(Laura Grimaldi - ccs news) In una sala di registrazione del centro di Londra una bellissima modella trentenne sta incidendo, con il suo fidanzato rocker, il singolo che sarà in vendita con Vogue France; dopo il lavoro, la baldoria inizia con un giro di vodka, poi whisky, vino, cocaina.
Se le più importanti griffes internazionali dovessero licenziare ogni indossatrice che solo una volta abbia trascorso una serata del genere, probabilmente ci sarebbero molti nuovi posti di lavoro nel settore della moda. Eppure, quando nel settembre 2005 il Daily Mirror pubblica le immagini della sopra citata serata brava dell’eterea Kate Moss, mentre “consumava” cinque strisce in mezz’ora, ciò provoca uno degli scandali più noti degli ultimi anni. I contratti della top di quell’anno, per sei milioni di euro, con Chanel, Burberry, Dior, H&M, vengono sciolti e il pubblico sdegno è fatto ricadere sulle esili spalle di “Cocaine Kate”.
Figlia d’arte di una famosa mannequin degli anni ’70, Kate Moss nasce nel 1974 in Inghilterra: viene notata a quattordici anni da un’agente di moda e calca le passerelle fino al 2000, quando decide di abbandonare le luci delle sfilate per dedicarsi a servizi fotografici e campagne pubblicitarie, diventando musa di Calvin Klein e finendo per dieci volte in copertina su Vogue.
Accusata di rappresentare un modello di bellezza deleterio per il giovane pubblico, sfoggiando negli anni una immutata taglia 38, additata per le dichiarazioni sulla sua vita sessuale (affermò con disinvoltura di aver preso parte ad orge lesbiche), si è rivelata una figura controversa che ha, però, trasformato in oro tutto ciò in cui si è cimentata, vantando uno dei cachet più alti del settore.
Lo stesso è stato per lo “scandalo-coca”.
Dopo essersi calmato l’uragano moralizzante che seguì la pubblicazione delle foto sul tabloid inglese, il mondo della moda ( e non solo ) realizzò che Kate era riuscita a rendere glamour la cocaina; lo stravizio non è più roba da capelloni, ma da principessine eleganti e spietate.
Sesso, droga e alta moda è diventata la nuova formula magica a cui si è affidata non solo la stessa industria del fashion (nel luglio 2007 compare la campagna di Sisley in cui due modelle stralunate “pippano” le bretelline bianche di una canottiera) ma anche il curatore di immagine di tutte le vip più inutili del momento, dalla Lohan a Mischa Barton, che al più piccolo calo di notorietà si fanno immortalare in coma etilico o, a scelta, senza mutande.
Oggi i guadagni della Moss sono triplicati, toccando i 40 milioni di euro l’anno, e solo un anno dopo essere stata licenziata dalle firme che non la ritenevano adatta a rappresentarli, è stata eletta modella dell’anno al British Fashion Awards. Tutte le chiacchiere etiche e bacchettone si sono azzittite e Kate, da brava party girl, segue l’insegnamento di Paris che leggeva la Bibbia in cella e si dice una donna nuova, dedita all’ecologia e al buddismo.
L’unico intervento che doveva essere valorizzato dai media, ma è rimasto inascoltato, è stato quello di Francisco Santos, vice presidente della Colombia, che lanciando una campagna contro il narcotraffico a Londra ha affrontato il caso Moss sostenendo che rendere cool l’uso di cocaina, “vuol dire finanziare indirettamente il commercio di droga”, causa di tanto sangue nel suo paese.
Peccato! Gli occhialetti tondi di Santos vendono molto meno delle cosce di Kate che tira su polvere bianca, ma chissà che nei programmi di redenzione della topmodel non ci sia anche la presa di coscienza civile.
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