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venerdì 25 aprile 2008

Grillo contro tutti al V-Day di Torino. «Giornalisti camerieri».

(Marco Ferrando) In piazza Castello la musica di Gianmaria Testa, voci e racconti partigiani. Due passi e nella vicinissima piazza San Carlo, Beppe Grillo, il suo popolo e tutti i suoi «vaffa»: ai giornalisti «camerieri», a Silvio Berlusconi e alla legge Gasparri. Nel mirino anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, «che dovrebbe essere presidente degli italiani e non dei partiti, che oggi non esistono più. Morfeo Napolitano dorme, fa il pisolino, poi esce e monita. Il referendum elettorale andava fatto prima non dopo le elezioni», perché farlo a elezioni avvenute «è come mettersi il profilattico dopo avere trombato».

Due piazze, due stili, due popoli diversi per il 25 aprile di Torino. Il primo round, almeno nella battaglia dei numeri, lo vince Beppe Grillo: intorno alle 16, quando i due appuntamenti entrano nel vivo, al V2-day si contano 10-15mila persone, mentre sotto il palco su cui Gianmaria Testa intona «Bella ciao» ci sono alcune centinaia di persone, forse mille, non di più. La differenza è evidente, non passa inosservata, ma il clima non è di scontro, non si arriva alla gara tra chi urla più forte: «Dedichiamo questa manifestazione a chi sta nell'altra piazza», mette subito in chiaro il re dei blog, prima di partire con la sua raffica di «sparate»: «Il 25 aprile è la festa della semi-libertà - grida – Siamo stufi che nei giornali e nelle tivù comandino banche, Confindustria, che ogni sera dicono ai giornalisti quello che devono scrivere».

Sulla Gasparri: «Pensate se Obama da presidente fosse anche il proprietario della Fox, della Abc e di altre televisioni». E poi: «Se Rete4 non va immediatamente sul satellite, come stabilito per legge, l'Unione Europea ci costringerà a pagare 300 mila euro al giorno da gennaio 2006». «Voglio tivù - ha affermato - come la televisione australiana, come la Bbc, pagata da chi la guarda».

Insulti ai giornalisti, come da prassi del comico assurto a re della blogosfera. «Sono dei camerieri, dei servi, dei servetti». Grillo se l'è presa in particolare con il direttore del Tg1, Gianni Riotta, definendolo una «sottospecie umana. Ha intervistato 'Testa d'asfalto' (Silvio Berlusconi, ndr) che mentiva su Enzo Biagi dicendo che Biagi se ne era andato via dalla Rai perché voleva la liquidazione. E Riotta è rimasto come un cagnolino in silenzio».

Mentre in piazza Castello salgono sul palco alcuni studenti per raccontare la «loro» resistenza, nell'altra piazza compare il volto di Adriano Celentano, in video. Ed è un'ovazione: «Quello che vuole dire Grillo è semplice, fare qualcosa prima che sia troppo tardi per controbilanciare le falsità che ogni giorno ci propinano». A Torino c'è il sole, e le presenze aumentano: da una parte si arriva a 4-5 mila persone, di là si superano le 35mila, piazza San Carlo è all'orlo, mentre dai banchetti dove si raccolgono le firme per i referendum "Libera informazione in libero Stato" (abolizione dei finanziamenti pubblici all'editoria, dell'albo dei giornalisti e della legge Gasparri) annunciano di aver già sfondato quota 30mila.

«Puntiamo a raggiungere un milione di firme. Oggi ha già appoggiato la nostra iniziativa firmando per il referendum l'ex ministro Willer Bordon», ha detto l'ex candidato a sindaco di Roma della lista Amici di Beppe Grillo, Serenetta Monti, visitando il gazebo allestito a Parco Schuster, nel quartiere San Paolo, dove si raccolgono firme per il referendum nell'ambito del V2-Day romano. Rispondendo alla domanda su un eventuale non ammissibilità del referendum (il quotidiano Il Riformista ha ricordato che la legge 352/1970 che regola i referendum prevede «che non può essere depositata richiesta di referendum ... nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere»), uno degli organizzatori della manifestazione, Massimo Caroli, ha assicurato che «i consulenti legali di Grillo hanno garantito sull' ammissibilità del referendum» che punta, tra l'altro, ad abolire l'ordine dei giornalisti.

Per i referendum ha già firmato il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, non nuovo a cavalcare l'onda grillista: «Riflettete su questi referendum, che al di là dell'istituto sono buoni sul piano del merito, perché alla fine cosa dicono? Dicono - secondo il leader dell'Idv - che i giornali finanziati dai partiti sono diventati un'occasione per fare soldi e non per informare. Secondo, che per comunicare e informare bisogna essere iscritti all'albo, come nel ventennio fascista. Ognuno dovrebbe poter esprimere le proprie capacità e qualità, la differenza la dovrebbe fare il lettore, che la legge o non la legge, a seconda se dice la verità o meno. Ecco perché noi riteniamo che questi referendum sono buoni nella sostanza, oltre che nell'istituto, come vero esempio di democrazia».

«Di Pietro stavolta...non ci azzecca». Anzi, «come si dice dalle mie parti, ha fatto acqua fuori dal vaso. L'Ordine dei Giornalisti che vuole abolire con furia non è quello di Mussolini ma quello di Gonella, costituito 45 anni fa da un'idea base di Aldo Moro, due democratici veri, seri, uomini rimpianti della vita costituzionale repubblicana», ha affermato poi Franco Siddi, segretario generale della Fnsi, il sindacato dei giornalisti. Un Di Pietro - aggiunge Siddi - «che abbiamo anche apprezzato in tante battaglie contro poteri pericolosi e inquinanti e contro i bavagli» e che però «dovrebbe sapere più di ogni altro che, nel tempo attuale, far cadere l'Ordine con un colpo di spugna senza un'idea di libertà garantita da un sistema di chiara legalità, significherebbe consegnarsi a poteri assoluti».

Il segretario generale del sindacato giornalisti ha sottolineato poi che «da Beppe Grillo, che è un comico, parole fuori dalla verità sono comprensibili anche se restano le parole di un daltonico. Prima di spararle grosse, occorre conoscere bene la storia e i fatti e avere la sapienza di incidere sulle cose che non vanno, a cominciare, in questo caso dai meccanismi e dalle procedure dell'Ordine, che dopo 45 anni hanno fatto il loro tempo e non reggono più», mentre invece «riformare è cosa più seria che sparare nel mucchio e cercare effetti speciali e risonanza mediatica».

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E' ufficiale: Niente parata del Gaypride a Mosca. La polizia russa teme provocazioni.

Alekseev: "Proseguiremo sino al fine del mese".
(Apcom) Ufficialmente respinta la richiesta per tenere a Mosca il Gay Pride il primo o il 2 maggio: lo apprende Apcom da Nikolaj Alekseev (nella foto), organizzatore della manifestazione dell'orgoglio omossessuale, che annuncia: "Continueremo a presentare le nostre richieste per ogni giorno di maggio. Sono già sul tavolo del Comune quelle per le date successive, dal 3 all'8 maggio. Proseguiremo sino alla fine del mese per arrivare a tenere la manifestazione e siamo intenzionati comunque a realizzare quello che è un nostro diritto costituzionale".

Ma la discesa in piazza per l'orgoglio omossessuale continua ad essere fortemente osteggiata dal Comune. E oggi viene la conferma su carta di quanto già anticipato a voce dal sindaco Yurij Luzhkov ad Apcom lunedì scorso. "La nostra posizione èchiara e non è cambiato nulla", aveva detto il primo cittadino di Mosca, senza lasciare spazio a nessun cambio di direzione. Dopo che a fine maggio 2007 si erano verificati numerosi scontri di piazza tra coloro che avevano tentato di organizzare la manifestazione e un gruppo di ultra-ortodossi. Con il successivo intervento delle Forze speciali Omon che avevano tentato di portare la situazione alla normalità pur utilizzando la mano pesante.

Oggi il numero due per il coordinamento della sicurezza nella capitale russa Vasily Oleinik cita la "Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali adottata il 4 novembre 1950. In particolare l'articolo 11, [sulla libertà di assemblea], secondo il quale il diritto ad una riunione pacifica puo' essere limitato a fini di ordine pubblico".

Ma per Alekseev il 'niet' delle autorità moscovite va contro il parere della corte di Strasburgo del maggio scorso: "non si può vietare per ragioni di sicurezza una manifestazione gay e l'espressione dell'orientamento omosessuale".

Dunque se a ogni richiesta verrà opposto un no, gli organizzatori intendono comunque scendere in piazza "a sorpresa" a maggio. Ed è più che probabile che per l'occasione arrivi a Mosca un gruppo di eurodeputati e politici italiani: da Marco Pannella a Marco Cappato, al "transgender" Vladimir Luxuria che l'anno scorso è stato aggredito e successivamente allontanato dai disordini.

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Grillo in piazza a Torino. Compagni cittadini grillisti partigiani.

(Il vicario - Pornopolitica) Torino, undici del mattino. C’è il sole. La maglietta si attacca alla pelle dei ragazzi. Via Po quasi deserta, i negozi chiusi. Se svolti a destra c’è Piazza Castello. Un piccolo palco, la bandiera del Pd, otto curiosi. A sinistra Piazza San Carlo, un faccione incazzato di Grillo sull’impalcatura enorme. Sopra, un rapper pelato. Informazione libera, grida. Il confronto è impietoso. La piazza enorme è piena. Coda di mezz’ora al banchetto delle firme. I ragazzi parlano di inceneritori, ripetono- sbagliando e balbettando- la lezione del Maestro. Le ragazze, sotto braccio, sbadigliano e guardano le vetrine di Zara. Troppo presto, meglio aspettare i saldi.

Paolo ha i capelli rossi. Gli chiedo cosa dicono i volantini che distribuisce. Mi spiega: bisogna abolire i contributi pubblici all’editoria. Ribatto: ma così scompare veramente la stampa libera. No, dice, l’informazione ce la faremo da soli, quelle sono macchine per frugare nelle nostre tasche. Non ci sto: così sparirebbero pure il manifesto, Carta, il Mucchio Selvaggio, Liberazione. Lui sgrana gli occhi: è il mercato mi risponde. Giusto, ma mi fa strano che un ragazzo di sinistra si aggrappi al mercato come nemmeno Giavazzi e Alesina. Dunque i grillisti credono nel mercato libero. Uno a zero per chi dice che sono di destra. I meetup organizzano piccole bancarelle piene di libri. Sopra non c’è Pavese, non c’è Calvino, non c’è Fenoglio, non c’è Primo Levi. Eppure siamo a Torino. I volumi sono manuali su precariato e ambiente: no ai termovalorizzatori, dicono, o ti trasformerai in un posacenere. Ok, su questo tema siamo dalle parti di Pecoraro Scanio. Uno a uno, i grillisti sono arcobaleno. Il tizio dal palco urla qualcosa sulla giustizia. Roba dalle parti di Travaglio. Due a uno: i grillisti, proprio come Travaglio, sono fan della destra law and order. Dice Chiamparino, sindaco di Torino. «Dal punto di vista sostanziale la manifestazione di Grillo non ha nulla a che con il 25 aprile: ognuno può considerarsi erede di chi vuole, ma è evidente che i contenuti della sua manifestazione sono agli antipodi del 25 aprile». Torno in piazza Castello. Nel frattempo ho comprato un kebab. Troppa salsa. Ancora poca gente. Due signori guardano la folla che avanza, veloce, verso il V-day. «Comunisti del cazzo», ridono. Mah. Spiega Grillo: «Il 25 aprile ci siamo liberati dal nazifascismo. Sessantatre anni dopo possiamo liberarci dal fascismo dell’informazione. Il 25 aprile non è di proprietà degli intellettuali di sinistra, una definizione corrispondente a un vuoto pneumatico».

Una ragazza, vestito freak e occhiali giganti, mi chiede una sigaretta. Eccola. Dico: sei qua per Grillo? Sì, fa lei, ma sono già stanca. Le chiedo perché. Perché qui sono tutti uguali e non sanno nulla. Parlano, mi dice, ma non sanno nulla. Sai che cosa avrei voglia di fare? Prendere la Vespa e andarmene su in Langa, a Saliceto, e dire la messa per un partigiano ucciso a diciannove anni che si chiama come mio fratello. Le sorrido, metto in tasca l’accendino. Vado a lavorare. Ciao bella, le dico. Bella, ciao.

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Il Partigiano Nero: la storia di Giorgio Marincola, Medaglia d'Oro della Resistenza.

(Dacia Valent - Ricchiuti) Oggi voglio raccontarvi di Giorgio Marincola, il partigiano più sconosciuto della lotta di liberazione, quello di cui nessuno parla, quello che abbiamo dimenticato, come vogliono farci dimenticare i motivi di quella lotta, che oggi più che mai sono diventati attuali.

Vi racconterò una storia reale, ma che sembra una favola.

Vi racconterò della morte di un ragazzo che ha creduto e che non ha mai ceduto.

Il padre di Giorgio arriva a Mogadiscio da soldato, da conquistatore coloniale, da agente dell'impero italiano. L’aria è tesa. Esistono leggi che impediscono il mescolamento con gli autoctoni, considerati razza inferiore, ma lui si innamora - ricambiato - di una bellissima ragazza somala, la sig.ra Askhiro. Convivono tra mille difficoltà.

Lei è emarginata dai somali in quanto considerata una collaborazionista. Lui è costretto a far passare questa relazione per una cosa oscena con i commilitoni, per non passare guai.

Nel frattempo nascono Giorgio ed Isabella. Loro si sposano con una cerimonia musulmana, per proteggere lei, e lui riconosce entrambi i bambini.

Alla fine deve tornare in patria.

La madre è costretta ad un addio struggente ai suoi figli, perché se rimanessero in Somalia le verrebbero sottratti e cresciuti in un orfanotrofio caserma gestito da suore, con un altissimo tasso di mortalità, perché in quanto figli - ancorché "bastardi" - di un italiano non potrebbero essere cresciuti da una donna somala, "inferiore alla razza italiana", e decide quindi di rinunciare a loro sperando che abbiano una vita forse migliore con il loro padre italiano.

Il padre di Giorgio si risposa "regolarmente" con una donna italiana. La donna ottiene che Giorgio venga mandato a crescere con la famiglia del padre in Calabria e tiene la bambina per educarla come serva.

Non riuscendovi, perché Isabella è sempre stata una donna orgogliosa e fortissima, niente è riuscita a piegarla: ha dato vita a una generazione di italiani neri che saranno l'orgoglio di questo paese. Sangue somalo, non ce n'è di uguale sulla terra. una donna meravigliosa, che mi ricorda Madre, ogni volta che la sento.

La bambina soffre molto, e il padre – pur amandoli a modo suo – delega tutto alla moglie ed è assente. Hanno altri figli e la piccola Isabella cresce come Cenerentola.

Il padre decide un giorno – visti gli ottimi risultati conseguiti a scuola in Calabria da Giorgio - di riprenderlo con se a Roma, lo iscrive a scuola, cove il ragazzo si distingue per il profitto. È l’unico nero in una città di soli bianchi, e ciò lo sprona a fare di più.

Eccelle sia nelle materie di studio sia in educazione fisica. Diventa un protetto di Pilo Albertelli, noto antifascista cattolico, che infiamma la sua giovane mente e lo forgia alla lotta e all’amore per la libertà e la patria.

Giorgio si iscrive a Medicina dove da regolarmente gli esami, e sogna di diventare specialista in malattie tropicali e di tornare in Somalia. Da sua Madre.

Nell’ottobre del 1943 assiste impotente al rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma. Quella sera stessa chiede ad Albertelli di farlo entrare in azione. Albertelli lo accontenta immediatamente, aggregandolo al gruppo partigiano della Zona Parioli.

Compie molte missioni. È un bel ragazzo, è innamorato di una giovane comunista che fa la staffetta per i partigiani. Una storia d’amore complicata dalla differenza di razza, in un paese che lo vede letteralmente come un alieno. Ma la storia continua. Fino a via Rasella. Lei viene catturata. Viene uccisa con centinaia di altri, tra cui Pilo Albertelli che è stato per Giorgio il padre che non ha avuto nell’infanzia.

In un solo colpo muoiono due tra le persone più importanti per lui.

A questo punto qualcosa dentro di lui si trasforma. È diventato anche un fatto personale, oltreché politico.

Parte per un campo d’addestramento alleato, a Fasano, dove conosce altri che faranno - nel bene e nel male - la storia del paese.

Ha un rapporto molto conflittuale con Edgardo Sogno, che non riesce a farsi andare giù che quel ragazzo “mulatto” (come lo definirà nei suoi libri, senza mai citare il suo nome, perché era "solo un mulatto") sia un così valido elemento.

Ad agosto, insieme a Sogno e agli altri viene paracadutato nel biellese.

Compie svariate operazioni di sabotaggio, la distruzione di un ponte della ferrovia, alcuni blitz per liberare ostaggi e prigionieri. Viene ferito più volte.

Il suo nome diventa leggenda, lo guardano ormai tutti con rispetto e diventa il ricercato numero uno. La sua stessa esistenza è un insulto per il Terzo Reich. Il comandante SS del distretto di Biella l’ha messo al primo posto della lista dei ricercati, ma nessuno lo “vende”, perché è ormai uno dei simboli della Resistenza.

Il 7 di gennaio del 1945 viene catturato dopo un terribile scontro a fuoco. I suoi compagni tentano disperatamente di liberarlo, ma per i tedeschi è importante usarlo contro la Resistenza. E quindi viene trasferito in segreto a Torino dove viene torturato, al fine di spezzarlo.

Gli viene proposto di fare un’intervista a Radio Baiva, una radio fascista torinese. In cambio smetteranno di torturarlo.

Lui accetta. Viene lasciato a terra, malconcio e sanguinante, e i tedeschi ridono: pensano di averlo piegato. Il mattino successivo lo portano alla radio.

Gli chiedono come mai si sia messo a combattere coi "terroristi". Lui dovrebbe rispondere con un'abiura, condita di calunnie e accuse nei confronti dei partigiani, invece disobbedisce: "Sento la patria - dichiara - come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i Popoli del Mondo. Per questo combatto gli oppressori…”

Radio Londra riporterà l'intervista, interrotta dal rumore di botte e sedie ribaltate.

Nella sede del comando della Gestapo, il comandante prende il telefono e ordina il suo immediato trasferimento al Lager di Bolzano. Ordina di non farlo morire facilmente, ma di farlo soffrire.

Durante la prigionia, pur soffrendo moltissimo, diventa un punto di riferimento per tutti.

Il 30 aprile del 1945 il campo viene liberato dagli alleati, che offrono a tutti la possibilità di rifugiarsi in Svizzera. Giorgio rifiuta. Rimangono ancora lembi della patria occupati dai nazisti e decide quindi di unirsi ai partigiani in Val di Fiemme.

Verrà ucciso il 4 maggio 1945, mentre sta effettuando un controllo su un camion di nazisti che esibisce la bandiera bianca. Vedono un partigiano nero e questo è troppo. Lo uccidono. 10 giorni dopo la liberazione.

Lui muore. Aveva 22 anni. Ed era bellissimo. Ed è Nero.

Ed è Medaglia d’Oro della Resistenza, con queste motivazioni: "Giovane studente universitario, subito dopo l'armistizio partecipava alla lotta di liberazione, molto distinguendosi nelle formazioni clandestine romane, per decisione e per capacità. Desideroso di continuare la lotta entrava a far parte di una missione militare e nell'agosto 1944 veniva paracadutato nel Biellese. Rendeva preziosi servizi nel campo organizzativo ed in quello informativo ed in numerosi scontri a fuoco dimostrava ferma decisione e leggendario coraggio, riportando ferite. Caduto in mani nemiche e costretto a parlare per propaganda alla radio, per quanto dovesse aspettarsi rappresaglie estreme, con fermo cuore coglieva occasione per esaltare la fedeltà al legittimo governo. Dopo dura prigionia, liberato da una missione alleata, rifiutava porsi in salvo attraverso la Svizzera e preferiva impugnare le armi insieme ai partigiani trentini. Cadeva da prode in uno scontro con le SS germaniche quando la lotta per la libertà era ormai vittoriosamente conclusa"

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Ostensione di Padre Pio. Vendola a S.Giovanni Rotondo: 'Io qui Comunista e Cattolico'.

(Teleradioerre) 'Laico non è parola contraddittoria con cattolico. Comunista e cattolico non sono una contraddizione in termini, dal mio punto di vista. Credo che siano fortunatamente chiarite da tanto tempo'. Così il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, parla con i giornalisti della propria presenza alla celebrazione che si è conclusa poco fa a San Giovanni Rotondo prima della ostensione delle spoglie di Padre Pio. 'E comunque - ha proseguito Vendola - io sono il presidente della Regione Puglia e in un giorno come questo non posso che essere con il mio popolo, non posso che essere a San Giovanni Rotondo per un evento che ha uno straordinario fascino e un richiamo mondiale'. 'San Giovanni Rotondo - ha detto ancora - è uno dei luoghi più amati nell'universo della cristianità'. 'Per noi quindi - ha aggiunto - è molto importante anche dal punto di vista civile essere in grado di organizzare la migliore accoglienza per tutti i pellegrini che verranno qua, sperando che siano non soltanto un contributo importante in termini di turismo religioso ma che ogni passo di pellegrino possa essere un seme buono per il nostro territorio'.

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Il Giornale e Panorama. Duri attacchi a Beppe Grillo. Parte seconda.

La prima parte dell'articolo di Filippo Faccia pubblicato da Il Giornale la trovi qui.

Beppe, il «grande ingrato» che rubava battute a tutti.
(Filippo Facci - Il Giornale) Le prime tracce visive di un Beppe Grillo volontariamente comico sono del 1970: un cortometraggio in super 8 diretto da Marco Paolo Pavese e scritto e interpretato e doppiato dal citato Orlando Portento; lì si vede il primo Grillo, imberbe. Mediaset ne mandò in onda degli spezzoni qualche anno fa. Ma Grillo, già da tempo, aveva cominciato a fare qualche seratina di cabaret accompagnandosi con la chitarra: circolini, qualche discoteca, molte feste e festicciuole politiche per liberali e socialdemocratici e democristiani e socialisti. «Gl’importava zero della politica» dice ora Portento, «era un frivolo, un cinico», anche se Grillo ogni tanto raccontava di qualche simpatia familiare per i liberali di Giovanni Malagodi. L’avvocato Gustavo Gamalero, boss dei liberali genovesi, lo ingaggiò per alcune cene elettorali prima delle elezioni regionali: 15mila lire a serata. Più di 20mila, in giro, non se ne spuntavano: per questo gli amici lo aiutarono dopo che la famiglia chiuse o quasi i rubinetti. Lo aiutava anche qualche giovane imprenditore che voleva mettersi in vista; lo aiutava la bella ragazza con la quale stette per quasi dieci anni, Graziella, che vanamente cercò di farsi impalmare; lo aiutava qualche giornalista cui Grillo pietiva qualche buona recensione, e tra questi ha memoria buona Vittorio Siriani, ai tempi al Corriere Mercantile. Insomma lo aiutavano tutti, e va benissimo: ma ce ne fosse uno che non lamenti ingratitudine. In quel periodo i localini di cabaret furoreggiavano: il Kaladium dietro la chiesa di Santa Zita, oppure il Meeting, o ancora il citato Instabile di via Trebisonda che apparteneva al pure citato Luigi De Lucchi, altro mentore di Grillo che tuttavia una sera dovette avvedersi dell’ormai storica ingratitudine del suo ormai ex pupillo. Lo aveva invitato appunto all’Instabile, il 27 dicembre 1977, oltretutto per consegnargli un premio; centinaia di spettatori aspettavano trepidanti, ma niente: Grillo telefonò e fece sapere che non ce la faceva, che era stanco. Disastro: De Lucchi dovette rimborsare tutti i biglietti salvo accorgersi, il giorno dopo, che Grillo in realtà aveva preferito esibirsi in un altro localino, il P4: perché lo pagavano di più.

Il vero problema di Grillo, all’epoca, era che a dispetto del talento non aveva ancora un repertorio tutto suo: prendeva a destra e a manca. Il gran suggeritore rimaneva Portento, per il resto rubacchiava qua e là: cantava sempre, tra altre, le canzoni di Pippo Franco che all’epoca nessuno conosceva. O quasi: «Gli organizzai un provino con un boss di Telemontecarlo, il ragionier Moracca, e il Giuse cantò due canzoni con la chitarra», racconta Portento, che certo non nasconde una forte antipatia per Grillo. «Poi Moracca mi prese da parte e mi disse: “Orlando, ma è questo il fenomeno? Uno che canta le canzoni di Pippo Franco?”. Ai tempi Grillo non aveva niente di suo: solo la faccia, i denti digrignati».
Bullonate. Quanta cattiveria. A ogni modo fu nei primi anni Settanta, per cercar di sfondare, che Grillo provò a trasferirsi a Milano. Pagavano anche 25mila a serata, da quelle parti. Si fece crescere la barba. Andreino, il fratello, tempestò tutti di telefonate affinché lo convincessero a tornare: «Fallo provare ancora un anno, è bravo» gli rispose Portento. Poi, più o meno al terzo anno milanese, la grande occasione: al localino «La Bullona» venne Pippo Baudo con una commissione Rai. Grillo s’inquietò, chiamò Portento, si rispolverarono vecchie battute. La sera fatidica Portento sbarcò alla «Bullona» con una sostanziosa claque e tutto scivolò liscio, o quasi. Grillo, sul suo sito, ha scritto che quella sera “improvvisò un monologo”, ma secondo Portento non improvvisò niente. Anzi, rischiò, perché Baudo fu curiosamente attratto proprio da Portento. Più tardi, anche se il provino del Giuse era andato benissimo, attorno a Portento si formò un capannello dove spuntava il testone di Baudo, e Grillo non resse la scena. Se ne andò, ingelosito. Una scena analoga a quella raccontata da Dino Risi a margine del film «Scemo di guerra», anno 1984: «Già depresso perché ridotto al ruolo di spalla», ha detto il regista al Corriere della Sera, «Beppe si ingelosì del rapporto speciale che avevo con Michel Coluche: e così, per ripicca, fece la mossa classica dell’attore indispettito e si diede malato. Per due mesi dovemmo sospendere le riprese. Finché qualcuno non gli fece sapere che se non fosse tornato avrebbe dovuto pagare una penale. Parola magica: da buon genovese si ripresentò sul set». Il controllo legale chiesto dalla casa cinematografica ebbe buon gioco. Grillo girò altri due film, purtroppo sfortunati e distrutti dalla critica: «Cercasì Gesù» di Luigi Comencini e «Topo Galileo» di Francesco Laudadio. A Dino Risi è rimasto il dente avvelenato: «La cosa che gli è riuscita meglio è la svolta antipolitica, anche perché è più attore oggi di quando cercava di farlo per davvero. Attenzione, però: non c’è niente di vero nel personaggio che interpreta».

e la do io Reggio Calabria. Qui ricomincia l’avventura. E qui si perfeziona la straordinaria attitudine di Grillo di mollare quelli di cui non ha più bisogno. Normale? Dipende. Altri personaggi come Paolo Villaggio e Tullio Solenghi, a Genova, te li raccontano come saldamente legati ad amici e radici genovesi: Grillo no. Trovare qualcuno che te ne parli bene, in città, è un’impresa. Sarà l’invidia. Per cominciare, appena ebbe successo, mollò la fidanzata. Altri non lo ricordano volentieri: «È l’essere più falso e opportunista che abbia mai conosciuto in vita mia» racconta il presentatore Corrado Tedeschi, «e non ha neanche un pizzico di umanità. C’è stato un periodo in cui ci siamo frequentati insieme alle nostre compagne, pensavo che ci fosse stato un minimo di amicizia, poi seppi che parlava malissimo di me». Pare che Walter Chiari non avesse un’opinione molto diversa, ma vallo a sapere. Anche il rapporto con Portento cominciò ad allentarsi, ma resistette perché ancora utile: dopotutto era stato Portento a scrivere «Te la do io la Francia» nel 1969, ben prima dei fortunati «Te la do io l’America» e «Te lo do io il Brasile»: «Dovevamo anche fare “Te la do io Reggio Calabria”, perché io sono di Bagnana Calabra, ma non se ne fece più nulla» dice l’ex amico. Grillo ormai era lanciatissimo. Nel 1977-78 sulla Rai partecipò a «Secondo voi» e nel 1979 a «Luna Park», stesso anno in cui esordì come presentatore a «Fantastico» assieme a Loretta Goggi, programma di Antonio Ricci. Di lì in poi potrà scegliersi nuovi autori che gli scrivano le battute: Ricci medesimo e Stefano Benni tra questi. Fu il successo vero, e nondimeno i soldi veri che il fratello Andreino prese a gestirgli: anche perché il Giuse non si fidava di nessuno. La Cannelli Grillo era stata ceduta agli stessi operai che ci lavoravano, e cominciarono altri investimenti. L’attico di corso Europa venne trasformato in un centro benessere (massaggi, ecc.) curato da certo professor Mario Miranda: ma l’impresina fallì quasi subito. Ben prima di acquistare una villa al Pevero, in Costa Smeralda, acquistò tre appartamenti nel residence Marineledda nel golfo di Marinella, dove Silvio Berlusconi ha la sua famosa villa. Ottenne forti sconti, Grillo, promettendo che sarebbe venuto a fare delle serate di cui non si ha notizia. Fece tutto col fratello, da cui rileverà la maggioranza assoluta (99 per cento) dell’immobiliare Gestimar di Genova. Cominciò anche la sfilza delle belle auto, in ordine sparso: Porsche, Chevrolet Blazer, secondo alcuni una Maserati, e sicuramente, più avanti, una Ferrari 308 bianca e una Ferrari Testarossa (rossa, chiaro) che terrà parcheggiata davanti alla discoteca Davidia di Genova, coperta da apposito telone. (2. continua)

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Coniugi uccisi a Verona: Fermato un romeno a Civitavecchia. Movente sessuale.

(Tiscali notizie) Individuato grazie al telefono cellulare. Così è stato trovato Claudiu Stoleru, il giovane romeno fermato stamattina dai Carabinieri al porto di Civitavecchia e reo confesso dell'uccisione dei coniugi Luigi Meche e Luciana Rambaldo, massacrati ieri nella loro villetta a Lugagnano di Sona, in provincia di Verona.

Il presunto omicida lavorarva per Meche - Il nucleo investigativo dei carabinieri di Verona, subito dopo il duplice omicidio, ha setacciato la vita delle vittime e scoperto che Luigi Meche aveva una attività imprenditoriale, gestiva un gruppo di imbianchini, tutti rintracciati tranne uno. Il rumeno, appunto che da qualche giorno lavorava per l'ucciso e che aveva fornito un indirizzo vago ma era titolare di un telefono cellulare.

La fuga per la Sardegna - Dopo avere controllato gli alibi di tutti i collaboratori di Meche, i carabinieri hanno cercato di localizzare il giovane rumeno che è stato individuato nel porto di Civitavecchia, pronto ad imbarcarsi su un traghetto diretto ad Olbia. E' così scattata una operazione in grande stile per fermare il ventenne Claudiu Staleru.

Le presunte ragioni del massacro - Ammanettato e portato in caserma a Civitavecchia il rumeno ha confessato l'omicidio, spiegandone le ragioni nelle "attenzioni di carattere sessuale" dell'ucciso nei suoi confronti. Il giovane, secondo quanto si è appreso, avrebbe quindi raccontato che all'origine del duplice assassinio ci sarebbe un movente sessuale. Staleru ha detto che l'uomo gli chiedeva continuamente prestazioni sessuali e che lo bersagliava con le sue avance. Mercoledì il pensionato sarebbe stato più insistente del solito scatenando la violenta reazione del giovane. Dichiarazioni che i carabinieri prendono con le molle in attesa di riscontri dalla indagini scientifiche del Ris. Esclusa la pista della rapina.
Il sindaco: Pena esemplare e certa - ''Se anche la provocazione della pena di morte può servire da deterrente per fatti così barbari, allora ben venga''. Con queste parole il sindaco di Sona, Gualtiero Mazzi, ha commentato la notizia dell'arresto dell'assassino dei coniugi Meche. ''Se è vero che questo ragazzo ha confessato - afferma il sindaco appena eletto per la Lega Nord - possiamo dire che le forze dell'ordine hanno fatto il loro dovere in tempi rapidissimi. Adesso confidiamo in una pena esemplare e soprattutto certa. La comunità di Lugagnano e tutto il comune di Sona sono sconvolti per quello che è successo e in particolare per la ferocia con cui l'assassino si è accanito sulle sue vittime. I cittadini si sentono insicuri, poco protetti - prosegue il sindaco - e la prima richiesta che arriva anche a noi amministratori è quella di garantire maggiore sicurezza. Ecco perché è fondamentale che ci siano leggi che impediscano a criminali e assassini di tornare in libertà. Pene severe e soprattutto certe - conclude - Chi ammazza deve restare in carcere''.
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Capua. Chiedevano 500 euro per non rivelare relazione lesbica.

(Caserta news)Cinquecento euro per non rivelare al marito della loro amica la relazione lesbica che sarebbe intercorsa fra loro tre. E' accaduto a Capua, dove ieri pomeriggio i carabinieri hanno arrestato con l'accusa di estorsione in concorso Maria Verde, 36 anni, e Nataliya Danylets, 33enne di origine russa.
La vittima del ricatto e' una ragazza ucraina sposata con un italiano, che, ricevuta la minaccia dalle due donne, invece di cedere all'estorsione ha allertato i militari della Stazione di Capua. Cosi', quando si sono presentate all'incontro per riscuotere i 500 euro, Maria Verde e Nataliya Danylets si sono trovate di fronte due Carabinieri donna. Immediatamente bloccate e arrestate, le due sono rinchiuse nel carcere di S. Maria Capua Vetere.

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A Torino managers, attori, giornalisti, docenti e calciatori nel bordello gay. E spuntano un vescovo ed un sindaco.

Torino, blitz nella sauna: colti sul fatto un vescovo straniero e un ex sindaco di provincia. Tra i clienti un vecchio attore di film western, un preside, qualche manager, giornalisti e tre stelle del teatro.

(Massimo Numa - La Stampa) Il padre missionario. L’ex sindaco di Forza Italia, star del Cuneese. Il preside dell’istituto superiore, provincia di Torino. Gli avvocati. I medici. I giornalisti, tv e carta stampata. I manager. Poi il noto attore di teatro, ottuagenario. Tre grandi del palcoscenico, tutti e tre col «vizietto». Poi: l’intrepido eroe di mille spaghetti-western. Il professore universitario e lo scrittore, icona nazionale dei gay. Un alto prelato (forse) svizzero; un vescovo ortodosso e un paio di calciatori, vicini al tramonto. Il tempo di tirare il fiato, e vai con altri vip: un illustre docente di filosofia, poliziotti e anche carabinieri. Infine un congruo numero di pensionati.

La polizia di Torino scopre che una gay-sauna, l’Antares, nel cuore delll’elegante quartiere della Crocetta, si era trasformata in un «casotto». Denuncia il titolare per aver tollerato le marchette-pirata (sfruttamento della prostituzione) e sequestra il locale. Blitz nella tarda sera di venerdì, con decine di agenti che irrompono nel club. Dentro una decina di prostituti, italiani e stranieri, al lavoro con una trentina di clienti. Separè e lettini da massaggi. Candele profumate e preservativi gettati per terra, con gli agenti che fanno lo slalom. Asciugamano bianco in vita, le pantofole di pezza e il perizoma (non tutti). Molti erano già «operativi», un gruppetto ha cercato di re-infilarsi in fretta la grisaglia d’ordinanza.

Mezza età
Il vice questore Silvia Governa, che comanda il commissariato di zona, ha fatto un po’ di fatica a identificare gli uomini, tutti di mezza età, tanti i sessantenni e anche qualche ultra. Nessuno è stato denunciato, saranno interrogati dal pm Monica Abbatecola. Temono lo scandalo e non hanno torto. Il più imbarazzato, in preda a una crisi nervosa, era il padre missionario. Ma per il preside e l’ex sindaco non sono stati momenti belli. Tremanti e impauriti. A casa li aspettano mogli e figli.

L’orario della sauna, «la prima a Torino, anzi in Italia, fondata nel 1981», dice orgoglioso il titolare Mario Lo Marco, 70 anni, era flessibile: 14-20 e ultimamente 16-24. Tappezzerie rosso sangue, la statua di Apollo color oro in grandezza naturale e persino un ritratto di Gesù, fuori luogo nonostante la costante presenza di sacerdoti. Una video-room per guardarsi in santa pace i film porno che in casa, nel salotto buono, non potresti. Titoli suggestivi, le foto sulle custodie delle cassette e di cd, mostrano ragazzi muscolosi, alcuni neri, con membri enormi ed espressioni decise. Il resto della «casa», divisa su due piani, ci svela uno stile decadente, con abat-jour gialli dalla luce bassa e ovattata, e stampe giapponesi. Poi l’area hard: lettini spartani, divisi da sottili paravento. Musica d’atmosfera, come nei fitness club.

I boys
I boys sono un po’ naif e ammettono candidamente di prostituirsi. Uno, un torinese che ha compiuto da poco 18 anni, è studente e si giustifica: «I libri costano, faccio le marchette per comprarli...». I romeni, giovanissimi, hanno un’aria più dura. Alcuni si sono «fidanzati» con gli habituè e dopo la sauna li seguono a casa. Qualche volta finisce male. Come a un importante manager milanese che, alla mattina, s’è accorto che l’amico di una notte gli aveva portato via il Rolex da 20 mila euro. «Non facevamo niente di male - hanno detto due dolci brasiliani - ci facevamo pagare». Clienti, soprattutto, «passivi», spiega uno degli animatori, un non più giovane omosessuale. I residenti del condominio della sauna non ne potevano più: «Andirivieni di giorno e di notte, gente stranissima, traffico convulso. Era ora che la chiudessero». Lo Marco li ascolta, non stupito, e commenta: «Non davamo fastidio a nessuno, ci hanno chiusi solo perchè è un locale per gay».

Il suo difensore, Raffaella Variglia, è sicura che l’Antares tornerà alla ribalta: «Le accuse contestate al titolare sono inconsistenti. Se all’interno della sauna i clienti prendevano accordi tra loro per incontrarsi, Lo Marco non c’entra nulla. Non vorremmo che, alla fine, sia in atto una crociata anti-gay».

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Ndr. Le dichiarazioni di questo avvocato non giungono nuove... L'ennesima discriminazione secondo il ben noto motivetto del Presidente dell'Arcigay?

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Roma. Una poltrona per due...

(Sky tg24) Ultime battute della campagna elettorale a Roma in vista del ballottaggio per la poltrona di sindaco tra Gianni Alemanno e Francesco Rutelli. Tutti i big in campo a sostegno dei due candidati.
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La "trombatura" secondo l'ex onorevole Franco Grillini.

Grillini: «I laici sono maggioritari ma hanno preferito il voto utile».
Franco Grillini durante il suo impegno a Montecitorio, prima nei DS e poi negli ultimi mesi nella Costituente socialista, non si è fatto conoscere solo come uno dei primi deputati dichiaratamente gay. Ma anche come grande appassionato di tecnologia e telecomunicazioni di nuova generazione. La nostra allora non poteva che essere un'intervista fatta sotto questa insegna: una chiacchierata su Skype, per parlare delle amministrative romane, ma anche del suo futuro nel mondo dell'informazione...

Continua su Il voto gay.

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Il Giornale e Panorama. Duri attacchi a Beppe Grillo dai giornali di Berlusconi.


Il blog per Grillo è un affare: raddoppiati redditi, vende prodotti, abbonamenti e strozza i librai.
(Giacomo Amadori - Panorama) Vaffa... a chi dice che l'onestà non paga». Sembra di sentirlo il ragionier Giuseppe Grillo, classe 1948, mentre gongola davanti al suo estratto conto e srotola la sua inconfondibile cantilena. Infatti lui, l'instancabile fustigatore di furbetti e mariuoli, di privilegi e clientele, ha praticamente raddoppiato il suo reddito da quando indossa i panni scuri (rigorosamente oversize) del Savonarola «crossmediale» (la definizione è contenuta in un saggio recente), a cavallo tra la piazza virtuale di internet e quelle reali dei «V-day» (venerdì 25 aprile l'appuntamento è a Torino per manifestare contro la «casta dei giornalisti» in nome di «una libera stampa in un libero stato»).

La svolta per le sue finanze arriva con l'apertura, il 26 gennaio 2005, del cliccatissimo blog internettiano e con il tour teatrale Beppegrillo.it: il primo caso di uno spettacolo che promuove l'indirizzo di un sito. Ma vediamo i dettagli. Panorama ha esaminato le sue ultime dichiarazioni dei redditi e ha avuto conferma, innanzitutto, che Grillo paga le tasse. Molte. Visto che l'Istat non prevede l'attività di predicatore online, il commercialista di Grillo, il genovese Stefano Cecchi, denuncia i guadagni del cliente alla voce «creazioni nel campo della recitazione». Come un comico o un attore qualsiasi.

Anche gli introiti non sono quelli di un leader politico, più o meno virtuale. Infatti Grillo ha dichiarato nel 2006 un reddito imponibile di 4.272.591 euro, 20 volte quello del presidente del Consiglio uscente, Romano Prodi (217 mila euro nel 2006). Gli anni precedenti per Grillo («Ragioniere che sa fare bene i suoi conti» lo definisce scherzando l'ex compagno di scuola Roby Carletta), senza sito e spettacolo tematico, erano stati meno remunerativi.

Nel 2004 e nel 2003 gira l'Italia con lo show Black out, facciamo luce e dichiara rispettivamente 2.633.720 euro e 2.133.694; nel 2002 batte i teatri con il tour Va tutto bene e le entrate sono più o meno le stesse: 2.214.286. Insomma, sebbene la moglie di Grillo, la signora Parvin, a un'amica abbia confidato che non si vive di soli V-day, certo essi aiutano.

Dal gennaio 2005 Grillo elettrizza l'etere con il suo blog: il settimanale statunitense Time nel 2005 dichiara lo showman genovese uno degli «eroi europei» dell'anno e nel 2008 promuove il suo diario internet tra i 25 più influenti del globo. Un palco virtuale da cui il tribuno arringa in media, si dice, 200 mila persone al giorno. Da qui spedisce sfratti a parlamentari e ministri, liquida i partiti, licenzia manager e impartisce lezioni ecologiste.

Ma se le prediche e la discesa in campo, per ora, non hanno dato i risultati sperati a livello elettorale (alle recenti amministrative le nove liste di «amici di Grillo» presenti in regioni e capoluoghi di provincia hanno racimolato in tutto un deputato siciliano e un paio di consiglieri comunali), dal punto di vista economico si sono rivelate un trionfo.
Come sottolinea Aldo Marangoni, manager dell'agenzia che lo segue da circa trent'anni: «Da quando è partito il blog è stato un successo crescente». Una media di 5 mila spettatori per 80-90 date a tournée, quasi mezzo milione di persone pronte a pagare dai 20 ai 30 euro per ascoltarlo nei palasport. «Le date registrano il tutto esaurito in tempi sempre più brevi» aggiunge Marangoni. Che nel 2005 ha versato a Grillo 3.942.038 euro (cifra cresciuta negli anni successivi).

E il resto della torta? Nella dichiarazione 2006, 512.132 euro provengono dalla Società italiana degli autori ed editori (Siae); 69.784 dalla Casaleggio associati, l'agenzia che gestisce il suo blog (quell'anno all'esordio); 45 mila dalla Feltrinelli (con cui ha pubblicato Tutto il Grillo che conta); 15.500 dal settimanale Internazionale, per cui scrive. Gli fruttano anche gli investimenti fatti presso la Banca Antonveneta che nel 2005 subiva la scalata della Banca popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani, arrestato a dicembre di quell'anno per aggiotaggio, insider trading, truffa aggravata e associazione per delinquere. Quella volta Grillo, al contrario di altre occasioni (per esempio nella vicenda Parmalat), non era riuscito a preconizzare quello che sarebbe accaduto.

Certo le apparenti contraddizioni non spaventano l'uomo. Lo sanno bene gli amici dell'infanzia, quelli che si radunavano in piazza Martinez per sfidarsi con le grette o nelle gare di sputi, o magari per organizzare scherzi feroci (una volta rischiarono di ustionare un barbone che dormiva). «Giuse, come lo chiamavamo» dice Carletta, cabarettista pure lui, «nel '68 non si interessava di politica. Tra di noi chi metteva l'eschimo lo faceva per cuccare ai festival dell'Unità».

Mentre a scuola venivano organizzate le prime assemblee studentesche, Grillo scarabocchiava alla lavagna i testi delle canzoni di Celentano. All'impegno preferiva le vasche con gli amici in via XX Settembre, il repertorio di Pippo Franco e Duilio Del Prete e le feste con paste secche e vermut. «Quando ballava a guancia a guancia nella penombra era l'unico momento in cui lo vedevamo serio» ricorda ancora Carletta.

Un giorno «porcellino» (il suo soprannome, vista la silhouette tondeggiante) corteggiò la ragazza del giovane sbagliato che in cambio gli ruppe i denti con una testata. Quasi una fortuna visto che gli incisivi sporgenti erano poco telegenici. E che la politica non lo interessasse lo conferma l'ex amico Orlando Portento: «Ha fatto spettacoli per tutti i partiti, ma non certo per motivi ideologici». All'epoca alla politica preferiva le auto sportive e le donne, sebbene sia sempre stato accompagnato dalla fama di genovese parsimonioso: «Ricordo che a Nervi girava con una tuta senza tasche e io gli dicevo che era meglio pagare un caffè che un cardiologo» conclude Portento.

Nel 1990 cambia tutto, Grillo, scovato da Pippo Baudo in un cabaret milanese, viene cacciato dalla tv per una battuta sui socialisti: scopre così l'impegno e i teatri. Nel 1991, secondo un sondaggio Abacus, è il comico più popolare. Iniziano i discorsi all'umanità e le sue performance televisive entrano nel circuito dei programmi di culto. Sino alla scoperta del blog e della sua capacità di rilanciare temi e polemiche che incrementano il fenomeno commerciale. Un meccanismo esaminato nel saggio Chi ha paura di Beppe Grillo? pubblicato in questi giorni dalla Selene edizioni.

I tre autori hanno tenuto sotto osservazione il sito per quasi tre anni. «Chi spera di trovare un blog in realtà entra in uno splendido negozio con un sistema di vendita che funziona benissimo» afferma Edoardo Fleischner, saggista e docente di nuovi media e società all'Università Statale di Milano.

Via internet Grillo vende ogni genere di gadget. Basta cliccare sul sito www.beppegrillo.it per rendersene conto. Di fianco ai vari «comunicati politici» e agli aggiornamenti sul V2day c'è un suq dove manca solo la boccetta con il fiato di Grillo: in catalogo il video del V-day 2007 (l'offerta è libera, ma Grillo precisa: «Chi vuole la mia rovina economica e non verserà neppure un centesimo dovrà almeno pagare le spese di spedizione»), il dvd dello spettacolo Reset (10,20 euro), il libro Tutte le battaglie di Grillo (9,40) e molto altro. Non manca un'area riservata ai negozi.

I librai non possono acquistare meno di 25 pezzi e non è previsto il reso. Questa è la legge di Grillo. Che trasforma in «palanche» tutto quello che tocca. Persino le sezioni virtuali del partito fruttano.

Chi vuole aprire un fan club deve collegarsi alla piattaforma statunitense Meetup.com e pagare una quota: 19 dollari per un mese, scontati a 72 per chi prenota un semestre. Visto che i meetup segnalati sul sito sono 508 (per 360 città e 72 mila iscritti), i conti sono presto fatti: garantiscono un introito di almeno 73 mila euro l'anno. Non è chiarito se quei denari vengano incassati interamente dagli americani. Di certo iscriversi è facile: anche Panorama, utilizzando un solo indirizzo email, ha fondato tre «Beppe Grillo meetup»: «Libera stampa», «Mondadori» e «Segrate». In pochi minuti erano già prenotabili online (sul sito Meetup.com) magliette (16,95 dollari), cappellini (11,95), tutine per neonati (16,95) e tazze (12,95) con i loghi dei nuovi gruppi.

Il sito di partenza (Beppegrillo.it) è gestito dalla Casaleggio associati di Milano, società nata nel 2004 e specializzata nel far fruttare al massimo la rete. Nel 2005 ha dichiarato un volume di affari di 40.525 euro e perdite per 66.833 euro, l'anno successivo, dopo il necessario rodaggio e l'incontro con Grillo, il fatturato è schizzato a 1.187.724 con un reddito imponibile di 380.505 euro.

Il guru dell'agenzia è il perito informatico Gianroberto Casaleggio, 53 anni e riccioli alla Angelo Branduardi. Tra i suoi best-seller Il Web è morto, viva il Web e Web ergo sum. Il merito della conversione a internet di Grillo è suo (nel 2000 l'ex comico genovese apriva gli spettacoli spaccando computer con una mazza da baseball). Nell'introduzione di un libro di Casaleggio, Beppe racconta il loro incontro in un camerino di un teatro livornese: «Cominciò a parlarmi di rete. Di come potesse cambiare il mondo. (...) Tutto fu chiaro, era un pazzo. Pazzo di una pazzia nuova, in cui ogni cosa cambia in meglio grazie a internet».

Le antenne di Grillo si alzarono subito, forse perché la vera specialità di Casaleggio e soci è trasformare l'etere in euro. Per esempio a marzo la sua società ha presentato un focus su «tendenze, strategie, numeri e opportunità dell'e-commerce in Italia». Così oltre a mettere in vendita i prodotti del V-ideologo, Casaleggio è diventato pure il suo editore.
Non tutte le idee rivoluzionarie di Casaleggio seducono Grillo. Per esempio, non sembra averlo convinto la battaglia per l'abolizione del copyright, visto che nei mesi scorsi il predicatore di Sant'Ilario ha fatto un esposto contro la vendita su eBay dei dvd taroccati dei suoi spettacoli. Risultato: il vicentino Alessandro B., 19 anni, si è trovato la Guardia di finanza in casa e il computer impacchettato.

Casaleggio non si è scoraggiato e ha trasformato il blog di Grillo in un laboratorio. Basta leggere sul sito della società: «L'obiettivo è sviluppare in Italia una cultura della rete (...) con la creazione di gruppi di pensiero e di orientamento». E che cosa sono i grillini se non questo? Il marketing virale (il vecchio passaparola), uno dei cavalli di battaglia di Casaleggio, a settembre ha portato in piazza circa 1 milione di persone per il V-day.
Casaleggio, secondo alcuni, direbbe la sua anche sui contenuti del sito, oltre che sulle strategie. Fleischner è esplicito: «Grillo ha confessato che gli spunti sono suoi, ma che per la stesura dei suoi temutissimi articoli riceve degli aiutini».

Molte delle idee di Grillo, come la repentina (e ora un po' sopita) passione per il mondo virtuale di Second life (trasmessa pure ad Antonio Di Pietro, altro cliente famoso di Casaleggio), sono ispirate dal perito informatico milanese. Però la sua biografia non è quella del ribelle estraneo all'establishment. I biografi raccontano che alla fine degli anni 90 lavora all'Olivetti di Roberto Colaninno, poi diventa amministratore delegato della Webegg (società con 600 dipendenti), joint-venture tra Olivetti e Telecom che si occupa di consulenza strategica per internet.

Nel 2000 siede con Michele Colaninno (il figlio minore di Roberto) nel consiglio di amministrazione della Netikos, un'altra agenzia internettiana. Nel 2004 Webegg viene ceduta alla Value partners e Casaleggio insieme con altri fuoriusciti dalla Webegg si mette in proprio. Tutta gente che si muove bene nel mondo finanziario, tanto che qualche maligno rilegge in filigrana alcune delle battaglie nell'agenda di Grillo.

Ma i cacciatori di pagliuzze rinfacciano al Beppe nazionale altre incoerenze. Lo accusano di promuovere una legge per lasciare fuori dal Parlamento i politici condannati in primo grado, sebbene abbia una condanna definitiva per omicidio colposo in un incidente stradale. Gli appunti dei puristi non finiscono qui: nel 2003 la Gestimar, l'immobiliare di famiglia di cui Giuse è socio insieme con il fratello Andrea (nel 2006 hanno denunciato 12 appartamenti in provincia di Genova, per un reddito imponibile di 53.530 euro), ha usufruito del berlusconiano condono tombale, uno dei bersagli preferiti negli spettacoli di Grillo.

Peccati veniali che non intaccano la fiducia dei fan. Anche perché le disavventure giudiziarie non risparmiano neppure loro. A Genova, la capitale del grillismo, uno degli organizzatori del V2-day, che ha presentato in questura il preavviso per la manifestazione del 25 aprile, nel 2007 è stato condannato (patteggiando) a 1 anno e 4 mesi per bancarotta fraudolenta. Ma questa è un'altra storia.
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"Vi raccontiamo la vera storia di Beppe Grillo".

(Filippo Facci - Il Giornale) Il nostro uomo, una delle fonti incontrate nella nostra due giorni genovese, comincia a esser stanco: «Poi va be', ci sono storie personali, che non si possono scrivere». Dica. «Non si possono scrivere». Dica. «Ma niente, lui a un certo punto stava in questo suo attico in corso Europa, che era tutto bello, col pianoforte, e ogni tanto ci portavamo le ragazze che gli procuravo quasi sempre io. Tra l'altro sotto il letto nascondevamo un mangianastri per registrare le cose, gli amplessi, poi riascoltavamo e ci ammazzavamo dal ridere. Avevamo un gergo nostro: lui, il coso, lo chiamava "il gottoro", e urlava sempre questa parola alle ragazze che non capivano: "Gottoro! Ecco il gottoro!". Il problema è che un giorno sua madre trovò le cassette e si mise ad ascoltarle, un macello». È questa la storia personale? «Aspetti. Un giorno portammo nell'attico due ragazze, mi ricordo che una era sposata. I suoi, del Giuse, erano nella casa di Savignone. Ma niente: ognuno cominciò a fare le cose sue e a un certo punto lui fece un urlo bestiale, ma bestiale, corse da me tutto nudo e disse "Guarda, guarda! Che mi succede?" e io glielo guardai e lui... lui...».
Censura.
La disavventura sessuale, oggettivamente ridicola, ebbe epilogo al pronto soccorso dell'ospedale San Martino, praticamente lì di fronte. Censura: anche se il soggetto non la meriterebbe perché lui una storia del genere (di un altro) l'avrebbe raccontata di sicuro: si parla di una persona, un comico, che ebbe a chiamare «Alzheimer» l'ex capo del governo e «venditore di bava» l'ex capo dell'opposizione, uno che ha mandato letteralmente affanculo decine di persone e che di fronte alla critica di un direttore di telegiornale, Mauro Mazza, ha replicato testualmente: «E se sparassero nel culo a lui?». La battuta sul Papa manco ce la ricordiamo, sta di fatto che qui, di fronte al grillismo, stanno saltando tutte le regole, si sta riscrivendo il galateo della politica per adeguarlo a quello dell'antipolitica: dunque la tentazione di adeguarci c'è, la voglia di non censurarci pure, come a dire: Grillo eccoci, siamo pronti, se questo è il ballo si balla anche noi, si fa all'americana come predicano tanti giornalisti amici suoi: e ti si contano anche i peli del bulbo. Da qui, come modesto e sperimentale assaggio, la nostra due giorni genovese e questa modesta inchiesta.

Il Giuse. Giuseppe Piero Grillo è nato il 21 luglio 1948 a Savignone, Valle Scrivia. Secondo l'imbarazzante e compiaciuta agiografia «Beppe Grillo», forse il più insignificante libro pubblicato da Mondadori negli ultimi vent'anni, Beppe da Bambino «lanciava urli (sic) alla James Brown» e il padre commentava affettuosamente: «Sembra una bestia. Tuo figlio è un idiota». La famiglia, in ogni caso, di base stava a Genova nel quartiere di San Fruttuoso della celebratissima piazza Martinez, fucina di geni e lazzaroni dove piccoli leader minimi e massimi sedevano tra il bar Cucciolo e la fermata dell'autobus. Qualche bici, poche motociclette, le ragazze migliori della zona e in qualche modo anche il giovane Grillo, patito di calcio come tutti gli altri. «Aveva 12 anni e lo portai a fare un provino per una squadra locale sponsorizzata dalla Shell», racconta uno che c'era, «il problema è che il Giuse era una balena, lo chiamavamo Porcellino. Aveva un buon tocco di palla, ma l'allenatore ricordo che mi disse: "Ma chi mi hai portato?"».

Giocava a pallone anche Antonio Ricci, che era di Albenga e però a piazza Martinez, assieme a Roby Carretta, era in qualche modo collaterale: «Ma Ricci non era molto portato. Mi ricordo che nella sua squadra c'era anche Donato Bilancia, il serial killer. Stava sempre al bar Cucciolo». È vero: ma era un tipo innocuo e lo chiamavano Belinetta. Del giro era anche Vittorio De Scalzi, quello dei New Trolls. L'unico davvero portato per il calcio pareva il Portento, Orlando Portento, il bello della compagnia nonché un talento comico che quasi tutte le fonti indicano come il vero mentore e inventore di Beppe Grillo, privo tuttavia della sua pervicacia. Portento giunse alla serie B, e nella Sampdoria dei giovani Marcello Lippi e Roberto Vieri, padre di Bobo, ma poi s'infortunò. È tornato clamorosamente alla ribalta, Portento, come cabarettista e come marito di quell'Angela Cavagna che ha partecipato al reality show La Fattoria. Un paio di fonti indicano come vero scopritore di Grillo, invece, il gallerista Luigi De Lucchi, fondatore dell'Instabile, localino di cabaret forse unico nel suo genere.

Senza denti. Il giovane Grillo tutto sommato stava economicamente benino. Si diplomò ragioniere all'Ugolino Vivaldi, che era un istituto privato per rampolli-bene con retta piuttosto esosa. S'iscrisse anche a Economia e commercio, ma presto la piantò lì. Il padre, Enrico, possedeva una fabbrica di fiamme ossidriche (la Cannelli Grillo) e lo reclamava, ma lui da principio non ci pensava neanche. Secondo il più interessante libro «Beppe Grillo» di Paolo Crecchi e Giacomo Rinaldi (Ariberti editore) «il ragionier Grillo prova a lavorare nell'azienda di papà con scarsi risultati, rimettendoci 200mila lire degli anni Sessanta». Altrimenti consigliato, per un certo periodo fece il piazzista di jeans per la Panfin, ma fu licenziato. Era un ragazzo normale, un po' buffo, tifava Sampdoria, vestiva decentemente, aveva i jeans Sisley che furoreggiavano, andavano di moda le basette lunghe che lui però non aveva: le improvvisava schiacciandosi giù i capelli col sapone. Non era bello, ma sopperiva con la simpatia.

Era secondogenito e un po' il cocco di casa, suo padre non disdegnava di prestargli la Fiat 1100 che per rimorchiare si rivelò fondamentale, anche se aveva il difettuccio del pesare come una balena e quegli incisivi molto sporgenti: e con le ragazze era un problema, dicevano che baciandolo le pungeva. La soluzione fu drammatica: un giorno, alla discoteca Peppermint che era la più importante di Genova, ebbe la pensata di tampinare la ragazza di un certo Luciano Rovegno, che non era propriamente uno stinco di santo: e infatti reagì dandogli una tale testata da fargli saltare tutti gli incisivi che restarono lì, sparsi per terra. Glieli rimisero. Dritti.

Le melanzane di plastica. La celebre tirchieria di Grillo (parsimonia, si dice a Genova) in quel periodo prende le forme di incontrollabili leggende. Ben quattro presunti testimoni raccontano che girasse con una tuta appositamente senza tasche per non avere soldi da spendere. All'epoca fumavano tutti, ma lui prendeva le Hb nel pacchetto da dieci. Non pagava mai niente, non offriva mai niente, e questo lo dicono davvero tutti: occorre tener conto che dei genovesi che lamentano la tirchieria altrui sono come dei napoletani che accusassero qualcuno d'essere chiassoso. «Non era tirchio, era malato» racconta un suo ex sodale: «"Offri qualche caffè ogni tanto, risparmierai col cardiologo", gli dicevamo sempre».

Più avanti, nel 1980, la concessionaria Fiat Piave di Genova gli regalò una Punto: lui si lamentò perché non aveva l'autoradio. Altra leggenda vuole che nella sua villa di Sant'Ilario abbia frutti e ortaggi di plastica, e la citata biografia di Crecchi e Rinaldi conferma tutto: «Era guardato con diffidenza dai contadini perché rifiutava ostinatamente di coltivare le sue fasce di terra, ma un giorno ha avuto un'intuizione delle sue sistemando ortaggi di plastica turgidi e coloratissimi tra gli ulivi e i pitosfori».
Andrea detto Andreino, il fratello minore, ha raccontato alla Stampa d'avergli prestato un completo di gabardine nero salvo riaverlo completamente liso. «Mi deve ancora restituire una giacca a soffietto che gli prestai negli anni '70» racconta invece Portento, «e mi deve ancora pagare una camicetta da donna che regalò a un'amica», dice l'ex amico che ai tempi aveva un negozio di abbigliamento. Antonio Ricci ha raccontato che «io sparecchiavo, e se buttavo via delle briciole Beppe le recuperava dalla spazzatura e il giorno dopo ci impanava la milanese». È stata invece la seconda moglie di Grillo, Parvin Tadjk, intervistata a Crozza Italia su La7, a parlare degli snervanti controlli del marito sugli scontrini della spesa. Dopo la balzana ipotesi che Beppe Grillo si sia fatto crescere la barba per risparmiare sulla lamette, altro ritornello genovese, la carriera di Grillo entra nel vivo. (1. Continua)

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