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venerdì 30 novembre 2007

L'Avvenire attacca le leggi antiomofobia.

L'ideologia del "genere". Quel grimaldello dietro una causa buona.

(Marco Tarquinio - L'Avvenire) Non sempre ai titoli corrispondono testi coerenti e conseguenti. Ma qualche volta accade. E non è sempre u­na buona notizia. La riprova la offre – nuovo caso in questa legislatura – il la­vorìo parlamentare intorno a una pro­posta di legge dall’intitolazione sugge­stiva e, per certi versi, emozionalmente coinvolgente eppure in grado di far scat­tare più di un serio allarme. Ci riferiamo al testo unificato elaborato in Commis­sione Giustizia della Camera per stabili­re «Misure contro gli atti persecutori e la discriminazione fondata sull’orienta­mento sessuale o sull’identità di gene­re ». Un testo sbrigativamente ribattez­zato «legge anti-omofobia» (ma non so­lo e soltanto di questo si tratta) e fatto passare per un «adeguamento» a «obbli­gatori » standard normativi europei (che in realtà obbligatori non sono affatto). Un progetto, lo diciamo subito a scanso di equivoci, che non inquieta di certo per l’obiettivo che suggerisce –l’impegno contro persecuzioni e discriminazioni per motivi di ordine sessuale –, ma per le categorie giuridiche che punta a intro­durre nel nostro ordinamento e per il mo­do in cui persegue questo fine dichiara­to, appunto, sin dal titolo.

Il primo allarme viene fatto suonare dal­l’incipit del titolo della bozza – «Misure contro gli atti persecutori» – e cioè dal­l’importazione nel codice penale italia­no del cosiddetto reato di molestia gra­ve e insistente ( stalking). Un’operazione purtroppo condotta all’insegna di un’in­determinatezza che disorienta e sgo­menta. La norma, se davvero venisse va­rata, punirebbe infatti «chiunque reite­ratamente, con qualunque mezzo, mi­naccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico» o arriva a «pregiudicare in maniera rile­vante il suo modo di vivere». Come s’in­tuisce facilmente, le possibili applica­zioni di una simile vaghissima norma su­gli «atti persecutori» sono tante, troppe. Si va dalla situazione in cui un corteg­giatore asfissiante importuna una mal­capitata a quella di un capo ufficio che impartisce disposizioni, soggettivamen­te male accolte, a un suo dipendente. Ma si potrebbe anche arrivare – perché no? – alla condizione di «infelicità» procura­ta a un ‘sottoposto’ da chi applica una qualunque forma di disciplina (regole as­sociative, obblighi e doveri legati a un particolare status).

Il secondo allarme nasce da un vizio a­nalogo a quello di cui ci siamo appena oc­cupati – la genericità – rafforzato da una dose d’urto di malizia legislativa. La se­conda parte del titolo del testo unificato – «(Misure) contro la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sul­l’identità di genere» – è, del resto, elo­quente. E il senso complessivo dell’arti­colo 3 è scoperto: l’obiettivo ideologico perseguito è infatti l’introduzione nel­l’ordinamento italiano del concetto fi­nora sconosciuto di gender ( genere), ren­dendolo sostanzialmente equivalente a «orientamento sessuale», e di creare la base per sostituirlo a quelli di «uomo», «donna» e «sesso». Puntando, per di più, a equipararlo a «razza», «etnia», «nazio­ne » e «religione». La malizia sta nel mezzo prescelto. Una regola orientata, secondo un sentimen­to giustamente condiviso, a sanzionare intollerabili atti di violenza e di discrimi­nazione compiuti, per motivi di ordine sessuale, contro la persona viene fatta e­volvere in una norma posta a presidio di una pretesa categoria discriminata (gli o­mosessuali). Ma la malizia sta anche nel­la strumentalità di tutto questo. Sembra quasi – e senza quasi – che si voglia for­giare un grimaldello in grado di spalan­care altre porte legislative. E che si pre­tenda di farlo, in forza di legge, nel nome della «categoria» sostituita alla «perso­na », del «genere» dissociato dal «sesso biologico» ovvero dell’opzione culturale sovraordinata alla natura. C’è da augurarsi che in Commissione Giustizia della Camera, e non solo lì, ci si ripensi. Che si corregga seriamente il ti­tolo, e si riveda saggiamente il testo.

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A Milano. «Baby», l'Aids va a teatro.

In scena la compagnia che ha vinto il concorso lanciato dal cesvi. Uno spettacolo fatto dai giovani per i giovani: gratuito, debutta al teatro Olmetto di Milano il 5 dicembre.

(A. Mu. Il Corriere della Sera) L'Aids raccontato ai giovani dai loro coetanei a teatro. Uno spettacolo per non far calare il sipario sull'Aids dopo il primo dicembre. Soprattutto tra i ragazzi, perché è soprattutto tra loro che l'Hiv sta mietendo vittime (gli ultimi dati dell’OMS denunciano che il 40% dei nuovi infetti ha un'età compresa tra i 15 e i 24 anni).

LA STORIA - In scena c'è «Baby»: la storia del figlio di una sieropositiva che si salva grazie alla «memory box» preparata dalla madre. Da lì parte il viaggio del ragazzo attraverso una malattia ignorata. Un'opera che analizza tutti gli aspetti della malattia: l'ignoranza, la negazione, la paura, l'esclusione sociale ma anche il coraggio di chi sceglie di non abbassare gli occhi e che quindi si adopera per prevenirla. Un modo per sensibilizzare le nuove generazioni su un tema difficile con un linguaggio alternativo e non noioso.

I VINCITORI - Sul palco attori che hanno tutti tra i 23 e i 25 anni (e la sceneggiatrice ne ha solo 18). Fanno parte della Compagnia degli Equilibristi di Uboldo (Varese), che ha vinto il concorso Theatre Competition, lanciato da Cesvi (organizzazione umanitaria attiva dal 2001 in Africa con progetti di lotta all'Aids) con una giuria presieduta da Lella Costa e da esperti di teatro. Gli «Equilibristi» hanno avuto la meglio sulle 20 giovani compagnie che si sono cimentate nella stesura di un’opera incentrata su questo tema ed è stata premiata con la produzione e messa in scena dell’opera. Il concorso fa parte della Virus Free Generation, una campagna sul tema dell’Hiv e dell'Aids sostenuta dalla Ue per sensibilizzare i giovani attraverso il teatro, l'arte e la musica su un problema purtroppo ancora di grave attualità come l'Aids, che tocca e accomuna i giovani in Africa e in occidente.

IL DEBUTTO - «Baby» debutterà in prima nazionale mercoledì 5 dicembre al teatro Olmetto di Milano, prima tappa di un tour che porterà lo spettacolo lungo lo Stivale nel 2008. L'ingresso è gratuito fino a esaurimento dei posti disponibili.

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4 dicembre, Roma, mobilitazione per le unioni civili.

L’ingerenza vaticana, ora dopo ora, si fa sempre più insistente nei confronti del Sindaco di Roma e dei suoi consiglieri comunali. Il Sindaco di Roma Walter Veltroni è stato convocato ieri in Vaticano e, secondo quanto riportato oggi dalla stampa, ha dato rassicurazione alle eminenze dello Stato teocratico sul fatto che dell’approvazione del registro delle Unioni civili “non se ne farà nulla”.
Le associazioni promotrici (tra cui il circolo UAAR di Roma) vogliono tuttavia fare tutto il possibile affinché la delibera sulle unioni civili a Roma venga discussa e, speriamo, approvata. Ricordiamo che questa iniziativa è stata richiesta da oltre 10.000 cittadini e ora, nel rispetto delle regole, deve essere discussa entro i primi di dicembre dal Consiglio Comunale.

E’ stato deciso di organizzare una fiaccolata in Piazza del Campidoglio ­sotto il cavallo di Marco Aurelio. L’appuntamento è per martedì 4 dicembre dalle ore 18.00 alle ore 20.30.

Per maggiori informazioni, scrivete a roma@uaar.it

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Imperia: sesso orale alle medie, dodicenni dai cellulari finiscono su YouTube.

(Il Messaggero) Col videofonino giravano filmini hard in casolari abbandonati della provincia di Imperia o in abitazioni private, per poi diffondere le riprese sul web o scambiarsele a scuola. Protagonisti sono almeno sei alunni della seconda classe di una scuola media della provincia di Imperia e, per la precisione due femmine e quattro maschi, tra i 12 e i 14 anni. La vicenda risale allo scorso anno scolastico, ma è stata mantenuta riservata all'interno dell'istituto scolastico, dove ne erano a conoscenza solo un professore ed il preside.

Nei confronti dei ragazzini protagonisti delle performance hard sono stati organizzati dei corsi rieducativi e di assistenza psicologica. Le riprese video ritraggono le ragazzine durante rapporti di sesso orale con i loro compagni. Sembra che i filmati siano stati diffusi sul web attraverso diversi portali, tra cui You Tube. A scoprire la vicenda è stato un professore che aveva raccolto la segnalazione di un alunno. In un secondo tempo, del fatto è stato informato anche il dirigente scolastico che, a sua volta, ha contattato i genitori degli alunni interessati.
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Arte. Boccioni, record mondiale per una tela.

È il prezzo più alto mai realizzato per opere del pittore futurista. A un'asta di Christie's, a Milano, venduto per 1,8 milioni di euro «Studio per footballer». Record anche per Vedova e Santomaso.

(Il Corriere della Sera) Una tela del pittore futurista Umberto Boccioni, dal titolo «Studio per footballer» (a fianco) del 1913, ha segnato un record mondiale per l'artista ad un'asta di arte moderna e contemporanea italiana organizzata da Christie's a Milano. Un collezionista privato, che per il momento ha richiesto l'anonimato, ha pagato il quadro un milione e 866.950 euro, contro una stima di 800 mila euro. Nella stessa asta milanese sono stati registrati altri due record mondiali per altrettanti artisti italiani. Un quadro di Emilio Vedova, dal titolo «Documento 2 - Aggressività» del 1958, è stato aggiudicato da un collezionista privato per 622.700 euro (la stima oscillava da 250 mila a 350 mila euro). La tela «Settembre nella Mancia» (1960) di Giuseppe Santomaso è stata battuta per 273.915 euro (stima 100-150mila euro) acquistato anche in questo caso da un collezionista privato. Una «Natura morta» del 1943 di Giorgio Morandi è stata venduta per 1.144.100 euro, un'altra del 1923 dello stesso pittore è stata aggiudicata per 1.037.450 euro. La tela «Fiori» (1953) di Morandi è stata battuta per 390.800 euro. Una tela di Mario Schifano, dal titolo «Monocromo blu» del 1960 è stata acquistata per 239.600 euro, un'opera di Afro «Senza titolo» del 1957 è stata battuta per 233.300 euro. Infine si segnalano una tela di Enzo Cucchi, dal titolo «Una goccia» del 1988, ha realizzato 189.200 euro, cifra poco superiore a quella pagata per «Due donne presso il mare» di Giorgio De Chirico, che è stata aggiudicata per 195.500 euro.

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La prima volta di Victoria Cabello.


(Panorama) Spende un capitale per la lingerie, si dichiara ritardataria cronica e pensa di essere nata con la frangia, che porta da sempre.

Victoria Cabello è la protagonista della “Prima volta”, la rubrica di First che chiede ai personaggi curiosità e aneddoti sulla loro vita personale, e profesisonale.

Lei, la Iena più simpatica, capace di farsi massaggiare in diretta i piedi da John Travolta al Festival di Sanremo, risponde alle domande di Cristina Marinoni con la solita ironia. Ma non accenna nulla alla sua vita sentimentale. Dopo la rottura con Maurizio Cattelan, infatti, Vicky sembra non avere nuove storie importanti all’orizzonte.

E allora si butta sul lavoro: la sua trasmissione su Mtv (Very Victoria) è in onda in replica per tutto il mese di dicembre, qualcuno parla di Sanremo e pare che la vulcanica italo-britannica stia preparando un format per La7, per un programma che dovrebbe partire all’inizio del nuovo anno.

Curiosi di scoprire il resto? Il servizio è a pagina 146 del numero in edicola.

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C'è "Pelle" su All Music.

Il viaggio di All Music sulle tracce della seduzione. Luoghi, fenomeni e linguaggi dell'erotismo contemporaneo, raccontati senza filtri.

Ispirata al primo film di Steven Soderbergh Sesso, bugie e viedeotape e al libro Le regole dell’attrazione di Bret Easton Ellis, divisa in 20 film-documentari della durata di 50 minuti ciascuno, Pelle racconta, seguendole, storie di persone che vogliono presentare il loro modo di vivere i sentimenti e l'erotismo. Dalle semplici relazioni fino ad arrivare all'esperienza della fascinazione erotica in tutti i suoi risvolti. Numerosi sono i segni, gli stimoli e le suggestioni che arrivano dall’esterno: la moda, la pubblicità, la televisione, l'arte, il web, la vita notturna ed i fenomeni sociali, per arrivare al confine tra eros e pornografia.
La chimica, la pelle, regolano i comportamenti dall'attrazione mentale a quella fisica, da quella culturale a quella sessuale.
Da questo presupposto parte il nostro viaggio tra fisicità e parola, senza filtri e giudizi, girato con il linguaggio e lo stile narrativo del cinema-verité: personaggi, gente comune ma anche professionisti dell'eros ci accompagnano dentro le loro storie e gli eventi che scandiscono la loro vita di relazioni.

Alcune storie partono da una telecamera fissa che inquadra la stanza di uno dei personaggi
Le nostre ''Lonely Girls'' o ''Lonely boys'' daranno vita ad una storia grazie alle loro confessioni.
Per dare struttura narrativa al progetto partiamo ogni volta parlando di una città e dei suoi luoghi strategici come l'università, il bar più frequentato, la piazza, il corso centrale, un palazzo rappresentativo che ospita uffici, la stazione, i viali frequentati dagli scambisti o dalle prostitute, fino ad arrivare ai club notturni in cui la trasgressione diventa un'arte visionaria (travestiti, cubiste, performance, professionisti del sesso) e la seduzione diventa il gioco al quale non si può rinunciare.
E così studentesse, professori, modelle, scambisti, ballerine, spogliarelliste, donne di successo, uomini affascinanti, play boy o ragazzi timidi e sfigati, ricchi o poveri, brutti e belli possono tutti diventare protagonisti delle nostre storie, perché raccontiamo le regole dell’attrazione a tutti i livelli.

Sul All Music giovedì, h. 24.00 - domenica, h. 22.30 (r).

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Cinema. Tom Cruise: La lunga notte della Valchiria.

Tom Cruise nei panni di un ufficiale tedesco contro Hitler. 'L'espresso' svela la storia meglio custodita di Hollywood. E che cambia l'immagine della Germania.

(Emiliano Carpineta - L'Espresso) Polemiche, veleni, diktat, divieti, boicottaggi e contrordini. 'Valkyrie' è un film diretto da Bryan Singer ('Superman Returns') sul fallito attentato contro Adolf Hitler, il 20 luglio 1944, organizzato da un gruppo di congiurati, guidati dall'aristocratico prussiano, eroe della guerra, il colonnello Claus von Stauffenberg. Ha protestato il primogenito di Stauffenberg, Berthold, perché a recitare nel ruolo di suo padre è stato chiamato Tom Cruise, un adepto di Scientology, una setta considerata in Germania pericolosa in quanto farebbe il lavaggio di cervello ai suoi adepti. Cruise non sarebbe all'altezza, etica, di Stauffenberg senior. Poi è stata una valanga di prese di posizioni, pro e contro il film, le autorità hanno tergiversato se concedere alla troupe di girare negli edifici governativi di Berlino (autorizzazione concessa). Nel frattempo, parte della pellicola è stata misteriosamente distrutta, mentre il set di Berlino è stato teatro di incidenti con comparse ferite. Tutto questo per un progetto, la cui sceneggiatura è stata definita dalla 'Frankfurter Allgemeine Zeitung': "Il segreto meglio custodito di Hollywood". Un top secret che 'L'espresso' è in grado di raccontare nei dettagli.

La prima sequenza ci proietta all'antefatto della cospirazione di Stauffenberg. Siamo a Smolensk, in Russia: è il 13 marzo 1943. Sul fronte orientale un attentato ai danni di Hitler, orchestrato dal generale Henning von Trecskow (Kenneth Branagh), è fallito. Vediamo Hitler arrivare a Smolensk in aereo (su cui è stata piazzata una bomba mai esplosa), lo sentiamo parlare, possiamo osservare il suo assaggiatore di cibo provare le pietanze. Lo spettatore viene introdotto nell'atmosfera di paranoia, follia, grandezza e tragedia.

A questo punto, cambia il teatro di guerra. Siamo in Tunisia.
Qui combatte per il Reich il conte e colonnello Claus von Stauffenberg, ufficiale della decima divisione Panzer. Il distinto aristocratico, bello, alto, slanciato, perde l'occhio sinistro, la mano destra e due dita di quella sinistra. Uno choc. Tornato in Germania, Stauffenberg con i suoi famigliari riflette sui destini del Paese in mano a Hitler. Intuisce che la guerra è perduta. Teme che i tedeschi dovranno pagarla cara per i crimini compiuti. Diventa antinazista (o forse lo è già stato, l'aristocrazia che guidava la Wehrmacht non ha mai avuto fiducia nel Führer, caporale, austriaco, plebeo). Così Stauffenberg prende contatto con un gruppo di oppositori che si propone di eliminare il dittatore. Il loro scopo: trattare con gli alleati per porre fine alla guerra. Della cospirazione la mente operativa è proprio Stauffenberg. La sua idea è riscrivere gli ordini dell'Operazione Valchiria, un piano top secret per mobilitare le riserve in caso di emergenza, piano ideato da Hitler per soffocare ogni agitazione, proprio in un caso come questo.

Riparati dalla penombra della foresta, Stauffenberg e i suoi complici effettuano le modifiche procedurali dell'Operazione Valchiria che dovrebbero consentire loro di ottenere il controllo delle truppe e dare vita al colpo di Stato. Intanto Stauffenberg è informato di essere stato promosso a una posizione gerarchica che gli consente di avere accesso al ristretto circolo interno di Hitler. È l'occasione che aspetta e ne informa i congiurati, che lo eleggono esecutore materiale dell'attentato. È il 6 giugno 1944 e le forze alleate sbarcano in Normandia, la liberazione dell'Europa occupata dai nazisti è iniziata. Il primo meeting a cui Stauffenberg è convocato ha luogo il 15 luglio 1944 nella Wolfschanze, la tana del lupo, il quartier generale di un Hitler sempre più paranoico, nella foresta della Prussia orientale. A questa punto la sceneggiatura sembra quella di un thriller. È il gioco degli sguardi cui lo spettatore è chiamato a partecipare. Entrato nel bunker, Stauffenberg nota l'assenza di Heinrich Himmler, capo delle SS. Il piano è abortito: inutile uccidere Hitler, senza assassinare Himmler, che prenderebbe il posto del Führer.

Ma ecco, poco dopo, arriva la scena clou. È il 20 luglio 1944. L'Armata rossa ha liberato mezza Polonia e si sta avvicinando alla Germania. La tragedia si sta consumando. Hitler convoca una riunione dello Stato Maggiore. Stauffenberg ha deciso: effettuerà il suo piano, indipendentemente da chi sarà presente. Prima ci si sbarazza del Führer e meglio è per la Germania, che il colonnello si illude di poter ancora salvare. Stauffenberg parte in aereo, porta con sé una borsa con due ordigni muniti di detonatore a scoppio ritardato. Ma la riunione è anticipata di mezz'ora perché Hitler attende l'arrivo di Benito Mussolini. Stauffenberg chiede di appartarsi con il pretesto di dover cambiare la camicia. E mentre prepara la carica, Stauffenberg è interrotto dall'arrivo di un sergente che lo sollecita a fare presto. Stauffenberg esce quindi con una sola bomba (e non due) nella valigetta. Ma lo attende un'altra sorpresa, il briefing non si terrà nel bunker chiuso, ma in una baita con porta e finestre spalancate: una situazione che smorza l'impatto di una carica esplosiva. Il colonnello non si dà per vinto. Sottolineando di avere l'udito menomato a causa delle ferite di guerra, chiede di essere posto vicino a Hitler. Appena seduto, posa la borsa accanto alla gamba destra del dittatore e, con il pretesto di una telefonata urgente, si allontana. Improvvisamente, con una deflagrazione, la baita crolla come un castello di carte. La camera fa vedere Stauffenberg che, superando i posti di blocco, riparte per Berlino convinto di aver ucciso Hitler.

A questo punto lo spettatore vede tutto con gli occhi del generale Erich Fellgiebel (un altro cospiratore): gli si presenta un Hitler zoppicante, stordito, con abiti a brandelli, che viene allontanato dalle rovine fumanti della baita. Intanto i cospiratori a Berlino, investiti da notizie contraddittorie, decidono di non intraprendere alcuna iniziativa. È solo nel pomeriggio che un furente Stauffenberg dà l'ordine di dare il via all'Operazione Valchiria. Edifici governativi e stazioni-radio vengono presidiati e circondati. Ma il complotto è stato scoperto e il ministro della Propaganda, Joseph Goebbels, riesce a convincere il comandante delle guardie ad accettare solo ordini autorizzati da Hitler. Stauffenberg, condannato a morte (come gli altri), prima di esalare l'ultimo respiro, urla orgoglioso: "Lunga vita alla sacra Germania!". Un eroe tardivo?

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Sport. "Mi lusingano, non lascerò il basket". Armani: pronto a prendere la società.

Nel giorno del ritorno alla vittoria lo stilista conquistato dai tifosi. Cori contro Corbelli e striscioni a favore di "re" Giorgio. Potrebbe tornare Sasha Djordjevic con un ruolo da dirigente. Trascinata da Sesay e Vukcevic la squadra interrompe la striscia di cinque sconfitte, una svolta da confermare mercoledì in Eurolega.

(Massimo Pisa - La Repubblica, edizione di Milano) Spiragli. Quello più importante, sul futuro, in parterre lo spalanca Giorgio Armani, che per la prima strizza l´occhiolino alle invocazioni della curva che lo incorona col coro «c´è solo un presidente». E Re Giorgio risponde: «Occuparsi a tempo pieno dell´Olimpia non è come andare a prendere un caffè. Ma mi lusinga che i tifosi credano nella mia persona e nelle mie capacità professionali. Nello sport non ho molta esperienza ma sono contornato da persone che la sanno lunga e sul piano psicologico avere l´Olimpia sarebbe una gratificazione. Ho delegato delle persone a valutare la situazione. Uno spiraglio c´è sicuramente, anche perché non voglio perdere la squadra».
Ce n´è a sufficienza per sogni a lunga scadenza e un progetto pluriennale, autonomo dai supporti sempre più freddi di Milan e Inter, magari con Sasha Djordjevic (da sempre vicino allo stilista) nella stanza dei bottoni. Prima, però, ci sarà l´analisi dei libri e un´eventuale trattativa con Giorgio Corbelli, di professione venditore, abituato a tavoli con piatto ricco e mazzo di carte in mano. L´uscita pubblica, rarissima, di Armani ai microfoni di Sky getta comunque la palla nel campo del presidente uscente. Partita lunga, altri giocatori all´orizzonte non ce n´è.
Lo spiraglio sul presente, in campo, lo aprono Sesay e Vukcevic: 51 punti e 10 triple in due nel tiro a segno generale (13/28 da tre) per scacciare i fantasmi e lasciare alla Benetton la palma di più brutta del reame dopo aver tremato a meno 15 e Napoli il cerino acceso dell´ultimo posto in classifica. Così si chiude a cinque sconfitte più una - in Eurolega - la serie infernale dell´ottobre nero Olimpia. Molle e tragica per i primi 23´ in cui concede 59 punti a un´altra delle malate illustri del campionato, Milano ci mette almeno 4´30" di fuoco, in cui finalmente morde e fugge e dimentica un primo tempo esangue dove oltre a Vukcevic (16 dei suoi 24 punti totali) non fa canestro nessun altro. Armata la mano di Sesay e innescati gli uno contro uno di Bulleri e Gaines che affondano nel burro Benetton, l´Armani rovescia il suo destino con un parzialone di 21-3 dopo essere affondata tre volte a meno 15 con le triple di Austin e Chalmers contro la zona 2-3. «Ci abbiamo messo temperamento, cuore e coraggio - esulta coach Caja - e l´aggressività che avevo chiesto sulla palla, e pazienza per i pasticci in attacco o nelle rotazioni difensive. Spesso la palla è rimasta troppo ferma, ma ne abbiamo perse solo 12, con un grande sforzo». L´altra faccia della medaglia è una Treviso «puerile nel secondo tempo - come ammette di là Ramagli - perché sapevamo che Milano l´avrebbe messa sull´intensità e ci siamo messi a piangerci addosso». Ogni riferimento a Johnson e Chalmers è voluto.
Chiaro, il malato è ancora convalescente, come dimostra il tremolante finale. Acchiappata la Benetton sul 65-62, messo in ghiaccio il match a 1´47" dalla fine con la tripla di Bulleri (86-76), l´Armani si è rimessa a balbettare pallacanestro e tiri liberi, permettendo a Soragna e Austin di metterle ancora paura prima che Chalmers sparasse alla luna le ultime cartucce. La cura Caja, finora, è fatta di ricerca del gioco in transizione e taglio di teste: quelle di Aradori, ritenuto troppo acerbo, e dello svolazzante Touré, che ha già cominciato a fare le valigie. «Avevo bisogno di quelli più pronti per agonismo e intensità - spiega l´Artiglio - strada facendo conto di recuperare Gallinari e gli altri, visto il doppio impegno». Domattina si vola a Istanbul, mercoledì sfida all´Efes Pilsen. Conferme cercansi.

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Sesso: Nuova rivoluzione in atto con lo zampino del Viagra.

(Agi) Si modificano i ruoli sessuali e uomini e donne sono "sempre piu' vicini". Edonismo, emozioni, soddisfazione individuale sono oggi alla base delle relazioni di coppia. Questa la fotografia della nuova sessualita' degli italiani, a quasi 10 anni dall'arrivo della pillola blu, emersa dall'indagine condotta da GPF per conto di Pfizer Italia su un campione di 2.000 persone rappresentativo della popolazione italiana per sesso, eta', area geografica e titolo di studio, presentata questa mattina a Milano. Si scopre cosi' per l'88,6% del campione, oggi, nell'ambito sessuale la donna non ha piu' un ruolo passivo, ma esprime anche i propri desideri e bisogni; per il 90,2% l'uomo, per riuscire a sedurre una donna, deve saper parlare con lei ed ascoltarla e per l'83,3% un uomo che cambia i pannolini al figlio, non perde forza e virilita'". Ma c'e' di piu', oltre tre quarti dei maschi italiani rifiuta il sesso senza passione: il 76,6% dichiara non sia possibile avere rapporti sessuali soddisfacenti senza un coinvolgimento affettivo e l'88,3% condivide l'affermazione che oggi l'uomo nel rapporto sessuale e' attento anche alle esigenze della donna, mentre in passato era interessato solo al proprio piacere. Dalla ricerca emerge, inoltre, chiaramente che la vita sessuale e' un elemento centrale per gli Italiani, sia in quanto fortemente correlata agli aspetti della vita sentimentale, sia considerata in se', come dimensione dotata di autonomia. Il 77% degli Italiani tra i 18 e il 74 anni dichiara di avere una relazione sentimentale. Di questi, il 60,5% afferma di essere molto soddisfatto della propria sfera sessuale, attribuendo un voto da 8 a 10. Interrogato, poi, sul bilancio della propria vita sessuale rispetto al passato, circa la meta' del campione dichiara che e' rimasta stabile, il 30% ritiene che sia migliorata, mentre il 18% accusa un peggioramento. E chi sentenzia che la crisi del desiderio sia il vero male della sessualita' contemporanea rimarra' deluso: in realta' gli Italiani fanno l'amore tanto quanto lo facevano in piena rivoluzione sessuale (si e' passati, in media, da 6,8 a 6,1 rapporti al mese, confrontando i dati della ricerca svolta da Fabris e Davis nel 1978 dal titolo "Il mito del sesso. Rapporto sul comportamento sessuale degli Italiani" con quelli attuali). E dunque, italiani e Viagra: il 92,8% del campione conosce il farmaco e, tra questi, il 37,1% dichiara che potrebbe usare o far usare al proprio partner il farmaco in caso di necessita', dato che si attesta al 43,3% presso gli uomini, ma solo il 2,3 % degli uomini afferma di averne fatto uso. Il 61% degli intervastati, infine, afferma che "come la pillola anticoncezionale in passato ha rappresentato una rivoluzione, cosi' oggi e domani lo sara' il Viagra" e circa la meta' del campione ritiene che "la pillola blu possa agire come motore di un cambiamento positivo delle abitudini sessuali degli Italiani".

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I bloggers e Amici di Maria De Filippi. L'Italia, la tv, Amici, l'omosessualità e il bacio di Giuda


(Spetteguless) La televisione da decenni è oramai lo specchio della società che la ospita e che la rappresenta.
Tutti la guardiamo, la commentiamo, la critichiamo, non siamo spugne passive che prendono per oro colato, come assoluta verità tutto quello che in quella scatola rettangolare viene mostrato e detto, ma spesso siamo facilmente plasmabili, mentalmente deformabili e indirizzabili.
In Italia, purtroppo, pendiamo tutti dal telecomando.
Ecco perchè non si può e non si deve sottovalutare il potere della televisione, assolutamente reale e tangibile, e perchè bisognerebbe indignarsi di fronte ad una televisione, quella italiana, che ad oggi, ad un mese dal 2008, è ancora culturalmente becera e provinciale, oscurantista e razzista, semplicemente omofoba.
Perchè si,è vero che i programmi televisivi abbondano oramai di omosessuali, ma sono sempre quasi solamente macchiette, "pagliacci" truccati e vestiti come nel Vizietto, pronti a far ridere, a fare doppi sensi, a fare da spalle comiche a presentatori che prestano il loro fianco a gag da caserma, pur di mantenere in piedi e in auge il luogo comune, lo stereotipo che salva questa società dal "deviato".

Quando invece si deve parlare di omosessualità nella sua assoluta NORMALITA', ecco che la tv italiana si spegne, cambia canale, facendo finta di nulla, resettando il tutto.

Per questo motivo è praticamente impossibile vedere uno spot di una famosa marca d'abbigliamento con due uomini che si baciano, quando invece va tranquillamente in onda la stessa identica pubblicità, con al posto dei due uomini però due belle ragazze, fantasia sessuale eterosessuale da sempre
Per questo stesso motivo in una trasmissione che indirizza le proprie attenzioni ad una precisa fascia di pubblico, in una precisa fascia oraria, anche se storicamente "omosessuale", si decide di censurare il PROBLEMA, di cancellarlo, di eliminarlo, di non farlo sapere in giro, finendo per fare qualcosa che definire grave è dire poco.
Ma come, molti di voi ora diranno, davvero ti infervori per Amici di Maria de Filippi?
Ragazzi qui il problema non è la qualità della trasmissione, il programma trash, la presentatrice o cosa, ma il messaggio di fondo che è stato palesemente mandato via etere!
Ad Amici da SEMPRE aprono le porte a ragazzi omosessuali, a professori, ad autori, al pubblico parlante e a commissari esterni, nelle 7 edizioni fin qui viste se ne sono visti a decine se non a centinaia, due di questi hanno addirittura vinto le rispettive edizioni, ma MAI qualcuno di questi ha osato palesare la propria NORMALITA', perchè bloccato, tappato, censurato da chi di dovere.
Quest'anno, dopo 7 stagioni, il ragazzo più effeminato della storia del programma viene casualmente ELIMINATO, il ragazzo dalla lingua più svelta e irrefrenabile viene messo in ESILIO dalla scuola stessa, e per finire il ragazzo che ha dovuto subire l'onta di un coming out in diretta, per poi parlarne tranquillamente davanti alle telecamere, viene immediatamente e inspiegabilmente messo in sfida, cacciato e zittito una volta mandato via.
Il DIVERSO prima è stato fatto entrare, poi nel momento in cui ha smesso di FINGERE è stato fatto uscire dall'uscita di servizio, perchè irrispettoso delle regole comportamentali che dicono semplicemente UNICO COMANDAMENTO: FINGI SEMPRE DI ESSERE ETERO.
Milioni di adolescenti, ai quali questo programma è rivolto, hanno ricevuto un messaggio preciso, totalmente diseducativo e semplicemente folle, ovvero: sei gay? perfetto, vivi pure la tua sessualità, ma non farlo sapere in giro!
Una responsabilità ENORME ricade sulla televisione, i comportamenti di centinaia di ragazzi sono orientati dai flussi mediali che da quella scatolina arrivano e Amici di Maria de Filippi negli ultimi 10 giorni ha semplicemente fatto arrivare a milioni di persone una realtà fatta di censura, di bugie, di menzogne, di verità taroccata, di omertà, di manipolazione, di finzione.
Un ragazzo di 20 anni è stato rimandato a casa senza una reale spiegazione, solo perchè colpevole di essersi tolto una maschera che a forza da 40 giorni qualcuno gli aveva messo sul viso.
Tutti quei ragazzi, magari adolescenti, pieni di dubbi, soli e chiusi in se stessi, che invece da casa hanno visto l'accaduto hanno percepito una sbagliata, finta e fasulla difficoltà nel vivere la propria NORMALE sessualità.
Ragazzi dichiararsi e accettarsi non significa dover pagare delle conseguenze.
Vivere la propria vita amando e rispettando se stessi e la propria sessualità non significa essere diversi, meritevoli per questo di pagare chissà quale dazio.
La televisione italiana, inizialmente pedagogica, dovrebbe cercare di far arrivare questo tipo di messaggio, e invece ne manda uno copletamente differente.
D'altronde viviamo in una società che rispecchia perfettamente la televisione che manda in onda, tra mariti, preti, politici, calciatori, attori, presentatori e autori televisivi che non fanno altro che fare attenzione a "nascondere" la loro sessualità facendo leva perchè passi questo messggio, perchè diventi prassi, per poi costruirsi il proprio profilo in rete dove adescare corpi che ricordino loro anche per pochi minuti soltanto il piacere che deriva dal vivere felicemente quella normalità tanto odiata e censurata.
Sebastiano Formica è stato trasformato in un mostro da cacciare a pedate, possibile portatore di normalità e di verità, per questo meritevole di essere allontanato da tutti gli altri ragazzi, ancora sotto l'effetto del siero "menti, menti sempre e comunque, se vuoi rimanere qui dentro".
Si poteva far passare un messaggo storico, si è invece scelto di fare l'ennesimo passo indietro, con la responsabilità probabilmente di aver fatto nascere una nuova generazione di repressi, di ragazzi pieni di dubbi e di paure.
Grazie Maria, Grazie Marco, Grazie Chicco, Grazie a tutti gli autori, alla redazione, Grazie a Mediaset.

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Commissione Giustizia EU contro l'omofobia nel calcio e nello sport.

(FireMan) La Commissione Giustizia dell'Unione Europea ha annunciato l'intenzione di stabilire un corpo di polizia europeo per combattere la violenza nel calcio. L'intenzione è di attivare tale corpo per i prossimi tornei del 2008 in Austria e Svizzera.

Il buon Franco Frattini - si proprio lui, l'amico di Berlusconi - si è impegnato a stanziare 10 milioni di euro (pari a 7 milioni di sterline) durante la conferenza sulla violenza nello sport.

Tale corpo europeo di polizia dello sport è stato suggerito da Michel Platini, Presidente della UEFA: "Ho parlato di una organizzazione atta al monitoraggio, controllo e/o sorveglianza, non esclusivamente per evitare atti di violenza ma anche per le scommesse illegali, risultati concordati, razzismo ed omofobia".

In inghilterra la FA ha già vietato abusi di matrice omofobica in ogni Premier League e nei club della Football League e la Gay Football Supporters Network ha aderito alla Premier League ed alla Football League per fornire Ufficiali di Collegamento a sostegno di tutti i club, in vista del fatto che Londra ospiterà la prossima estate il campionato del mondo organizzato dalla "International Gay and Lesbian Football Association (IGLFA)".

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Mediaset, Taodue, Medusa: nasce la grande joint venture del video.

[i](Foto: Ansa)[/i]
(Panorama) Accordo in casa Mediaset per una joint-venture in cui confluiranno Medusa Film, controllata da Rti attiva nel settore cinematografico, e Taodue, società posseduta da Pietro Valsecchi e Camilla Nesbitt, che opera nella produzione di fiction dalle serie Distretto di polizia a Ris, passando per film in due puntate come quelle su Paolo Borsellino e Nassiryia. Lo comunica in una nota il gruppo del Biscione.

L’operazione, il cui accordo è stato firmato oggi, prenderà la forma della costituzione di una nuova società con un patrimonio netto di circa 370 milioni di euro in cui confluiranno il 100% di Medusa e Taodue. Il 75% della nuova società sarà in capo a Rti mentre agli azionisti di Taodue andrà il restante 25% e un conguaglio di circa 107 milioni di euro. Il Cda sarà composto da membri nominati in proporzione alle quote.
“La nascita della nuova joint-venture - va avanti la nota - prosegue il progetto di sviluppo nel mondo dei contenuti avviato da Mediaset con l’ingresso nel consorzio che ha rilevato Endemol e con la successiva acquisizione del Gruppo Medusa. Alla leadership classica nelle produzioni di intrattenimento televisivo di Rti (trasmesse sulle reti Mediaset e distribuite anche a nuove piattaforme), si è affiancata prima la finestra internazionale di Endemol (maggio 2007) e nel luglio scorso il forte presidio rappresentato da Medusa sulla produzione e la distribuzione dei diritti cinematografici che rappresentano una proposta irrinunciabile per tutti i media che utilizzano contenuti video sulle varie piattaforme. E oggi, con l’ingresso di TaoDue nel progetto, il Gruppo Mediaset diventa leader anche in un’area in continua espansione nazionale e internazionale come la fiction televisiva di qualità”
“L’odierno completamento del progetto - spiegano a Mediaset - rappresenta un’importante base di partenza per lo sviluppo e l’integrazione delle attività legate alla produzione di film e fiction in Italia e nel mondo; arricchisce la library Mediaset con prodotti di cui è possibile governare l’intero ciclo di vita del diritto, individuando anche nuove finestre di sfruttamento; afferma la volontà di aprirsi al mercato in una logica di sviluppo anche nell’area dei new media. In ultimo, ma non meno importante, garantisce un impegno diretto e crescente nella produzione di cinema e fiction con nuovi investimenti che valorizzeranno il talento dei professionisti italiani e si tradurranno in sviluppo per tutto il settore e in sostegno al valore culturale dei prodotti nazionali. Ma soprattutto l’operazione crea nuovo valore: produce una massa critica di contenuti di qualità che rappresenta il nucleo iniziale per il lancio di una nuova major orientata alla diffusione e allo sviluppo dei prodotti italiani anche sui mercati esteri”

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Billy: modello di Sean Cody, non va quasi in palestra.

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Teatro a Milano. Emma Dante: Teatro a nervi scoperti.

La regista di "MPalermu" a Tgcom.
(Francesco Pederielli) Il pubblico teatrale più attento all'avanguardia la conosce da anni grazie a spettacoli come "Carnezzeria" e "MPalermu", che hanno ottenuto prestigiosi premi e riconoscimenti dalla critica. Emma Dante, di cui è in scena una retrospettiva al Teatro dell'Arte di Milano, è una delle autrici e registe più interessanti del teatro di ricerca italiano. I suoi lavori sono tuttavia usciti dalla "nicchia", se si considera il successo che stanno ottenendo. La regista palermitana, che dirige la compagnia Sud Costa Occidentale, esordì otto anni fa proprio al Crt di Milano con "MPalermu" (che torna dal 30 novembre al 2 dicembre). La rassegna sottolinea il valore di questa artista scomoda, che ha la capacità non comune di far vibrare le corde più emotive degli spettatori, trattando con durezza e poesia temi archetipici come la famiglia, l'appartenenza, l'amore e la morte. Al centro la Sicilia, un dialetto che arriva dritto alla pancia e un teatro che riecheggia la crudeltà teorizzata da Antonin Artaud. Abbiamo intervistato Emma Dante nel corso della retrospettiva milanese: ecco cosa ci ha raccontato a proposito del suo teatro-contro.

E' la prima volta che un teatro italiano ti dedica una rassegna: che effetto ti fa?
Non la vivo come un celebrazione, credo sia molto più interessante dedicare una retrospettiva agli artisti vivi senza aspettare che muoiano. Piuttosto la considero una tappa importante della vita artistica di una persona che continua a cercare. Inoltre, c'è da dire che io produco pochi spettacoli: non ne faccio due o tre all'anno, a volte neppure uno. Spesso sto ferma a studiare con miei attori. Questo significa che, in giro, va il mio teatro di repertorio. Non facciamo morire i nostri spettacoli, cerchiamo di farli vivere e di continuare a lavorarci. "MPalermo" è di otto anni fa, ma continua a essere vivo e necessario.

Come nascono i tuoi spettacoli?
Nascono uno dentro l'altro, a incastro. Mentre provavo "La scimmia" o "Carnezzeria" già c'era il germe di "Vita mia". Tutti i miei spettacoli sono parte degli altri, si autoriproducono per partenogenesi, quasi senza bisogno di sessualità... Sono dei pezzi che si staccano e vivono una vita indipendente, fanno parte però di un unico corpo.

Per creare, parti da un testo?
La creazione dei miei spettacoli parte dal presupposto che l'opera tenga in sé tutta una serie di meccanismi che rendono possibile il funzionamento della macchina. Per cui testo, luci, costumi, gesto, regia, tutto è assolutamente finalizzato a un unico obiettivo: quello di far respirare lo spettacolo. Quindi tutte le cose nascono contemporaneamente. Non c'è un momento in cui io, da sola, scrivo il testo e una seconda fase in cui lavoro con gli attori. Tutto avviene automaticamente, come nella gestazione di un essere umano che vede l'embrione trasformarsi in feto. Via via tutti gli organi si formano, il corpo della gestante si rivoluziona: lo spettacolo è l'ultima tappa di questo processo.

Cosa chiedi ai tuoi attori?
Chiedo di essere disposti a rinunciare a ogni logica. Se dovessimo fare teatro tenendo fede a tutta la serie di norme, regole e convenzioni che siamo costretti ad adottare nella vita non saremmo assolutamente in grado di scoprire mondi possibili. Chiedo ai miei attori di abbandonare l'educazione che hanno ricevuto e di reinventare un regolamento completamente diverso, che ha a che fare con un'etica forse più speciale, precisa e profonda rispetto a quella della quotidianità. In teatro questa etica diventa fondamentale per poter raccontare, per lanciare un messaggio importante, per dire qualcosa di necessario che va al di là di quello che già sappiamo.

Da dove arriva questa necessità?
Questa voce che esce e grida non arriva dal caso, è già presente dall'inizio dentro di me e nelle persone che hanno deciso di aderire a questo "pericolo": perchè la voce deve essere sempre pericolosa, deve uscire dal coro e dire la sua. Partendo da questa voce, si arriva al modo per esprimerla, che è il teatro.

Cosa significa essere donna e regista?
Penso che se anche fossi stata un uomo non sarebbe cambiato il mio approccio. Ho scelto di stare fuori dai circuiti ufficiali, dai compromessi, dalle regole soffocanti di dover dire determinate cose o di non doverle dire per non dispiacere a qualcuno. Fuori insomma dai meccanismi che soffocano il pensiero libero che un artista dovrebbe avere. Questo, certo, mi ha reso difficile certi passaggi: faccio fatica per esempio a trovare produzioni e a inserire i miei spettacoli nei circuiti ufficiali dei teatri stabili. Ma questo accade perché ho voluto che la strada fosse impervia. E non dipende dal fatto che sono donna, ma dal fatto che sono una persona libera.

Ti sei diplomata alla Silvio D'Amico di Roma, cosa ti ha lasciato l'esperienza dell'accademia?
L'accademia mi è servita tantissimo a uscire dalla provincia. Sono andata via da Palermo già grande, a 18 anni. Entrando in accademia, dove convergeva gente da tutta Italia, ho avuto la possibilità di confrontarmi con mondi e linguaggi diversi. La Sicilia era, ed è tuttora, un posto molto isolato. Queste ultime amministrazioni, poi, sono state un disastro. Quando partii, la primavera palermitana era alle porte, subito dopo arrivò Orlando e io purtroppo non c'ero. Quando me ne andai ero sprovveduta, non ero mai stata da nessuna parte, per cui Roma mi sembrava New York. La scuola mi è servita a mettermi in relazione con l'altrove, con lo straniero, le persone che venivano da fuori così come gli insegnanti. Dal punto di vista didattico devo dire che tutto quello che ho imparato, l'ho imparato lungo la strada, non sicuramente seguendo le regole di palcoscenico.

Quindi non ti ha dato un metodo di lavoro...
In accademia ho imparato le regole del palcoscenico per poterle poi in qualche modo sovvertire. Detto questo, ritengo che la D'Amico sia una delle scuole migliori proprio perché non dà un marchio, una data impostazione. Non c'è un insegnante piuttosto che un altro che impone uno stile preciso, piuttosto si viene a contatto con tanti metodi di lavoro. Per fare ricerca e sperimentazione devi conoscere la sintassi, l'abc: io ho imparato le basi per poi metterle in discussione e cambiare strada.

Hai mai pensato di andartene da Palermo?
Io continuamente me ne vorrei andare, poi una forza misteriosa mi tiene ancorata a Palermo. Devo dire la verità, tutti i giorni mi sveglio e penso che me ne vorrei andare dalla Sicilia e forse anche dall'Italia.

Cosa non ti piace?
Sento che c'è molta dispersione. La televisione ha fatto piazza pulita di una serie di cose. Un tempo il teatro era più serio perché non era contaminato dalla superficialità della tv, dei reality show, di questi ragazzi che si svegliano la mattina e diventano popolari e la gente impazzisce. Questo mercato è agghiacciante. In questo momento pare che siano più pieni i teatri dei cinema, ma bisogna valutare cosa c'è in giro, le sale si riempiono anche con i personaggi della tv, i musical... Detto questo, il teatro continua ad avere la sua forza e gli italiani in fondo ci tengono. Ci sono ancora compagnie di professionisti seri che riempiono i teatri, i miei spettacoli hanno sempre un grande riscontro di pubblico.

Tre grandi maestri del teatro del '900 - Stanislavskij, Grotowski e Artaud - chi ti ha ispirato di più?
Stanislavskij è molto lontano dal mio metodo di lavoro. Il suo metodo ha a che fare con l'assoluta precisione e forse questo è l'aspetto che più mi accomuna a lui: questa morbosa precisione che può essere reiterata per non so quanto tempo. Pur di riuscire a trovare un gesto perfetto sono dell'avviso che bisognerebbe provarlo anche per sei mesi. In questo Stanislavskij è stato fondamentale.

Grotowski?
Da lui ho preso il concetto di essenza. Un attore può raccontare un paesaggio senza avere una scenografia dietro. Metti un attore in scena da solo e lui può farti vedere una prateria, il mare, può raccontarti un intero popolo, farsi attraversare da un intero paesaggio. Alla fine il teatro ha bisogno di questo: dell'attore e dello spettatore, non serve veramente altro.

... e Artaud?
E' quello forse più intrigante dei tre, quello che continua a sconvolgermi con questa crudeltà, che è la caratteristica del suo teatro (che poi non si può neanche definire teatro). Artaud è al di sopra di tutto, è stato un personaggio assolutamente spietato con se stesso, che ci ha devastati e ci ha lasciato un pensiero devastante. E' questa cosa a "nervi scoperti" che mi ha lasciato Artaud e che continua a infierire nelle cose che faccio.

Spesso tratti il tema della famiglia, cos'è per te?
La famiglia è il piccolo nucleo sociale dove l'individuo si forma, il ventre numero due dove esiste già, nell'individuo, l'ipotetico assassino o l'ipotetica persona per bene.

Se non avessi fatto la regista, che mestiere avresti scelto?
Forse il giardiniere.

Sono lavori simili in fondo...
Infatti, anche lui mette i semi, innaffia, sta dietro alle cose e... forse un giorno nasce una piantina.

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INFORMAZIONI

27-28-29 novembre
La Scimia

30 novembre 1-2 dicembre
‘MPalermu

4-5-6 dicembre
Vita Mia

Crt Teatro dell’Arte
Viale Alemagna 6, Milano - TEL. 02 89011644

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Solo coincidenze? Amici: fuori i gay dalla scuola.

(GayWave) Già noi di Gaywave vi avevamo raccontato di due diversi outing e coming out avvenuti durante le dirette della trasmissione Amici di Maria De Filippi. Per due ragazzi, infatti, Sebastiano Formica (in foto) e Luca Barbagallo, l’ammissione della loro omosessualità era avvenuta davanti alle telecamere. Per il primo, rivelata da una compagna durante una prova di recitazione. Per il secondo a causa di un lapsus nel bel mezzo di un’intervista radiofonica.
Bene, caso strano dopo esattamente una settimana dalle rivelazioni gaie che hanno riguardato i giovani artisti, entrambi sono stati eliminati dal gioco.

Che la trasmissione della De Filippi sia sempre stata affollata di omosessuali non è certo un mistero, anzi. Ma che alle spalle dei ragazzi si muova una macchina complessa che cerca di tenere nascosta la cosa è voce di questi ultimi tempi.
Girano infatti, sul web e fra i blog, alcune considerazioni sul fatto che ogni qualvolta ci siano dei dubbi sulle preferenze sessuali dei ragazzi, questi vengano eliminati perché “forse” considerati poco attraenti per il pubblico di ragazzine che segue lo show.
Il bello è che a capo di questa strana serie di coincidenze c’è un autore probabilmente (!?) gay: Luca Zanforlin, il quale farebbe si che nella scuola l’argomento omosex resti un tabù, secondo la regola: meglio non dire, il pubblico non deve sapere.

Soltanto voci, o cos’altro? Non lo sappiamo. Di certo la coincidenza, e le immagini mandate in diretta sulle confessioni, volute o forzate, dell’omosessualità dei due ragazzi, e la loro eliminazione, avvenuta sempre soltanto dopo una settimana, è forte e insospettisce tutti. Noi compresi.

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Ndr. Omofobia? L'Arcigay che ne dice?

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Ancora propaganda dell'Arcigay? Flavio Vescovini replica a Grillini che lo ha accusato di omofobia. «Non ho ucciso mio figlio perché era gay.

«Sapevo da dieci anni che Gabriele era omosessuale e ciò non mi ha mai creato problemi».

(Il Corriere della Sera) «Sapevo da almeno dieci anni che mio figlio era omosessuale e la cosa non mi ha mai creato problemi». Flavio Vescovini, il direttore di banca 57enne in pensione che domenica ha ucciso con dodici colpi di pistola il figlio Gabriele, 29 anni, durante un litigio accetta di parlare e spiega di essere «allibito» per le dichiarazioni rilasciate da Franco Grillini (nella foto). Giovedì il presidente onorario dell'Arcigay ha affermato che il giovane ucciso, Gabriele, sarebbe stato vittima di un delitto provocato dall'omofobia del padre. A scatenare le polemiche è stata soprattutto la scarcerazione del 57enne disposta dal gip Claudio Tranquillo. Decisione quest'ultima che ha spinto l'onorevole Franco Grillini a chiedere al ministro Clemente Mastella di fare chiarezza sulla decisione del gip.

«INCAPACE DI GESTIRE LA PROPRIA VITA» - «Il problema di mio figlio e della nostra famiglia - spiega Flavio Vescovini - non era la sua omosessualità ma la sua incapacità di gestire la propria vita. Era sempre pieno di debiti e più volte io stesso glieli avevo ripianati. Anche il suo viaggio in America era stato un tentativo, purtroppo fallito, di dare un nuovo ordine alla propria vita. Quando è tornato nessuno della famiglia voleva riaccoglierlo in casa: sono stato io a insistere perchè rientrasse in casa nostra».

ENESIMO FATALE LITIGIO - Vescovini ha confermato dunque che la causa dell'uccisione è nell'ennesimo alterco scoppiato domenica e causato dalle intemperanze di Gabriele. Sabato è previsto un sit-in davanti al Tribunale di Monza da parte dell'Arcigay, che ribadisce la tesi di Grillini del delitto a sfondo omofobo.
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Ndr: L'ennesima patacca rifilataci dall'Arcigay. Naturalmente poi le paghiamo noi gay sulla nostra pelle questo continuo parlare a vanvera e accusare il mondo intero di omofobia. Un pò di prudenza non guasterebbe.

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Il Giornale parla della "casta gay". Qualche verità, qualche sciocchezza e un pò di ignoranza in materia.

(Stefano Lorenzetto - Il Giornale) Alberto Ruggin, diplomato di Este, è gay, e fin qui è affar suo. Alberto Ruggin va a confessarlo in Tv, a Ciao Darwin, programma condotto su Canale 5 da Paolo Bonolis, che lo include col numero 23 nella squadra omosex schierata contro la squadra etero, e da lì in avanti diventa affare di 5 milioni di spettatori. Alberto Ruggin è, o perlomeno ha dichiarato di essere, «capo dei chierichetti» (a 21 anni?) e solista del coro nella basilica di Santa Maria delle Grazie, non una chiesa qualsiasi, un santuario, e questo, se l’interessato permette, è anche e soprattutto affare del parroco, don Paolino Bettanin. Il quale ha deciso di reagire come meglio credeva: escludendo il giovanotto da entrambe le mansioni liturgiche.

Così Ruggin è finito sui giornali, come forse sperava in cuor suo, e questo ancora una volta diventa anche affar nostro, di tutti noi che i giornali li facciamo e li leggiamo. Ha agito bene o male il reverendo nel retrocederlo al rango di semplice fedele? Giudicate voi dalle successive dichiarazioni del ventunenne: «Voglio che vengano autorizzate le unioni omosessuali e per questo mi impegnerò politicamente nel mio Comune». Dal punto di vista dell’ortodossia, nulla si può rimproverare a don Paolino: non ha fatto altro che attenersi alle prescrizioni dettate dall’altro Paolo nella Prima lettera ai Corinzi: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio». Nell’attesa del giudizio finale, si presume che le medesime categorie, tutte peraltro più o meno rappresentate nella Chiesa, debbano almeno essere dispensate dal provvedere alla gestione del regno sulla Terra, anche se le indicazioni del convertito di Tarso al riguardo non appaiono altrettanto esplicite. Dal punto di vista dell’opportunità, il sacerdote ha commesso un errore inescusabile: è andato a infilarsi nel tritacarne mediatico. Il che dimostra se non altro una grandissima ingenuità. Avrebbe dovuto sapere che la piazza era già saldamente presidiata dal suo ex confratello don Sante Sguotti, già parroco di Monterosso, meno di 30 chilometri da Este. Troppa grazia, Sant’Antonio, per la sola diocesi di Padova, in appena tre mesi.

«Il parroco di Este ha superato in omofobia le posizioni più retrive della Chiesa cattolica», ha sentenziato Alessandro Zan, presidente dell’Arcigay veneto. Omofobia. Accusa tremenda. Una parola gettonatissima, di questi tempi. Designa l’«avversione per l’omosessualità e gli omosessuali». L’Accademia della Crusca non la registra nemmeno. L’Ansa la usò per la prima volta (e una sola volta) nel 1984. Dall’inizio di quest’anno la medesima agenzia di stampa l’ha già ripetuta 385 volte. Sullo Zingarelli risulta inventata nel 1985. Penso di non essere distante dal vero nell’attribuire la paternità dello sdoganamento semantico all’onorevole Franco Grillini, presidente emerito dell’Arcigay e deputato diessino. Ai tempi in cui il neologismo fu coniato, gli omosessuali non avevano diritto di cittadinanza non solo nelle sagrestie ma neppure nel Pci. Era il 1986 quando Giancarlo Pajetta, alla vista di una foto che ritraeva Grillini con un gruppo di dirigenti gay davanti al Bottegone, reagì con uno dei suoi lapidari niet: «Io qui i finocchi non ce li voglio». Rimaneva pur sempre il partito che 37 anni prima, a Udine, aveva espulso l’omosessuale Pier Paolo Pasolini.

Il mio amico Claudio Sabelli Fioretti ha appena pubblicato un libro-intervista con Grillini. S’intitola Gay. Molti modi per dire ti amo. Viene presentato così: «Volete sapere quanti calciatori in Italia sono gay? Volete leggere le polemiche fra Grillini e i cardinali omofobi? Volete sapere che cos’è il gaydar? Volete indovinare quale presidente della Repubblica era omosessuale?». Quante morbose curiosità: non avevano detto d’essere come gli altri? La pubblicità contempla un quinto interrogativo, assai sintomatico: «Volete capire perché più si è omofobi più si è omosessuali?». Suona minaccioso. Si può tradurre così: se ci critichi tanto, vuol dire che sei come noi. Curioso modo di procedere: viene rovesciato su chi osa dissentire da certi stili di vita il sospetto d’appartenere a una categoria che pretende legittimazione naturale e giuridica. Insomma, più sei omofobo più sei normale. O no? Mi sfugge allora in che cosa consista la straordinarietà delle rivelazioni di Grillini raccolte da Sabelli Fioretti.

La strategia della potentissima lobby gay appare chiara: non parlate di noi, se non per dirne bene. Questo sì che è razzismo. Significa davvero considerarli diversi da tutti. E su chi non si allinea, come il sacerdote di Este, sia anatema. Un cantore si può escludere dal coro parrocchiale se stona. Ma per uno scrupolo morale no. Qui bisogna mettersi d’accordo. Prima si accusa la Chiesa di non vigilare a sufficienza affinché a chierici e preti attratti da persone del loro stesso sesso sia impedito di riversare le proprie pulsioni all’interno di seminari e parrocchie. Poi ci si lamenta se un prevosto di paese, avuta pubblica e assordante notifica che il «capo dei chierichetti» si dichiara gay, ricorre spicciativamente a un allontanamento a scopo cautelativo, per non ritrovarsi nell’imbarazzante situazione di doversi un giorno giustificare con qualche genitore, immagino. Certo, la decisione appare poco caritatevole e anche ingiusta, non essendosi il giovane in cerca di facile notorietà macchiato di alcuna colpa. Ma mettetevi nella tonaca del parroco: che altro doveva fare, pover’uomo? Sorvolare? Fingere di non aver visto? Tollerare lo scandalo? Converrà ricordare, di passata, che la lettera Homosexualitatis problema stilata nel 1986 dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale che oggi è papa col nome di Benedetto XVI, bolla l’inclinazione omosessuale «come oggettivamente disordinata», concetto peraltro ribadito nel Catechismo della Chiesa cattolica al paragrafo 2358.

Qualche tempo fa Vittorio Messori mi ha spiegato che la Chiesa, nella sua saggezza di «mater et magistra», in passato aveva sempre fatto in modo che le persone con tendenze omosessuali rimanessero pecorelle nel gregge e non fossero ammesse ai sacri uffici. Ma poi, in ossequio al politically correct che negli Stati Uniti scambiava questa forma di prudenza per un’intollerabile discriminazione, ha dovuto spalancare le porte delle istituzioni religiose a chiunque.

In precedenza l’ostracismo si estendeva anche a coloro «che sostengono la cosiddetta cultura gay», come si legge in un memorandum della Congregazione per l’educazione cattolica, non a caso redatto in lingua inglese. Occhio alla data: il documento è del 1985. Lo stesso anno in cui entra nel vocabolario il sostantivo «omofobia». Se oggi molte diocesi americane sono screditate e in bancarotta, subissate da richieste di risarcimento presentate dalle vittime del clero gay, lo si deve esattamente a questo: alla paura della Chiesa di apparire omofoba.
Per cui, parafrasando la frase pronunciata da Madame Roland, vittima della rivoluzione francese, un attimo prima che la lama della ghigliottina le separasse la testa dal collo, viene da chiedersi: omofobia, quanti delitti si commettono in tuo nome? Qualche settimana fa è accaduto in Inghilterra un fatto emblematico. I giornali britannici di qualità, dal Times al Telegraph, ma anche quelli popolari, come il Daily Mail, ne hanno riferito con ampiezza. Idem la Bbc. In Italia silenzio di tomba. Due gay dichiarati, Ian Wathey e Craig Faunch, che vivevano more uxorio a Pontefract, nello Yorkshire occidentale, sono stati lasciati liberi di violentare per lungo tempo i ragazzini dati loro in affidamento. Ebbene, durante il processo è emerso che gli assistenti sociali del Metropolitan district council della città di Wakefield non avevano mosso un dito per paura di essere marchiati come «homophobic». La coppia era anzi considerata «da trofeo». L’orientamento sessuale degli «educatori» non è stato giudicato un motivo significativo «per pensare l’impensabile».

I due omosex, fra i primi a poter diventare genitori adottivi nel Regno Unito, hanno ottenuto la custodia di 18 ragazzi in soli 15 mesi. La coppia ha abusato di bambini di appena 8 anni. Quando una madre è andata a esporre i suoi dubbi, gli assistenti sociali, sempre per non apparire omofobi, si sono accontentati dei chiarimenti forniti da Wathey e Faunch e hanno spedito a casa loro persino un quattordicenne affetto da una grave forma di autismo, la sindrome di Asperger, che è stato «curato» con dosi massicce di pornografia gay.
Michelle Elliott, direttrice di Kidscape, un’organizzazione contro gli abusi infantili, ha commentato: «Il buonsenso è uscito dalla finestra quando hanno permesso alla political correctness di prendere il sopravvento». In Italia sta uscendo dalla porta principale

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Ndr. Perchè Gaynews non ha pubblicato l'articolo integralmente?

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Il vero macho? Ha il volto di George Clooney.

(Affari Italiani) Il maschio ideale? George Clooney, e chi se no? Ne è convinto il sessuologo Emmanuele Jannini: “E’ bello e ascolta”. Vero, l’affascinante star del cinema durante le interviste sorride, inclina la testa, è attento alle domande poste da chi gli sta davanti. Perché il macho in stile John Wayne, l’uomo che non deve chiedere mai, appartiene al passato, un passato remoto. Come appartengono ormai al passato sia la bellezza di David Beckham che il classico metrosexual attento al proprio corpo e incline allo shopping più delle stesse donne. Qualcuno lo chiama übersexual: il nuovo maschio, sempre più compagno, che non ha bisogno di dimostrare la propria rivalità. Così, i due ruoli all’interno della coppia si avvicinano sempre di più, mischiandosi e sovrapponendosi.

Dalla ricerca condotta da Gpf per Pfizer Italia emerge che per l’88,6% del campione (2000 intervistati tra i 18 e i 74 anni), nell’ambito sessuale la donna non ha più una posizione passiva, ma esprime i propri desideri e bisogni. E per oltre il 90% l’uomo, per riuscire a sedurre una donna, deve sapere parlare con lei e ascoltarla. Attenzione: otto intervistati su dieci ritengono che un uomo che cambia i pannolini al figlio non perde né forza né virilità. D’altronde, Clooney non era proprio il pediatra di E.R? Snocciola i dati la presidente del Gpf, Monica Fabris: “Il 77% degli italiani tra i 18 e i 74 anni dichiara di avere una relazione sentimentale. Di questi, il 60,5% afferma di essere molto soddisfatto, attribuendo un voto da 8 a 10”. Altro che crisi del desiderio: “Gli italiani – spiega la Fabris – fanno l’amore tanto quanto lo facevano in piena rivoluzione sessuale”.

Tanto quanto? Una media di 6 rapporti al mese. “La vita sessuale è un elemento centrale per gli italiani, sia in quanto fortemente correlata agli aspetti della vita sentimentale, sia considerata in sé, come dimensione dotata di autonomia”. Importante, conclude: “Siamo consapevoli della nostra sessualità, sono caduti i tabù. Finalmente si può rivendicare il diritto al piacere”. Un esempio? “La metà degli intervistati ha dichiarato normale o ammissibile la visione di un film pornografico in coppia, per stimolare il desiderio”

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Cinema: "The Walker", di giorno accompagnatore di donne e di notte frequentatore di circoli omosessuali.

Uscirà il 14 dicembre negli states, The Walker, ritorno alla regia di Paul Schrader.

Interpretato da Woody Harrelson, Kristin Scott Thomas, Lauren Bacall e Willem Dafoe, il film è quasi una speculare versione di American Gigolò, il film che negli anni ‘80 valse a Schrader due nomination al Golden Globes.

Al posto della Los Angeles nella quale si muoveva un giovanissimo Richard Gere in questo caso c’è il distretto di Washington D.C, dove troneggia Woody Harrelson, di giorno accompagnatore di donne dell’alta borghesia di Washington, mentre di notte assiduo frequentatore di circoli omosessuali.

Proprio una delle sue “clienti”, impaurita dal misterioso omicidio del giovane amante, gli chiede aiuto, mettendolo in serissimi guai.
Trama e trailer, interessantissimi, ma chissà se mai riusciremo a vederlo in Italia.
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In Europa solo i vescovi investono ancora sul matrimonio.

(Stefano Fontana - L'Occidentale) Una politica a sostegno della coppia e del matrimonio. Sì, della coppia e del matrimonio. Coraggiosi questi vescovi dell’Unione Europea. Mentre alcuni Stati riconoscono il matrimonio tra omosessuali, altri approvano il divorzio breve, qualcun altro parla del matrimonio “a termine”, i vescovi della COMECE approvano un articolato documento in cui chiedono l’esatto opposto.

Prevenire i fallimenti di coppia, evitare tensioni esistenziali laceranti (i 2/3 dei matrimoni delle famiglie che emigrano per lavoro entrano in crisi) aiutare la coppia ad allevare i figli, investire nel matrimonio. Il Documento dal significativo titolo “Proposal for a Strategy of the European Union for the Support of Couples and Marriage” non parla tanto di famiglia, quanto proprio di coppia e di matrimonio. A ben vedere, però, si tratta di un coraggio richiesto dalla realtà se, come afferma il Documento, le separazioni e i fallimenti familiari sono tra le principali cause della povertà, penalizzano i figli nella lotta della vita, mettono in difficoltà soprattutto la donna. La debolezza dei legami di coppia, la fragilità del matrimonio indebolisce il capitale sociale e, quindi, è anche un costo.

Il Documento ricorda che una ricerca UNICEF del febbraio 2007 pone in relazione l’aumento delle famiglie con un solo genitore e l’aumento del rischio di povertà. In questi casi aumenta anche la possibilità di insuccessi scolastici per i figli, una salute più carente, minori competenze nel futuro lavoro e, spesso, una paga inferiore. Inoltre, dato che le famiglie monoparentali fanno capo per l’85% ad una donna, come mostra una ricerca su “Donne e povertà” condotta dall’Unione Europea, le principali danneggiate sono appunto le donne. La crisi della famiglia diminuisce la capacità di aiutare gli anziani e i disabili ed aumenta la dipendenza dai meccanismi statali di protezione sociale. I bambini che vivono con il solo padre o la sola madre hanno maggiore possibilità di vivere la povertà. Anche per questo, forse, dagli anni Ottanta in poi la povertà infantile è aumentata in molti Paesi europei tra cui - strano ma vero – l’Austria, la Germania, l’Itala, l’Irlanda, l’Olanda e il Regno Unito, secondo una ricerca della OECD.

Per questi motivi, secondo la COMECE, l’alto tasso di divorzi nell’Unione Europea dovrebbe rappresentare per i parlamenti e i governi una seria preoccupazione. Negli ultimi 25 anni (1980-2005) il numero dei divorzi è aumentato di oltre il 50%. Negli ultimi 5 anni oltre 13,5 milioni di divorzi hanno riguardato più di 21 milioni di bambini.

I vescovi dell’Unione europea fanno molte proposte, diciamo, di tipo tradizionale: dalle politiche per la casa a legislazioni che favoriscano la conciliabilità tra casa e lavoro. Ma dove il Documento è maggiormente coraggioso e innovativo è laddove si chiede una politica preventiva a sostegno della coppia, anche con percorsi di formazione per i giovani che intendano “metter su famiglia”, con interventi di counseling sull’educazione e l’allevamento dei figli, con il sostegno di psicologi per aiutare la coppia a saper gestire le inevitabili crisi senza che ciò comporti – con il divorzio facile a portata di mano – il crollo del quadro familiare. Nuovo e coraggioso perché in totale controtendenza, l’invito ad attuare programmi di formazione affinché – udite, udite – il matrimonio ritorni ad avere un suo appeal nei confronti dei giovani. E’ come dire che se oggi questa è la situazione è anche perché il matrimonio viene deriso nei media, presentato sotto falsa luce, mentre le case sono invase da messaggi televisivi a carattere individualistico ed edonistico.

Al di là della prassi politica in atto, nell’ufficialità dell’Unione Europea, che posto ha il matrimonio? Il Documento della COMECE informa che La Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo e la Carta sui Diritti Fondamentali dell’Unione Europea affermano entrambe il “diritto al matrimonio”. La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha stabilito in una sentenza che «il matrinonio è strettamemente collegato con le tradizioni culturali e storiche di ogni società e le sue più profonde convinzioni sull’unità della famiglia». La Corte Europea di Giustizia si è rifatta al tradizionale e generalmente accettato concetto di matrimonio, affermando in una sentenza: «Le nozioni comunitarie di matrimonio e coppia riguardano esclusivamente una relazione fondata sul matrimonio civile nel tradizionale senso del termine». In altri termini, le istituzioni europee rimandano agli Stati nazionali per la legislazione sul matrimonio, ma nello stesso tempo ritengono che le prescrizioni della legge internazionale garantiscono gli standard minimi per la tutela dei diritti umani in materia. L’esistenza di un “diritto al matrimonio” e nella Convenzione e nella Carta preclude ogni tentativo di eliminare il matrimonio come categoria giuridica.

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Cinema: Da "cow-boy gay" a mito del football Usa: Jake Gyllenhaal sarà Joe Namath.

(Affari Italiani) Dopo la nomina all'Oscar per "I segreti di Brokeback Mountain", Jake Gyllenhaal sarà il protagonista del film ispirato alla vita e alla carriera della stella del football americano Joe Namath.
E' stato lo stesso quarterback, conosciuto con il soprannome di 'Broadway Joe', a dare personalmente il permesso a Gyllenhall di interpretarlo nella pellicola, che non ha ancora un titolo. Il produttore Andrew Lazar ha provato per anni ad avere i diritti del film su Namath, secondo quanto ha riportato il 'Daily Variety'.

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Musica, Teatro, Cinema nel week end del 30 novembre, 1 e 2 dicembre.

Ecco i concerti per gli appassionati di musica: venerdì 30 novembre al Pala Fiera di Forlì e sabato 1 dicembre al Pala Bam di Mantova, Biagio Antonacci in concerto; sabato 1 e domenica 2 dicembre Lucio Dalla al Teatro Carlo Gesualdo di Avellino. E ancora: Max Pezzali sarà al Palasport di Treviso venerdì 30 novembre e al Palaverde di Trieste sabato 1 dicembre; Ron domenica 2 dicembre al Teatro Niccolò Piccinni di Bari; i Subsonica al Palalottomatica di Roma venerdì 30 novembre e al Palamaggiò di Caserta sabato 1 dicembre; Zucchero al Palarossini di Ancona venerdì 30 novembre e al Palamalaguti di Bologna sabato 1 dicembre; infine, domenica 2 dicembre Irene Grandi al Teatro Filarmonico di Verona e i Finley in Piazza della Stazione a Oggiono.

Teatro
Al Teatro della Quattordicesima di Milano, dall'1 al 20 dicembre, “ Le avventure di Pinocchio”; al PalaSharp, fino al 2 dicembre, "High School Musical – The Ice Tour”. Al Teatro Brancaccio di Roma, fino al 16 dicembre, “Jesus Christ Superstar”; al Teatro Parioli, fino al 9 dicembre, “Due comici in Paradiso”, con Biagio Izzo e Claudio Insegno; al Teatro Tendastrisce, fino al 16 dicembre, “MR – Musical Romantico”, con Nathalie Caldonazzo e Ramona Badescu. Al Teatro augusto di Napoli, fino al 2 dicembre, “Tre metri sopra il cielo – Lo spettacolo”.

Cinema
Per gli amanti del cinema: “The Kingdom”, film poliziesco con Jamie Foxx e Chris Cooper; “La musica nel cuore – August Rush”, film drammatico, a metà strada tra fiaba e realtà, con Freddie Highmore, Keri Russell e Jonathan Rhys-Meyers; “Il diario di una tata”, commedia con Sacrlett Jahansson, Laura Linney, Paul Giamatti; “Fred Claus – Un fratello sotto l'albero”, divertente commedia con Vince Vaughn e Paul Giamatti; “Lascia perdere, Johnny!”, commedia di Fabrizio Bentivoglio, con Antimo Merolillo, Ernesto Mahieux, Lina Sastri; “Winx il film – Il segreto del regno perduto”, film d'animazione; “Nella valle di Elah”, film drammatico di Paul Haggis, con Tommy Lee Jones, Charlize Theron, James Franco; infine “Una vita migliore”, film drammatico di Fabio Del Greco, con Fabio Del Greco, Chiara Pavoni, Gennaro Mottola, Gabriele Guerra, Sveva Tedeschi.
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Eventi
Da segnalare, dal 30 novembre al 7 dicembre, presso la Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano, “Il Natale dei cento alberi d'autore di Sergio Valente”, iniziativa finalizzata alla raccolta di fondi da destinare, di anno in anno, ad una diversa causa benefica. I 100 alberi realizzati dai maggiori protagonisti della moda, dell'arte e del design, settori in cui Milano è leader nel mondo, saranno esposti in un prestigioso spazio del Comune di Milano dove potranno essere ammirati e acquistati dal pubblico.

Infine, dal 29 novembre al 17 dicembre, in piazza Santa Croce a Firenze, si svolgerà un meraviglioso mercatino di Natale. Le numerose bancarelle offriranno prodotti dell'artigianato locale ed etnico, specialità culinarie, addobbi di natale.

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Raoul Bova: un calcio per la solidarietà. Piero Marrazzo contro la Nazionale Cantanti.

(Affari Italiani) La Nazionale Cantanti e La Regione Lazio sono scese in campo per la solidarietà: allo stadio Centro D' Italia di Rieti, il conduttore Red Ronnie, insieme ad una madrina d'eccezione come Claudia Gerini, ha presentato una partita davvero speciale.

Capitano della Nazionale Cantanti, in via del tutto eccezionale, un attore: prestato dalla settima arte alla seconda, ecco Raoul Bova. Per la Regione Lazio, viceversa, non poteva che esserci il Presidente, Piero Marrazzo.
A scontrarsi a suon di pallonetti e dribbling, tanti volti noti della musica italiana: hanno partecipato Paolo Belli, che deve ancora riprendersi da "Ballando con le stelle", i Pquadro di defilippiana origine, Pago (poco assorto per l'imminente rientro dell'ex moglie Miriana dall'Isola dei Famosi) e poi ancora Fabrizio Moro, Simone Tommassini, Povia, Marco Masini, Marco Morandi e Luca Dirisio. Ma, fra tutti, spiccava la presenza di Gigi D'Alessio: reduce da un tour negli Stati Uniti insieme alla sua Anna (Tatangelo ndr), il cantante è di nuovo al centro del gossip: secondo i bene informati si sarebbe sposato in gran segreto a Las Vegas con la giovanissima fidanzata e collega. Un matrimonio che, anche e fosse stato celebrato, non avrebbe nessun valore in Italia visto che il cantante deve ancora ottenere il divorzio dalla moglie, dalla quale è ufficialmente solo separato.
Tornando alla partita, ad avere la meglio è stata la Regione Lazio, che ha battuto la Nazionale Cantanti per 3 a 2. La vendita dei biglietti ha totalizzato un incasso di 37.000 euro che sarà interamente devoluto a progetti concreti per la solidarietà. In particolare all'Acli Giorgio e Silvia di Rieti, associazione che si occupa dei più bisognosi, e alla Fondazione Capitano Ultimo Onlus. Quest'ultima è nata proprio dall'incontro professionale, trasformatosi in una grande amicizia, tra Raoul Bova e il Colonello dei Carabinieri Sergio Di Caprio, noto con il nome di battaglia Ultimo e che, dopo anni di indagini e appostamenti, è riuscito ad arrestare Totò Riina. Un personaggio molto caro a Bova che ne ha vestito i panni nella celeberrima serie televisiva e, proprio durante le riprese della fiction, è nata l'idea di dar vita ad una Fondazione con lo scopo di promuovere la "Cultura della Legalità e della Solidarietà".

Quando un calcio al pallone vuol dire fare del bene.

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