all’Espresso, “da 15 anni Berlusconi è il padrone delle parole della politica”, perché “ha scelto lui i nomi con cui chiamare le cose e gli argomenti”, l’Unità portava ogni giorno in prima pagina altre parole, continuando ostinatamente a chiamare le cose col loro nome, non con gli pseudonimi berlusconiani e dunque “riformisti”: su questa Unità la guerra è guerra, non missione di pace; il separatismo è separatismo, non federalismo fiscale; il razzismo è razzismo, non sicurezza; il monologo è monologo, non dialogo; l’inciucio è inciucio, non riformismo; il regime è regime, non governo di destra con cui dialogare; i mafiosi sono mafiosi e i corrotti corrotti, non vittime del giustizialismo; i processi sono processi, non guerra tra giustizia e politica; le leggi incostituzionali sono leggi incostituzionali, non risposte eccessive a problemi reali; Mangano era un mafioso e chi lo beatifica non “fa una gaffe”: è come lui.

Mentre scrivo, ho appena letto l’addio di Padellaro. E mi tornano alla mente le nostre mille telefonate all’ora di pranzo (mi sveglio tardi) per decidere insieme la rubrica del giorno. Scambi di battute e trovate che nascevano cazzeggiando e ridendo fra noi fino alle lacrime e poi finivano regolarmente nel “Bananas”, poi nell’”Uliwood Party”, infine nell’”Ora d’aria”. Articoli che, come spesso ci ripetevamo, potevano uscire su un solo quotidiano: questo. Quello che dava il nome alle celebri feste estive, dalle quali sono bandito da quattro anni, pur scrivendo sull’Unità quasi ogni giorno da sei (ma ora han cambiato opportunamente nome). “Un giorno - mi diceva spesso Antonio, tra il serio e il faceto - me le faranno pagare tutte insieme, le tue rubriche, insieme al resto. Ma scrivi tutto, è troppo divertente. E poi, cazzo, si vive una volta sola…”. Ora che quel giorno è arrivato,mi sento soltanto di dirgli grazie. Per avermi sopportato, da gran signore e da liberale autentico, a suo rischio e pericolo. E’ stata una splendida avventura. Speriamo che continui ancora a lungo.

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Festival di Venezia. Come fare un film con mille euro e andare al Lido.

"Un altro pianeta" di Tummolini, Merrone & amici ... Non vi abbiamo detto di che parla il film: ve lo diremo da Venezia, dove passa il 2 settembre. Per ora diciamo che parte come un gay-movie ma poi diventa tutt’altro...

(Alberto Crespi - L'Unità) Fare un film con 1.000 euro, o poco meno, si può. Ma occorre prendere alcune precauzioni. Avere, in primis, un operatore che possegga già una videocamera Hd (in alta definizione), altrimenti solo l’acquisto dell’indispensabile oggetto farà impennare il budget. Assoldare attori e tecnici amici, disposti a sgobbare gratis e a dividersi il malloppo solo se e quando ci sarà un’uscita nelle sale o un passaggio tv. Pensare a una storia con unità di luogo, possibilmente sotto casa, e stipulare una convenzione con il bar più vicino, per sfamare la troupe (di ristoranti, va da sé, non si parla!). E magari ambientarla su una spiaggia, d’estate, così gli attori vengono direttamente in costume da bagno. Con questi accorgimenti, in 1.000 euro ci potete stare: poi, se siete bravi, il film andrà a Venezia.
Stefano Tummolini (regista), Antonio Merone (attore e co-sceneggiatore) e tutti i loro amici non pagati sono stati bravi. Hanno girato Un altro pianeta sulla spiaggia di Capocotta, sul litorale romano, nelle suddette condizioni: e ora il film è a Venezia, nelle Giornate degli Autori, la sezione collaterale promossa da Anac e Api e coordinata da Fabio Ferzetti che, alla quinta edizione, sta conquistando una riconoscibilità forte e autonoma all’interno della Mostra. Per capirci: nel 2007 il film italiano delle Giornate era Non pensarci, di Gianni Zanasi. Arrivò a Venezia senza uno straccio di distribuzione, nonostante fosse costato qualcosa più di 1.000 euro e schierasse un cast importante (Valerio Mastandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston). Si impose come il film più simpatico della Mostra, trovò casa alla 01, uscì ed ebbe persino successo. Saremmo felici se Un altro pianeta percorresse la stessa strada, anche se paradossalmente, rispetto a Zanasi, parte con un vantaggio: la distribuzione ce l’ha già, la Ripley di Angelo Draicchio (marca consolidata dell’home video che si sta buttando anche nella distribuzione in sala), che vede il film, ci crede e aiuta gli autori in fase di post-produzione: «Arriva molta roba, alla Ripley - racconta Draicchio -. Un altro pianeta era segnalato da Maurizio Ponzi, un bravo regista che è anche un nostro collaboratore. L’ho visto alle 2 di notte, dopo una giornata pesante. È un test decisivo: se non ti addormenti, il film c’è. Non mi sono addormentato. C’erano delle ingenuità, ma ci si poteva lavorare. Abbiamo rifinito il montaggio ed effettuato la correzione colore in Danimarca, poi l’abbiamo trasferito in pellicola. Ora vediamo come va a Venezia, poi lo faremo uscire: non sarà facile perché il mercato è monopolizzato da 01, Medusa e majors hollywoodiane, ma ci proveremo».
Stefano Tummolini, il regista, ha 39 anni: è laureato, ha scritto saggi e sceneggiature, insegna alla scuola Holden di Torino. Potremmo definirlo, se non si offende, un intellettuale prestato al cinema. Pensava al film da quasi 10 anni, l’ha girato in 5 giorni: «Abbiamo tutti lavorato gratis, a ritmi da soap-opera. Andare a Venezia mi sembra un miracolo. Non sono mai stato alla Mostra, ma ovviamente la seguo da sempre sui giornali e so che è una tribuna difficile, che può lanciare un film ma può anche distruggerlo. Spero però che le Giornate siano il luogo giusto per noi. E mi pare un buon segnale che questa sezione scelga film poco protetti, quasi artigianali». Non vi abbiamo detto di che parla il film: ve lo diremo da Venezia, dove passa il 2 settembre. Per ora diciamo che parte come un gay-movie ma poi diventa tutt’altro. Intanto mettete da parte 1.000 euro, e cominciate a pensare al vostro film.

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Cultura. Crane, omosessuale nascosto.

Omaggi postumi, è in libreria «Hotel de Dream» di Edmund White.
(Elisabetta Rasy - Il sole 24ore) A ventiquattro anni, nel 1895, lo scrittore americano Stephen Crane (nella foto) pubblicò Il segno rosso del coraggio, considerato il primo romanzo di guerra moderno degli Stati Uniti per il pathos antieroico e irriducibilmente verista con cui vi era rappresentato il conflitto tra Nord e Sud e punto di riferimento del Novecento a venire. Qualche tempo prima aveva stampato, con uno pseudonimo e grazie ai soldi del fratello, Maggie: storia di una ragazza di strada, la vicenda, scabrosamente raccontata, di una prostituta, ma il libro non aveva avuto successo. Per guadagnare faceva il giornalista free lance, lo interessavano la vita dei quartieri miserabili e i teatri di guerra. In viaggio verso Cuba, conobbe in Florida quella che sarebbe diventata la sua compagna, Cora Taylor, che aveva qualche hanno più di lui e gestiva a Jacksonville un bordello dal nome poetico: «Hotel de Dream». Anche per sfuggire allo scandalo di questa unione nel '97 la coppia si trasferì in Inghilterra, dove Crane era molto apprezzato da scrittori importanti come il compatriota Henry James e Conrad. A Brede Place nel Sussex, il lavoro intenso, le difficoltà economiche e soprattutto la tubercolosi lo ridussero rapidamente in fin di vita: morì nel 1900, non ancora trentenne, in una località della Baviera poco dopo esservi arrivato dal fallimentare rifugio inglese.

Anche Edmund White, nato a Cincinnati nel 1940, è uno scrittore americano che a un certo punto della vita ha scelto l'Europa,Parigi nel suo caso,dove ha vissuto dal 1984 per quindici anni prima di rientrare negli Stati Uniti, probabilmente uno degli ultimi autori d'Oltreoceano che hanno considerato il Vecchio Continente una patria letteraria. Ispirandosi all'esperienza personale, ha raccontato nella sua opera il mondo a parte dei gay della sua generazione, dagli omofobi anni di Eisenhower a quelli combattivi della rivoluzione sessuale a quelli tragici dell'Aids (come nel bellissimo Sinfonia dell'addio), nulla però condividendo con la letteratura di denuncia o mi-litante se non la passione delle verità occultate, indagate con una prosa elegante in cui si intrecciano sentimento del tragico e ironia.

Nel 2007 White ha dedicato a Crane, che considera il più misterioso dei classici americani dell'Ottocento, un romanzo affascinante che è – anche –un affondo all'indietro nella storia della comunità omosessuale. Si intitola Hotel de Dream (ora tradotto in italiano con ottimo piglio stilistico e ogni tanto un po' troppo letteralmente da Giorgio Testa), ma il bordello di Cora non c'entra se non come evocazione di un'atmosfera di passioni disordinate, proibite e intense. Nel romanzo infatti Crane appare morente, assistito dalla dolcissima e scoveniente compagna, mentre è travolto dai ricordi della sua breve vita e soprattutto da un'ossessione: scrivere, anzi dettare con l'ultimo fiato rimasto, un romanzo iniziato anni prima e poi distrutto per timore di un imperdonabile scandalo. Un romanzo ben più scabroso di Maggie: la storia violenta e sensuale di un giovane prostituto di cui si innamora un austero e timorato padre di famiglia.

Il romanzo che non esiste, se non in un rapido cenno di uno dei primi biografi di Crane, è White a scriverlo, in una sorta di suggestivo plagio alla rovescia, il plagio di un'opera mai nata. Come a suggerire che la letteratura è un perfetto albergo del sogno dove si incrociano fantasmi e destini in perenne metamorfosi, e persino i libri mai scritti lasciano una consistente eredità.
--- Edmund White
«Hotel de Dream»
traduzione di Giorgio Testa
Playground, Roma, pagg. 236, Euro 15,00.

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Violenze sessuali su ragazzino, arrestato 56enne.

Un paio di birre in compagnia, una sigaretta, quattro innocenti chiacchiere.
(La Repubblica) Poi l'invito a salire in auto con la scusa di accompagnarlo a casa. Invece, una volta raggiunto un parcheggio di Menaggio, averebbe abusato di lui approfittando dello stato di intontimento che pare fosse dovuto a qualche sostanza messa nella sigaretta. Con le accuse di violenza sessuale aggravata e continuata è finito in manette un 56enne di Corrido (Como), Carlo Caccia, arrestato dai carabinieri di Porlezza dopo la denuncia fatta da un giovane. L'uomo, impiegato all'ufficio postale, è stato bloccato attorno all'una di sabato notte quando è caduto in una trappola costruita dai militari che da una settimana attendevano il momento giusto.

Ovvero quando il 56enne è tornato alla carica per incontrasi nuovamente con un 18enne residente in zona. Secondo quanto riferiscono i carabinieri, i due si erano incontrati una prima volta nel maggio scorso quando il giovane era ancora minorenne, tentando più volte di avere con lui rapporti sessuali. Il primo incontro in un locale pubblico dove gli aveva offerto da bere e una sigaretta probabilmente drogata. Stando alle accuse la sera del 16 agosto scorso sarebbe tornato alla carica nello stesso pub: avrebbe nuovamente incontrato il ragazzo e, adducendo, la volontà di chiarire quello che a suo dire sarebbe stato nulla più che un equivoco, lo avrebbe convinto a salire ancor una volta sulla sua auto ripetendo lo stesso copione della prima volta, in questo caso, però, appartandosi in una zona buia ai piedi del Monte Galbiga.

In questo caso, però, la 'preda' per nulla intontita, sarebbe riuscita a fuggire. Stanco di una situazione divenuta insopportabile, il ragazzino si è quindi rivolto ai carabinieri che hanno fatto scattare la trappola: all'ennesimo invito il giovane si è presentato all'incontro con due microspie: una per il collegamento diretto con i militari, l'altro per registrare il colloquio fra i due.

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Dagli Usa il masturbatore in silicone.

Dagli Usa arriva di tutto. Sono poi sorprendenti nell'inventare oggetti che "aiutano" a fare sesso. Quest'oggetto è una sorta di vagina di morbida plastica (ma può essere anche un ano) che serve ai maschi per masturbarsi. Per parecchio tempo, testimonial di questo "giocattolino" è stato Johnyy Castle, uomo dell'anno 2007 e pare che grazie a lui le vendite siano letteralmente "schizzate" in alto. Volete avere un esempio pratico del suo utilizzo? Clicca qui a proposito, assolutamente vietato ai minori.

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Padova, controlli al Gay village. Multato perchè senza licenza superalcolici.

Il blitz delle forze dell'ordine

(Il Corriere veneto) Tutto in ordine o quasi tra i chioschi del «Padova Pride village», la rassegna di cultura e spettacoli gay che dal primo di agosto sta vivacizzando i padiglioni abbandonati dell'ex foro boario di Corso Australia.

Ieri sera poco dopo le 23 sono entrati i tecnici del settore amministrativo della polizia municipale assieme ai colleghi della questura. Verifiche sul rispetto della normativa anti incendio sono state effettuate dai vigili del fuoco, mentre militari della guardia di finanza hanno controllato la regolarità del “biglietto” di 5 euro fatto pagare all'ingresso e due agenti accompagnati dal cane antidroga hanno dato una “annusata” tra i presenti per scoprire eventuali spacciatori di droga.

Alla fine di quasi tre ore di controlli il risultato è stato quello di una sanzione amministrativa da 308 euro ad un chiosco che teneva sotto il bancone alcune bottiglie di super alcolici, in mancanza di una apposita licenza per la mescita di bevande con gradazione alcolica superiore ai 21 gradi.

Multa che per altro i gestori hanno intenzione di contestare visto che i superalcolici servono alla realizzazione di cocktail, quindi realizzando bevande che non raggiungono il limite per il cambio di licenza temporanea.

L'unico particolare che desta qualche allarme tra il popolo del Pride village sono i frequenti episodi di danneggiamento delle auto in sosta: qualche cliente nei giorni scorsi ha denunciato di aver ritrovato l'auto parcheggiata con una o più ruote forate.

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Propaganda. Mancuso accusa: E' una sinistra che non vuole sentir parlare di famiglie omosessuali e di riconoscimento della cittadinanza.

Aurelio Mancuso dell'Arcigay attacca media e Pd: hanno paura di dire che la famiglia dello steward era gay.

(Il Manifesto - Giacomo Russo Spena) Se lo sarebbe aspettato da una destra omofoba e razzista un attacco del genere. Non dalla sinistra «cosiddetta progressista e liberale». Per Aurelio Mancuso, presidente dell'Arcigay, è un colpo basso l'articolo di Francesco Merlo («Se uno steward morto diventa una bandiera gay») uscito ieri su Repubblica: «Da quelle colonne si è sparato a zero contro le libertà civili e omosessuali».

Perché lei e altri colleghi del mondo lgbt avete accusato la stampa di non aver sottolineato che lo steward Domenico Riso, morto nell'incidente aereo in Spagna, fosse omosessuale? Nella vicenda non appare un elemento importante.
Non volevamo identificare che era scomparso un omosessuale, questo non avrebbe senso. Il nocciolo è un altro. Gran parte dei media ha omesso che Riso avesse una sua vita e che in quell'incidente se ne fosse andata la sua famiglia: sia il compagno sia il bambino. In Italia si vuole continuare a ignorare il fatto che esistono le famiglie omosessuali. Se fosse morta una coppia etero i titoli dei giornali sarebbero stati: «Tragica uccisione di una famiglia italiana». No? Invece Riso è morto da solo.

Tra l'altro per realizzare la sua famiglia, Riso era stato costretto a lasciare l'Italia.
È andato a vivere in Francia per poter realizzare il suo sogno. In Italia non avrebbe potuto, non essendoci riconoscimento per le coppie dello stesso sesso.

Però la sua ira è soprattutto contro l'articolo di Merlo. Si sente tradito?
Merlo dice che non si possono riconoscere le coppie omosessuali. Lo ha detto in modo brutale e offensivo. E Repubblica non è l'organo ufficioso del Pd, forse il contrario.

In realtà Merlo fa un discorso più elaborato. Dice di voler difendere i diritti dei gay...
Non è così. In questa società non esistiamo. Non siamo soggetti di diritto. Esistono solo gli eterosessuali. E Merlo esprime il pensiero di una classe politica, culturale e intellettuale che fa riferimento alla sinistra progressista che non vuole sentir parlare di famiglie omosessuali e di riconoscimento della cittadinanza. Una classe politica complice dell'omofobia dilagante. Neanche la sinistra radicale è esente da colpe.

Parole forti. Non vede spiragli di luce neanche ora che la sinistra si trova all'opposizione?
Non è un problema di governare o meno. Questa sinistra è succube di una cultura arretrata. Se Ratzinger non avesse una sponda politica di questo tipo, noi avremmo già avuto un riconoscimento ufficiale e giuridico. Se milioni di persone sono senza diritti, la colpa sta tutta sulle spalle di questi riformisti. Tra l'altro nel Pd ci sono clerico-fascisti come i teodem.

Però adesso c'è la destra. Tempi più bui?
Non mi interessa chi governa. Spero solo che la maggioranza risponda alle nostre richieste e esigenze. Poi certo, avendo come riferimento la ministra Carfagna, che è una nullità assoluta, non avremo nessuna possibilità di strappare qualcosa. Ma ho almeno il dovere di provarci.

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Australia, su iniziativa del municipio zone de-omofobizzate a Sydney.

Negozi e locali sono incoraggiati a dichiararsi liberi da omofobia con cartelli o adesivi.

(Ansa) Il comune di Sydney, che raccoglie i quartieri centrali della metropoli australiana, ha dichiarato zone libere da omofobia' il quartiere gay' lungo la Oxford Street, teatro ogni anno del piu' grande Mardi Gras gay e lesbico al mondo, e altre due aree riconosciute come distretti gay, lesbici, bisessuali e transessuali' (Glbt). La decisione, raggiunta con 5 voti a 4, prevede che i locali possano perdere la licenza di operare fino a tardi se i clienti commettono abusi o violenze omofobiche. Negozi e locali sono incoraggiati a dichiararsi liberi da omofobia con cartelli o adesivi.

Il sindaco, signora Clover Moore, che e' anche parlamentare indipendente nell'elettorato che comprende Oxford Street, ed e' molto popolare fra la comunita' gay, si e' impegnata a collaborare con la polizia, con gli esercizi commerciali, le organizzazioni per i diritti dei Glbt e la comunita' dei residenti, per definire i dettagli del piano. ' 'Gli insulti omofobici sono spesso precursori della violenza. Mentre tutte le aree sono tecnicamente zone libere da omofobia, questa strategia riconosce l'importanza della comunita' Glbt nella nostra citta'', ha dichiarato Moore, sottolineando che il provvedimento e' in risposta a lettere di gay che hanno subito insulti e violenze. I media gay riportano spesso notizie di abusi lungo Oxford Street, e la comunita' collabora con la polizia da vari anni per ridurre tali episodi.

La decisione e' stata accolta pero' con qualche scetticismo da alcuni dei consiglieri comunali e dei frequentatori della zona. Molti la vedono come un'arma a doppio taglio, che rischia di attrarre ancora piu' malintenzionati nelle zone gay, e insistono nel chiedere piu' presenza di polizia e di telecamere a circuito chiuso. 'Se dei giovani vengono da altri quartieri per bere alcool e aggredire i gay, non si fermeranno per qualche adesivo sulle vetrine', ha detto il consigliere comunale Shayne Mallard, conservatore, anch'egli gay.

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Picchiano e rapinano trans a Roma, arrestati due giovani.

(La Repubblica) Hanno abbordato un trans brasiliano per picchiarlo e rapinarlo, e quando si sono accorti di essere inseguiti da una 'gazzella' dei carabinieri hanno tentato di speronarla.

Sono comunque finiti in manette due romani, di 18 e 20 anni, fermati dopo un breve inseguimento dai militari del Nucleo Radiomobile nella zona di via Prenestina, a Roma. I due balordi, che hanno compiuto l'aggressione intorno alle 3 di questa mattina, saranno giudicati con il rito direttissimo. La vittima è stata giudicata guaribile in cinque giorni.

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Riconosciuto il corpo di Domenico Riso.

Ritrovato stamane il corpo dello steward dell'Air France Domenico Riso
A darne notizia è il Gr3 dell'ultima edizione. L'uomo, originario dell'Isola delle femmine, Sicilia, era imbarcato con il suo compagno ed il figlio di quest'ultimo sul volo della Spainair precipitato per motivi ancora da chiarire diretto alle Isole Canarie. Il corpo è stato riconosciuto dalle sorelle e dal cugino.

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Le aggressioni a Roma. Propaganda e realtà sono due cose ben distinte.

(Giornalismo partecipativo) Con la propaganda ed il martellamento “pubblicitario” a colpi di slogan sulla sicurezza il centrodestra ha vinto le elezioni. Ricordo la volgare strumentalizzazione, durante la campagna elettorale per il sindaco di Roma, del caso della stazione “la storta”: un vergognoso linciaggio mediatico contro la giunta del centro-sinistra, dalla pdl ritenuta in qualche modo corresponsabile del brutale episodio. Da quando Alemanno è il nuovo sindaco a Roma ne sono successe di tutti i colori: omicidi, violenze, stupri (commessi da italiani e stranieri), pedofilia (addirittura un prete che, secondo i giornali, è stato nominato garante per la famiglia e le periferie da Gianni Alemanno durante la campagna elettorale. Da pelle d’oca). Di tutto questo solo piccoli trafiletti, oscurati dai proclami sulla sicurezza che il governo attuale continuamente ci propina con quell’ operazione di pura facciata che è l’ invio di qualche militare sulle piazze. La sicurezza finalmente adesso c’è.

Semplice: basta non dare le notizie o minimizzarle a brevi fatti di cronaca. Un pò più di fatica fanno a nascondere gli sbarchi dei disperati. Il ministro La Russa, in una puntata a Ballarò annunciava, comicamente, la fine degli arrivi via mare. Apprendo oggi che a Roma una turista olandese è stata violentata e derubata: dov’ era il “pacchetto sulla sicurezza”? Dov’ era l’ esercito? Dov’ era il sindaco Alemano, che in vesti da “pubblico ministero” accusava sempre Veltroni ad ogni episodio di cronaca che succedeva nella capitale ??

Capisco, prendere il potere era importante. Machiavelli docet. Ma almeno non ci prendano in giro. Come ha fatto un assessore leghista che affittava un laboratorio clandestino con nove cinesi costretti a lavorare in condizioni pietose. Se c’era bisogno, ma non ce n’ era bisogno, si è visto che la propaganda e la realtà sono due entità ben distinte.
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Chiesa fuori dalla chiesa.

(Parole in libertà) Ho sempre i brividi quando sento dire, in un modo o in un altro, che la Chiesa rivendica il suo ruolo di soggetto politico e quindi il diritto di intervenire nella vita civile di un paese nel tentativo di condizionarla, o, quantomeno, di cambiarla "proponendo" certi modelli. In un certo senso capisco quello che ha sostenuto il Cardinal Bagnasco nel discorso di apertura dei lavori del meeting di Comunione e Liberazione "Oggi - rileva - come in altri periodi dela storia si vuole che la Chiesa rimanga in chiesa. Si vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede, concedendone la possibilita' nel privato. A tutti si riconosce come sacra la liberta' di coscienza, ma dai cattolici a volte si pretende che essi prescindano dalla fede che forma la loro coscienza". Il ragionamento non è privo di una sua coerenza, tuttavia è anche da questo atteggiamento che sono nati e tuttora prosperano i mostri.

Non è perciò fuori luogo citare qui quanto scrive Daniele Scalise, nella sua Lettera di un padre omosessuale alla figlia, un libretto che di questi tempi ha riscosso un certo successo (e la cui lettura è raccomandata, non tanto a noi che certe cose le abbiamo sperimentate sulla nostra pelle, quanto ai nostri amici e familiari):

"I giovani sono i più esposti. Mitragliati dai loro compagni di scuola o di giochi, ignorati o immolati dalle loro famiglie, sentono bruciare sulla loro pelle fresca le parole di condanna che la Chiesa pronuncia ocntro gli omosessuali, sentono l'afasia assordante della politica cinica e indifferente che tentenna impastoiata, che non osa prendere posizione per non scontentare prelati e devoti. Sono loro quelli che pagano il prezzo più alto. Sono quelli che noi omosessuali più adluti dobbiamo difendere dai mostri. Non è facile, però, perchè i giovani spesso se ne stanno chiusi nelle loro case, dove si consumano i delitti più efferati. Non è facile, perchè spesso non sanno chiedere aiuto, non hanno voce se non per narrare la propria desolazione quando magari è troppo tardi. Poi crescono, e i più fortunati riescono a sottrarsi al linciaggio quotidiano. Ma al prezzo di quanta fatica, quante energie e soprattutto quante umiliazioni".

Forse qualcuno troverà queste considerazioni eccessive, troppo pessimistiche: ma io ripeto sempre che il fatto che la Chiesa, che dovrebbe attrarre le persone invece che respingerle, pronunci viceversa parole di condanna senza appello è un atto di una crudeltà e di una violenza straordinarie. Specie se hai tredici anni e non sai che cazzo fare.

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Miss Italia 2008 - Kevin Costner superpresidente di giuria, secondo Sorrisi.

(Tvblog) Abbiamo imparato, in questa lunga estate di televisione chiacchierata e paparazzata, a diffidare delle anticipazioni.

Però, vale la pena di parlare di chi sarebbe, secondo Sorrisi, il superpresidente di giuria della serata finale di Miss Italia 2008.

Sfumate le trattative con Sharon Stone - che ricordiamo ospite di un Sanremo baudesco. Evidentemente si sarà stancata di fare ospitate nella tv italiana - l’organizzazione dell’evento starebbe cercando di portare a Salsomaggiore Terme nientemeno che Kevin Kostner.

L’attore, classe 1955, ha appena ultimato le riprese di The New Daughter del giovanissimo Luis Berdejo e lo vedremo presto nei cinema con Swing Vote (commedia, non particolarmente riuscita a giudicare da quanto si legge, sulle elezioni presidenziali americane).

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California, fedi unite contro i matrimoni tra omosessuali.

Cattolici, ebrei e musulmani insieme per dire sì alla "Proposizione 8".
(a fianco il pastore Jim Garlow della Skyline Church) Le fedi della California si uniscono contro i matrimoni tra omosessuali. Gli organizzatori sperano nel supporto di un milione di credenti per combattere la battaglia contro le nozze tra gay e lesbiche. Il mese prossimo se tutto andrà secondo i piani centinaia tra cattolici, mormoni, ebrei, musulmani, cristiani evangelici e indù mostreranno il loro sostegno piantando nei loro cortili delle sorte di cartelli con scritto “Sì alla Proposizione 8”, il referendum abrogativo che si terrà a novembre e che potrebbe mettere un divieto definitivo ai matrimoni gay nella Costituzione dello Stato. Un progetto forte a ambizioso che a detta di alcuni analisti politici potrebbe servire a costruire preziose alleanze superando i confini religiosi e costruendo nuove coalizioni attorno alle questioni politiche della California. Il più grande coinvolgimento in questa campagna è rappresentato da mormoni, cattolici e cristiani evangelici, mai così in stretto contatto per portare avanti una battaglia. Mark Jansson, un mormone membro della Protect Marriage Coalition, ha detto che il gruppo comprende anche ebrei, musulmani e indù. “La cosa che ci unisce è un’ossessione comune: il matrimonio”, ha detto Jim Garlow, pastore della Skyline Church, una congregazione evangelica di La Mesa.

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Arcigay Roma. Federica Pezzoli una speranza di rinnovamento.

Intervista a Federica Pezzoli.
(Lampi di pensiero) D. Federica, tu sei una donna. In effetti, sei un’ex transessuale, poiché il tuo percorso di trasformazione si è completato e adesso, dopo tanto tempo, il tuo “involucro biologico” corrisponde alla tua “identità di genere”, in sostanza hai potuto essere ciò che sentivi di essere. Come ti senti oggi?

R. Lotto da anni per affermare la pari dignità sociale delle persone LGBT - e non solo.
Sempre fiera del mio passato, oggi sono orgogliosa di essere una ex-transessuale. Sono una DONNA a tutti gli effetti di legge con sentenze passate in giudicato e sigilli.
Sentenze nelle quali si riconosce, per me, il diritto ad essere me stessa, la mia identità femminile - donna alla pari con le altre, a chiamarmi, ed essere chiamata - FEDERICA.

D. Quanto ti è costato in termini umani e di impegno raggiungere questo risultato?

R. Ho lottato otto anni, lunghi, lunghissimi. Fatti di tribunali per vedere riconosciuto un mio Diritto, ma anche di 4 interventi chirurgici. Ed infine quella sentenza, la seconda, la più importante - un bel “foglio di carta” dattiloscritto, pieno di diritti - In nome del popolo Italiano … “Federica”.
Ma…

D. Non è bastato, dunque?

R. No. C’é sempre un ma. Donna, si! Federica, si! “Ma” solo per lo Stato, per la legge.
Molte, troppe, persone che con me dividono quello spazio territoriale chiamato città, non perdono occasione di ricordarmi la loro omo/transfobia sbagliando come minimo il pronome. Apostrofandomi come una lesbo-zoccola-travestita quando passeggio per la città - mia dalla nascita.

D. Vuoi dire che non basta avere un documento dove c’é scritto: Federica Pezzoli?

R. No, è solo un altro bel “foglio di carta”, dattiloscritto, pieno di diritti.
La città eterna, una città dove le esistenze LGBT sono impossibili. Salvo vivere nell’oscurità. Nascosti. Confinati.

D. Senti Federica, di recente hai posto la tua candidatura alla presidenza nelle elezioni del congresso Arcigay di Roma che si terrà il 13 settembre. Puoi spiegarmi come mai hai sentito il bisogno di fare questo passo? A chi rivolgi la tua proposta politica?

R. Io sento di appartenere alla comunità LGBT, bear, handygay, queer ed è a chi la compone che io mi rivolgo. C’è bisogno di imprimere una forte spinta dinamica nell’associazione LGBT che conta più aderenti nel territorio del Lazio e che ha una vasta rete nazionale di presenze e di attività. Per questo, convinti della mia passione e delle mie proposte, un gruppo di soci di Arcigay Roma ha deciso di dare vita ad un Comitato per sostenere la mia candidatura e quella di altri soci che si presenteranno per essere eletti negli organi dell’Associazione.

D. Quindi, oltre al tuo impegno professionale, se riuscirai ad avere la fiducia dei soci, dovrete spendere molte delle vostre energie per portare avanti un programma molto denso di cose da realizzare.

R. E’ un impegno che non mi spaventa. Sono una persona che ha messo in gioco tutto per essere se stessa e lotto da anni per i diritti LGBT.
Non mi nascondo dietro ad un Nick. Cammino a testa alta, da Monte Caprino, alle dune di Capocotta. Nel supermercato, come nei Tribunali e in Cassazione. L’indirizzo di casa è visibile ovunque, anche nel web, come il mio telefono di studio - molte persone chiamano grazie a quel numero, anche lui visibile, dietro alle loro parole disperazione e richieste di aiuto, di una strada per la normalità. Rischio in prima persona per una pari dignità sociale di tutt*. 24 ore su 24. Il prezzo che pago è alto. Pochi e rari affetti. Una vita blindata. Telecamere a circuito chiuso, per vigilare. Non mi qualifico mai nel movimento per quello che sono, professionalmente. Titoli e curriculum ricchi di qualifiche, così come le sentenze che sanciscono una
identità, in Italia non bastano - serve lavorare per un cambio culturale. In una società dove le persone come me vengono considerate e raccontate come esseri con sembianze umane utili all’occorrenza come
dispensatori di piaceri sensuali e, se non utili, brutalmente ammazzate dal boia omo/transfobico che si materializza ovunque - anche dentro casa.
In Italia, ci sono vite e vite, morti e morti - per le nostre, l’ultima pagina della peggiore cronaca nera dell’ultimo giornaletto di quartiere. C’é molto da fare.

D. Quindi tu stai ponendo una questione legata alla tua “comunità di appartenenza”, oppure fai riferimento a problemi più complessi e di rilievo generale?

R. Ovviamente la questione che mi sta a cuore è quella dei diritti lgbt e di tutto il resto della comunità delle persone che sono soggetti di discriminazione e di violenza a causa delle loro scelte affettive e sessuali, o della loro impossibilità di scegliere. Ma in questo contesto brutale, repressivo e liberticida, io mi identifico e sono slidalmente unita anche con Rom e Sinti, con la (ex)transessuale ammazzata con sei accetate vicino Pescara mentre preparava il caffè al suo carnefice; con i sette operai della Thyssen Krupp morti carbonizzati, con il commerciante costretto a pagare il “pizzo” alla criminalità organizzata; con il magistrato fatto saltare in aria dalla mafia; con il blogger cinese al quale hanno tolto la connessione ad internet, censurando così la sua libertà di pensiero; con l’iranianiano/a impiccato/a per il suo orientamento omo-affettivo; con la transessuale costretta a prostituirsi sulla Salaria o in Via Togliatti per assenza di politiche di avviamento al lavoro pulito; con la giovane lesbica o il giovane gay morti suicidi, perché il senso di sconfitta ha prevalso sull’istinto di sopravvivenza. E poi, ovviamente, penso anche a lesbiche, gay, travestiti/e, transgender, handygay, queer e bear.

D. Insomma, per te la questione dei diritti è centrale e la stai proiettando, come riferimento principale, sulla comunità LGBT e sulla volontà di portare aria nuova in casa Arcigay?

R. Esattamente. Federica Pezzoli (ex)transgender da uomo a donna, oggi è in corsa con il comitato promotore per assicurare alla comunità LGBT di Roma una progettualità che finora è mancata e che passa necessariamente attraverso un forte impegno nella cultura e nella promozione dei diritti finora non riconosciuti e che non possono che essere diritti per tutta la comunità lgbt e per le sue componenti troppo spesso ignorate perché considerate marginali: hanygay, bear, queer. Tutti uniti per il cambiamento

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Si spegne la fiaccola a Pechino. E i cinesi sperano di non tornare indietro.

cerimonia di chiusura

(Panorama) Alle 21,30 in punto la fiamma olimpica si è spenta sopra lo stadio nazionale di Pechino. E una anziana volontaria addetta alle pulizie dei bagni del secondo piano si è appoggiata a uno stipite e si è commossa. Centinaia di giovani colleghi, pure loro con gli occhi lucidi , si sono fatti fotografare in mille pose diverse con lo stadio sullo sfondo. Per loro non finiscono solo le Olimpiadi, ma anche il periodo di maggiore libertà che abbiano conosciuto da quando sono nati. Ora non possono prevedere se con quella fiamma si sia spento anche il «sogno» annunciato da migliaia di cartelli in tutta la capitale in questi giorni. Poche ore prima, il regista Zhang Yimou, direttore artistico delle cerimonie di apertura e chiusura dei giochi, con le sue parole, sembrava aver cercato di rassicurarli: «Stanotte la fiamma olimpica sarà spenta a Pechino. Alla Cerimonia di chiusura speriamo di dirvi attraverso il nostro spettacolo: “In realtà la fiamma olimica non è spenta, ma brucerà nel cuore di ciascuno di noi». Resta da capire se le sue siano solo parole o una concreta speranza per tutti i cinesi che si augurano che dopo queste Olimpiadi non si possa più tornare indietro sulla strada delle riforme. Alla fine, verso le 22,30, tutto era già impacchettato, la spazzatura raccolta. E fuori dallo stadio, nei prefabbricati dove per almeno un mese hanno vissuto volontari e responsabili della security si sentivano per la prima volta risate e gridolini. Mentre il pubblico defluiva, un ventenne con la maglia del comitato organizzatore si lavava i denti in strada. Essì, perché su Pechino 2008 è sceso il sipario e la festa è finita. Ma è stata bella.

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Madonna, a 50 anni travolge il pubblico con uno show ad alta energia.


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(Patrizio Nissirio-ANSA) L'eta'? Un concetto superato, almeno per Madonna. La superstar, a cinquant'anni appena compiuti, ha iniziato il tour mondiale Sticky and Sweet con un concerto ad altissima energia al Millennium Stadium di Cardiff in Galles.

In forma smagliante, biondissima, con i capelli lunghissimi, ha incantato cantando con grinta e ballando senza sosta come una ventenne su di giri per due ore. Pop, rock, disco, funk, video: non c'e' arte della comunicazione contemporanea di cui Madonna non sia ancora la padrona assoluta.
Il concerto - che non era tutto esaurito nonostante gli annunci in questo senso della vigilia - e' iniziato con oltre un'ora e mezzo di ritardo, quando gia' il pubblico iniziava a protestare e fischiare.
Ma l'entusiasmo e' esploso e non ha fatto che crescere dopo che il cubo al centro del mastodontico palco, contornato da due enormi M, si e' trasformato in uno schermo, con immagini computerizzate che scorrevano rapidissime: tema, una hard candy, una sorta di caramella/lecca-lecca dura che ha dato il nome al suo ultimo album.
Madonna ha fatto la sua entrata con un corpetto di pizzo nero e alti stivali di pelle, seduta su un trono, con un bastone da passeggio in mano. Il primo brano del concerto e' stato Candy Shop, con tanto di auto anni venti che e' arrivata al centro del pubblico sulla passerella. Poi sul video, per Human Nature, la sua amica Britney Spears, simbolicamente intrappolata in un'ascensore, ripresa da un telecamera a circuito chiuso, un evidente riferimento al continuo assedio dei media sull'ex reginetta del pop. Quindi la prima delle trasformazioni: con calzoncini e calzettoni da calciatrice, per classici come Into the groove, e una versione rockeggiante del suo primo hit, Borderline, con tanto di Madonna alla chitarra elettrica. Per She's not me, sugli schermi e sul palco - interpretate da ballerine - immagini delle sue incarnazioni del passato con i relativi look (dal pizzo bianco all'abito fasciante di Material Girl), a dire, quella non sono piu' io.
Nello show c'e' spazio anche per un remix di Die another day, dalla colonna dell'omonimo film di 007, e di Rain degli Eurythmics, mentre Madonna ne approfitta per cambiare identita', ancora una volta: quella di una moderna e sensuale cantastorie gitana (Spanish Lesson, Miles away, You must love me, La isla bonita, quest'ultima con qualche stecca vocale). E il palco diventa una festa tzigana dell'est europeo, con chitarre, violini e fisarmoniche, con tanto di performance del cantante e chitarrista Alexander Kolpakov.
Poi l'ultima mutazione - durante un remix di Get stupid, con Madonna solo in video -. La cantante riappare in tutina scintillante superaderente per 4 Minutes (con Justin Timberlake in video), quindi Like a prayer e Ray of light (travolgenti) e il gran finale di Hung up (quasi heavy metal) e Give it 2 me, con l'energia della star che non sembra finire mai. A Cardiff Madonna, supersexy e con un pizzico di rock in piu' del solito, ha sedotto il pubblico che ormai attraversa diverse generazioni, instancabile, sempre in pieno controllo dell'enorme macchina che le ruota attorno, con l'impeccabile appoggio dei suoi 16 ballerini e della band di 12 persone.
Un grande show per una grande artista poliedrica e, almeno a quel che si e' visto stasera, lontanissima dalla pensione. Lo Sticky and Sweet tour prosegue ora per altre 50 date, che vedranno Madonna prima in tutta Europa (il 6 settembre a Roma), quindi nelle americhe, con la chiusura della tournee a San Paolo in Brasile il 18 dicembre.
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La storia (finita?) del movimento gay in Italia. Un libro di Gianni Rossi Barilli.

(Augie) Non comprarlo neanche a tre euro (trovato in una libreria di remainder) mi sarebbe sembrato davvero disdicevole (insomma, un pochino di cultura gay vogliamo farcela o no?), e così, a nove anni dalla pubblicazione (la prima edizione è datata maggio 1999), leggo finalmente “Il movimento gay in Italia” di Gianni Rossi Barilli. Ne sarà uscita un'ulteriore edizione nel frattempo? Ne dubito, e non solo per l’editore (Feltrinelli, sempre molto attento a far uscire quanto prima dal proprio catalogo i libri a tematica gay che pubblica), ma anche perché, insomma, che cosa mai si sarebbe potuto dire sul movimento gay in Italia degli ultimi 9 anni? Giusto recitarne il de profundis… Ma lasciamo perdere le tristezze del presente (o le mie considerazioni gratuite, che lasciano il tempo che trovano) e torniamo al testo di Rossi Barilli, che è utile, informativo e di piacevole lettura. Il libro non propone chissà quale nuova proposta interpretativa (meglio così, anche se l’interpretazione “standard” sul perché in Italia il movimento di liberazione gay sia nato così in ritardo – interpretazione secondo cui ciò sarebbe dovuto al fatto che in Italia, diversamente che negli altri paesi occidentali, gli atti omosessuali non sono mai stati sanzionati da precise norme del codice penale -, che l’autore accetta, è tutt’altro che pacifica, e sarebbe ora di ridiscuterla un po’), proponendosi molto opportunamente di raccontare innanzitutto i fatti più salienti, nella loro cronologica successione. Un grande pregio del testo è l’equanimità con cui l’autore realizza il suo racconto, nel riconoscimento dei meriti e delle ragioni di tutti i protagonisti di questa storia (viene riconosciuto il dovuto, senza polemiche, anche, per dire, ad un personaggio come Angelo Pezzana, individuo davvero pestifero, che ha speso gran parte delle energie profuse in una pluridecennale militanza gay nell’attaccare chiunque non la pensasse al cento per cento come lui).
Ad ogni modo, nonostante tutta la buona volontà dell’autore, la storia non può che iniziare dal riconoscimento del fatto che… si tratta più che altro di una non-storia. C’è infatti una constatazione da cui non si può non partire, e infatti Rossi Barilli parte da lì: “mentre in paesi come la Germania o la Gran Bretagna le prime esplicite battaglie civili a favore dei diritti delle persone omosessuali sono cominciate già alla fine dell’Ottocento, in Italia si è dovuto attendere fino a ben oltre la seconda guerra mondiale Il Fuori, la prima organizzazione gay italiana, viene fondato nel 1971 e fino ad allora si può parlare solo di poche iniziative isolate. Anche in seguito, però, il percorso della liberazione gay si rivela molto accidentato. Il progetto di costruire comunità visibili e dotate di un certo potere contrattuale, sul modello di quelle nate negli Stati Uniti e nei paesi del nord dell’Europa, non si realizza che in minima parte”. E qui Rossi Barilli prosegue il discorso rilevando il fatto che “questo accade innanzitutto per la scarsa propensione degli stessi omosessuali a uscire dalla clandestinità, o da un genere di riservatezza che le somiglia molto”. Ora, la rilevazione di questo fatto spiace ad alcuni: il farla infatti sarebbe un modo indiretto di “colpevolizzare” i gay per la condizione in cui si trovano in Italia, colpevolizzazione che sarebbe ingiusta oltre che crudele dato che i gay sono innanzitutto le vittime di una condizione in cui sono altri a volerli mantenere (la Chiesa, la classe politica …). A me pare che ciò che Rossi Barilli dice sia perfettamente sensato e anzi incontestabile, e che le riserve alla sua constatazione si basino più che altro su una confusione “linguistica”, diciamo così. Nel riflettere su un fatto possiamo infatti rilevarne le cause ed indagarne le ragioni: sono due cose diverse, e il fatto che ci siano (ci possano essere, possano essere indicate) delle ragioni (culturali, storiche ecc.) che “spingono” i gay a rimanere clandestini (spingono solo però, non costringono: gay infatti che hanno scelto di essere visibili ci sono, quindi nessuna “costrizione” e nessun determinismo), non toglie il fatto, davvero incontestabile, che a causare la mancata costruzione di comunità gay visibili è il non costituirsi dei gay in comunità gay visibili.
La constatazione che il movimento gay sia fondamentalmente sempre stato privo di “base sociale” non può che tornare in più punti del testo, essendo infatti la causa principale della sua costante debolezza e irrilevanza, tanto che, con una punta di amara ironia, Rossi Barilli può senz’altro affermare: “Secondo le stime più popolari, una persona su venti (c’è chi dice addirittura una su dieci) sarebbe prevalentemente omosessuale: ciò vuol dire che in Italia dovrebbero esserci almeno tre milioni di gay e lesbiche. Se ci sono, bisogna dire che non si fanno troppo notare. Il segno più tangibile di “masse” gay è una rete di discoteche e luoghi di incontro, presenti in tutte le grandi città e in molte di quelle medie, che in effetti aggregano molte decine di migliaia di persone. Si tratta tuttavia di una forma di visibilità molto discreta e spesso esclusivamente ricreativa, che finisce dove ricomincia la vita di tutti i giorni”.
Però, insomma, nonostante tutto, qualcosa è successo, e le 239 pagine del testo di Rossi Barilli dell’essere successo di questo qualcosa ne costituiscono appunto la documentazione. Che quel che è successo sia stato sempre interessante devo dire però di non crederlo… Gli anni 70 sì, per il movimento gay quelli sono stati anni interessanti, con il giganteggiare in essi della figura, per me circondata da un’aura di mito e di culto, di Mario Mieli; mi ha dato, come dire?, la sensazione di un riaprirsi dell’orizzonte nella mia mente il ripensare al suo uso “rivoluzionario” della “femminilità”, ora che quei meravigliosi deliri sembrano essere così lontani; cito Rossi Barilli: “La critica dei ruoli sessuali era radicale e concreta: il rifiuto dell’ideologia maschile poteva essere espresso in un ponderoso saggio teorico, o anche solo indossando un paio di tacchi a spillo. L’identità si conquistava trasformando in provocazione permanente la consueta e svalutata immagine dell’omosessuale effeminato. La femminilità, anziché nascosta, doveva essere urlata. Froci e checche dovevano dichiararsi con orgoglio. Trucchi e travestimenti potevano infine ben essere strumenti di lotta, come dimostrava nel modo più estremo Mario Mieli passeggiando in piazza San Babila con il vestito lungo e i gioielli – veri – della madre e comparendo con memorabili “abitini” nelle occasioni più svariate”. Ecco, i “militanti con le piume di struzzo” (i “milanesi”) sono per me, data la mia sensibilità camp, i più attraenti tra le varie “famiglie” costituenti il “magma” del movimento gay in Italia degli anni 70 (gli altri sarebbero, nella caratterizzazione di Rossi Barilli, i “seri rivoluzionari” e i “riformisti in doppio petto”, cioè, questi ultimi, i “torinesi” Pezzana e i suoi), e ho letto con grande gusto tutto il racconto delle loro vicende come, tanto per fare un esempio, la loro partecipazione nel 1975 ad un festa “del proletariato giovanile” che si tenne a Licola, vicino a Napoli (nella cronaca d’epoca di Giovanni Forti: “[… ] i milanesi scelgono la via della provocazione. Truccati in maniera violenta ed esagerata, con le paillettes e i lustrini dorati, vendono il loro giornale fissando la gente in maniera accusatoria dicendo: “Tu reprimi la tua omosessualità””. Dio se li amo) o, altro esempio, la vicenda del collettivo teatrale Nostra signora dei fiori che nel 1976 produsse il mitico spettacolo La Traviata Norma, ovvero: Vaffanculo… ebbene sì!
Ho trovato queste vicende (per quanto “minoritarie”, “velleitarie”, assolutamente legate ad anni diversissimi dai nostri e quindi non più proponibili, tutto quello che si vuole) estremamente interessanti, e il libro testimonia di altre cose interessanti accadute, ma fino a un certo punto, però. La sensazione, infatti, procedendo nella lettura, è che in Italia, con gli anni 80, gli anni del cosiddetto “riflusso”, per il movimento gay finisca più o meno tutto. Gli anni in cui altrove (in Europa, negli Stati Uniti, in “Occidente” in generale), dopo la fine della fase “rivoluzionaria”, parte un processo, che via via andrà sempre più consolidandosi, di “istituzionalizzazione” della minoranza omosessuale, processo che sfocerà negli anni 90 e nel nostro decennio in un fiorire di leggi in vari paesi che riconoscono a vario modo e titolo una serie sempre crescente di diritti alle persone omosessuali e alle coppie formate da persone dello stesso sesso, paiono essere in Italia anni in cui tutto si blocca e si impantana, senza riuscire a sfociare in alcunché di davvero significativo.
La storia del movimento gay torna insomma ad essere una storia europea, occidentale, e in questa storia l’Italia non sembra più entrarci granché. Dal punto di vista dell’Europa questa storia vivrà un momento memorabile nel 1994, quando l’8 febbraio il Parlamento europeo approva quello straordinario documento che è la risoluzione sui diritti dei gay e delle lesbiche, documento che è stato matrice di tante cose accadute dopo ovunque in Europa… fuorché, naturalmente, in Italia. E in fondo questo stato di cose anche Rossi Barilli lo riconosce, a volte apertamente a volte un po’ malcelatamente (dice in una sua pagina: “in Italia tutto quanto [quello che accade nel resto dei paesi occidentali] si riverbera in tono un po’ smorzato”… quando si dice l’understatement!). Rossi Barilli cerca comunque di vedere il “positivo” nelle diverse iniziative che nascono (il più delle volte per subito morire) in questi anni, e il suo testo certo documenta episodi anche belli, importanti (la “conquista” del Cassero a Bologna nel 1982, per esempio, uno dei rarissimi episodi in cui nella “guerra tra froci” con la Chiesa – che fece tutto quello che era in suo potere per impedire che ai gay bolognesi fosse assegnata quella sede - l’abbiamo spuntata noi), ma la sensazione generale è che nelle scadenze veramente importanti, nelle battaglie davvero decisive, non si sia potuto far altro che riconoscere la propria impotenza, il non poter davvero ottenere qualcosa.
Ma non dico altro su questa storia, che sarà poi anche una storia di endemiche penose contrapposizioni tra vari gruppi e gruppetti, con punte di ridicolo al di là di ogni decenza (penso ad esempio alle varie liti che portarono nel 1997 a organizzare due GayPride separati, che ovviamente andarono praticamente deserti entrambi), e davvero rimando al libro, che ha il merito, al di là di un disfattismo in fondo anche facile, di mostrare ciò che comunque è stato fatto.
Man mano che leggevo il libro ad ogni modo non riuscivo a non leggerci dietro, in filigrana, un’altra storia, forse perché chi è vincitore nel presente fa la storia, rende cioè, retrospettivamente, importante ciò che nel passato l’ha riguardato. Penso naturalmente alla Chiesa cattolica, che ha così fortissimamente vinto in Italia la sua battaglia per essere riconosciuta come l’istituzione che ha l’ultima parola su ciò che la legge può o non può dire e riconoscere nell’ambito dell’autonomia e della libertà degli individui. Retrospettivamente infatti pare difficile non pensare che gli anni 80, gli anni del “disimpegno” dopo la fine dei movimenti, siano stati gli anni in cui la Chiesa iniziava la sua battaglia di riconquista di una posizione di sovranità nello spazio pubblico, e decideva che la “questione omosessuale” fosse un luogo privilegiatissimo e sommamente favorevole in cui condurre questa battaglia. Nel 1986 verrà infatti pubblicata la famigerata lettera ai Vescovi Sulla cura pastorale delle persone omosessuali, e risale al 1992 la raccomandazione inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi americani, dove apertamente si invitano i parlamenti a discriminare mediante la legge le persone omosessuali (“Vi sono ambiti”, afferma il testo, “nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale”). Queste prese di posizione, sempre più fortemente affermate e sostenute, hanno certamente costituito un freno enorme alla possibilità di arrivare anche in Italia ad un riconoscimento legislativo dei diritti delle persone omosessuali; ma direi di più: hanno contribuito a isolare le persone omosessuali non solo da qualsivoglia possibile referente politico, ma anche ad isolarli dal loro, come dire?, “contesto sociale”, con ciò che immaginabilmente ne è potuto conseguire anche a livello di benessere psicologico. Conseguentemente, quello che Rossi Barilli scrive a proposito di ciò che andava accadendo negli anni 90 (“si avverte una sensazione di isolamento di fronte agli attacchi che si moltiplicano…”), non è meno valido per l’oggi, anzi, forse oggi siamo anche al di là di questo: i gay oggi infatti paiono davvero non contare più nulla, essere totalmente fuori da qualsivoglia agenda politica, e la storia del movimento gay pare essere oramai un storia che non ci riguarda più, che non accade più qui insomma.
Dove siamo, allora? Che cos’è questo “grado zero” in cui siamo ora, fuori dalla storia, senza che paia possibile l'accadere di alcunché? Forse, mi viene da pensare, la situazione attuale ha almeno questo di “vantaggioso”: ciò che si può fare è solo la cosa più difficile, quella che, sempre e per tutti, risulta la più costosa, quella che più di tutte vorremmo evitare perché sappiamo benissimo che se la faremo la pagheremo: accettarci e renderci visibili.

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