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domenica 4 maggio 2008

Eletto leader londinese del partito di estrema destra inglese. Ma un passato omosessuale disorienta gli elettori.

(Agi) Per la prima volta nel consiglio comunale di Londra siedera' anche un esponente dell'estrema destra del British National Party. E' il controverso Richard Barnbrook, che ha ottenuto 69mila voti come candidato a sindaco e ha fatto cosi' superare al Bnp la soglia del 5% necessaria per ottenere uno degli 11 seggi attribuiti con il sistema proporzionale nella London Assembly. Barnbrook, leader del Bnp a Londra, e' un personaggio che sfugge a ogni etichetta: 47 anni, ex insegnante d'arte e pittore, marito dell'ex prima ballerina dell'English National Ballet, con i suoi occhi azzurri e i suoi modi affascinanti ha conquistato molte elettrici londinesi. Ma lo stesso elettorato del Bnp - xenofobo e 'machista' - rimase spiazzato da un film che diresse nel 1989 e che fu ritirato fuori due anni fa, "Hms Discovery: a Love Story", con scene di nudo maschili e allusioni omosessuali. Ad accrescere il disorientamento, "Searchlight", un'organizzazione antifascista, ha riferito che in passato il misterioso Barnbrook era stato iscritto ai laburisti. Barnbrook ha fatto una campagna elettorale basata sulla necessita' di contenere l'immigrazione e di dare voce "ai veri londinesi".

Leggi anche:
Il British National Party contro la visibilità gay.

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Con Londra ora le capitali europee sono piu' a destra. E due sono amministrate da sindaci gay.

(Ansa) Il successo di Boris Johnson a Londra, che simboleggia il tracollo laburista nelle amministrative di giovedì in Gran Bretagna, segna anche, a livello continentale, il sorpasso dei sindaci conservatori su quelli progressisti nei cinque municipi più importanti d'Europa. Se Berlino e Parigi restano a sinistra infatti, Madrid, e ora anche Roma e Londra, sono governate dal centrodestra. Il trend degli ultimi anni che vedeva i progressisti affermarsi senza problemi nelle metropoli europee risulta così invertito.

LONDRA - Quarantaquattro anni, noto per il carattere irruente e le gaffe politicamente scorrette, Johnson è riuscito comunque a detronizzare Ken Livingstone dopo sette anni di dominio incontrastato. Playboy eccentrico, talmente popolare che da tutti viene chiamato semplicemente 'Boris', il nuovo sindaco di Londra è riuscito a vincere malgrado non goda di buona fama come amministratore, tanto che il partito conservatore aveva annunciato nei giorni scorsi l'intenzione di affiancargli validi manager per amministrare le casse cittadine.

ROMA - Prima di Londra, è stata l'altra grande capitale europea a passare al centrodestra dopo ben quindici anni di governo del centrosinistra. Con la clamorosa vittoria al ballottaggio della settimana scorsa, Gianni Alemanno è il primo esponente di destra a salire al Campidoglio dal dopoguerra.

MADRID - Cinquant'anni, da cinque sindaco della capitale spagnola, Alberto Gallardon è l'uomo politico più popolare nel Paese fra i dirigenti del centrodestra. Dopo essere stato escluso dalle liste del Partito Popolare alle ultime legislative da Mariano Rajoy, Gallardon aveva minacciato di dimettersi. Decisione rientrata solo di recente.

PARIGI - Saldamente in mano al Partito socialista, è governata da sette anni dal popolarissimo Bertrand Delanoe (a destra nella foto). Omosessuale dichiarato, l'inquilino dell'Hotel de Ville è destinato a giocare un ruolo nazionale nell'annunciato duello con Segolene Royal per la candidatura all'Eliseo nel 2012.

BERLINO - Gemellata con Parigi, anche la capitale tedesca è governata dalla sinistra con un borgomastro amatissimo e omosessuale. Come il suo collega parigino, anche Klaus Wowereit (a sinistra nella foto) non ha nascosto le sue ambizioni di passare alla politica nazionale. Nel 2001, dichiarò la sua omosessualità con una frase diventata famosa in Germania: "Sono gay, e va bene anche così".

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Francia. Dalla rivoluzione all'involuzione francese.

(La sentinella della laicità) Cattolico, di destra , elettore di Sarkozy, Frédèric Minvielle (nella foto) sta investendo come un tornado la cronaca francese con la sua vicenda personale.

Sposatosi da poco con un uomo in Olanda, gli è stata revocata la cittadinanza di origine, poichè la legge francese non compendia il caso delle unioni omosessuali, limitando alle coppie “regolarmente coniugate” questa possibilità.

Establishment politico, stampa, talk shows televisivi analizzano il caso in tutte le sue implicazioni, interrogandosi sulla auspicabile soluzione .

A parole tutti (o quasi ) concordi nell’esecrare questa decisione ”odiosa, rivoltante, discriminatoria“, ma dietro il coro ufficiale di deprecazione l’incertezza regna sovrana.

All’avanguardia della battaglia per i “nuovi diritti” solo qualche anno fa con la nascita dei PACS, La Francia si vede ora sorpassata da altri paesi che hanno deciso di percorrere fino in fondo questa strada ed altre consimili come quella, tormentata, della “dolce morte”.

Per converso, mentre l’opinione pubblica transalpina sembra sposare, toto corde, questa tendenza, coloro che dovrebbero prendere le decisioni conseguenti ondeggiano tra l’indifferenza ed il cinico calcolo politicistico.

Più difficile la posizione della maggioranza conservatrice al timone del paese dal 2001 : Sempre più difficile appare qui conciliare le esigenze della società con la conservazione dei settori, assai minoritari, nostalgici dell’assetto patriarcale della vecchia Francia.

Così, dopo aver promesso una risoluzione del problema in campagna elettorale, Nicolas Sarkozy traccheggia malamente, mentre esponenti a lui vicini si sono schierati in favore di una revisione della legge.

Ma è difficile che qualcosa di buono possa scaturire nei prossimi mesi. Ci si limiterà, con prassi molto “latina”, a creare commissioni di studio ad hoc incaricate di spaccare il capello in quattro, di reperire improbabili sintesi senza nessun costrutto.

Quasi un contagio del vuoto chiaccherificio cui è ridotta tanta politica nostrana, una nemesi che colpisce quella un tempo additata come la patria dei diritti universali dell’uomo.

E allora?

E allora: “L’alterità uomo-donna deve continuare a fondare l’istituto matrimoniale“, come dice l’attuale Ministra della Pubblica Istruzione, Valèrie Pecresse.

Non pare di scorgere grandi speranze per Frédèric e difficilmente potrà far valere la propria indignazione con il voto, la prossima volta…

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Disprezza gli omosessuali il nuovo sindaco conservatore di Londra.

«Le unioni omosessuali? Ridicole, se permettiamo a due gay di sposarsi, allora consacriamo anche i matrimoni fra tre gay o fra due gay e un cane».
(Guido Santevecchi - Il Corriere della Sera) Ora dice che il suo eroe è Pericle e promette per Londra «un'età d'oro come quella dell'antica Atene». Ma in passato ha anche buttato lì che «votare conservatore fa venire il seno più grosso alle mogli».
Questo è il nuovo sindaco di Londra: Alexander Boris de Pfeffel Johnson, un po' genio un po' clown.
La settimana scorsa gli era arrivato l'appoggio del Sun, il quotidiano popolare di Rupert Murdoch che vende più di tre milioni di copie al giorno. E che ama dare il suo endorsement solo ai vincenti. Nel 1992 il tabloid aveva dato il bacio della morte al laburista Neil Kinnock con il titolo: «Se vince Kinnock, l'ultimo cittadino a lasciare la Gran Bretagna spenga la luce». Dopo, conquistato da Tony Blair, Murdoch si era schierato sempre con i laburisti. Questa volta, per Londra, ha gettato il suo peso sulla bilancia di Boris (come lo chiamano tutti, amici e avversari), il candidato conservatore, deputato, ex giornalista, autore di libri sulla storia dell'antica Roma. Ma anche gaffeur, intrattenitore tv, buffoon per calcolo e per natura. Spostare il Sun può contare molto anche per il futuro della politica nazionale. Dopo otto anni di regno di Ken «il rosso» Livingstone che ha rilanciato l'immagine di Londra, inventato la tassa sul traffico, ottenuto le Olimpiadi del 2012, può essere Boris l'uomo giusto per gestire un bilancio da 11 miliardi di sterline l'anno? A 44 anni, il nuovo sindaco ha nella sua biografia una moglie, quattro figli e almeno due storie extraconiugali (negate oltre i confini dell'evidenza).

BATTUTE POLITICAMENTE SCORRETTE - Delle battute politicamente ultrascorrette si è perso il conto: «Le unioni omosessuali? Ridicole, se permettiamo a due gay di sposarsi, allora consacriamo anche i matrimoni fra tre gay o fra due gay e un cane»; ha insultato intere città: Portsmouth, glorioso porto nel Sud, definendolo «culla di drogati, obesi, falliti e deputati laburisti» e Liverpool «patria di vittimisti». Non ha trascurato escursioni internazionali, dando dei «cannibali » ai governanti di Papua e «negretti» ai popoli del Commonwealth. Poi è venuta la candidatura a sindaco. Ed è cambiato. Capelli più corti e lingua a freno. Basta battute pericolose, solo qualche gioco di parole corretto, tipo: «Io sono un melting pot umano: la mia bisnonna era una schiava circassa e fu comprata dal mio bisnonno turco». E pare che sia anche vero.

AFFLUENZA RECORD ALLE URNE - Ha capitalizzato sull'effetto-stanchezza degli elettori nei confronti di Livingstone. E i londinesi sono andati alle urne in numeri record per queste parti: affluenza al 45 per cento. Più 10% rispetto al 2004. Boris ha vinto con uno scarto di 140 mila voti, 6 punti. La campagna non ha evidenziato grandi differenze nei programmi dei due avversari. Gli elettori hanno aspettative di centro: sicurezza, trasporti, case. E il sindaco di Londra ha competenza su polizia, rete dei trasporti, pianificazione urbanistica, cultura, ambiente e sviluppo economico. Tutti d'accordo sul fatto che servano ancora più poliziotti nelle strade, risparmi nella burocrazia e case a prezzi abbordabili. Sui mezzi pubblici si è assistito a uno scontro da commedia: Johnson lanciato in una crociata contro i bendy bus, gli autobus snodati introdotti da Livingstone al posto dei vecchi routemaster rossi a due piani, senza la porta di dietro, che permettevano di saltar su e giù in corsa. Boris ha promesso di rottamarli perché li giudica goffi e pericolosi per i ciclisti (lui va in bicicletta). Ha aggiunto la promessa di cacciare gli ubriachi da autobus e metropolitana. Idee misere per un sindaco di Londra? Johnson finora ha amministrato solo una rivista da 70 mila lettori (lo Spectator) e Livingstone gli ha rinfacciato di non avere esperienza. Boris non ha resistito e ha gridato: «Sì, ma ho dimostrato leadership, decidevo io dove dovevamo andare a pranzo con i colleghi ». E negli ultimissimi giorni, sentendo arrivare la vittoria, si è lasciato andare di nuovo: «Cocaina? Forse ai tempi di Oxford, a una festa me l'hanno offerta, ma mi ha fatto starnutire » (questa battuta l'ha rubata a Woody Allen).

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Parata per la visita del Papa a Genova, divise le associazioni gay.

Il capo della Cei Bagnasco: rispettino le opinioni altrui. Bufera sulla Meloni per le critiche al Pride di Bologna.

(Erika Dellacasa - Il Corriere della Sera) «Ognuno può esprimere la propria opinione sempre nel limite della libertà e del rispetto di tutti e nella civiltà delle forme». Così l'arcivescovo di Genova e presidente della Cei Angelo Bagnasco ha invitato «al buon senso e alla moderazione » la rete laica che sta organizzando manifestazioni per il 17 e il 18 maggio durante la visita di papa Ratzinger a Savona e Genova. Il cardinale ha fatto un richiamo «alla civiltà di forme, modi e tempi».

L'idea di una «gay parade » certo non rallegra la Curia. L'appello lanciato dalla rete laica «in difesa della laicità dello Stato contro le ingerenze della Chiesa» è stato sottoscritto da associazioni di gay, lesbiche e trans. «Il nostro corteo avrà una parte colorata rappresentata dalle associazioni degli omosessuali — spiega Luca Oddone del centro sociale Zapata — ma dal Global Meeting di Marghera lanceremo un invito a tutti i centri sociali a venire a Genova. Non è un "gay pride", ma un "pride laico"».

Arcilesbica e Azione Trans hanno confermato l'adesione mentre ieri l'Arcigay ligure, in disaccordo sui tempi, ha detto che non prenderà parte al corteo. «La nostra iniziativa — dice Oddone — non è contro il Papa né contro la Messa. Non facciamo ingerenze nelle opinioni e nella fede altrui però vogliamo essere liberi di criticare la Chiesa quando si occupa della legge elettorale o di quella sull'aborto ». I no global hanno scelto per il corteo di Genova il 17, quando il Papa sarà a Savona.

Ma il tema «gay parade» rimane sensibile non solo a Genova. Le dichiarazioni dell'esponente di An Giorgia Meloni sul Gay Pride del 28 giugno a Bologna ieri hanno scatenato le polemiche. «Lo trovo una ostentazione fastidiosissima, si vedono scene raccapriccianti — ha detto —. Non ho nulla contro i gay, alcuni miei amici lo sono, ma il Gay Pride fa male agli omosessuali». Replica dell'ex ministro alle Pari Opportunità Pollastrini: «Fastidiosissima la posizione della Meloni». Protesta dell'Arcigay per «i banali stereotipi dei filantropi di destra».

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Dopo la batosta elettorale per il movimento Lgbt, si apre un dibattito.

Ed ora un po’ di dimissioni, grazie!
di Enrico Oliari*

La tornata elettorale è ormai passata da qualche giorno dopo aver lasciato, come uno tsunami, sul bagnasciuga i pesci agonizzanti della Sinistra Arcobaleno e di altri partitini e partitetti caratterizzati da flop più o meno prevedibili, come quello di Giuliano Ferrara e della sua lista antiaborista.

Ed anche per il movimento gay si è trattato di una Caporetto. O meglio, per quella parte di movimento gay che per anni ha preteso di rappresentarne l’intera comunità schierandosi e facendo schierare tutti con una sinistra palesemente ipocrita, che voleva noi omosessuali in un pentolone dove dentro ci stava di tutto e di più, come se la questione dei diritti delle persone omosessuali fosse la stessa cosa di quella degli zingari, del bombardamento in Iraq e del No Global.

Lo svendere il patrimonio politico e culturale di una battaglia di libertà, com’è la nostra, alle nomenklature di certi partiti è ritornato come un boomerang sul movimento gay italiano, come se non fosse bastato il chiaro segnale di un Paese che ancora non ha attuato leggi per il riconoscimento della coppia gay, uno degli ultimi dell’Europa Unita.

Ed ancor più è ritornato sulle teste dei mille arrivisti per fortuna trombati, puniti da una comunità omosessuale che oggi ha votato i partiti di centro-destra: se gli italiani non sono scemi, i gay lo sono ancora di meno e l’episodio dei DiCo, i tentennamenti e le arrendevolezze si sono tradotti in un’ipocrisia imperdonabile. Tanto vale votare secondo coscienza, come cittadini, non come gay… almeno a Destra si sa come la pensano e si sa contro cosa lottare.

Il mondo gay è rimasto assuefatto, fino alla nausea, da una politica omosessuale pensata in funzione di una lotta che con l’omosessualità c’entra ben poco, perché l’orientamento sessuale, lo sappiano i trombati, non ha nulla a che fare con il No al nucleare e con l’antiamericanismo forzato; ed il tutto per poi arrivare alla timida proposta del riconoscimento delle coppie di fatto “come due nonnine che convivono”, ci dicevano, mentre i gay hanno bisogno del riconoscimento di diritti solidi della coppia omoaffettiva o dell’allargamento del matrimonio civile.

Non ha pagato quell’infantile dialettica dell’antifascismo forzato, che è arrivato, ma solo in ordine cronologico, all’iscrizione dei vertici di Arcigay Roma all’associazione nazionale partigiani, come se si fosse trattato della stessa cosa e come se durante la guerra il presidente dell’associazione gay capitolina avesse sparato ai tedeschi.

Come neppure ha dato i suoi frutti l’appoggio, sicuramente non gratuito, offerto a Rutelli da parte si alcune associazioni omosessuali romane: non basta un colpo di spugna, neppure se costasse 40.000 euro, per cancellare le uscite di Francesco Rutelli contro il riconoscimento della coppia gay, e questo gli omosessuali lo sanno.

Oggi a punire la classe dirigente del movimento omosessuale italiano sono stati gli omosessuali stessi, dimostrando con un non voto o con un voto che ha arricchito persino la Lega di Calderoni il più completo dissenso nei confronti di una politica gay che va ripensata da zero.

L’unica eletta del movimento è stata Paola Concia nelle file del Partito Democratico, ma è difficile sentirsi, come omosessuali, rappresentati da chi in campagna elettorale dichiarava, in un pessimo articolo apparso su Pride, di avere nel suo programma il riconoscimento della coppia, mentre altrove parlava di riconoscimento “dei diritti delle persone che si amano”; tant’è che se nel programma del vecchio Ulivo vi erano sette righe e mezzo sul riconoscimento dei diritti dei conviventi, nell’attuale programma del PD vi era solo una riga e mezzo e di coppia neppure l’ombra.

Come giustamente ha osservato Giovanni Dall’Orto, è arrivata una salutare batosta, e con essa, aggiungo io, l’occasione per ricominciare da zero, per ritornare a quella sana militanza delle origini dove ai partiti non si fanno sconti e soprattutto dove non si gioca al ribasso in nome di finanziamenti per le feste, di un posticino nel consiglio comunale o di un posticione in Parlamento.

Certo è che le persone che si sono esposte con strategie e dialettiche fallimentari hanno oggi il dovere di farsi da parte: non basta un pianto da pie donne in una sede congressuale, ci vogliono dei mea culpa belli sonanti.

E soprattutto una politica gay pensata per i gay e con obiettivo i diritti dei gay: solo facendo del movimento gay un sindacato potremo dialogare con tutte le forze politiche ed ottenere quei diritti che ci possono arrivare solo da un voto transpartitico.

*Presidente nazionale GayLib
www.GayLib.it

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