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lunedì 10 dicembre 2007

Governo Prodi traballante. Cade, no, non cade, si cade... no tiene.

SICUREZZA/ DOMANI DL ALLA CAMERA, FORTE TENSIONE NELLA MAGGIORANZA.
Si rafforza asse cattolici Unione,sinistra non cede. Governo media.


(Apcom) - Sul futuro (incerto) del Dl espulsioni e delle norme sull'omofobia ad esso legate "ormai si gioca a carte scoperte: l'auspicio è che qualcuno faccia un passo indietro, altrimenti non c'è soluzione per questo provvedimento", deve tornare in Senato e non ci sono i numeri per farlo passare. La situazione è praticamente quella di un passeggero seduto su una macchina lanciata a 180 chilometri all'ora contro un muro, soprattutto se si tiene conto che il virgolettato è nè più nè meno il riassunto delle letture della storia che vengono fatte al Viminale, ministero 'competente in materia' e che "non ha particolare affezione all'inserimento delle norme sull'omofobia in un dl che risolve il problema delle espulsioni di cittadini comunitari".

Su quelle norme, invece, si gioca una partita tutta politica fra le diverse anime dell'Unione. La sinistra radicale "esige" che le pene per chi discrimina in base all'orientamento sessuale ci siano e che venga corretto l'errore nel testo licenziato dal Senato. La parte cattolica, invece, sancisce che "o il testo passa così (con l'errore che invalida di fatto la norma), o si cambia togliendo interamente il riferimento all'omofobia". In mezzo, il Partito Democratico, spaccato fra chi sottolinea, come il ministro dell'Istruzione Beppe Fioroni, che "la norma sull'omofobia deve essere rimossa dal dl espulsioni" e chi sostiene, come la ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini, la necessità di "dare al Paese norme adeguate contro l'omofobia" e che "una soluzione si può e si deve trovare", magari "parlandone con Prodi, Chiti e i gruppi parlamentari della maggioranza".

In mezzo, com'era prevedibile, proprio Romano Prodi e tutto il governo, perchè questo dl è la norma su cui si è registrato il maggior numero di minacce di dimissioni e di uscite dalla maggioranza: Amato ("mi dimetto se non viene convertito in legge"), Mastella e l'Udeur ("usciamo dalla maggioranza se non si tiene fede alla parola data di non aprire la strada ai matrimoni omosessuali"), i teodem (Paola Binetti ha votato già no una volta alla fiducia sul Dl), Rifondazione Comunista (Giovanni Russo Spena disse in Senato "non potremmo votare un dl sfregiato"). Non solo: a 'metterci la faccia' anche il ministro per i rapporti con il Parlamento Vannino Chiti (Dopo l'approvazione in Senato il 6 dicembre fu lui a dire davanti alle telecamere che "l'articolo 1 bis, è sbagliato nella sua formulazione, non attuabile e improprio. Per motivi procedurali non è stato possibile sopprimerlo", ma il governo "si impegna a cancellarlo improrogabilmente entro fine anno con un nuovo provvedimento").

Ecco perchè è logico che la patata bollente finisca in mezzo al tavolo del Cdm di domani, proprio mentre a Montecitorio le commissioni Affari Costituzionali e Giustizia (a cui è stato affidato congiuntamente il provvedimento) ascolteranno la relazione del deputato del Pd Roberto Zaccaria, che però non potrà non tener conto delle parole di oggi dei capogruppo del Pd, Antonello Soro e Anna Finocchiaro: "la Camera deve approvare il decreto sicurezza senza modificare il testo arrivato dal Senato, per la necessità di disporre gli strumenti utili e garantire agli italiani condizioni di pacifica convivenza, contrastando ogni forma di xenofobia".

In Cdm, con ogni probabilità, si dovrà trovare una soluzione, tanto più che al briefing serale fonti di palazzo Chigi assicurano che "il governo mantiene il suo impegno a trovare una soluzione condivisa" e che "i ministri competenti sono al lavoro, mentre Chiti ha già detto che l'esecutivo si sarebbe fatto carico della situazione: l'impegno è stato mantenuto". Al momento, però, le carte sono oggettivamente pessime: a Montecitorio è arrivato un testo che contiene un errore e che quindi così com'è non può passare e su cui il governo si è impegnato anche in linea di principio. Ma se viene cambiato, anche solo di una virgola, deve tornare al Senato, dove, oltre al problema dei numeri, c'è anche quello del calendario, con il 31 dicembre data ultima per la conversione del dl. Inoltre, attenzione ai cambiamenti, perchè soddisfare la parte di centro vuol dire rompere con quella di sinistra e viceversa.

L'unica soluzione concreta, al momento, sembra essere quella proposta da Marcella Lucidi, la sottosegretario all'Interno che ha seguito tutto l'iter del provvedimento: un cdm di fine anno o l'inserimento delle modifiche volute dai teodem nel decreto milleproroghe. Ma pare non bastare ai mastelliani e ai cattolici, che dicono chiaramente: o il dl passa com'è o usciamo dalla maggioranza. Per cui, tutto alla fine si riduce a quello che nessuno ha il coraggio di dire ufficialmente ma che alla fine tutti pensano: "o qualcuno fa un passo indietro o è finita".

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