Incontro sulla transessualità al Gruppo Abele.
(La Stampa) «Sono venuto in Italia perchè qui c’è la possibilità di fare la transizione di genere e cambiare sesso, in Romania no. Ho venduto casa e tutto quello che avevo e ho intrapreso una strada difficile, ora sono qua, lavoro e sono contento, pur tra mille difficoltà». Non solo persone che sfuggono alla miseria e non solo gente in cerca di un lavoro: dalla Romania arrivano in Italia molte persone discriminate per la loro sessualità. Come Adrian Visan, 38 anni, un ragazzo, che ha intrapreso il percorso per diventare uomo anche sui documenti, e che ha portato la sua testimonianza al convegno che si è svolto oggi, presso il Gruppo Abele di Torino, sulla transessualità e sulle difficoltà di inserimento lavorativo delle persone che cambiano genere.
«Anche se la Romania è entrata nell’Unione Europea - spiega Adrian, in Italia da sette anni, di cui tre trascorsi come irregolare - in quel paese chi si rende visibile e vive alla luce del sole la sua identità sessuale, è un uomo o una donna morta. Prima di venire in Italia ho subito arresti, sono stato in carcere, mi chiedevano di rendere conto sul perchè vivessi in questo modo e mi vestissi da uomo, mi accusavano di avere documenti falsificati o rubati. Non solo i transessuali, ma anche i gay spesso sono oggetto di violenze, picchiati a sangue per il solo motivo di essere omosessuali».
Nemmeno in Italia la situazione è facile, sottolinea Adrian, benchè la legge consenta il cambiamento di genere, a causa delle discriminazioni che ancora esistono e che rendono particolarmente difficile trovare un lavoro.
«Io ci tengo al mio sogno - prosegue - penso a me stesso. Bisogna prima accontentare sè stessi per riuscire ad accontentare gli altri. L’opinione della gente, gli sguardi curiosi, non mi toccano più. Prima - dice ancora - ero in imbarazzo, ora no. Ho iniziato il mio percorso, sono più tranquillo, riesco a mantenermi, a fare la terapia ormonale, e sono a metà del percorso».
Adrian lavora, grazie a una borsa di lavoro, all’interno di un progetto sperimentale. Si occupa di fare manutenzione su materiale ospedaliero, che viene rimesso a posto e inviato nei paesi poveri. «Io ho la testa quadrata. La mia strada l’ho iniziata a 6 anni, quando già c’erano persone che volevano mandarmi in manicomio. Qui in Italia è meglio che in Romania. Non mi aspettavo l’America e non l’ho trovata, ma almeno sono riuscito a fare qualcosa da solo».
Adrian spera che i fatti di Roma e le discussioni sul decreto sicurezza non rendano ancora più arduo un cammino già tormentato pe molti altri motivi: «Mi dispiace tantissimo di quanto è successo, mi spiace anche di non avere la forza di dire tutto quello che potrei dire, ho troppe cose da fare e a cui pensare, ma credo che chi compie gesti di questo tipo vada punito».
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