Gentile direttore,
dell’ottimo servizio dedicato dal suo giornale (Galeazzi, il 5 novembre) all’iter del progetto di legge sui Dico ho apprezzato la puntualità della ricostruzione e la scelta di riaccendere i riflettori su un tema che non attiene alla sfera dell’«eticamente sensibile», ma alla dimensione rinnovata, e rinnovabile, dei diritti e doveri di cittadinanza e inclusione. Per questo da tempo sono convinta che il Paese abbia bisogno d’una legge saggia e umana che dia sicurezza e responsabilità a convivenze sia etero che omosessuali. E non solo per il richiamo contenuto nel programma dell’Unione, ma per il rispetto che dobbiamo alla Costituzione. Sia dove sottolinea (art. 3) l’uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», sia dove valorizza la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29), sia dove si apre al più ampio riconoscimento dei diritti delle persone in tutte le formazioni sociali (art. 2), tra le quali - ha rilevato la Corte Costituzionale - rientra il fenomeno crescente delle stabili convivenze.
Significa investire dal punto di vista culturale, sociale, normativo sulla centralità della persona, delle sue prerogative, diritti e responsabilità. A questo siamo chiamati dalla Carta europea dei diritti. Da questa premessa ha preso corpo in gennaio la proposta dei Dico. Da una visione moderna dei diritti e doveri per le persone conviventi. Sono passati quasi 25 anni da quando il Parlamento, per la prima volta, si trovò a discutere del tema. Un quarto di secolo che ha visto la società, la cultura, il costume e la stessa composizione del Paese mutare in profondità. Le legislature non sono riuscite a produrre una legge equilibrata, nonostante le sollecitazioni e un livello di elaborazione giuridica di assoluto rilievo. Di fronte a un tale ritardo, resto dell’idea che il governo abbia avuto il merito d’indicare una soluzione capace di aggregare un consenso non scontato su una questione esposta a distanze anche radicali, e spesso trasversali agli schieramenti. La mia e della collega Rosy Bindi è stata sin dall’inizio una mediazione, certo migliorabile, ma senza la quale sarebbe adesso ancora più difficile trovare uno sbocco in Parlamento. Oggi è in campo una proposta che sta per approdare all’Aula di Palazzo Madama dopo un lungo dibattito nella Commissione giustizia presieduta dal senatore Salvi. Il quale, relatore del provvedimento, si è fatto promotore dentro il comitato ristretto d’una nuova formulazione - meglio conosciuta come Cus (contratto di unione solidale) - in parte diversa dalla proposta originaria dei Dico.
Non ne ho mai fatto una questione di sigla. Per me conta in primo luogo l’obiettivo finale. La possibilità che in questa legislatura finalmente l’Italia ottenga quella legge che in tanti invocano da anni. Ecco perché ritengo essenziale concentrarsi sull’ispirazione di fondo del progetto e sulle sue discriminanti. Due innanzitutto: una definizione ampia e completa dei diritti e dei doveri delle persone conviventi e la previsione di un atto pubblico che certificando l’unione, renda quei diritti esigibili nei confronti di terzi e dello Stato. I Cus riprendono punti significativi dei Dico e come prima firmataria di quella proposta, il mio impegno sarà nel ricercare soluzioni larghe e condivise, non riduttive o di basso profilo.
Continuo a credere infatti che questa sia la responsabilità che pesa sulla politica, su leadership e classi dirigenti che devono risponderne cercando ragioni e principi comuni. Ricordando soprattutto che anche «non decidere» vorrebbe dire colpire la dignità di molti cittadini e la qualità della loro cittadinanza. Ciò che ci muove è una visione della politica ispirata a principi laici e liberali. Che metta al centro la persona nel binomio inscindibile di diritti e doveri. Che non separi mai democrazia da economia per un’idea di crescita vincente. Che per questo investe sulla libertà e responsabilità di ciascuno come chance per costruire un nuovo civismo consapevole e maturo. Risorsa della quale l’Italia, soprattutto oggi, ha un enorme bisogno.
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