(Christian Rocca) Domenica il Corriere della Sera aveva sulla sua prima pagina uno scoop mondiale, anzi due. Il primo era questo: una nota serie tv americana, Dr. House, ambientata in una clinica universitaria del New Jersey e centrata sulle vicissitudini di un medico burbero, dei suoi colleghi e dei suoi pazienti, ha inaspettatamente affrontato il tema, rullo di tamburi, della sanità. Strano, in effetti. Il secondo scoop è quello che ha fatto planare l’articolo di Alessandra Farkas in prima pagina col titolo “Il Dottor House a pugno chiuso contro Bush”. A corredo c’era anche un commento radical pop di Maria Laura Rodotà che, per l’occasione, s’è inventata l’espressione “housismo-leninismo” per definire l’ultimo e vacuo innamoramento ideologico della sinistra.
Era successo che nell’ultimo episodio della serie, Dr. House – col solito tono di sfottò nei confronti dei pazienti, ma soprattutto per farla pagare alla sua superiora Lisa Cuddy – avesse detto a un gruppo di persone non coperte da assicurazione sanitaria che “Michael Moore aveva ragione” nel denunciare l’enorme numero di non assicurati tra gli americani. Era un modo, come ha detto lo stesso Dr. House un secondo prima della frase su Moore, di “farla pagare alla Cuddy”, cioè alla sua capa, promettendo ai poveri e ignari pazienti, in nome della revolucion, una cosa impossibile e che avrebbe soltanto causato guai al suo boss, ovvero “risonanze, esami PET, visite neuro-psichiatriche e stanza privata per tutti”. E per marcare la presa in giro ai pazienti e a Moore, il dottor House ha stretto il pugno e urlato “Combatti il sistema!”, lui che è noto per “non voler obbedire alla tipica pietas della vita moderna”.
Il Corriere, insomma, non ha capito l’acida ironia del protagonista della serie, ma in ogni caso, anche se l’avesse colta, non si capisce che cosa c’entrino i milioni di americani non coperti da assicurazione sanitaria con George W. Bush. Dr. House, ovviamente, non fa il minino cenno “alle politiche sanitarie dell’Amministrazione Bush, oggi difese a spada tratta da candidati repubblicani quali Rudy Giuliani e Mitt Romney” contro cui, secondo il Corriere, il medico della fiction si sarebbe “scagliato”. Il riferimento a Bush è soltanto un salto illogico del giornale, anche perché non è Bush a togliere l’assicurazione agli americani o a non volergliela dare. Prima di Bush, ai tempi di Clinton, per esempio, non è che i non assicurati di oggi fossero coperti. La questione dei bambini non poveri (giacché quelli poveri sono già coperti dallo stato) è più complicata, perché Bush sostiene che gran parte dei 4 milioni che il progetto democratico vorrebbe coprire ha già un’assicurazione privata, quindi si tratterebbe di uno sperpero di denaro pubblico (ah, la Casta!) che andrebbe a discapito dei veri bisognosi. Di più. L’idea che “Rudy Giuliani e Mitt Romney” difendano “le politiche sanitarie di Bush” non sta in piedi, nemmeno a commento di una serie televisiva. Mitt Romney, intanto, è stato il primo e unico governatore di un grande stato americano (il secondo è un altro repubblicano, Arnold Schwarzenegger) ad aver imposto la copertura sanitaria universale e pubblica ai cittadini del Massachusetts, con un piano simile al progetto di Hillary Clinton.
Bush, poi, ha tentato di allargare la copertura degli americani con un sistema di portabilità e controllo individuale del proprio conto sanitario, ma il suo piano è stato sconfitto al Congresso. Infine, la sua Amministrazione sarà ricordata per aver ampliato a dismisura il programma federale Medicare, fino a fornire gratuitamente anche le medicine a tutti gli anziani. La riforma di Bush è il più grande intervento pubblico degli ultimi 40 anni, circostanza su cui Giuliani e Romney semmai non sono entusiasti, proprio perché ispirata a principi interventisti e liberal.
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