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domenica 30 settembre 2007

Napoli: Tutto, qui, è strano.

(decidiamoinsieme.it) L’altra parte del fronte napoletano LGT (ma perchè non LGBT?): I Ken, Arcilesbica e Mit Napoli (non l’Arcigay, che ha già fatto la sua iniziativa, il 16, a piazza Bellini) ha promosso per oggi una manifestazione (nazionale) contro l’omofobia e la camorra. In orari compatibili con le partite, quasi certamente con la partecipazione di Vladimir Luxuria. Forse con la presenza del Sindaco.
Molte, in generale, le adesioni pervenute dagli amministratori, ma Carlo Cremona spera ancora di ottenere quelle del Prefetto, del Calcio Napoli e del Cardinale Sepe. E molte anche le obiezioni all’adesione del sindaco, da destra (come si legge sotto), ma pure da esponenti democratici come Mario Di Costanzo.

Non ho ben capito, all’epoca, le ragioni delle differenze tra le due manifestazioni e neppure le sfumature di posizione tra le associazioni citate (che però mi sembrano comunque un bel problema) e non entro neppure nella questione se Di Costanzo abbia più ragione di Pasquale Colella, pure democratico e cattolico, ma favorevole.
Invece, sono abbastanza certa che non avrei chiesto tutte quelle adesioni istituzionali. Perchè sarebbe bello che i movimenti (di ogni tipo), anche a Napoli, non avessero la mania di confondersi con la politica-politicante e con le istituzioni (cioè, fossero, appunto, movimenti, dotati di almeno un pochino di spirito di scissione anche quando dialoganti).
Però — per quel che ne so — soprattutto I Ken (e da tempo) tiene molto al rapporto con le istituzioni e soprattutto con il sindaco. Così, se Carlo (che conosco) — ma anche altri interessat* — ci leggessero, e volessero spiegare questa posizione, forse capiremmo qualcosa di quella che a me pare, ora, solo una stranezza o un prodotto delle perversioni della politica, e della società, napoletane.

Corriere del Mezzogiorno
30 settembre 2007

Gay, lesbiche e trans: oggi in piazza a Napoli. Ma è polemica sull’adesione della Iervolino.
di Anna Paola Merone

NAPOLI — L’appuntamento è per questo pomeriggio, a partire dalle 16.30, in via Verdi. L’orario è stato studiato per non interferire con i tempi della partita di calcio Napoli—Genoa (e con gli altri incontri di campionato) e quindi con le esigenze dei tifosi e per «scivolare» verso la serata giusto in tempo dopo i dibattiti, con divagazioni sul tema della disco music.
Oggi a Napoli è di scena la giornata dell’orgoglio omosessuale. O meglio, la giornata della comunità Glt (gay, lesbica e trans) che manifesta contro le violenze registrare a danno delle persone omosessuali. Un happening cui non ha aderito l’Arcigay — che ha manifestato lo scorso 16 settembre — e a cui ha dato il suo appoggio invece la sindaca Iervolino che sarà probabilmente in piazza con i promotori dell’evento.
L’incontro è stato organizzato, per dare una risposta all’aggressione subita da due gay in piazza Bellini alla fine di agosto, da I Ken, Arcilesbica e Mit Napoli. «No all’omofobia e alla camorra» lo slogan dei partecipanti che hanno raccolto molte adesioni, fra cui quelle di consiglieri comunali e regionali e parlamentari.
Dunque via all’incontro alle 16.30, poi gli interventi sul palco che saranno aperti da quello di Carlo Cremona — presidente di I Ken — e poi la musica, la dance sparata dalle casse sistemate fra via Verdi e piazza Municipio per ballare e fare festa. «Mancano le adesioni del Prefetto, del Calcio Napoli, del Cardinale Sepe — spiega Cremona —, ma fino all’ultimo confidiamo in un loro segnale. Intanto andiamo avanti e siamo contenti di aver promosso questa giornata di lotta e di sogno ed emozionati per l’adesione del sindaco Iervolino. Confidiamo nella gente comune, in tutti quelli che vorranno venire a manifestare con noi». E le adesioni continuano ad arrivare in varie forme. Dal bar Prencipe, ad esempio, storica caffetteria a servizio del Comune che oggi resterà aperta per tutto il pomeriggio e che ai manifestanti venderà il caffè al prezzo speciale di 50 centesimi.
Intanto l’assessore alle Pari Opportunità del Comune, Valeria Valente - nell’ambito dell’Anno Europeo delle Pari Opportunità per tutti - ha convocato un tavolo di concertazione con le associazioni di rappresentanza per costruire «un percorso condiviso e supportare la loro azione di contrasto all’intolleranza». La manifestazione gay ha raccolto però i dissensi della destra. «Il sindaco deve astenersi dalla partecipazione a questo corteo in quanto rappresenta tutta la città che è in grande maggioranza cattolica e tradizionalista» afferma Raffaele Bruno, vicesegretario nazionale vicario del Movimento Idea Sociale con Rauti. «Di fronte alla crisi demografica in Italia c’è bisogno di bambini e quindi qualsiasi governo deve incoraggiare e sostenere la famiglia tradizionale composta da un uomo e una donna», conclude Bruno. Una manifestazione che «offende» la città e che «rende colpevoli gli amministratori consenzienti». Così il consigliere di Alleanza nazionale alla Regione Campania, Pietro Diodato, ha commentato l’iniziativa promossa in via Verdi. «La manifestazione - ha affermato l’esponente di An - attribuisce alla nostra città un profilo di intolleranza estraneo alla sua cultura e alla sua tradizione. A meno che non si vogliano addirittura condannare le sue profonde convinzioni religiose».
L’appoggio degli «amministratori » sarebbe invece deprecabile, secondo Diodato, perchè gli organizzatori della manifestazione «si riconoscono nella Lgbt, il cui acronimo sta per Lesbo, Gay, Bisex, Transgender, appartenente alla più potente Ilga (International Lesbian and Gay Association), associazione a livello mondiale che punta non tanto al riconoscimento dei presunti diritti negati alle coppie che decidono di convivere senza sposarsi, quanto al superamento del concetto stesso di famiglia, attraverso la graduale e progressiva irrilevanza del matrimonio».

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Festival Verdi 2007 al Teatro Regio di Parma e nelle terre verdiane.

(Federico Pontiero - Teatroespettacolo.it) Il Teatro Regio di Parma e le terre di Verdi celebrano l'anniversario della nascita del compositore che ricorre proprio nel mese di Ottobre.

Dal 1° al 28 Ottobre una serie di grandi eventi musicali ed artistici porteranno Parma e le terre di Verdi ad essere protagoniste assolute.

Nei ventotto giorni si susseguiranno opere, concerti, mostre che coinvolgeranno artisti e interpreti di prestigio internazionale.

Tra gli appuntamenti più importanti vanno ricordati: La Traviata, Luisa Miller, Messa da Requiem, Oberto conte di San Bonifiacio.

Si daranno appuntamento a Parma grandi interpreti delle opere verdiane: Fiorenza Cedolins, Luciana D’Intino, Barbara Frittoli, Mariana Pentcheva, Svetla Vassileva, Marcelo Álvarez, Ildebrando D’Arcangelo, Massimo Giordano, Leo Nucci, Giuseppe Sabbatini, Vladimir Stoyanov, Giorgio Surian, tra i cantanti; Riccardo Muti, Yuri Temirkanov, Donato Renzetti, Antonello Allemandi, Daniele Gatti, Georges Prêtre tra i direttori d’orchestra; Denis Krief, Pier’Alli, Karl-Ernst e Ursel Herrmann fra i registi.

Per informazioni sul programma, orari, biglietteria, potete consultare il sito www.eventi.parma.it

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Preti 4/Se per Farina è ipocrisia...

(Francesconardi.it) “Che ne direbbe la signora conduttrice Ilaria D’Amico, che è tanto carina e brava, se un tizio registrasse di nascosto le sue private performance di non sappiamo quale tipo [...] e poi fossero trasmesse semplicemente coprendole la faccia per non farla riconoscere?”. Così Renato Farina su Libero (domenica 30 settembre 2007). Così in polemica con la trasmissione attesa “morbosamente” e prevista per lunedì sera in prima serata su La7 durante la quale saranno mostrate ai telespettatori immagini di abboccamenti in chat, e successivi incontri, di sacerdoti omosessuali nell’esercizio tentato delle loro, private certo, performance.

Non c’è dubbio che il rilievo sulla violenza privata possa aver dei fondamenti, ed altrettanto è vero che le condotte descritte configurino peccati e non reati. Tuttavia qualcosina forse c’è da ridire quando Farina riattacca: “La conosciamo questa ideologia: si vuole smascherare l’ipocrisia della chiesa, la quale condanna la pratica omosessuale, non ammette i gay in seminario, e poi ospita nei suoi annuari del clero moltissimi omosessuali”. La conosciamo, dice, e ce ne fottiamo, sembrerebbe chiosare. Perché conoscerla, quell’ipocrisia, non può mutare - in ragione evidentemente di altra ideologia - la considerazione che della chiesa apparato dobbiamo avere. Ed ancora più interessante sarebbe sapere di quell’ideologia che - nei fatti - si concreta nell’intenzione di smascherare l’ipocrisia di un enorme apparato “filantropico” che opera in assenza di democraticità interna (condizione che assume enorme rilevanza dal momento che già questo basterebbe a far cadere ogni possibile accesso a regimi fiscali agevolati). Quale ideologia, dunque? Forse Farina riconduce alla laicità comunista, quella del così atei da aver bisogno di un altro Dio? Sì, probabilmente allude a quella. Ed è la semplificazione che vuole la laicità in becera confusione con l’ateismo fino all’esaurimento nel materialismo dialettico. Non sfiora l’idea che assuma politica rilevanza la necessità di porre in evidenza le contraddizioni di un apparato che politicamente – seppur, concediamo, indirettamente – senza dubbio agisce?
Nello stesso numero di Libero, tanto per divagare - ma poi non troppo - intervistato Daniele Capezzone: "Tempo fa, lei dichiarò di essere bisessuale, qualcosa non torna…[…], Giro la domanda, lei ha mai avuto una relazione omosessuale?". Insomma parrebbe che - intervistando un politico - le sue confessioni private in campo sessuale abbiano una rilevanza politica. Certo, rimane la violenza privata, resta la differenza tra un politico che sceglie di rispondere o meno a certe domande ed un prete che viene adescato in una chat di omosessuali (forse vi si collega per motivi diversi dall’essere adescato?), e poi ripreso quasi fino al momento in cui l’adescamento si fa carne, e di questa differenza teniamo conto.
I paralleli sono pericolosi se si ha da difendere una parte contro l’evidenza, se si arriva a denunciare l’ipocrisia della chiesa per svelare quelle altrui suppostamene più gravi o violente che contro la chiesa stessa “morbosamente” attendono. Ci si scontra con l’ineffabile dogma, c’è la fede che come la betulla si piega ma non si spiega. Ed è proprio alla stretta sulla fede che rivolgerei accorato appello al buon Farina: meglio lasciar perdere le divagazioni ondivaghe intorno alle private performance di Ilaria D’Amico, magari torrida e nuda (...hai linee di mela, sentieri di luna..., diceva il poeta); meglio lasciar perdere, dico, ché si diventa ciechi.

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Preti 3/Ancora su "Exit".

(Pianeta.com) Della serie "predicare bene e razzolare male".
Dopo la chiusura di un convento di clausura perchè le suore se le davano di santa ragione, dopo la protezione dei preti pedofili da parte della chiesa, in queste ore monta un altro caso. Ilaria D'Amico ad Exit domani sera su La7 scoperchierà un altro pentolone:
I preti omosessuali.

I preti vanno a caccia di omosessuali sul web, si danno appuntamento perfino in Piazza San Pietro, e sembra che alcuni di questi instaurino rapporti con più persone dello stesso sesso contemporaneamente. La chiesa è al corrente di tutto ma non prende posizione poichè dice un prete "che sui gay la Chiesa è ipocrita perché pure in Vaticano ce ne sono tanti".

La chiesa deve fare i conti questa volta con il reportage di Exit nel quale si vedrà un ragazzo, munito di telecamera nascosta incontrarsi con i preti conosciuti su una chat.

A queste accuse, è facile immaginare, faranno scudo quei politici di centro destra (quelli che vanno a messa ma non disdegnano la frequentazione di signorine e polveri varie) e che si schiereranno a difesa della chiesa, baluardo altrimenti espugnabile.

Attenzione italiani a chi ci dice come comportarci, a chi ci vuole insegnare come vivere. Attenzione quindi a quei politici in stile Casini e ai preti-anchorman sempre pronti a farci la morale. Non si sa mai, ma forse sarà meglio dotarci tutti di mutande in corame.

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Milva: Da pantera di Goro a commendatore.

(Enrico Groppali - Il Giornale) Giovanni Testori, che per Milva scrisse un song accorato e struggente come Volpe d'amore, diceva che la casa della cantante racchiudeva tesori inesplorati, in parte ignoti persino a colei che da trent'anni ne ha fatto il suo Buen Retiro. E l'altro Giovanni, il poeta Raboni che le dedicò In sogno, un testo di sapore parigino in cui Milva, appena desta, confessa tra le lacrime che l'alba fa appassire i fiori che ci regala la notte, aggiungeva che la sua dimora colma di quadri d'autore è il ritratto psicologico della ragazzina che a Sanremo, l'anno della sua rivelazione, ordinava caffelatte al bar mentre, senza farsi scorgere, studiava lo spartito di Jenny dei pirati.
È vero, Milva? O dovremmo dire «Signor commendatore»?
«Dio mio, no! Non vorrà mica farmi passare per un signore panciuto in finanziera con la catena d'oro dell'orologio che gli spunta di tasca!»
Eppure da un anno a questa parte, oltre ad essere stata insignita in Italia di questa ambita onorificenza, la più grande interprete vivente di Bertolt Brecht è stata nominata Grand'Ufficiale in Germania...
«Non lo nego e non lo nascondo. Ne sono orgogliosa, che diamine! Anche se tanti riconoscimenti mi mettono in ansia. Suonano un po' come un prepensionamento di lusso per la ragazzaccia indocile che sono, sempre attenta a nuove sfide, sempre curiosa di ciò che l'attende all'angolo della strada».
Dove la porta adesso, Milva, questa inguaribile curiosità?
«A Capri per ricevere un premio e subito dopo a Berlino».
A far cosa?
«A celebrare, ancora una volta, il mio diletto BB, “l'uomo dei boschi neri” come si definiva con una punta di snobismo l'autore dell'Opera da tre soldi. Ho in programma una non-stop di tre giorni al Berliner con un'antologia di Brecht comprensiva di tutto ciò che ho scoperto, scovato, esumato in tanti anni dedicati alla valorizzazione di questo straordinario uomo di teatro».
E in Italia?
«Da novembre riprendo La variante di Lüneburg, lo spettacolo tratto dal romanzo di Maurensig dove si gioca senza esclusione di colpi una partita a scacchi dall'esito mortale. Ingaggiata e vinta, l'anno scorso, ne
l Friuli Venezia Giulia ed esportata quest'anno su e giù per la penisola»
E poi?
«In Germania rivedrò Werner Herzog sotto la cui direzione ho girato Gesualdo da Venosa, un film sperimentale sulla vita del grande madrigalista del sedicesimo secolo che vendicò nel sangue l'onore perduto. C'è in vista un progetto multimediale che mi affascina per la sua audacia».
Un'attività incessante che, come e peggio del solito, la porterà lontano dalle sue radici che, a quanto si dice, sono profondamente milanesi...
«Amo Milano, è vero. Adoro novembre, un mese che fino a qualche anno fa significava pallidi veli di nebbia sospesi magicamente sui Navigli. Ma adoro anche i giardini segreti di Milano, il verde lombardo che si apre a corolla dove meno te lo aspetti, dietro le facciate dei palazzi patrizi, a ridosso dei cortili di pietra. La mia Milano è una città più romantica di quanto si creda. Che corre a braccia aperte in direzione di chi la cerca. Come faccio io, non appena me lo consentono i fusi orari, gli itinerari di volo, i viaggi transoceanici».
Si dice in giro che non c'è mai tregua per Milva. Anche quest'anno non farà eccezione?
«Ci saranno impegni, tournée e ancora nuovi impegni. Ma non con la frenesia di un tempo. Non ho più voglia di sfiancarmi giorno dopo giorno in quei tour incessanti che mi hanno guadagnato l'etichetta di instancabile globe-trotter. Adesso sento il bisogno di scegliere con maggiore oculatezza. Per studiare e per leggere, che sono per me l'autentico riposo della testa e del cuore».
Ma cosa legge Milva? Poesie o romanzi?
«Mi piace scoprire poco per volta cosa si nasconde dietro carriere eccezionali».
Può farmi qualche esempio?
«Sto impazzendo per Lezioni private, il libro di Hélène Grimaud dove la grande pianista coniuga la storia della sua vocazione con l'amore per la natura e i lupi selvaggi che, grazie a lei, ascoltano Schumann. Non è magnifico?».

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Arriva la pillola contro l'eiaculazione precoce.

Questo tipo di disturbo colpisce oltre 4 milioni di italiani. La Fda Usa ha approvato un nuovo farmaco a base di dapoxetina, che può essere preso da uno a 3 ore prima del rapporto.

(Il Corriere della Sera) - Le più contente forse saranno, più che gli uomini, le donne. Dopo le pillole dell'amore e contro il calo del desiderio, ora è in arrivo una pillola, la prima al mondo, in grado di curare l'eiaculazione precoce, disturbo che affligge fino al 40% degli uomini nella fascia d'età più attiva, quella cioè compresa tra i 20 e 50 anni. Il farmaco è a base di dapoxetina, principio attivo usato come antidepressivo, che ora ha ricevuto l'indicazione terapeutica della Food and drug administration americana anche per questo tipo di disturbo.

IL FARMACO - La notizia arriva dalla Società italiana di urologia, riunita a Bari in occasione del Quarantesimo Congresso nazionale di urologia. «La dapoxetina - spiega Vincenzo Mirone, presidente della Società italiana di Urologia - è un antidepressivo, che, a differenza degli altri psicofarmaci, non fa calare il desiderio sessuale. Anzi, si è visto essere molto efficace nel trattamento dell'eiaculazione precoce, disturbo che in Italia colpisce circa 4 milioni di uomini». Recentemente, la Food and Drug Administration ne ha approvato l'uso proprio con questa indicazione. Ad oggi, «non esiste una standardizzazione nella gestione dell'eiaculazione precoce - prosegue Mirone - e nessun farmaco possedeva l'indicazione specifica per il trattamento di questa patologia. La dapoxetina è quindi il primo medicinale al mondo dedicato a questo tipo di disturbo». La dapoxetina, come hanno spiegato gli urologi, agisce aumentando la disponibilità della serotonina nel cervello, ma a differenza di altre molecole già proposte in passato, può essere assunta anche 1-3 ore prima del rapporto sessuale (il che la rende un farmaco utilizzabile al bisogno) ed è disponibile all'organismo in tempi brevissimi. Inoltre, sembra avere pochissimi effetti collaterali, e, diversamente dagli antidepressivi, non inibisce il desiderio sessuale.

CURE INEFFICACI - Finora le cure utilizzate non erano state risolutive. Si andava dai consigli di «pensare ad altro», all'uso di creme desensibilizzanti, ad una serie di tecniche ed esercizi fisici. In presenza di cause prevalentemente psico-emozionali, si cercava di agire a livello comportamentale, con l'apprendimento di metodiche riabilitative di coppia. Ora sembra, dunque, che il panorama cambierà. «Ovviamente - precisa Mirone - la pillola andrà presa dopo aver consultato il medico e sotto il suo controllo. Il farmaco è ora disponibile sul mercato americano, ma speriamo di averlo presto anche in Italia, già dal 2008».

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Lbri: Umberto Eco ha scritto la "Storia della bruttezza".

(Adnkronos) - Dopo il successo della 'Storia della bellezza' (oltre 500.000 copie in 27 edizioni nel mondo), Umberto Eco riflette su un tema ben piu' rimosso e trascurato dalla nostra cultura: quello della bruttezza. La nuova fatica del semiologo piu' famoso del mondo si intitola infatti ''Storia della bruttezza'' e sara' nelle librerie italiane da mercoledi' 3 ottobre pubblicato dall'editore Bompiani (pagine 456, euro 35). Eco presentera' a livello mondiale il libro in occasione della Buchmesse, la Fiera internazionale del Libro di ottobre. Repellente, orrendo, schifoso, sgradevole, grottesco, abominevole, odioso, indecente, immondo, sporco, osceno, ripugnante, spaventoso, abbietto, orribile, orrido, orripilante, laido, terribile, terrificante, tremendo, da incubo, mostruoso, ripulsivo, disgustoso, nauseabondo, fetido, spaventevole, ignobile, sgraziato, spiacevole, pesante, indecente, deforme, difforme, sfigurato: questi sono solo alcuni degli aggettivi con cui si parla e si rappresenta la bruttezza. Di ognuno di questi, il libro dell'autore del ''Nome della rosa'' fornisce, con humour e profondita', piu' di un esempio, letterario e artistico. ''In ogni secolo, filosofi e artisti hanno fornito definizioni del bello; grazie alle loro testimonianze e' cosi' possibile ricostruire una storia delle idee estetiche attraverso i tempi. Diversamente e' accaduto col brutto. Il piu' delle volte si e' definito il brutto in opposizione al bello ma a esso non sono state quasi mai dedicate trattazioni distese, bensi' accenni parentetici e marginali'', scrive Umberto Eco presentando la sua ''Storia della bruttezza''.

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Lo spazio di un Teatro Onesto.

Presentata la nuova Stagione del Teatro Cinque. produzioni, spunti e novita'; la presentazione della direzione artistica firmata da Alessandro Del Bianco e Irina Galli.

(Valerio Balestrieri - La Voce d'Italia) “Bisogna trovare un compromesso con lo spazio”; così Alessandro Del Bianco nel corso della conferenza stampa di presentazione della nuova stagione del Teatro Cinque, in pieni Navigli a Milano; uno spazio che non penalizzi ma esalti le qualità e le peculiarità della drammaturgia e del lavoro. Nasce così un'idea di pubblico 'nel Teatro' e non a Teatro, nel senso che è sistemato in scena a seconda della rappresentazione prendendo se non parte attiva, quanto meno parte 'riflessiva' ad uno spettacolo in quanto evento.

E da qui i concetti di Teatro come 'verità', come 'studio' diventano parte integrante di un lavoro di anni condotto non solo sulla ricerca, ma su una vera e propria 'empatia' drammaturgica. Così Irina Galli su "Derive" che apre la Stagione: “Ho letto il retro di copertina, mi ha intrigato; ho letto il lavoro e mi ha conquistato...da quel momento lo dovevo fare, non sapevo come, non sapevo perchè, ma era mio!”

Ecco quindi il cartellone (dal 9 Ottobre al 27 Maggio): 11 titoli, 2 riallestimenti e 7 nuove produzioni, quasi tutti di drammaturgia contemporanea, nati da progetti di direzione artistica, ma anche da spunti sbocciati in seno agli studi professionali per attori di teatro e teatrodanza che si muovono nel Teatro Cinque. Non solo; il percorso si completa con un intenso lavoro sul teatro per ragazzi e sulla musica, che attraverso un cartellone apposito di “aperitivi in musica” (dal 5 Ottobre al 21 Maggio), curato da Gianni Cannata, offre uno spunto in più a quanti 'coraggiosi' sento la necessità di attraversare il Naviglio milanese non solo per riempire lo stomaco.

All'interno del Teatro attraverso un'interessante lavoro di ricerca è in allestimento una biblioteca consultabile di testi teatrali pubblicati di drammaturgia contemporanea e sceneggiature cinematografiche; un'ulteriore impegno destinato a quanti amano quest'arte non solo nel suo spazio rappresentabile. Un Teatro non solo per teatranti, ma anche e soprattutto per quanti, attenti alle novità, riescono a trovare momenti di riflessione e pienezza artistica in chiare espressioni di regia e consapevolezza di corpo e di anima. I dettagli del cartellone:

9/21 ottobre 2007
"Incroci, Derive"
di Eugène Durif, coreografie e regia di Irina Galli

23/28 ottobre 2007
"Il Contrabbasso"
di Patrick Suskind, regia di Alessandro Del Bianco

6/11 novembre 2007
"Torno Tardi"
drammaturgia e regia di Alessandro Del Bianco.
sceneggiatura e regia video e cortometraggio di Alessandro Del Bianco ed Elise Cresson.

13/18 novembe 2007
"Boston Marriage"
di David Mamet, regia di Alessandro Del Bianco

20/25 novembe 2007
"Le Ragioni del Cuore"
di Giovanni Cilluffo
co- produzione TeatroCinque/Cantieri Cutlruali Associati/Compagnia

4/16 dicembre 2007
"Domani"
drammaturgia e regia di Alessandro Del Bianco

19/23 dicembre 2007
"Fabremots"
coreografie e regia di Irina Galli

15/20 gennaio 2008
"La Lezione"
di Eugène Ionesco, regia di Alessandro Del Bianco

15 gennaio/30 marzo 2008
"Residenza Multidisciplinare"
L'obiettivo è quello di realizzare una residenza multidisciplinare sul naviglio, in pieno cuore cittadino, che sia luogo di produzione stabile e presentazione al pubblico degli spettacoli del Teatro Cinque in uno spazio strutturato come “Teatro Studio”; luogo di studio, produzione e presentazione per giovani registi, luogo di incontro e co-produzione artistica con maestri di rilievo internazionale, in un’ottica di proposta culturale di alto profilo che permetta l’avvicinamento al teatro anche di un pubblico meno avvezzo e fornisca alla zona (popolata unicamente di locali e birrerie) una vera opportunità e alternativa culturale.

1, 8, 15, 22, 29 febbraio 2008
7, 14, 21 marzo 2008
Studi Scenici:rassegna dedicata ai registi dello Studio di Regia CSA

1/13 aprile 2008
"Le Troiane"
di Euripide, coreografie e regia di Irina Galli

15/20 aprile 2008
"Giorni Felici"
di Samuel Beckett, regia di Alessandro Del Bianco

TWF - Togheter We Fall
drammaturgia e regia di Alessandro Del Bianco
coreografie di Irina Galli e Alessandro Del Bianco

27 maggio/8 giugno 2008
Teatro fra i Navigli IV edizione rassegna di teatro, danza, poesia, musica

Abbonamenti:
-Full Teatro
Tutte le produzioni teatrali della stagione 07-08
Intero 65,00 euro
Ridotto* 44,00 euro
-Cinque
5 spettacoli a scelta
Intero 42,00 euro
Ridotto*28,00 euro
-Full Musica e Teatro
Tutte le produzioni teatrali e tutti i concerti della stagione 07-08
Intero 100,00 euro
Ridotto* 80 euro

Ingressi:
Intero 12,00 euro
Ridotto*10,00/7,00 euro
* Giovani fino a 26 anni e anziani maggiori di 65

Teatro Cinque
via Ascanio Sforza 37
20136 Milano
Tel 02.58114535
www.teatrocinque.it
info@teatrocinque.it
MM2 Porta Genova
Tram 29-30-3-15, Bus 90-91-59

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Esperienze della vita: La convivenza è un diritto da concedere a tutti.

(IMG press) Al di là di ogni polemica tra chi è a favore o contrario le unioni civili, riteniamo sia giusto dare voce a chi la convivenza l'ha scelta. Compito di questa quarta puntata della nostra inchiesta sarà dunque quello di sentire la voce dei protagonisti, le persone della porta accanto, perchè sono loro la realtà che rispecchia l'Italia, non i vip in tv.
Partiamo dunque per questo nuovo viaggio e cerchiamo di capire i motivi che stanno alla base della della convivenza more uxorio. Laura e Fabio sono due quarantenni, due anni fa hanno deciso di comune accordo di andare a convivere. Entrambi erano d'accordo sul fatto di non sposarsi e di non avere figli mi spiega Laura che prosegue “tuttavia non abbiamo mai escluso l'ipotesi che un giorno ci saremmo sposati, se cambieremo idea si farà”. Un atteggiamento aperto quindi nei confronti del patto coniugale. La convivenza “così com'è” va benissimo, i due ragazzi si trovano bene e dividono tutto proprio come se il loro fosse qualsiasi rapporto tra coniugi. “Dividiamo tutto, dalle spese per quel che ognuno può fare, alle cose più banali coem il fare la spesa”. Per quanto Laura e Fabio siano tranquilli, una preoccupazione ce l'hanno, la casa dove vivono è di Fabio “sai com'è, ora va tutto bene ma un domani non si sa e siccome la casa è sua, non vorrei mai trovarmi dall'oggi al domani in mezzo alla strada” dice Laura. Fabio sorride ma capisce la preoccupazione della sua partner e dice “Quando è cominciata tutta questa storia dei DiCo, eravamo contenti, una legge ci avrebbe aiutati e ci saremmo sentiti maggiormente tutelati tutt, soprattutto, la nostra unione sarebbe stata riconosciuta anche al livello giuridico. Non capisco perchè se due persone si vogliono bene e decidono di stare assieme debbano per forza sposarsi, io non sono d'accordo”. Questa è la questione fondamentale, il matrimonio come unica forma di convivenza riconosciuta è un qualcosa che ai due ragazzi sta stretta. Dai loro discorsi si capisce la delusione velata del fatto che in Italia non ci sia ancora una legge che riconosca le unioni civili e che sembrava ormai prossima, “del resto siamo in Italia no?” dice ironicamente Laura. La loro vita è la vita di una qualsiasi coppia, entrambi lavorano e insieme affrontano le bollette a fine mese, la spesa, le rate dell'auto, eccetera, insomma, tutto quello che comporta un qualsiasi menage familiare. Riguardo alla questione dei figli loro per ora non ne vogliono “non abbiamo questa esigenza” però anche qui non escludono che un domani possano sentire l'esigenza di diventare genitori. Questa coppia ben assortita non si sente tutelata dalla legislazione attuale, raccontano che qualche tempo fa si erano rivolti anche ad un legale, “in mancanza di una legge, l'avvocato ci ha detto che possiamo mettere qualcosa per iscritto ma la cosa è un po' così”. In effetti la legge permette a due persone il cosiddetto “patto o contratto di convivenza” consentito e regolato dall'articolo 1322 del codice civile che recita “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”. Siamo esattamente nel campo della disciplina dei contratti in generale, ossia l'autonomia contrattuale. Con questo contratto i conviventi possono stabilire che, ad esempio, ciascuno è tenuto a contribuire alle spese in base al proprio reddito, amministrare i beni personali e quelli comuni ma anche regolare le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza per cause diverse dalla morte, come può essere il diritto per il convivente più bisognoso di continuare ad abitare la casa adibita a residenza comune, oppure ancora, l’obbligo del versamento degli alimenti. La legge prevede che il contratto si possa stipulare in forma scritta davanti ad un notaio anche redatto con scrittura privata, può anche verbale se stipulato davanti a dei testimoni, in ogni caso il contratto può essere provato con ogni mezzo. E' ovvio che un atto fatto da un notaio da più garanzie di altri ed è di immediata certezza. L'articolo già dalla sua definizione da dei limiti al contratto, essi sono espressi nell'articolo subito antecedente, il numero 1321, “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. La definizione è chiara, non possono essere oggetto del contratto obblighi di natura personale. Pensiamo ad esempio alle clausole riguardanti la procreazione, l'affidamento ed il riconoscimento della prole, oppure ancora a patti riguardanti la successione o a penali in caso di infedeltà. “Un minimo di garanzia in più con un contratto ci sarebbe ma non è questo che interessa a noi, cosa abbiamo di diverso da una coppia sposata? Spesso alcune persone ci dicono che non vogliamo fare fronte ai nostri reciproci obblighi scegliendo di convivere anziché sposarci”. E questa è un'affermazione che spesso chi non è a favore delle unioni civili ha mosso contro la stesura di una legge, sembra che chi non si sposa non vuole troppi legami o obblighi che invece si assumono in pieno col matrimonio. Il discorso che Fabio fa è di natura prettamente morale più che giuridica, tuttavia ci vien da pensare che se ci fosse una legge vera e propria, quest'affermazione sulla mancanza di responsabilità non troverebbe fondamento. Paolo e Federica invece fanno parte, per usare un'espressione prettamente sociologica, delle cosiddette “nuove famiglie allargate”. Entrambi provengono da precedenti esperienze coniugali purtroppo finite, entrambi hanno dei figli. I figli di Paolo sono rimasti con la moglie, mentre la bambina di Federica vive tuttora con lei e il suo nuovo compagno. La convivenza in questo caso per loro non è stata una scelta voluta nel vero senso del termine, bensì una scelta obbligata. Nessuno dei due infatti ha alle spalle ancora una sentenza di divorzio. Fortunatamente entrambi i rispettivi coniugi si sono dimostrati disponibili nel lasciar perdere il discorso degli alimenti, “anche se non stiamo più insieme, il nostro rapporto è buono e si può tranquillamente dialogare, quello che a tutti interessa sono i figli e la loro salute” mi dice Federica, mentre Paolo da un cenno di assenso mentre l'ascolta. Al di là del rapporto tra loro due, c'è da costruire il rapporto con la figlia di Federica che non è facile “oggi va meglio ma inizialmente è stata dura, io non sarò mai suo padre ma farò di tutto perchè lei possa star bene” mi dice Paolo parlando della bambina, “inoltre anche io ho dei figli a cui non voglio rinunciare nonostante il mio matrimonio fallito e la cosa che più desidero è che si crei un buon legame con Federica e sua figlia”. Una coppia quindi che ha delle responsabilità ben precise nei confronti dei propri figli e cerca di far andare avanti il rapporto di coppia anche tra queste problematiche non indifferenti. Alla mia domanda se tra i loro progetti c'è il matrimonio per il futuro, entrambi mi rispondono così: “no guarda, ce n'è bastato uno. Non è in quanto sposarsi, noi ci crediamo nel matrimonio nonostante le nostre esperienze, nemmeno quello che viene dopo anche se non vai più d'accordo. Non vogliamo nasconderci, il problema sono i soldi, avvocati e annullamento da parte della chiesa sono molto costosi” . Tasto dolente ma quantomai vero. Ci sono coppie che scelgono di convivere perchè il matrimonio è troppo oneroso tra organizzazione, casa e tutto il resto, e ci sono coppie che magari vorrebbero sposarsi ma la separazione e la sacra Rota costano troppo e aspettano tempi migliori. “Se fosse possibile certificare una convivenza o una sorta di Pacs tra noi, lo faremmo subito ma ancora non abbiamo il divorzio e chissà quando ci potremmo permettere di averlo”. -Per dovere di cronaca ricordiamo che la Cei ha stabilito un tariffario per l'annullamento del matrimonio religioso, si vai dai 1500 ai 2700 euro, più 450 euro per il tribunale, che servono a seguire tutta la procedura: dal I al II grado, che può consistere in una ratifica o un secondo esame-. Passiamo ora la parola ad un altro ragazzo, Federico. Federico è cresciuto e vissuto in Francia fino a tre anni fa, poi per motivi di lavoro è arrivato nel nostro paese. Viveva a Marsiglia dove conviveva con il suo ragazzo Paul da ben dieci anni e con lui aveva stipulato un Pacs. Il loro rapporto si è interrotto perchè Paul ha avuto un incidente ed è morto. “Il nostro era un normalissimo rapporto di coppia, come ce ne sono tanti in Francia, a nessuno interessava come e con chi vivevamo”. Egli analizza l'enorme differenza tra la società d'oltralpe e la nostra sottolineando l'assurdità di alcuni luoghi comuni che la Francia ha superato già da diverso tempo “qui in Italia devi fare le cose come minimo due volte quando ti va bene. Prima devi uscire allo scoperto, dichiararti alla famiglia e agli amici che sei gay sperando che a loro vada bene, poi quando trovi la persona che fa per te devi mettere tutto per iscritto da un notaio. Alla fine se magari non ci vai più d'accordo o succede come a me che muore il tuo ragazzo. Poi magari arriva la sua famiglia e ti porta via tutto perchè non sei nessuno. Con i Pacs questo non succede.”. Con queste poche parole, Federico ha analizzato la situazione italiana alla perfezione ossia l'omosessualità come realtà sociale non ancora accettata e la difficoltà di dare una connotazione di famiglia al rapporto tra persone dello stesso sesso, mancando poi una legge c'è il rischio di vedersi portar via le cose costruite assieme col proprio partner. Alla mia domanda su com'era il rapporto tra loro due, Federico mi guarda un po' stupito e mi dice “come tutte le coppie che si svegliano, vanno al lavoro, la sera tornano a casa e cenano e poi vanno a dormire! Proprio come i nostri genitori prima di noi, non c'è nulla di diverso.”, in una parola, la normalità. E questo termine ricorre anche tra Mario e Gianluca, conviventi da cinque anni e una “visibilità” da far invidia a molti. “Noi siamo fortunati” aprono subito “abbiamo delle famiglie meravigliose, pensa che quando abbiamo deciso di andare a vivere assieme ci hanno dato una mano con l'acquisto della casa”. Il loro rapporto è in tutto e per tutto una condivisione, dai problemi di salute che da sempre Mario si porta dietro, alle rispettive famiglie che hanno saputo dare loro l'affetto di genitori ai quali interessa solamente che i propri figli siano felici. Parla la mamma di Gianluca “il fatto che mio figlio sia gay all'inizio certo non è stato facile, io sono di un'altra generazione ma poi ho capito che anche se non avrò dei nipotini come ho sempre desiderato, la felicità di mio figlio è la cosa più importante. Scrivilo questo, scrivi che noi genitori dobbiamo saper capire da che parte sta la felicità dei nostri figli e fare in modo che la vivano appieno. Sono due bravi ragazzi, si vogliono bene.” E io lo scrivo perchè questa mamma sorride e si commuove nel parlare di Gianluca. I due ragazzi chiaccherano tranquillamente, il loro pensiero in particolare va a tanti altri ragazzi meno fortuna di loro, in particolare pensano ad un loro carissimo amico che hanno ospitato per tre mesi, i genitori l'hanno cacciato di casa dopo che ha fatto il suo coming out. “se si faranno questi benedetti Pacs o quello che sarà noi li faremo sicuramente, credo che sia giusto, ormai siamo nel 2007, è ridicolo che al giorno d'oggi ci siano ancora certe discriminazioni”. Nessuna polemica da parte loro nel voler difendere la famiglia ma se per un motivo o un altro due persone non vogliono o non si possono sposare, è giusto ci siano delle forme alternative di convivenza che lo stato per primo deve tutelare. Lasciamo questa coppia ed andiamo a parlare con Giovanna e Francesca da dieci anni convivono insieme. Francesca ha lasciato il marito dopo un anno di matrimonio, “purtroppo ho capito tardi che mi piacevano le donne, se l'avessi capito prima di certo non mi sarei sposata, sia per Carlo (l'ex marito) a cui voglio molto bene, sia per me stessa e la mia famiglia”. Mentre parla si commuove nel raccontare i momenti tristi vissuti, di come sia dovuta andarsene di casa perchè la famiglia non accettava la sua omosessualità. “Se ce l'ho fatta è stato grazie alla mia compagna, lei mi ha dato la forza di affrontare un mondo intero che mi era contro, da allora non ci siamo mai separate.”. Entrambe sono di origini meridionali e mi raccontano di come per loro sia stato necessario spostarsi al nord per vivere in maniera più normale senza sentirsi emarginate. Come tutte le altre coppie, anch'esse mi parlano di come vivono le loro giornate, immerse tra lavoro e faccende di casa da sbrigare, tra risate e discussioni. Raccontano che la convivenza non è stata sempre facile, i momenti di crisi ci sono stati “bisogna imparare a capire l'altra persona, le sue abitudini e l'altra deve fare lo stesso” dice Giovanna, insomma, adattarsi e trovare dei compromessi “o non si va da nessuna parte”. Mi racconta poi che anche loro erano quasi sul punto di lasciarsi ma poi per fortuna tutto si è risolto. Nessun rapporto è sicuro, né col matrimonio né con l'unione civile, quello che prevale è quindi l'aspetto puramente affettivo. A riguardo della polemica sui DiCo entrambi concordano dicendo che una legge non cambierebbe la loro vita, sono le persone che vivono insieme che devono darsi l'una all'altra indipendentemente da quel che dice (o non dice) lo stato. Tuttavia se ci fosse davvero una legge anche loro sarebbero a favore poiché vorrebbero sistemare le loro posizioni, in particolare questa è la paura di Francesca “conoscendo la mia famiglia, se dovesse mai succedermi qualcosa, verrebbero qui e si porterebbero via metà di tutte le nostre cose che abbiamo fatto insieme in tutti questi anni”. Sottolinea dunque il problema dell'eredità che tanto ha fatto parlare e discutere in sede di disegno di legge, “se io muoio è giusto che vada tutto a Giovanna, è lei con cui ho deciso di vivere la mia vita, per me lei è come se fosse mia moglie.. o mio marito” e si mette a ridere. Ci sarebbero numerose altre storie da raccontare, Michela e Paolo, conviventi per prova di matrimonio, “prima vediamo se così funziona, poi ci sarà il matrimonio”; Rossella e Silvia invece si sono appena lasciate dopo un anno di convivenza, “non andavamo più d'accordo, non siamo fatte per stare assieme”, e tantissime altre unioni che finiscono o che durano, sia eterosessuali che omosessuali. Ma arriviamo alle conclusioni. Quello che ne esce da tutti queste “chiacchere” in compagnia è che la vita di queste coppie non è né più né meno di quello che vivono ogni giorno le coppie “unite nel sacro vincolo del matrimonio”. Alla base dell'unione di due persone c'è sempre e comunque un sentimento d'amore e il mutuo assistenzialismo che ne deriva, condivisione dei problemi e vita in comune sotto lo stesso tetto. La società italiana è cambiata moltissimo, stili di vita totalmente stravolti, un più alto status economico e nuovi beni necessari che prima erano un surplus sono solo alcuni dei cambiamenti intervenuti e che hanno cambiato l'Italia. Affidiamoci ai dati statistici per farci capire meglio cos'è successo negli ultimi quarant'anni a livello di convivenza. Secondo un recente sondaggio, sono in crescita le coppie che prima di sposarsi vanno a convivere, dal 2,5% del 1968 si passa al 20% del 2003. Ad oggi, il tasso medio nazionale è del 12,8% ma non è veramente indicativo poiché c'è una fortissima disparità tra il centro-nord con un 30% ed il sud con appena un 4,5%. Nel nostro paese permane come sempre una doppia realtà a seconda di dove si vive. Come già detto più volte, sono circa 564 mila le coppie conviventi stabili (dati 2002-2003), di cui poco meno della metà è formato da coppie celibi e nubili, mentre il restante è formato da coppie nelle quali almeno uno dei due proviene da una precedente esperienza matrimoniale ancora in fase di divorzio. Di 22 milioni di nuclei familiari, queste coppie rappresentano il 3,9%, una cifra molto bassa rispetto al totale ma in costante aumento e questo si ritrova anche nelle parole di un noto demografo, il professor Massimo Livi Bacci. In un articolo apparso due anni fa su Repubblica il professor Bacci afferma che “I candidati a contrarre un Pacs sono, soprattutto, le coppie di fatto -coppie stabilmente conviventi, con figli o senza — che per ragioni oggettive o decisioni personali non possono o non vogliono contrarre matrimonio, il cui scioglimento è complesso e costoso..... e anche se il fenomeno è modesto rispetto ad altri paesi (in Francia è di circa 2,5 milioni), la tendenza è in crescita”. Parlando coi numeri, negli anni '90 erano circa 200 mila le coppie, oggi per l'appunto 564 mila, più del doppio quindi. Quello che dunque sembra essere un fenomeno prettamente europeo, in Italia ha un valore totalmente diverso, la stragrande maggioranza delle persone che vanno a convivere lo fanno come “preparazione” o passaggio verso il matrimonio. La prima cosa che mi vien da pensare è il perchè tutte queste polemiche in difesa del matrimonio e della famiglia quando comunque poi alla fine sempre al matrimonio si arriva in un modo o in un altro. Che danno mai potrà fare questo 3,9% al restante 96,1%? Ma anche se si arrivasse al 10%, cosa cambia? Forse il cataclisma predetto dalla chiesa non è poi così catastrofico, non si vede all'orizzonte l'apocalisse della famiglia per colpa delle unioni civili. Forse quello che veramente da fastidio e non si vuole accettare è ammettere che esistono anche altre forme di convivenza che cominciano a prendere piede, sia per cultura, per scelta, sia per necessità, ma ancor di più nell'Italia del 2007 è difficile ammettere che due uomini o due donne possano essere un nucleo familiare, questa la vera polemica: il nostro paese parla bene ma razzola male, c'è una sorta di omofobia sotterranea, latente. Non a caso quando si parla di coppie di fatto, l'accento è posto maggiormente sulle coppie omosessuali che su quelle eterosessuali. Una legge sulle coppie di fatto non distrugge nulla, il cambiamento della famiglia non è cosa di oggi, sono trent'anni che questo istituto attraversa una fase di cambiamento e non sarà certo una legge che riconosce altri tipi di unioni ad andare a ledere famiglia e matrimonio che come vediamo, sono e rimangono una base sociale e culturale molto importante.

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Fenomenologia del lato B: in Spagna il sedere è diventato cool.

(Gian Antonio Orighi - Panorama blog)Nella sempre più disinibita Madrid cade l’ultimo tabù: il culo. Per la prima volta al mondo la raffinata e pubblica Fundación Canal espone dal 3 ottobre al 6 gennaio prossimi Ocultos (Nascosti), una mostra fotografica dedicata a quella parte del corpo che il grande poeta Pablo Neruda definiva “le due sfacciate metà della mela”. Sono 68 sederi, di tutti i sessi, latitudini ed età, nudi e vestiti, in bianco e nero e a colori, innocenti e voluttuosi, immortalati dai grandi maestri dell’obiettivo, dagli inizi del XX secolo ai nostri giorni.

L’idea dell’esposizione è nata in un ambiente letteralmente underground. “Nel febbraio del 2006 la direttrice della Fundación, Eva Tormo, stava viaggiando nel metrò di Londra e voleva immortalare col cellulare un giapponese stravolto che stava dormendo appoggiato alla spalla di un amico” racconta José María Díaz-Maroto, 50 anni, fotografo e commissario di Ocultos. “Ma mentre scattava sono entrati altri passeggeri e alla fine nelle foto c’erano solo natiche. In quel momento si è proposta di raccogliere immagini di quel particolare anatomico che a volte non si vuole nemmeno nominare”.

La ricerca di immagini è durata un anno. E il risultato è magnifico, perché tutti i tesori fotografici esaltano, sia pure con tecniche e prospettive diverse, la bellezza, la provocazione, l’ironia o l’estetica di quello che nell’ultima edizione di Miss Italia è stato ribattezzato, non senza una certa ipocrisia, il “lato B”. Dal surrealista americano Man Ray all’inventore del reportage bellico, l’ungherese Robert Capa, dal padre del fotoreportage, il francese Henri Cartier-Bresson, al fondatore del realismo magico, il belga René Magritte: la lista degli autori dei capolavori (due gli italiani, Ferdinando Scianna e Giorgia Fiorio) prosegue con Sebastião Salgado, Robert Mapplethorpe, William Klein, Ellen von Unwert. E maestri spagnoli come Joan Colom.
“Di mostre fotografiche magnifiche ce ne sono state tante. L’agenzia Magnum di Parigi, quella fondata da Cartier-Bresson e Capa, ne ha organizzate alcune dedicandole agli occhi, alle mani, ai baci, al nudo, alla pelle” ricorda il commissario. “Ma nessuno finora aveva pensato, escludendo l’erotismo o la pornografia, di presentare un’antologica con il leitmotiv del “trasero”. Eppure, quando fotografiamo qualcuno di spalle, ciò che chiama l’attenzione è il sedere”.

Lo sdoganamento fotografico del fattore C, in un paese dove, secondo stime del governo del premier socialista José Luis Rodríguez Zapatero, ci sono la bellezza di 4 milioni tra gay e lesbiche (quasi il 10 per cento della popolazione), in cui le nozze omosessuali sono legali da due anni e i toreri hanno da sempre esibito il derrière vestendo nell’arena calzemaglie più che aderenti, corona però un irriverente percorso culturale che viene da lontano.

Il primo cantore del fondoschiena è stato nientemeno che Francisco de Quevedo, uno dei grandi scrittori del Siglo de oro, che nel XVII secolo vergava “Gracias y desgracias del ojo del culo”. E l’ultimo Nobel della letteratura, Camilo José Cela, nel suo Diccionario secreto del 1968, dedicava al deretano un famoso capitolo in cui sconsigliava di usare sinonimi al posto del castigliano culo. D’altronde, in questa Spagna sempre più provocante, dove non solo nella peccaminosa Ibiza o nelle libertarie isole Canarie, ma pure in due spiagge pubbliche di Barcellona, Mar Bella e Sant Sebastiá, i naturisti possono abbronzarsi integralmente senza problemi, ha avuto grande successo di critica un delizioso libro del giornalista tv José María Lebrero, Culos appunto. Ben 68 racconti immaginari in cui l’autore trasforma in protagonista il fondoschiena, “ingiustamente emarginato, nascosto, e che io elevo a categoria di icona”.

Ma c’è di più. Eduardo Urculo, compianto pittore e scultore, rivendicava nel 1999 di aver scelto Barcellona “come la prima città occidentale che possiede un monumento al culo”. Nel parco Carlos I del capoluogo catalano, infatti, troneggia un immenso bronzo di 7 metri, il Culis monumentalis, mentre a Oviedo, proprio davanti al teatro Campoamor, dove si consegnano i premi più prestigiosi di Spagna, i Principe de Asturias, ne è stata piazzata una copia nel 2002 (alta 5 metri).

“La Spagna è la nuova Svezia d’Europa. Basta vedere i magazine rosa o il Grande fratello in onda sulle nostre tv, show improponibili in un altro paese del continente” chiosa il giornalista e scrittore Juan Cueto, 65 anni, fondatore della pay-tv Canal Plus ed ex direttore di Tele+, critico televisivo del País. “La nostra permissività è irreversibile e da noi querelle come inquadrare o meno le natiche nel concorso di Miss Italia sono improponibili”.

Non a caso, quando era al potere l’ex premier popolare (centrodestra) José María Aznar, la tv di stato, Tve-1, trasmetteva nel seguitissimo show La fiebre del sabado noche sfilate di modelli, femminili e maschili, che indossavano il tanga.
“La Spagna rimane una società conservatrice. Solo che adesso una minoranza intellettuale e artistica, appoggiata da Zapatero, impone una immagine libertina” ammonisce Amando de Miguel, 70 anni, docente emerito di sociologia presso l’Università Complutense di Madrid e il più importante studioso dei costumi del paese. “Prima ci pennellavano con lo stereotipo della corrida, del flamenco e della paella. Adesso con un nuovo look falso, quello di Almodóvar e delle nozze omosessuali”.
Però, mentre i gay sono così radicati da editare Paginas rosadas, le prime pagine gialle per omosessuali d’Europa, il lato B si prende la sua rivincita persino con i popolari di Madrid: la Fundación Canal, infatti, è il loro fiore all’occhiello culturale.
Certo, il titolo della mostra, Ocultos, è un voluto gioco di parole che cela culo, comunque protagonista indiscutibile del panorama pubblicitario persino con giganteschi cartelloni piazzati davanti alle farmacie mentre proprio il “restyling del trasero” è l’operazione di chirurgia estetica più diffusa tra le spagnole.

“Non credo che la exposición sia audace. Il fatto che le natiche siano motivo di ispirazione fotografica e che vengano elevate a categoria artistica non dovrebbe scandalizzare più nessuno nel XXI secolo” commenta la popolare Tormo, 42 anni, al contempo assessore alla Cultura di Alcobendas, città dormitorio dell’hinterland madrileno. “Il tema del corpo umano è stato ormai digerito”.

La direttrice della Fundación Canal (il cui presidente, Esperanza Aguirre, governa Madrid) rivela anche che fino all’ultimo la mostra poteva essere chiamata Culos e che nessuno, nel suo partito, che pure ha presentato ricorso al tribunale costituzionale contro le nozze gay, ha mai opposto obiezioni a questa carrellata d’autore. “Abbiamo scelto Ocultos per prudenza. Però il culo, questo grande sconosciuto che è anche una ossessione, meritava un trattamento speciale che vogliamo trasmettere ai nostri visitatori”.

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Preti 2/“Il colletto tira”: tre preti gay si confessano.

(Napoli gaypress) “Per un lungo periodo, quando avevo 22 anni, ho avuto una relazione con un ragazzo coetaneo in seminario. È stata un´esperienza molto bella, che credo abbia contribuito alla mia maturazione sul piano affettivo. Innamorarsi significa anche crescere. In molti sacerdoti l´affettività è del tutto assente. Restano infantili e questo può poi provocare comportamenti più difficili da gestire”. [Don Felice]

Torna in prima serata su La7 Ilaria d’Amico e il suo programma Exit - uscita di sicurezza che inaugura la nuova serie con un tema scottantissimo: i preti gay. Ovviamente il punto di vista è originale

Tutto inizia con una mail di un ragazzo gay, frequentatore di chat a cui capita di incontrare spesso preti. Molti di questi dichiarano subito la propria situazione senza vergogna. Per molti di loro non c’è nulla di peccaminoso.

In alcuni dei suoi incontri questo ragazzo ha portato con se una telecamera nascosta. Tre sono le storie, differenti tra loro, che ne sono venute fuori.

Tre le posizoni cicra la convivenza tra fede e omosessualità. C’è il prete convinto della propria missione e che convive bene con la propria condizione. C’è il giovane “sciupauomini” che dopo anni di repressione in seminario si è totalmente lasciato andare ed infine il prete-sadomaso che glissa sulla questione.

Ma cosa pensano questi preti della posizione della chiesa circa l’omosessualità? Le posizioni sono due, chi la considera ipocrita perchè non vede che tra le stanze vaticane i gay sono molti e chi giustifica la posizione anti-gay portandola su un altro piano: la chiesa non ce l’ha con i gay ma non essendo accessibile il matrimonio ai gay non è nemmeno concesso loro il sesso…

Infine Don Felice (nome di fantasia, volto censurato) racconta volontariamente la sua esperienza e dichiara: “La chiesa confonde omosessualità e pedofilia. E sbaglia di grosso!”

Nella foto, un’altra immagine dal Calendario dei Preti

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Preti 1/La nuova frontiera della tv: i preti che fanno scandalo.

(Tvblog) La nuova stagione televisiva è pronta ad esplorare l’ennesima frontiera scandalistica. A far parlare di sè questa volta, con toni più o meno pruriginosi, sono i preti, categoria apparentemente integerrima e proprio per questo più allettante in termini sensazionalistici.
Ad aprire le danze di un nuovo preoccupante trend è Buona Domenica, che nella prima puntata propone un’intervista esclusiva a Don Sante Sguotti. Il parroco in questione è balzato da diverse settimane agli onori delle cronache per aver rivelato di avere un legame affettivo con una donna. La sua vicenda è stata definita da Il Giornale, che vi ha dedicato interessanti editoriali, qualcosa a cavallo tra una telenovela e un discutibile reality show, visto che sono girate voci di una sua presunta paternità come di altri scheletri sentimentali nell’armadio.
Fatto sta che, dopo aver sottolineato la propria devozione al sacerdozio e la voglia di preservarlo ad ogni costo, ora anche un uomo di Chiesa va a lavare i panni sporchi in tv.
L’affaire si ingrossa con un’inchiesta clamorosa sui preti gay, i cui “segreti” - come titola oggi Il Corriere come se si trattasse delle casalinghe di Wysteria Lane - verranno svelati ancora una volta in tv.
Ma questa volta, almeno, si passa dalla porta principale del giornalismo, o meglio dall’uscita di sicurezza.
Sarà Exit, il programma di informazione di Ilaria D’Amico, a dedicarvi la prima puntata in onda lunedì prossimo.
Mezz’ora di filmati rubati trasmessa integralmente porterà alla luce un mondo sommerso, ricostruito attraverso l’e-mail in redazione di un ragazzo gay, avventore di chat in cui è stato addescato da diversi sacerdoti senza particolari pudori.
Dopo i tre filmati «rubati c’è un prete gay che (anche lui con volto oscurato e voce camuffata) accetta di raccontare la sua storia: il compagno trovato in seminario, un ragazzo che poi dirigerà il coro durante la sua ordinazione, il giorno più bello della sua vita in cui mette insieme i suoi due amori.
A questo punto viene da chiedersi come reagirà la Chiesa di fronte a due vicende così delicate e scottanti raccontate in televisione…

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Cassazione: "Non si può esigere dal partner, sia all' interno del matrimonio sia nell' ambito di una convivenza, alcun tipo di prestazione sessuale".

Non si può esigere dal partner, sia all' interno del matrimonio sia nell' ambito di una convivenza, alcun tipo di prestazione sessuale, specie se con forme di prepotenza, in quanto non esiste - all' interno dei rapporti di coppia - "un diritto all'amplesso". Lo sottolinea la Cassazione, condannando per violenza sessuale un marito che aveva costretto la moglie - dalla quale è ora separato - ad avere un rapporto sessuale. La Suprema corte - confermando la condanna per stupro e sequestro di persona - ha respinto la tesi dell' uomo, Giuseppe Z., in base alla quale nell' ambito di una coppia è da ritenersi che ci sia sempre "un consenso putativo" per il partner al rapporto sessuale.
Con questa decisione i supremi giudici della terza sezione penale (sentenza 35408) hanno confermato il verdetto emesso nel maggio 2006 dalla Corte d'appello di Reggio Calabria. In merito al reato commesso dall' imputato e alla sua linea difensiva, la Cassazione ricorda che "in tema di reati contro la libertà sessuale, costituisce violenza sessuale qualsiasi forma di costringimento psicofisico idonea ad incidere sull' altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti, dato che non esiste all' interno di un tale rapporto un 'diritto all'amplesso', né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale". Giuseppe aveva costretto la moglie e il figlioletto di alcuni mesi a seguirlo da Palermo in Calabria, per portarli dai propri parenti ed evitare che la donna si allontanasse da lui e dal clima di violenza che l'uomo aveva instaurato. Nel viaggio, poi, Giuseppe l' aveva violentata e picchiata.

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I diritti (di tutti gli esseri) umani, dove non te li aspetti.

(Marco Mazzei - Panoramablog) Bel servizio di Newsweek dedicato ai diritti degli omosessuali nel mondo: Legal in Unlikely Places. Si racconta di come la cultura europea dei diritti stia diventando un modello anche in Paesi - come quelli del sud america - dove per decenni hanno prevalso il maschilismo e il machismo più omofobi.

Parte raccontando di un matrimonio omosessuale in Messico (udite, udite) e poi passa in rassegna che cosa sta succedendo in Brasile, in Argentina, ma anche a Cuba e perfino in Cina.
La Giamaica e tutto il medio oriente restano le zone del mondo dove questa cultura dei diritti è ancora lontana. Ma il senso dell’articolo è: la cultura europea sta contagiando tutto il mondo. Newsweek fa notare anche che la diffusione di questa cultura è più facile in Paesi, come il Messico appunto, dove la Chiesa cattolica romana è in crisi, travolta - che novità - da scandali di natura sessuale.

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Nudi alla meta.

Rugbisti in posa come gladiatori. Tenniste che in campo mugolano erotismo. Calciatori che accendono fantasie. Seduzione e mondanità: la nuova grammatica degli atleti.

(Mauro Covacich - L'Espresso - nella foto Mirco Bergamasco in 'Dieux du Stade') Le volte, ormai sempre più rare, in cui vado allo stadio di atletica dell'Acqua Acetosa, mi piace fermarmi un po', dopo la doccia, a osservare i velocisti in allenamento. Progressioni, ripetute, prove ai blocchi. A ogni recupero, anche di pochi secondi, si abbassano le spalline del body in lycra e tornano verso la partenza a torso nudo. Il regolamento del campo lo vieta, ma loro si ostinano a farlo. Recuperano piano, gonfiando il petto, esibendo il reticolo perfetto degli addominali nelle loro camminate da giovani leoni. Sanno di essere belli, e questa consapevolezza è in qualche modo il valore aggiunto del nuovo corpo dell'atleta, l'illusione di un controllo su ciò che nei rotocalchi, nei calendari, negli occhi degli spettatori, è destinato a diventare oggetto del desiderio. Il segreto dello sport come fonte di erotismo sta tutto in questa novità, secondo me. Consapevolezza, illusione di controllo.


L'assimilazione del gesto sportivo nel metabolismo della macchina mediatica ha portato alla spettacolarizzazione della performance e alla sua manipolazione estetizzante. Il mondo glam si è accorto della carica sensuale degli sportivi e li ha fagocitati. Ovviamente, questo assorbimento ha comportato la perdita di caratteri dominanti da parte dell'atleta, quali, ad esempio, una certa selvatichezza d'aspetto, una certa refrattarietà alle pose. A sua volta, l'atleta ha visto i colleghi fotografati da 'Playboy', sdoganati dal mondo ruvido della 'Gazzetta dello sport', in copertina con la sabbia della spiaggia sui glutei, i capezzoli inturgiditi e la pelle d'oca. Ha visto e si è preparato a fare lo stesso.

Prima l'atleta era la consacrazione della libertà, dello sforzo disinteressato, della fatica inutile. Si imponeva con un'attività sorella dell'arte, in grado di sottrarsi alle logiche utilitariste del sistema socio-economico. Oggi l'atleta è asservito a quelle logiche. Ha rinunciato alla propria 'differenza', accettando le regole non scritte del professionismo (alte prestazioni, overtraining, doping), adottando i criteri di valore del mondo borghese, della società di massa. Prima una ragazza che faceva sport era una ragazza diversa, anche fuori dal campo si vestiva e si muoveva diversamente.

Ora, le ragazze che corrono la maratona (la quintessenza del diverso) hanno il piercing all'ombelico, la salamandra tatuata sulla caviglia come qualsiasi commessa. Ai miei occhi, la consapevolezza ha sempre aggiunto fascino alla bellezza femminile, non mi meraviglia quindi che la vanità contribuisca al sex appeal delle atlete. Mi è molto più difficile capire come possa favorire gli uomini. I gemiti studiatissimi delle tenniste sono indubbiamente femminili, e pure le unghie smaltate delle nuotatrici lo sono, e gli shorts delle pallavoliste, e le treccine delle velociste caraibiche, ma cosa c'è di maschile nel laccetto mess'in piega di Nesta? Cosa c'è di virile nella manicure di Beckham? Cosa c'è di sensuale nei leoni dell'Acqua Acetosa? È sensuale un uomo che ostenta gli addominali?

Ricordo i diari delle mie compagne di classe alle medie, l'infinita riproduzione del terzino Antonio Cabrini in azione. Cabrini era desiderabile soprattutto perché non gli importava (non sembrava importargli) di essere bello, non faceva nulla per esserlo. Aveva la faccia effeminata di un angioletto, ma era sempre spettinato, sudato, scomposto. Io lo odiavo, ma sono sicuro che non si sarebbe mai messo un laccetto per reggere i capelli. Era questo che doveva piacere alle mie compagne, la sua negligenza, il modo incurante con cui offriva la bellezza al freddo, al fango, agli scontri in campo.

È anche possibile che distinguere la sensualità maschile da quella femminile sia errato -magari, agli occhi delle donne, il narcisismo cosmetico di Beckham è proprio la ragione del suo fascino- però la nuova fortuna dei campioni del rugby sembrerebbe darmi ragione. Vestiti da tre moschettieri, o in smoking, o nudi, i rugbisti sono gli atleti più fotografati del momento, ragazzi con un pilone di cemento al posto del collo, venduti quasi sempre come il miglior sogno erotico.

Ebbene, di cosa parlano quei ritratti? Parlano di forza maschia: ematomi, cicatrici, orecchie a cavolfiore, nasi che si allargano su mezza faccia, labbra e sopracciglia gonfie. Come la tennista fa sesso perché accompagna anche i rovesci più facili con i gemiti di una gatta in calore, così il rugbista fa sesso perché urla la haka. Che sia o no neozelandese, il rugbista è un mascherone, recita il ruolo del vecchio maschio rude, essendone in realtà solo la citazione. In altre parole, anche i campioni del rugby stanno diventando trendy alla velocità della luce, si mettono in posa davanti all'obbiettivo e rilasciano lunghe interviste per dire che non si guardano mai allo specchio. Però, mentre l'effetto 'gatta in calore' è una novità, frutto della consapevolezza femminile, l'effetto 'gladiatore' è sempre stato intrinseco alle discipline maschili e il suo uso consapevole di oggi non fa che stemperarne il valore. (nella foto a fianco Il calciatore Fredrik Ljungberg)

Gabriella Dorio e Novella Calligaris erano due ragazze carine, ma nessuno le avrebbe considerate sensuali. Una correva, l'altra nuotava, i loro corpi si muovevano a meraviglia nella grammatica del gesto sportivo, esprimevano eleganza, tenacia, abnegazione, ma non c'era consapevolezza nel loro sguardo, la bellezza scorreva sulle loro membra come sul pelo di un animale. C'è voluta Nadia Comaneci perché la donna dello sport diventasse femmina, è stata lei l'inizio. Non aveva tatuaggi, né piercing, né unghie smaltate, aveva gli occhi rapinosi della peggiore lolita. Ricordo come salì sulla pedana delle parallele alle olimpiadi di Montreal, già diva dentro. Era il '76, avevo solo undici anni, eppure riconobbi quei modi, intuii che mi parlavano di un altro mondo, un mondo extrasportivo che un giorno avrei conosciuto. Tra gli uomini, forse i primi oggetti del desiderio furono i fusti del nuoto, Guarducci, Spitz, e qualche tennista, Panatta, Borg, McEnroe (anche se il tennis non fa testo, essendo da sempre lo sport più cicisbeo, e quindi in buona misura antesignano della nuova fiera delle vanità).

Ma Gustav Thoeni? Pietro Mennea? Giuseppe e Carmine Abbagnale? Quale donna si è mai morsa il labbro inferiore per le imprese dei nostri campioni? No, fino all'altro ieri lo sport non lambiva i territori della seduzione né quelli limitrofi della mondanità. La sua era una dimensione abitata da eremiti, gente che si nutriva di agonismo, esseri umani diversi, dominati da una ferrea disciplina interiore, incomprensibile ai più. Fino all'altro ieri era impensabile che un oro olimpico della sciabola come Aldo Montano scimmiottasse i vezzi di un Costantino (l'altro, non l'imperatore). Oggi dell'atleta attrae ciò che riguarda marginalmente la sua pratica, il suo mondo: non cioè la tensione psicologica, la determinazione, la resistenza agli enormi carichi di lavoro, bensì il risultato estetico, ciò che ricalca i canoni della bellezza standard - il ventre piatto, il deltoide scolpito, la morbida conca dei glutei contratti - ovvero gli strumenti patinati di una campagna pubblicitaria.

Tutto questo può forse eccitare i nuovi appassionati di sport, quelli che alle olimpiadi aspettano la beach-volley. Ma i vecchi appassionati, che guardavano tra le grate di uno stadio di atletica come nel chiostro di un monastero? Be', si sentono un po' traditi. Per loro il gesto atletico è l'esatto contrario di un'esibizione narcisistica, non mette in mostra la bellezza, la applica. Per loro il corpo sportivo è seducente quando non sa di esserlo, la bellezza non va intesa in senso assoluto, ma in rapporto alla finalità del gesto. Per loro l'ideale classico, il discobolo di Mirone, è solo uno dei modi di declinare le forme anatomiche in considerazione di uno sforzo. Per quei vecchi noiosi e bigotti, ai quali credo di appartenere, sono altrettanto belle: le gambe corte dei sollevatori di pesi, la magrezza violenta dei ciclisti, la mole piramidale dei lottatori di sumo.

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Gay: Gentilini indagato per razzismo.

Il vicesindaco sotto inchiesta per la seconda volta, per la legge sull’istigazione all’odio: era già successo nel 2000, dopo la frase sui leprotti.

A Palazzo di Giustizia continuano ad arrivare gli esposti degli omosessuali contro lo Super G.
Fascicolo in Procura dopo le denunce per la frase sulla «pulizia etnica»


(Sabrina Tomè - La Tribuna di Treviso) Il vicesindaco Giancarlo Gentilini iscritto per la seconda volta nel registro degli indagati per il reato di istigazione all’odio razziale. Era già successo nel 2000, quando lo Sceriffo propose di vestire gli extracomunitari da leprotti per far esercitare i cacciatori; quella frase gli costò un processo. E’ accaduto di nuovo, stavolta per l’uscita di agosto sulla «pulizia etnica contro i gay». Decine di denunce contro Gentilini stanno ora arrivando da tutt’Italia in Procura a Treviso. E se nella maggior parte delle querele si contesta la diffamazione, in alcune si fa riferimento al reato di razzismo.
Le querele contro Gentilini sono arrivate a magistrati diversi che, di fronte alla notizia di reato, hanno aperto i fascicoli relativi. Almeno quattro le inchieste avviate dagli inquirenti, destinate a essere riunite in un unico procedimento penale con due reati contestati: diffamazione e istigazione all’odio razziale. Una violazione, quest’ultima, con la quale lo Sceriffo ha una certa dimestichezza visto che gli fu già contestata nel 2000 dall’allora procuratore Gianfranco Candiani, per l’uscita sui leprotti da impallinare. Gentilini finì a processo, ma il collegio dell’epoca, presidente Arturo Toppan, impiegò solo dieci minuti (una delle più brevi camere di consiglio della storia giudiziaria trevigiana) per pronunciare una sentenza di assoluzione, malgrado l’articolata e dettagliata contestazione dell’accusa e malgrado un gip l’avesse ritenuta fondata. A distanza di sette anni, lo Sceriffo è finito un’altra volta nel registro degli indagati per l’analogo reato. La frase è stata pronunciata da Gentilini ad agosto, nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente televisiva Rete Veneta. Il vicesindaco annunciava, tra l’altro, di aver incaricato i vigili di ripulire Treviso dai «culattoni». Una dichiarazione che aveva scatenato la rivolta dei gay, con tanto di manifestazione di protesta tenutasi in città l’ 11 agosto. E dopo la mobilitazione di piazza, è arrivata quella legale. Denunce contro Gentilini stanno arrivando in Procura da tutt’Italia. Quattro di queste, finite sul tavolo di diversi magistrati, si sono già trasformate in fascicoli d’indagine. E, ancora una volta, Gentilini è nei guai per l’ipotesi di violazione della legge 654 del ’75 che rattifica la «Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale», firmata a New York nel 1966. L’articolo di riferimento è il numero 3 che prevede la reclusione per chi «diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Il procuratore Antonio Fojadelli, all’indomani dell’uscita di Gentilini, aveva gettato acqua sul fuoco parlando di una frase di cattivo gusto, ma escludendo qualsiasi violazione penale e, in particolare, quella dell’istigazione. Si arriverà a un’archiviazione, così come sette anni fa alla frettolosa assoluzione?
In Procura gli orientamenti giurisprudenziali sono diversi; l’epilogo non è scontato.

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Calcio: Mondiali gay, vince l'Argentina

BUENOS AIRES - E' andata alla nazionale di calcio argentina la decima edizione dei mondiali di calcio gay. La squadra biancoceleste, chiamata "Los Dogos", ha battuto per 1 a 0 in casa gli inglesi dello Stonewall, campioni uscenti. Il regolamento del torneo non prevede discriminazioni in base all'orientamento sessuale: l'autore della rete decisiva, il brasiliano residente in Argentina Maikon Monteiro, e' infatti eterosessuale. (Agr)

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