In Siria invece si parla molto anche del caso di Zahra. Rapita e violentata a 15 anni e per questo finita in carcere (come molte donne che non hanno altro posto in cui rifugiarsi per sfuggire alla vendetta della famiglia) è stata liberata quando un cugino 27enne ha accettato di sposarla. Dopo 10 mesi il fratello l’ha però uccisa e, in base alle leggi siriane che non considerano il delitto d’onore un omicidio, rischia di farla franca; solo il ricorso del marito della vittima fa sì che il caso rimanga aperto e che sia diventato oggetto di dibattito sui giornali.
E ancora: nel nord Iraq sarebbero 350 le donne uccise per ragioni d’onore nel giro di sette mesi. In Giordania, gli assassini si appellano spesso a questa motivazione per ottenere sconti di pena e questi crimini coprono altri tipi di delitti, visto che le donne vengono uccise da padri, fratelli e zii anche dopo aver posto “rimedio” all’onta con il matrimonio.
Molte le donne che cercano di togliersi la vita o sono spinte al suicidio per lavare il disonore che avrebbero provocato alla famiglia.
Per fortuna, ci sono associazioni che si battono contro questa barbarie e chiedono che vengano cambiate le leggi che assolvono gli assassini. È il caso dell’associazione giordana Jwu, di quella siriana Syrian Women Observatory e dell’egiziana Cewla. In Marocco l’Insaf e Solidarité Féminine dispongono di centri che accolgono le ragazze madri. In Pakistan il Gender and Social Development ha il difficile compito di combattere contro i crimini d’onore nel Paese in cui sono più diffusi.
Eri Garuti - Amina News
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