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venerdì 28 settembre 2007

Norvegia, sì al matrimonio gay.

Il ministro della Giustizia norvegese ha in serbo un provvedimento di legge che è molto atteso dalla società civile: il matrimonio gay.
Sarà possibile ai cittadini norvegesi omosessuali accedere a questo nuovo istituto civile già dall’inverno, ma anche gli stranieri gay potranno andare in Norvegia e veder riconosciuta la loro unione.Proprio per questo si è dimostrato preoccupato il ministero della Giustizia, temendo un’invasione della Norvegia da parte di promessi sposi gay. Sarà davvero possibile una emergenza di questo tipo? L’associazione glbt norvegese LLH attacca il Ministro e invita gli operatori economici a cogliere l’opportunità di incontrare una clientela danarosa come i gay. Dello stesso avviso Charlotte Solheim, direttrice del Sindacato Norvegese dell'Hôtellerie e della Ristorazione, secondo la quale il mercato gay che si sta per dischiudere grazie all’innovativo matrimonio omosessuale farà molto bene all’economia locale.

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Parigi, Damon Albarn: L'ex Blur apre la stagione del Teatro Châtelet con la rilettura di un libro cinese del '500.

(Laura Putti - Kataweb) PARIGI - Nella Cina del 1500 nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno, in un'opera musicale ispirata a quell'epoca, potesse risuonare un "klaxophone". Ma quello che avrebbe stupito un cinese di cinque secoli fa scaraventato nella Cina di oggi è probabilmente ciò che ha stupito anche Damon Albarn, cantante dei Blur e dei Gorillaz, perduto nelle strade di Pechino: le automobili e i loro clacson usati senza posa. Ecco allora che, nella partitura di "Monkey, journey to the West", tra violini, trombe, zhongran e zheng, la rockstar inglese ha infilato anche uno strumento di sua invenzione; quel "klaxophone" che mercoledì sera al Théâtre du Châtelet, durante la "grande première" di "Monkey", è intervenuto con fragore. Ispirata al "Xi You Ji" ("Viaggio in Occidente") di Wu Cheng'en (1500? - 1582?), uno dei libri più importanti della letteratura cinese, l'opera che ha aperto la stagione lirica dello Châtelet ha sul palco una settantina tra attori, acrobati, circensi ed esperti di arti marziali dell'Opera di Pechino. Damon Albarn ne ha composto le musiche e Jamie Hewlett, l'altra metà del gruppo virtuale dei Gorillaz (progetto di musica e cartoon), si è occupato delle scene, dei costumi e delle animazioni accanto al regista Chen Shi-Zheng (già autore della messinscena del "Padiglione delle peonie", opera capolavoro della tradizione cinese).

A metà tra opera cinese e opera rock, ma senza espressionismi melodrammatici, "Monkey" racconta il viaggio in nove tappe del Re Scimmia, nato dall'esplosione di un uovo sulla Montagna dei Fiori e dei Frutti (a cartone animato su un grande schermo). Accompagnato dal monaco buddista Tripitaka (vero protagonista del romanzo di Wu Cheng'en), da un Cavallo Bianco (avatar del Principe Dragone), dal porcino e lascivo Porcelet, e da Sablet (monaco in disgrazia che Hewlett disegna come un malinconico Amleto), il Re Scimmia percorre i cinque continenti e attraversa i quattro elementi.
Ogni scena è stupefacente per colori, per energia, per virtuosismi atletici. Lo spazio è utilizzato al massimo, cielo compreso: la bellissima dea Guanyin scende volando (e cantando) dal loggione fino sul palco; le sette creature celesti sono appese in alto e non cessano di fare evoluzioni assieme a cinque piccole contorsioniste al centro della scena; la violenta Principessa del Ventaglio di Ferro (nel cui stomaco il Re Scimmia si infila grazie a uno strepitoso video cartoons a raggi X di Hewlett) affronta l'avversario saltando per aria come nei film di Hong Kong e Taiwan. Alla fine del viaggio i quattro personaggi, Re Scimmia in testa, arriveranno in Paradiso al cospetto di un enorme Buddha (che aveva già imposto una mano sul Re Scimmia, imprigionandolo per cinque secoli).

Il Cavallo tornerà a essere il Principe Dragone e gli altri avranno un titolo onorifico. Il Re Scimmia diventerà il "Buddha Vittorioso nei Combattimenti" e riceverà gli applausi di un teatro (già diretto da Stephane Lissner) fino a due anni fa molto classico, ma oggi, grazie alla gestione di Jean-Luc Choplin, aperto a coproduzioni di questo tipo ("Monkey", a Parigi fino al 13 ottobre, è coprodotto con il Festival di Manchester e la Staatsoper di Berlino).
Appena scesi dal palco dopo gli applausi, Albarn e Hewlett (entrambi nati nel ¿68, anno della Scimmia) raccontano il loro viaggio in Cina attraverso scene degne dell'opera: «Non smettevamo di stupirci della immensa differenza che c'è tra la Cina urbana e quella rurale» dice Albarn, frequentatore curioso di musiche lontane, dal Mali a Cuba, un padre studioso e insegnante di cultura islamica. «Nella partitura ho cercato di mettere quello che ho ascoltato, senza però perdere la mia integrità musicale. Ho messo suoni di automobili, di cantieri di costruzioni, di generatori, tutta la cacofonia della Cina urbana. E ho messo il rumore degli insetti, la musicalità della lingua, i ritmi della vita rurale». Un video delle prove ritrae Albarn molto impegnato in due compiti precisi: ottenere il perfetto bercio dagli attori-scimmia e convincere le soavi attrici cinesi a cancellare dal volto il tipico, cortese sorriso. Troppo espressionista.

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Orgoglio di cittadini e cittadine omosessuali e trans.

(Caserta news) Napoli – La comunità GLT ( gay lesbica e trans) Napoletana ha chiesto ed ottenuto ad Horas un incontro con il Sindaco di Napoli On Rosa Iervolino Russo sui temi della violenza metropolitana registrata dalle comunità a danno delle persone omosessuali e trans. Una delegazione di 6 persone con i presidenti Carlo Cremona ( i Ken) , Giordana Curati ( Arcilesbica) e Laura Matrone ( M.I.T. Napoli) ha illustrato alla prima cittadina la manifestazione indetta per il 30 settembre sul tema dell’omofobia & transfobia e dell’Anticamorra. Il Sindaco, ha apprezzato l’attività delle associazione GLT che in questo percorso vivono con l’amministrazione comunale il valore comune di cittadinanza ed ha garantito agli organizzatori il pieno sostegno della città per la buona riuscita della manifestazione, riconoscendo all’antifascismo la radice storica di una battaglia di liberazione che al giorno d’oggi è battaglia contro la Camorra. Non a caso il 30 e dopo la commemorazione all’ Eroe Salvo d’Acquisto, una nuova piazza si animerà con spirito rinnovato e moderno guardando al proprio passato come monito per un futuro non oppresso dalla logica della violenza e della sopraffazione contro i più deboli e di considerati DIVERSI. Gli organizzatori, Cremona, Curati e Matrone tengono a precisare che tale manifestazione CONTRO porta con se un progetto per il Futuro che è un ponte immaginario nel Mediterraneo che sappia parlare di Solidarietà, di Pace e di Dignità ed essere al tempo stesso un simbolo a cui guardare con fiducia e speranza. Molte le personalità che hanno aderito e che saranno in piazza, dall’assessore Riccio che patrocina l’iniziativa a quello provinciale di Napoli D’Aimmo ai consiglieri comunali Minisci, Nicodemo e Giudice. Tanti parlamentari anche hanno aderito, in particolare Vladimir Luxuria e Titti de Simone presente alla manifestazione, ma tante associazioni e cooperative continuano ad aderire ogni giorno a questo appello che vuole vedere tutti in piazza a manifestare in allegria la propria voglia di una città rinnovata. Mancano alcune risposte all’appello che sono ancora attese, alcune associazioni nazionali del mondo GLT, la Curia S.E. Crescenzo Sepe e la Società Sportiva Calcio Napoli. A tutti loro e a tutti i cittadini e le cittadine va il nostro accorato appello a dedicare a se ed al bene della città questa occasione che per noi ha il sapore della storia e che vorremmo condividere ciascuno nel proprio modo ciascuno con la propria differenza.

Il presidente di i Ken Carlo Cremona dichiara:” solo ieri ho visto realizzare il sogno cominciato prima dell’elezioni del Sindaco Iervolino, quando le chiedemmo un Patto per il Futuro di Napoli, ci lasciammo dopo la Sua elezione ad una data in cui ci saremmo ritrovati con fatti concreti per impegni concreti. Questo giorno è giunto, ed il nostro Sindaco non si è tirata indietro ma, come sua abitudine, si è rimboccata le maniche e si è messa a lavorare al nostro fianco. Questo è stato emozionante come il vedere accanto a me tante donne autorevoli ciascuna con ruoli, modi e percorsi differenti, ma unite solidalmente con un maschio senza mai prevaricare senza mai imporre una superiorità. Questa cosa deve far riflettere tutti, a mio avviso, e cioè di come il mondo femminile contenga la collaborazione e lo spirito positivo di parità che nel mondo maschilista si traduce in incomprensibile competizione. Il risultato di questo Rosa, mi auguro, che comporterà il trenta, di vedere tante donne, tante femmine in piazza a colorare con noi questa giornata di lotta e di sogno”.

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La Germania nega asilo a lesbica iraniana: Falsa testimonianza.

False le sue dichiarazioni di persecuzione in patria. (Agi) - Il tribunale amministrativo di Berlino ha respinto la richiesta di asilo presentata da una lesbica iraniana, Yasmin K., perche' pur riconoscendone lo status sessuale, ha accertato che sono false le sue dichiarazioni di persecuzione in patria. Nella documentazione la donna aveva dichiarato di essere stata arrestata a Teheran a ottobre 2005 insieme con la sua partner e altri omosessuali durante una festa. Mentre le altre persone sarebbero rimaste in carcere, Yasmin K. sarebbe riuscita a venirne fuoci grazie ai contatti del padre con persone influenti. Il tribunale berlinese non ha invece creduto ne' alle persecuzioni subite da Yasmin K. ne' alle circostanze che avrebbero consentito la sua fuga all'estero. Un portavoce del tribunale ha spiegato che la donna oltre a falsificare alcuni documenti, "ha anche falsificato una presunta sentenza di un tribunale iraniano, che avrebbe ordinato la sua "lapidazione". La donna non sara' comunque espulsa dalla Germania, in attesa dell'esito dell'appello che il suo avvocato intende presentare. Diversamente ando' a un'altra lesbica iraniana, Pegah Emambakhsh, che dopo essere stata arrestata in Inghilterra evito' l'espulsione perche' un tribunale le riconobbe i pericoli che avrebbe corso se fosse stata rispedita in Iran. Lunedi' scorso, in un contestato intervento alla Columbia University di New York, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinedjad suscito' l'ilarita' della platea sostenendo che "in Iran non ci sono omosessuali".

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Lady Moratti ordina di rimuovere i manifesti-choc contro l'anoressia.

Toscani: "Il Comune di Milano è vittima di anoressia culturale e mentale".
Diffusa solo tre giorni fa, la campagna ha trovato l'appoggio di Livia Turco.


(Dagospia) Pare proprio che la signora Sindaca abbia dato ascolto all’assessore Giovanni Terzi che quest’oggi dalle pagine del Corriere della Sera lamentava “l’inutilità del messaggio” e, dopo le tante polemiche così come le tante manifestazioni di apprezzamento e appoggio suscitate dalla campagna No Anorexia, ideata da Oliviero Toscani per No-l-ita, abbia disposto il ritiro dei manifesti dalla città (a fianco una foto del manifesto in una via milanese).
Questa mattina, durante una conferenza stampa, una giornalista ha chiesto una opinione della sindachessa sulla campagna-choc anti-anoressia. Risposta: "Ho dato ordine che vengano rimossi dagli spazi pubblici di Milano”. Cioè, dappertutto.

Se ciò avvenisse, secondo le parole di Oliviero Toscani “sarebbe una dimostrazione di quanto l’amministrazione milanese sia vittima di anoressia culturale e mentale”.
La campagna No Anorexia, diffusa solo tre giorni fa in Italia ha trovato, al contrario del Sindaco Moratti ha trovato pieno apprezzamento da parte del Ministro della Salute Livia Turco.

Secondo le parole del Ministro Turco “un’iniziativa come questa credo sia in grado di aprire efficacemente un canale comunicativo originale e privilegiato con il pubblico giovane attraverso un messaggio di grande impatto idoneo a favorire un’assunzione di responsabilità verso il dramma dell’anoressia, e rappresenta uno strumento da prendere in assoluta considerazione. Tanto premesso, nell’auspicare la miglior riuscita dell’iniziativa esprimo nuovamente il mio pieno apprezzamento.”

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Daniel Radcliffe, una spia gay. L'ex Harry Potter per il remake di "Another Country".

(TGCom) Dopo aver scandalizzato i fan recitando nudo a teatro con "Equus", Daniel Radcliffe ha annunciato che parteciperà al casting per interpretare un ragazzo gay. L'attore è intenzionato a scrollarsi di dosso il ruolo di Harry Potter e le sue scelte professionali non passano certo inosservate. Il film in questione è il remake di "Another Country", girato nel 1984. Protagonista Guy Bennett, una giovane spia, che si innamora del suo miglior amico.

La pellicola ambientata negli anni '30 ruota attorno a Guy e al fatto che diventa una spia del regime comunista. Ma nel frattempo deve far i conti con la sua omosessualità e il suo amore "impossibile" per quei tempi. Il film (tratto da un romanzo di Julian Mitchell) nel 1984 era stato interpretato da Rupert Everett e Colin Firth.

Daniel Radcliffe si è mostrato molto interessato alla parte che fu di Everett. Soprattutto perché incuriosito a studiare vari aspetti della sessualità umana. Parlando alla presentazione stampa del suo ultimo film "December Boys", ha dichiarato: "Non ho mai interpretato un gay, ma perché non c'è mai stata l'occasione. Ma se la sceneggiattura è fatta bene perché non accettare? Penso potrei solo migliorare come attore".

Sembrano lontani i tempi in cui il giovanissimo Daniel debuttava con il primo Harry Potter cinematografico nel 2001. In "December Boys" lo si vede impegnato nella sua prima scena di sesso. Chissà quale altra sorpresa ci riserverà l'ex maghetto più famoso del mondo.

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Inizia oggi il "Florence Queer Festival".

Florence Queer Festival vi ricorda i suoi appuntamenti.
Per maggiori informazioni sul programma e sulle trame dei film visitate o scaricate il programma sul sito www.florencequeerfestival.it

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Sinistra: l'eterno mito della diversità.

(Ernesto Galli Della Loggia - Il Corriere della Sera) "Non è solo questione di antipolitica. Si ha l'impressione, infatti, che quello che sta accadendo in queste settimane, e che ha avuto un momento esemplare nella seduta di giovedì al Senato, sia qualcosa di più profondo, che viene da lontano. E cioè sia l'ultimo atto di quella disintegrazione del quadro politico e degli attori della prima Repubblica di cui fu un simbolo quindici anni fa Mani pulite. Allora, nel '92-'93, il terremoto risparmiò per varie ragioni la sinistra di tradizione comunista. Tra queste c'era principalmente il fatto oggettivo che essa aveva avuto responsabilità certo minori nella gestione, e dunque nella degenerazione affaristica, del potere. Aveva anch'essa una grossa colpa, ma di ordine tutto politico: con il suo radicalismo aveva mantenuto il sistema bloccato, privo di alternative. La storia le concesse quindi, benignamente, una inaspettata occasione: le «abbuonò» il radicalismo che ancora la pervadeva concedendole di arrivare a quel governo a cui, con il Caf in piedi, non sarebbe certo mai arrivata. Oggi possiamo dire che quell'occasione la sinistra ex Pci l'ha clamorosamente sprecata. Essa non capì allora, e non ha capito per tutti questi anni, che, in quanto promossa dalla storia a sinistra riformista di governo senza esserlo, il suo primo compito e il suo primo interesse dovevano essere quelli di diventarlo davvero. E cioè di condurre una grande battaglia di rottura culturale rispetto al proprio stesso passato per cancellare dal suo popolo la mentalità radicale, e dunque potenzialmente sempre incline al massimalismo di vario tipo, che fin lì l'aveva caratterizzata.

Mentalità fatta da un conglomerato di idee
, di sentimenti, di pulsioni diverse. Per esempio che il governo diverso dal nostro non può che fare leggi orribili le quali vanno subito cancellate; che la richiesta di galera per i delinquenti e di vie silenziose di notte è «di destra»; che l'avversario politico ha una qualità morale differente e in ogni caso neppure comparabile con la nostra; che ogni modifica alla legislazione del lavoro che non ha il placet sindacale è per ciò stesso un attentato alla libertà; che le tasse colpiscono i ricchi e, dunque, «facendoli piangere» non sono mai troppe; che nei confronti degli immigrati clandestini o dei giovani dei centri sociali la legge e l'ordine sono una semplice option, e via di seguito. Invece con questo ammasso di idee, di sentimenti e di pulsioni, radicate da decenni nel popolo di sinistra, nel loro stesso popolo e in qualche misura anche in loro stessi, nella loro identità politica, i dirigenti della sinistra che pure si diceva riformista i conti, in questi quindici anni, hanno accuratamente evitato di farli. Sono rimasti prigionieri di quella che è stata la vera, paralizzante maledizione della cultura di tradizione comunista: il continuismo. Bisognava mantenere la finzione del cammino ininterrotto e soprattutto coerente da Gramsci a Romano Prodi, che tra vini vecchi e otri nuovi, o viceversa, non ci fosse alcuna incompatibilità. Quindi al massimo «svolte», ma mai l'idea che fosse necessario affrontare a muso duro il passato dicendo, anzi gridando, chessò: «Nel '48 De Gasperi ha salvato la libertà del Paese», ovvero «era giusto, come voleva Craxi, mettere i missili a Comiso » ovvero ancora «la questione morale di Berlinguer era una strada che politicamente non portava da nessuna parte»; e magari aggiungere: «Guardate, cari amici e compagni, ammazzare o essere complici degli assassini forse è peggio che rubare». Invece nulla. A loro parziale attenuante i dirigenti della sinistra ex Pci possono peraltro osservare, e ben a ragione, che né i cattolici democratici né la sinistra non ex Pci, entrambi loro alleati, non li hanno mai incalzati in questa direzione.

Anzi: i primi sono arrivati spesso a scavalcarli
strizzando l'occhio a estremismi e estremisti vari (vedi Prodi con Rifondazione), e la seconda ha sempre e solo badato a cercare di egemonizzarli intellettualmente facendosi ogni volta forte delle loro contraddizioni per impartirgli le lezioncine del caso nei suoi sussiegosi articoli di fondo. Il moralismo intinto di demagogia con il quale il popolo di sinistra oggi si avventa feroce contro i Ds, contro il centrosinistra e il suo intero personale politico, è l'altra faccia del radicalismo lasciato così a lungo indisturbato a prosperare. In politica le cose si tengono sempre tutte. Il radicalismo ideologico, in quanto rifiuto del compromesso, della medietà, dell'idea che il mondo non è tutto nero o tutto bianco, essendo cioè rifiuto delle cose così come abitualmente sono (e non possono non essere), è fatto apposta per alimentare l'idea della obbligatoria «diversità» antropologico- morale. Che per essere di sinistra si debba essere «diversi» è l'altra faccia dell'idea che chi non è di sinistra è per ciò stesso moralmente dubbio. Alla «questione morale» si permette così di divenire la vera identità politica della sinistra, mentre la linea politica perennemente in agguato si riduce ad essere il moralismo dei demagoghi."

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Rosy Bindi: Nessun aumento Ici per i single, si considererà il reddito.

La candidata segretaria per il Pd. «Basta farci del male. Pensiamo alle famiglie e non a tassare le rendite, ma solo le grandi» «Non ci sarà alcun governissimo se cade Prodi»

(Maria Zegarelli - L'Unità) Il ministro arriva con caffé e pasticcini per i suoi collaboratori. «va bene la dieta, ma qui servono energie...». L’altra sera, ospite a Ballarò, ha mandato in rete due o tre palle niente male l’attaccante Rosy Bindi, lasciando a bocca asciutta Ignazio La Russa, An, difensore - scarso - della passata legislatura. Molto più complicato difendere la maggioranza da se stessa. Clemente Mastella, per esempio, parla di un complotto contro di lui. Rosy Bindi gli dà (un po’) ragione: si è esagerato ( un po’).

Ministro, lei c’era. È stata gogna mediatica contro il suo collega Mastella?

«In realtà sono arrivata a metà trasmissione perché ero stata ospite di Otto e mezzo, quindi tutta la prima parte mi mancava. Me la sono rivista dopo».


E come le è sembrata?

«Anche se non amo Mastella ho trovato il tono un po’ forte. È vero però che il Guardasigilli offre molto materiale per una critica contro la casta... ».

Ma gli ha espresso solidarietà?
«Se fossi stata presente in trasmissione fin dall’inizio sarei intervenuta: non mi piacciono i capri espiatori, anche se io ho un’altra storia politica, un altro stile di vita, però... ».


Però?

«Non dimentico che è stato il primo a chiedere le mie dimissioni da ministro della Sanità dicendo che il suo primario non lo votava più, come se le riforme si facessero per raccogliere voti in corsia».

Quindi non lo chiama?

«Non serve, ci siamo visti subito dopo la trasmissione».


Arriviamo alla sinistra radicale. La maggioranza è di nuovo in fibrillazione. Un altro falso allarme?

«Spero e penso proprio di sì. Penso davvero che dobbiamo fare una finanziaria che compie delle scelte politiche, non si può passare da una manovra lacrime e sangue a una praticamente a costo a zero. Sono convinta che ci siano delle spese su cui è ancora possibile intervenire, c’è da tagliare ancora ma sulla spesa sociale».

Tema caldo, le rendite finanziarie. Si può trovare una soluzione?

«Ne sono convinta: non si devono toccare le rendite finanziarie del piccolo risparmiatore e della piccola impresa, ma sulle grandi rendite perché non intervenire? È nel programma ed è previsto in tutta Europa».

Ogni ministro presenta il conto. Il suo?

«Abbiamo tre priorità: la non autosufficienza, il costo della casa in relazione ai carichi familiari, l’assegno per i figli. Sono tutti interventi previsti nel programma e sarebbe un segnale di ridistribuzione vera».


Follini chiede a Prodi di dimettersi dopo la Finanziaria. C’è chi reclama il Prodi 2 e chi torna a parlare di governissimo. Dopo Prodi cosa c’è?

«Follini ha detto una cosa irresponsabile, sono meravigliata. Ma davvero vogliamo continuare a farci del male? Dopo Prodi, per quanto mi riguarda si va al voto, mentre l’ipotesi di un Prodi 2 può essere presa in considerazione soltanto a un anno dalla nascita del Pd, con un patto chiaro tra il segretario del partito e il governo, per fugare ogni dubbio. Quanto al governissimo c’è chi si illude che questo avvenga, ma non avverrà, e chi desidera che questo avvenga, ma sbaglia».


Il presidente di Arcigay ha definito la sua proposta di tassare di più l’Ici per i single una «legge violenta, familista». Cosa risponde?

«Che dovrebbe informarsi prima di attaccare. Sull’Ici ci sono due elementi da tenere in considerazione: reddito e componenti del nucleo famigliare. Nessuno chiede a una persona sola, con poche risorse, di pagare come un single con un reddito più alto. A parità di reddito, però, un single non può avere lo stesso sconto fiscale di una famiglia con tre figli».


Passiamo al Pd. Domani (oggi per chi legge, ndr) c’è il faccia a faccia tra i candidati. Soddisfatta?

«Non mi risulta. Non c’è un faccia a faccia. Parleremo in orari diversi. Almeno questo mi è stato comunicato».

La critica che le muovono con più frequenza: Bindi fa una campagna «contro». Non crede che ci sia un fondo di verità?
«Contro chi?».


Veltroni e Letta, ministro.

«Non è vero. Io faccio una campagna elettorale per il Pd. Mi sta a cuore un buon partito, forte, e per questo pongo delle questioni, serie, a tutti e naturalmente in modo particolare a chi è dato per favorito. Ma vorrei porre una domanda: il fatto che ho deciso di candidarmi è forse stato vissuto come lesa maestà?».

Veltroni secondo i sondaggi è al 78%. Scoraggiata?

«Per nulla, sono contenta: posso solo migliorare. Scherzi, a parte, faccio una battaglia per tutti».


Ha più volte sostenuto che Veltroni rappresenta gli apparati...

«Mi sono limitata a registrare un fatto. Perché considerarla un’offesa? È chiaro che dietro la sua candidatura c’è anche il sostegno di tanti interessati a legittimare l’esistente. Questo non vuol dire che Walter non riuscirà a cambiare le cose, ma oggi è così».

Ministro, dicono che lei si sia candidata su invito di Prodi.

«È offensivo sostenere una cosa del genere. Mi sono candidata perché credo nell’Ulivo fin dall’inizio e credo nella necessità del partito nuovo. E poi le primarie hanno un senso se ci sono almeno un paio di candidati».


Lei ha in lista due nipoti di Prodi...

«In famiglia Prodi sono cento, io ne ho solo tre. Chissà dove sono gli altri».


Veltroni vuole un Pd allegro, Letta giovane, lei come lo vuole?

«Vero. E democratico».


Il rischio correnti: come si evita?

«Dicendo dei sì e dei no. Questo partito non può essere vittima del bilancino. A sostegno di Veltroni ci sono più liste che si sono presentate con documenti, ognuno dei quali dice cose diverse. Il candidato deve dire da che parte sta. Io ho un solo programma, non ci sono appendici».

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Handicap, sessualità, omosessualità: il nuovo numero di "HP-Accaparlante".

La rivista affronta i problemi, i bisogni e le risorse delle persone disabili omosessuali.
(Valeria Alpi - Bandiera gialla) Chi sono e come vivono le persone Gay, Lesbiche e Bisessuali con disabilità? Qual è il loro grado di accettazione in famiglia, tra gli amici, da parte di organizzazioni e operatori professionali specifici del settore della disabilità, e da parte di organizzazioni e volontari GLB? Le associazioni GLB e quelle che si occupano di disabilità sono preparate ad accogliere persone GLB con disabilità? Quali le difficoltà nella propria vita affettiva e sessuale?

A queste domande risponde il nuovo numero monografico di “HP-Accaparlante”, la rivista del Centro Documentazione Handicap di Bologna, dal titolo "Uno più uno non sempre fa due". Da oltre un anno, infatti, il Centro Documentazione Handicap è partner di un progetto – tuttora in corso – voluto da Arcigay di Bologna, con la collaborazione del Centro Bolognese di Terapia della Famiglia e dell’associazione Handygay di Roma. Il progetto, intitolato “Omo-disabilità – Quale il rapporto tra omosessualità e disabilità?”, ha voluto indagare, con una serie di interviste semi-strutturate a 25 persone disabili omosessuali provenienti da tutta Italia, gli eventuali doppi pregiudizi e doppie discriminazioni, le difficoltà specifiche dell’essere insieme sia omosessuali sia disabili, le risorse e i percorsi di integrazione attivati, le richieste, i bisogni, le aspettative. Con questo numero monografico si parla, dunque, di persone disabili omosessuali, e si racconta la ricerca realizzata, i risultati ottenuti e i progetti per l’immediato futuro, cercando di capire le dinamiche nuove che si creano quando si incontrano due diversità, dinamiche nuove che non sono la semplice somma di due problemi. La ricerca permette di riproporre il tema della sessualità delle persone disabili e, soprattutto, di ribadire che le persone disabili non sono a-sessuate.

Può sembrare paradossale la necessità di parlare di un tema così intimo e riservato della vita: di solito non si parla di sessualità con le persone, salvo una confidenza magari con un amico o qualche scambio di battute tra colleghi di lavoro; di sicuro resta un tema di cui difficilmente si parla in famiglia, coi genitori. Una persona “normodotata” può passare la vita a tacere sulla sua sfera della sessualità e nessuno si scandalizza che non se ne parli. Anzi, il parlarne continua a creare forse un po’ di imbarazzo, anche se i messaggi relativi alla sfera della sessualità ci arrivano continuamente da ogni dove.
Una persona con deficit, invece, è in qualche modo “sotto i riflettori” per tantissimi aspetti della sua vita quotidiana: si “sbandierano ai quattro venti” i suoi certificati di invalidità, le sue lotte contro le barriere architettoniche e culturali, le sue richieste di agevolazioni fiscali, le sue necessità di assistenza, i suoi desideri di fruire degli spazi e dei contesti per lo sport e il tempo libero, il suo essere una persona speciale o al contrario una persona più sfortunata di altri, la sua ricerca di inserimento lavorativo, i suoi diritti di integrazione scolastica, e così via. Sulla sfera della sessualità però tutto tace, e se questo può essere in linea con quello che succede per i “normodotati”, paradossalmente si crea una situazione di negazione: il risultato è che la persona disabile continua a essere considerata come una persona a-sessuata.

Inoltre, le associazioni di categoria, sia quelle che si occupano di disabilità, sia quelle che si occupano di omosessualità, potrebbero manifestare eventuali reciproci pregiudizi. Come diciamo spesso, occuparsi di una diversità, o vivere una diversità, non salva purtroppo dal pregiudizio verso gli altri.

Come sempre, la seconda parte della rivista è dedicata alle rubriche, con tanti temi diversi: in questo numero, per esempio, un concorso di bellezza per donne in carrozzina a Hannover, la storia di un alpinista disabile, il concetto di “solidarietà” proposto dalla televisione, l’animazione nel Sud del mondo, una cucina didattica per migliorare l’apprendimento di bambini e adolescenti disabili, gli insegnanti di sostegno nella scuola di un tempo e di oggi, le recensioni dei libri e altro ancora…

Per avere la rivista:
"Uno più uno non sempre fa due - Handicap, sessualità, omosessualità"
Numero 3-2007 di "HP-Accaparlante"
Edizioni Erickson: tel. 0461/95.06.90, numero verde 800/844.052

Per informazioni:
Valeria Alpi
Centro Documentazione Handicap di Bologna
tel. 051/641.50.05
valeria@accaparlante.it

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Gay contro gay per la "Help Line."

E' ancora scontro tra Arcigay e Mario Mieli. Motivo del contendere: l'appalto del "telefono amico" (bando da 100 mila euro). Chiamato in causa il giudice sentenzia in favore dei gestori.

(Roma One) Divisi da un "telefono amico". L'associazione Arcigay e il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli sono arrivati ai ferri corti. Motivo del contendere: l'appalto della Gay HelP Line assegnata da tempo (con bando da 100 mila euro) dal Campidoglio al raggruppamento rappresentato da Arcigay Roma in partenariato con CGIL Nuovi Diritti Roma e Lazio, NPS Italia Onlus e con Arcilesbica, GayNet, Tribunale per i diritti del malato, Cittadinanza attiva, Sportello per gli immigrati. Assegnazione contestata formalmente dal Mario Mieli che ha presentato ricorso presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Ieri l'udienza che ha confermato l'esito dell'appalto: il servizio rimarrà di Arcigay.

ARCIGAY - "In questi ultimi mesi a Roma, nonostante il grande successo del Pride unitario del 16 giugno, si sono verificati numerosi attacchi nei confronti del comitato provinciale Arcigay Roma Gruppo ORA da parte del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli", denunciano dalla sede romana. "E' evidente - dichiara Fabrizio Marrazzo, presidente di Arcigay Roma - che questo gesto appare molto grave sul piano politico in seno al movimento gay, perché si richiede di sospendere immediatamente il servizio Gay Help Line, l'unico numero verde antiomofobia in Italia".
Poi Marrazzo si lascia andare a un'apertura: "Sia chiaro che pur giudicando assurdo e incomprensibile il gesto del Mario Mieli, mi auguro che si possa tornare a lavorare insieme in maniera serena".

MARIO MIELI - La replica del Circolo non tarda ad arrivare. "Siamo sorpresi per il grande ritardo di questa dichiarazione - dice Rossana Praitano, Presidente del Mario Mieli - poiché avevamo presentato ricorso ben due mesi fa, ed Arcigay Roma è stato immediatamente informato a tal punto di costituirsi in giudizio". Praitano sottolinea inoltre la assoluta legittimità di uno strumento legale quale è un ricorso amministrativo: "Già all'epoca della nascita stessa della Gay Help Line - racconta - elargita ad un'associazione a quel tempo priva di qualunque esperienza specifica, si sarebbe potuto sottolineare questa "particolarità" e stupirsi pubblicamente per incongruenze quali la pubblicizzazione di un enorme flusso di contatti telefonici prima ancora che la linea fosse attiva".

"EVA CONTRO EVA"- Le due associazioni vivono da tempo alti e bassi (soprattutto bassi). L'ultima occasione che le ha viste scontrarsi a viso aperto è stata la vicenda dei due ragazzi arrestati ai piedi del Colosseo per qualche effusione (o forse più) in una notte di fine luglio. All'Arcigay, che aveva promosso un bacio collettivo di protesta sempre all'ombra del Colosseo, aveva risposto il Circolo Mario Mieli con un'analoga iniziativa (che però anticipava i colleghi). L'Arcigay ha subito protestato: "Hanno copiato". La replica è stata distensiva: "I gesti di solidarietà più sono e meglio è".
La soap continua?

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"Gentile signor candidato al Pd...". I gay "interrogano" gli aspiranti leader.

Sul sito Gaytoday, la comunità Glbt lancia un sondaggio da sottoporre ai concorrenti delle primarie. Visto che da loro, per ora, non sono arrivate risposte. Domande su questioni "scomode", matrimonio e figli di genitori dello stesso sesso, omofobia e diritti.
(Claudia Fusani - La Repubblica) Finite le liste, adesso parliamo di programmi, annunciano i candidati segretari al Pd. Ecco, appunto, avanti con i programmi in queste due settimane di campagna elettorale. I cittadini-elettori hanno preso molto sul serio l'invito. E pongono le loro domande. Del tipo: "Caro candidato, è favorevole o contrario a permettere alle coppie dello stesso sesso di accedere al matrimonio civile? E' favorevole o contrario a permettere alle coppie dello stesso sesso di accedere all'adozione di minori? E' favorevole o contrario a rimuovere il divieto verso le coppie dello stesso sesso di accedere alla procreazione medicalmente assistita? E' favorevole o contrario al Pacs? Intende fare qualcosa di incisivo affinché la riforma, o le riforme, a cui è favorevole (sempre che ce ne siano) diventi/diventino realtà entro breve? Se sì, che cosa? Cordialmente, Eliana".

Il popolo Glbt (gay, lesbian, bisex e transex) interroga i candidati leader del Partito democratico. Nell'iniziativa, assicurano, non c'è nulla di provocatorio, solo il diritto ad avere alcune risposte che riguardano in Italia "qualcosa come tre-quattro milioni di elettori", persone che vorrebbero essere coinvolte nel gran gioco delle primarie e magari andare anche a votare ma che finora non sono riuscite ad avere risposte e si sentono tagliate fuori. E siccome la campagna elettorale sarà breve - due settimane effettive - la televisione è quasi vietata, i dibattiti sono già stati fatti e confronti diretti con gli elettori sembrano esauriti, il popolo Glbt tenta un sondaggio dal basso, autoorganizzato, via web.

Il mezzo è il sito Gaytoday, un aggregatore di blog che fanno riferimento al mondo gay e omosessuale nato all'indomani del 16 giugno. Era sabato e dopo veti e sgambetti un milione di persone sfilò per le vie di Roma rivendicando l'orgoglio gay. Una specie di giornale di settore che si autorealizza con i blog e gli interventi della comunità Glbt ma non solo. "Il sondaggio è partito un paio di settimane fa" spiega Cristiana Alicata, una dei responsabili del sito "con cinque domande ai candidati". Cinque domande per altrettanti temi tanto delicati quanto scomodi: dall'omofobia ("Cosa farà il Pd per combattere le discriminazioni di genere e per scelta sessuale?") alle esigenze della comunità Glbt ("Pensa che richieste e iniziative Glbt possano essere rappresentate nel Pd?"); dalla omogenitorialità ("Esistono in Italia, migliaia di figli di coppie omosessuali. Conosce l'entità del fenomeno? Come tutelare i figli di queste coppie?) alla fecondazione eterologa ("Sarebbe pronto a valutare provvedimenti che permettano alle coppie omosessuali la fecondazione eterologa?") fino al "provvedimento che facilita, con le dovute cautele e verifiche, il desiderio di cambio di identità anagrafica per i cittadini transessuali?". Cinque domande scomode, ingombranti, rimaste fuori dalla campagna elettorale - come altre questioni legate al laicismo, ad esempio il testamento biologico - e che, spiega Cristiana Alicata, "entro la fine della prossima settimana saranno sottoposte ai candidati segretari".

Sul sito si trovano molte altre domande simile a quella di Eliana che "cordialmente" si rivolge al "Caro candidato...". Con lo stesso tono cordiale Giorgia chiede perchè "in Italia deve essere la comunità Glbt a fare le domande quando negli Usa i candidati sentono l'esigenza di dare risposte alla comunità Glbt". Walter Gallo ha una domanda semplice semplice: "Negli Usa i candidati alle primarie democratiche dicono sì alle unioni civili. Che dicono i nostri candidati?". Semplice forse no, diretta senz'altro. Come quella di Amicone Mario Edwige: "Come il Pd affronterà l'omofobia nelle scuole, nei media e sul posto di lavoro?". Giuseppina La Delfa, presidente delle Famiglie Arcobaleno, interroga i candidati "sul fenomeno, che è una realtà, dei bambini che hanno due mamme o due papà", bambini omogenitoriali, che fine fanno se il genitore naturale muore? A chi vengono affidati? Qualcuno ci sta pensando? La Delfa fotografa il fenomeno, con i numeri: "In Italia ci sono, come minimo, centomila bambini che hanno almeno un genitore omosessuale; almeno 150 sono i bambini figli di genitori dello stesso sesso".

Le domande postate sollecitano questioni delicate, "nascoste" ma concrete e urgenti. "Che tipo di informazione e educazione sessuale per prevenire le malattie a trasmissione sessuale?" chiede Guido Allegrezza. Per dire che certe domande poi riguardano tutti e non solo la comunità Glbt.

Si tratta di temi che finora sono stati accuratamente evitati. Non perchè i candidati non abbiano le proprie idee in proposito. Ma perchè le risposte di Veltroni non sono quelle di Rosy Bindi e neppure quelle di Enrico Letta. Non esiste una linea comune. Il laicismo e lo scontro tra cattolici e laici è uno dei fronti che più ha lacerato questa maggioranza. Ed è destinato a lacerare il Partito Democratico.

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I conti della Chiesa ecco quanto ci costa.

L'otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi. Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro.

(Curzio Maltese - La Repubblica) "Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati". Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l'arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall'arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel "ventennio Ruini", segretario dall'86 e presidente dal '91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all'interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI.
Le ragioni dell'ascesa di Ruini sono legate all'intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un'altra chiave per leggerne la parabola si chiama "otto per mille". Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull'Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all'anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l'ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.


Dall'otto per mille, la voce più nota, parte l'inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il "prezzo della casta" è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all'anno. "Una mezza finanziaria" per "far mangiare il ceto politico". "L'equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all'anno".

Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all'ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.

Per la par condicio bisognerebbe adottare al "costo della Chiesa" la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.

Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all'anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell'otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell'ora di religione ("Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire", nell'opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c'è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all'ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell'ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un'inchiesta dell'Unione Europea per "aiuti di Stato". L'elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l'Ici (stime "non di mercato" dell'associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l'elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l'Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all'anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all'anno, più qualche decina di milioni.

La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il "costo della democrazia", magari con migliori risultati.

Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell'otto per mille sull'Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all'epoca "di sinistra" come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell'84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.

Ma pur considerando il meccanismo "facilitante" dell'otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio "ritorno sociale". Una mezza finanziaria, d'accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l'impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma "quanto" veri?

Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull'otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all'estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all'autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all'interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di catechesi", attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l'altro paradosso: se al "voto" dell'otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.

Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane usano il danaro dell'otto per mille "per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell'Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo "L'altra faccia dell'otto per mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dell'otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?". "E infatti - conclude l'autore - i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere...".

A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di "Chiesa padrona", rifiutato in blocco dall'editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al "dirigismo" e all'uso "ideologico" dell'otto per mille non è affatto nell'universo dei credenti. Non mancano naturalmente i "vescovi in pensione", da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: "I vescovi non parlano più, aspettano l'input dai vertici... Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato". Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte "il dirigismo", "il centralismo" e "lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa". Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: "Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono".

La Chiesa di vent'anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall'egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall'universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di "scoprire" l'antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l'impegno di don Italo Calabrò contro la 'ndrangheta.
Dopo vent'anni di "cura Ruini" la Chiesa all'apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l'agenda dei media e influisce sull'intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent'anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.

Il clero è vittima dell'illusoria equazione mediatica "visibilità uguale consenso", come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d'inverarsi la terribile profezia lanciata trent'anni fa da un teologo progressista: "La Chiesa sta divenendo per molti l'ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l'ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo". Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.

(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

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Mehdi Kazemi, iraniano e gay.

(Querelles blog) “Se in Iran non ci sono omosessuali, allora non so chi sono io, visto che sono iraniano e gay e che ho seri problemi a rientrare nel mio paese a causa del mio orientamento sessuale”. A scriverlo è un giovane gay, Mehdi Kazemi, in un’e-mail spedita all’Iranian Queer Organization (IRQO), un’associazione che lotta per i diritti civili di gay, lesbiche e transessuali iranian*. Lo stesso gruppo di attivist* ha poi diffuso il testo del messaggio, come risposta alle sconcertanti dichiarazioni rese tre giorni fa da Ahmadinejad, secondo il quale “il fenomeno dell’omosessualità non esiste in Iran”.

Ma chi è Mehdi Kazemi? Lo ha raccontato lui stesso qualche tempo fa, quando ha dovuto presentare una domanda d’asilo al governo inglese. Questa è la sua storia.

Sono iraniano, sono nato l’8 aprile 1988, a Teheran. Sono un musulmano sciita. Ho vissuto sempre con i miei genitori e mia sorella fino al 15 settembre 2005, quando sono venuto in Inghilterra. Mio padre possiede un negozio di frutta secca in Iran e di tanto in tanto fa dell’import-export.
Ho frequentato la scuola a Teheran per dodici anni. Avevo 17 anni quando mio padre ha deciso che avrei studiato in Inghilterra. Ha preparato tutto affinché venissi qui a studiare. Una volta arrivato, ho cominciato un corso d’inglese e per i primi due mesi ho vissuto con mio zio a Londra. Poi mi sono trasferito a Brighton e, nel novembre 2005, sono entrato all’Embassy CES College a Hove. Ho prolungato il mio permesso di soggiorno fino a novembre 2006, poiché intendevo continuare a studiare in Inghilterra.
Quando ero in Iran, non avevo alcun problema. Tuttavia, avevo appena compiuto 15 anni, quando ho scoperto che ero attratto sessualmente dagli uomini. Avevo molta paura di questo sentimento e l’ho tenuto per me. Più o meno in quel periodo, ho cominciato a frequentare uno dei miei compagni di scuola. Si chiamava Parham. Anche lui era iraniano ed eravamo soliti passare molto tempo insieme. Parham era il mio migliore amico e un giorno mi disse che era attratto dagli uomini e non dalle donne. Allora mi sono sentito a mio agio con lui e ho deciso di raccontargli che provavo la stessa cosa. Avevamo entrambi 15 anni quando abbiamo deciso di cominciare la nostra relazione.
Ci vedevamo ogni giorno, a scuola, al cinema o al parco. Abbiamo cominciato ad avere rapporti sessuali otto mesi dopo aver cominciato a uscire insieme. Ci incontravamo o a casa sua o a casa mia, quando non c’era nessuno. Tutti erano all’oscuro della nostra relazione. Credevano che fossimo amici per la pelle ma niente di più. Provavo verso di lui un sentimento molto forte e non mi stancavo mai di vederlo. Abbiamo deciso di mantenere segreta la nostra relazione, poiché sapevo che se qualcuno del governo l’avesse scoperta, saremmo stati condannati a morte.
Quando mio padre decise che dovevo studiare in Inghilterra, ero triste per il fatto di dover abbandonare Parham in Iran. Ma sapevo che sarei potuto tornare per le vacanze scolastiche e dopo aver completato gli studi in Inghilterra. Il pensiero di poter tornare mi dava il coraggio necessario a lasciare Parham in Iran.
Quando sono arrivato in Inghilterra, mi tenevo in contatto con lui via e-mail. Ci scrivevamo una volta alla settimana circa. Mi diceva che la situazione in Iran stava peggiorando e che la repressione aumentava. Sentivamo molto la mancanza l’uno dell’altro.
Intorno a dicembre 2005, Parham ha smesso di scrivermi. Gli ho mandato due o tre e-mail, ma non ha risposto. Pensavo che si trovasse lontano da Teheran o che non avesse accesso a internet.
Verso la fine di marzo 2006, mio zio mi ha riferito che mio padre lo aveva informato della mia relazione con questo ragazzo. Poi mi ha raccontato che Parham era stato arrestato dalle autorità iraniane e aveva fatto il mio nome. Le autorità erano andate a casa di mio padre a cercarmi e lui era rimasto sconvolto e impaurito da tutta la situazione. Mio zio, che è un uomo dalla mentalità aperta e ha vissuto in Inghilterra gran parte della sua vita, non si è arrabbiato e mi ha suggerito di provare a rimanere, poiché la mia vita sarebbe stata in pericolo se fossi tornato in Iran.
Quel giorno, più tardi, mio padre mi chiamò e si mostrò molto arrabbiato con me. Gridò al telefono contro di me e mi disse di rientrare in Iran prima possibile. Voleva picchiarmi. Io non gli dissi niente e riattaccai. Avevo molta paura di lui.
Ho continuato a studiare, ma ero sempre teso. Pensavo a Parham. Ero molto triste e temevo per la mia vita. Sapevo che se fossi tornato in Iran sarei stato ucciso.
A fine aprile 2006, mio zio mi chiamò di nuovo per dirmi che mio padre gli aveva riferito che le autorità iraniane avevano condannato a morte Parham. Aggiunse che mio padre aveva avuto allora molta paura e si era molto raccomandato perché non tornassi in Iran, poiché volevano farmi la stessa cosa.
Ma come avevano fatto le autorità iraniane a scoprire che Parham era omosessuale? Mio zio mi ha detto che era stato trovato in compagnia di un altro ragazzo e lo avevano arrestato. Durante l’interrogatorio gli avevano chiesto di parlare di tutti gli uomini coi quali era stato ed allora aveva fatto il mio nome. Le autorità avevano quindi riferito a mio padre che io avevo avuto una relazione con Parham.
Parham è stato accusato di essere omosessuale e condannato a morte. L’Iran è un paese islamico dove avere una relazione con una persona dello stesso sesso costituisce un reato molto grave. Le autorità iraniane hanno scoperto che sono omosessuale ed ora sono ricercato. Non posso impedirmi di essere attratto dagli uomini. È una cosa con la quale vivrò per il resto della mia vita. Con questo sentimento ci sono nato, e non posso cambiarlo, ma sfortunatamente non posso viverlo nel mio paese. Se torno in Iran sarò arrestato e messo a morte. Come Parham.

Dopo il rifiuto del governo inglese di concedergli l’asilo, Mehdi Kazemi è stato costretto a lasciare il territorio britannico. Voleva andarsene in Canada, ma è stato arrestato in Germania. Ora vive in Olanda, dove aspetta una risposta a una nuova richiesta d’asilo. Mehdi Kazemi ha 19 anni.

Fonte: IRQO (traduzione mia).

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David Beckham sulla rivista per Gay ATTITUDE.

(Bellezzegossip) Da alcunie fonti é trapelata la notizia che la foto che vedete di David Beckham, sarà sulla cover del prossimo numero di Attitude Magazine, una rivista gay inglese.

Non c’è ancora la conferma e a occhio nudo non si riesce ad essere sicuri se sia un ritocco al photoshop oppure no. Potrete deciderlo voi. Dopo tutto David Beckham stesso ha detto che a lui piace essere un icona gay e lo potrete leggere qui di seguito:

In un ampio articolo dedicato a David Beckman Magazine People descrive 5 punti particolari e caratteristici della star di Hollywood da conoscere:

1) David Beckham ha preso da sua madre, Sandra, che è incline a piangere. “Mio papà é un uomo nel senso della parola, ma io ho preso più dalla personalità di mia madre “, David dice alla rivista Sport ILLUSTRATED. “Mia mamma é’ molto più dolce, molto di più affettuosa. Entrambi siamo veramente molto emozionali. ”

2) C’ é una statua di bronzo di David Beckham in un tempio buddista Thai, un altra di cioccolata a Tokyo e la sua immagine adorna una catena di saloni di bellezza giapponesi.

3) Questo suo stile camaleonte lo ha portato ad apparire “con un tipo di acconciatura che porta una striscia di capelli più lunga rispetto al resto della capigliatura”, o ad adottare una capigliatura simile a quelle africane, a rasare l suo capo, avere una capigliatura arruffata senza essere pettinata, mostrare i capelli pettinati a coda di cavallo, usare bandane intorno ai capelli, fermare le chiome con speciali fermagli, infine tingersi i capelli di bianco.

4) Dopo aver posato per la copertina del Magazie Attitude, una rivista gay inglese, David Beckham, che é noto usare lo smalto della moglie Victoria e anche la sua biancheria intima, dice alla rivista Sport Illustraed
E’ un grande onore per me essere considerato un icona gay. Mi sento a mio agio nel mio lato femminile e non ho problemi come altri a mostrarlo. E’ la moda di questi tempi e così dovrebbe essere”.

5) La BBC riferisce anche che Il coverboy ha posato per diversi Magazine fra cui Vanity Fair anericano nel quale sulla copertina del 2004 indossava a torso nudo una striscia rappresentante un rosario disegnata da Dolce&Gabbana.

Questo é quanto ha riferito People, dove potete leggere l’intero articolo. Nel frattempo attendiamo di sapere se la copertina di quel giornale avrà veramente l’immagine di Beckman sulla copertina così come la vedete.

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Mka di nuovo in Italia.

(Queer blog) Ieri vi abbiamo ricordato quanto ottobre sia un mese davvero hot per i concerti in Italia. E questo di cui vi stiamo per parlare non è affatto da meno. L’artista in questione, che sta per venire ad esibirsi qui da noi, lo sentiamo un po’ un nostro pupillo. Il nostro Aelred è stato tra i primi a parlarne in tempi assolutamente prematuri e quindi non sospetti. E a tutt’oggi quel post, in cui vi presentavamo la nascita di una nuova stella della musica (previsione più che avverata), è in testa con il più alto numero di commenti del nostro blog (oltre 2000). A questo punto mi sembra chiaro che stiamo parlando del fenomeno Mika.

Diventato da subito un’icona gay grazie al suo primo singolo “Grace Kelly”, allo stile Scissor Sister e alla sua voce che richiama a Freddie Mercury, ha confermato le premesse con “Relax-take it easy”. Belloccio, stiloso e nuovo simbolo della musica brit-pop, Mika ha raggiunto in pochi mesi dei risultati di classifiche e vendita davvero da guiness dei primati. Un vero fenomeno, una rivelazione.

Dopo la tappa di Milano (sold out) che sembrava restare l’unica, Mika sarà in concerto in Italia il 19 ottobre a Torino, il 20 a Bologna e il 22 a Rimini. Visto quanto se ne è parlato qui e quanto continua ad animare il nostro blog, abbiamo ragione di credere che sarete in molti a muovervi per andare a vederlo dal vivo. Le date sono tutte al nord ma per Mika uno spostamento si può anche fare. Tutte le info sui concerti italiani sono qui.

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Mtv Awards 2007: quattro nomination per Justin.

(Il messaggero) Justin Timberlake potrebbe replicare il successo dell'anno scorso, avendo ottenuto ben quattro nomination per gli Mtv Music Awards 2007. Il cantante premiato agli Mtv Europe Music Award 2006 come “miglior artista maschile” e “miglior performance pop” e che ha portato via quattro statuette nella serata di Los Angeles dedicata ai Video, è il favorito di questa edizione. L'evento, trasmesso in diretta televisiva su tutti i canali Mtv, si terrà il primo novembre all'Olympiahalle di Monaco di Baviera e sarà presentato da Snoop Dogg. Avril Lavigne e Beyoncé possono ben sperare con tre nomination e i Tokio Hotel con due. In gara anche Nelly Furtado, Rihanna, Christina Aguilera e Mika.

Quest'anno agli Mtv Awards
ci saranno categorie inedite, come “Rock Out”, “Ultimate Urban”, “Album of the year”, “Headliner”. Tra i nuovi award c'è anche il “New Sounds of Europe”, realizzato in collaborazione con Ericsson, per premiare tre band emergenti. Tra i partecipanti ci sono anche gli italiani Fabri Fibra e Mondo Marcio. Sul palco di Monaco di Baviera saliranno molti altri artisti italiani: Negramaro, Elisa, Zero Assoluto, J Ax e Irene Grandi, tutti in lizza per il premio “Best Italian Act”.

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Hairspray.

(Cinemagay.it) Il film è derivato dalla omonima commedia musicale ricavata a sua volta dal film di John Waters del 1988. La storia è sempre la stessa, e racconta delle vicende di due amiche adolescenti, molto diverse tra loro (una, Tracy, è grassa e piena di buonumore, l'altra è invece chiusa e introversa) che impazziscono per il ballo e per la trasmissione tv "Corny Collins Dance Show". Quando organizzeranno un ballo sul tema dell'integrazione razziale solleveranno il caos... La grande attrazione mediatica del film è senz'altro la partecipazione di John Travolta nei panni di Edna Turnblad, la madre della ragazzina grassottella, che nell'edizione di Waters del 1988 era interpretata da Divine (nella sua ultima apparizione prima della prematura scomparsa).

Nelle prime proiezioni americane, ogni volta che Travolta appare in scena (dopo l'iniziale sorpresa e il non facile riconoscimento) il pubblico applaude calorosamente e ride divertito per premiarne la bravura, che si esprime soprattutto nella grazia e femminilità con cui recita il suo personaggio (in questo senso assai diverso dall'impostazione "camp" di Divine). Il regista Waters, rimasto soddisfatto di questa nuova versione del suo film, appare in breve cammeo all'inizio del film nelle vesti di un vecchio sporco che guarda Tracy nella strada.

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Iran - si ammazzano i gay, solo se non cambiano sesso.

(Gaywave) L’Iran è un Paese di forti contraddizioni, diviso fra l’integralismo e la voglia di nuovo; l’osservanza delle leggi coraniche più obsolete ed una disinibità propensione verso la modernità. E così, a fronte delle recenti e macabre notizie sull’impiccagione di numerosi ragazzi gay giovanissimi, si apprende che nel Paese islamico è facile cambiare sesso, tanto che moltissimi stranieri si rivolgono alle cliniche iraniane per provvedere facilmente all’operazione chirurgica.
Sembra infatti che la legge islamica abbia fatto di necessità virtù e che, intuìto il grosso business, lo stato iraniano abbia da tempo rilasciato i permessi ad alcune strutture ospedaliere, la più famosa è la Clinica Mirdamad del professor Bahram Mirjalali a Teheran (nella foto con un paziente), per provvedere senza grosse complicazioni a dare il via ad una specializzazione protesa alle nuove frontiere del cambio di sesso.
Fu Khomeini nel 1964, durante gli anni dell’esilio in Turchia, a scrivere un trattato di giurisprudenza in cui esaminò il “problema” del cambio di sesso che “per il Corano non è da considerare reato e, in presenza di una dichiarazione medica credibile, non presenta alcun problema”.
Un dettato che negli ultimi anni è stato utilizzato per rendere le operazioni di cambio sesso facili e veloci, ed anche econimiche: soltanto 3.500 euro per l’intero trattamento. Se a questo aggiungiamo che non vengono richiesti particolari controlli e i tempi sono più che veloci, è facile intuire perché moltissimi europei, anche tanti italiani, ogni anno raggiungono le città iraniane per tornare poi in patria con un nuovo sesso e una nuova identità.

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Si terrà a Varsavia l'Europride 2010.

Le città che ospiteranno i prossimi Gaypride europei sono state scelte in una riunione dell'Epoa tenutasi a Stoccolma. La manifestazionedella capitale polacca sarà un messaggio a tutto l'est europeo.

Durante l'ultima riunione dell'Epoa, l’Associazione che riunisce le Associazioni Europee che organizzano i Pride e gli Europride, che si è tenuta lo scorso 14 settembre a Stoccolma sono state decise le città che ospiteranno le prossime tre edizioni dell'Europrida. Il prossimo anno toccherà a Stoccolma stessa, dal 28 luglio al 2 agosto, nel 2009 la manifestazione si svolgerà a Lugano mentre nel 2010 sarà il turno di Varsavia.

Sarà la prima volta che una città dell'Est europeo accoglie l'Europride e lo scopo è quello di mandare un messaggio forte a quella parte del Vecchio Continente in cui l'uguaglianza e i diritti delle comunità LGBT sono quasi inesistenti. Il Pride è stato vietato a varsavia ben due volte negli ultimi anni. La prima volta nel 2004 e poi ancora nel 2005 dall'allora sindaco Lech Kaczynski, attuale presidente della Polonia. Negli ultimi due anni la manifestazione si è tenuta per le strade della capitale polacca con qualche piccolo incidente e lo scorso anno sono scese in piazza ben 5000 persone: un numero notevole, il più alto mai registrato in Polonia. Ciò nonostante, i politici locali appartenenti al partito conservatore non hanno risparmiato commenti omofobici, tanto da spingere, lo scorso anno, il presidente della Commissione del Parlamento Europeo per i diritti di gay e lesbiche a chiedere a Kaczynski di prendere provvedimenti contro le discriminazioni.

La speranza è che lo svolgersi dell'Europride a Varsavia spinga, in qualche modo, i governi di quell'area del Continente a indirizzare le loro politiche verso il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT. "Altre città come Mosca e Riga devono imparare che è inaccettabile in Europa proibire a gay, lesbiche, bisessuali e transegender di apparire in pubblico - ha dichiarato il presidente di EPOA Robert Kastl -. Le discriminazioni, il bigottismo, e gli estremismi religiosi e di destra contro le persone LGBT presenti in uttto l'Est europeo deve finire e l'Europride di Varsavia del 2010 sarà un simbolo per tutte queste nazioni. Un membro del Direttivo del Circolo Mario Mieli, Andrea Maccarrone, è entrato a far parte del consiglio Direttivo dell’Epoa in qualità di Media and Internet Coordinator.

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