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venerdì 5 ottobre 2007

Com'è difficile amare: Storia ed evoluzione delle unioni civili.

(Img Press) Si convive a volte per scelta, o per necessità, oppure ancora come prova generale in vista del grande passo del matrimonio, ma qualunque sia il motivo, oramai numerose sono le coppie che Italia preferiscono questa forma di vita in comune rispetto a quella più tradizionale del matrimonio. Basta leggere i giornali o guardare la tv, spesso i media ne fanno notizia, appelli e manifestazioni da tutte le parti, insomma, mai come quest’anno si sono elevate voci al fine di emanare una legge che ne disciplini la materia anche da noi. E allora cominciamo questo viaggio tra le notizie e le varie correnti di pensiero, e come ogni buon inizio che si rispetti, la prima cosa da fare è capire di cosa stiamo parlando, cominciamo col dare la giusta, o più giusta possibile, definizione di unioni civili. Tutte quelle forme di convivenza fra due persone che sono legate da vincoli affettivi ed economici e che non accedono volontariamente o che sono impossibilitate a contrarre l'istituto giuridico del matrimonio, alle quali gli ordinamenti giuridici abbiano dato rilevanza o alle quali abbiano riconosciuto uno status giuridico, si definiscono unioni civili. Si parla dunque di rilevanza e status giuridico, da qui una situazione che genera o ha bisogno sia generata una normativa. Come possiamo notare sin dalla sola definizione, le unioni civili non sono un argomento omogeneo, al suo interno infatti sono comprese delle diversificazioni, la più importante è quella tra le coppie eterosessuali e le coppie dello stesso sesso (omosessuali). Data la definizione ora possiamo salpare e cominciare il nostro viaggio, prima tappa l’Europa. E’ il 2003 l’anno che segna il grande salto, l’Europarlamento infatti approva una risoluzione sui diritti umani in Europa (Rapporto Sylla) ed invita tutti gli stati membri a parificare coppie di fatto e matrimoni ma anche ad aprire matrimonio e adozioni alle coppie gay e lesbiche. Lo stesso organismo europeo del resto già nel 1994 aveva emanato una risoluzione per la parità dei diritti degli omosessuali. La società cambia e il diritto non può rimanere indifferente all'evoluzione dei costumi, da allora ad oggi un gran numero di provvedimenti legislativi che disciplinano le nuove unioni sono stati recepiti dalla maggioranza degli stati aderenti all’unione. Come viene appresa la direttiva europea in Italia? Ovviamente in ritardo, come del resto tutte le altre direttive, di qualsiasi tipo, del resto il “fenomeno” delle unioni civili è relativamente nuovo nel nostro paese mentre in altri come quelli scandinavi, è una realtà ormai consolidata. In Italia la convivenza non è disciplinata da nessuna legge specifica, l’unica legge che in tal senso si avvicina è quella in materia di la regolamentazione economica tra due coniugi separati o divorziati: chi convive con una persona e percepisce un assegno di mantenimento può perdere questo diritto se la nuova persona con cui convive provvede al suo mantenimento. Attualmente la situazione delle coppie di fatto è confusa e i due conviventi rischiano di vedersi negati alcuni diritti fondamentali reciproci come l’assistenza e le decisioni mediche, i permessi di lavoro magari dovuti alla maternità del partner, i diritti riguardanti i figli eventualmente nati dal rapporto, i diritti riguardanti gli immobili (ad esempio quando uno solo dei due è intestatario di un immobile o dell’affitto) e non per ultime l’eredità e la reversibilità della pensione in caso di decesso di uno dei due. Al fine di tutelare le unione naturali, in alcuni Comuni d'Italia è stato istituito il registro delle unioni civili. Per ora non sono molti i comuni che hanno istituito tale registro, il primo caso è di Empoli nel 1993, poi Tarquinia, Milano, Pisa, Voghera e sulla scia della recente proposta di legge dei DICO anche Padova, tuttavia questi registri non sono leggi. Forse che sì, forse che no, le normative non sono ancora arrivate anche per la presenza e l’influenza nel nostro territorio del Vaticano che considera il matrimonio eterosessuale come unica forma di matrimonio e unione accettabile, escludendo a priori qualsiasi altro tipo di convivenza, sia etero che omosessuale, in particolare contro quest’ultimo si scagliano le polemiche ecclesiastiche. Al di fuori dell’Italia, diversi paesi si sono dati una regolamentazione in materia, in Europa molteplici sono le forme adottate. In Svezia già nel 1978 si discuteva di una legge a favore del matrimonio gay, attualmente comunque le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono regolarizzate dal 1994. E’ comunque bene distinguere tra unioni civili eterosessuali, unioni omosessuali e matrimoni omosessuali, infatti i paesi europei hanno al loro interno diverse regolamentazioni per il tipo di “rapporto” che c’è tra i partner. In Francia invece si è optato per l'unione registrata che garantisce specifici diritti e doveri anche, o solo, alle coppie dello stesso sesso, i famosi Pacs. Bene o male quasi tutti i paesi europei si sono dotati di una regolamentazione, mentre Olanda, Belgio e Spagna oltre ad aver approvato il riconoscimento giuridico delle coppie non coniugate di qualunque sesso, hanno aperto il matrimonio alle coppie dello stesso sesso per realizzare la parità perfetta tra etero e omosessuali. Altri Paesi hanno scelto invece di regolarizzare le unioni civili con la coabitazione non registrata, con la quale alcuni diritti e doveri sono automaticamente acquisiti dopo uno specifico periodo di coabitazione (la coabitazione non registrata è valida quasi esclusivamente per le coppie etero non sposate). In Portogallo infine sono state approvate nel 2001 due leggi che hanno disciplinato rispettivamente le situazioni giuridiche dell’economia comune e delle unioni di fatto. Riassumendo possiamo affermare che manca una normativa solo in Italia e pochi altri paesi. E nel resto del mondo? Proseguiamo il nostro viaggio oltre oceano, esattamente negli Stati Uniti dove lo stato del Vermont nel 2000 è stato il primo a rendere legali le unioni civili, assegnando alle coppie gay gli stessi diritti del matrimonio eterosessuale, lo stesso vale anche per il processo di riconoscimento delle coppie. Il panorama americano è un po’ un caso particolare in quanto ogni stato legifera indipendentemente dagli altri stati, l’unico vincolo imposto è quello non andare contro i principi fondamentali della Costituzione. Parlando di coppie dello stesso sesso, il Massachussets è l’unico stato attualmente che prevede matrimoni omosessuali, come pure i cugini Canadesi. Spostandoci più giù, in America Latina troviamo invece leggi in tal senso in Uruguay e Messico. Molto più desolante è invece il panorama in Africa e Asia, nel continente nero solo il Sud Africa nel 2004 ha aperto ai matrimoni omosessuali (da sottolineare che la Corte d’Appello ha definito il matrimonio come “l’unione di due persone” e quindi non per forza di sesso diverso), mentre dall’altra parte troviamo il solo Israele che riconosce come matrimoni di fatto anche le coppie conviventi omosessuali. Va però ricordato che in Israele esistono solo i matrimoni religiosi e non esiste quindi la possibilità di scegliere tra matrimonio civile e religioso come invece si può fare in Italia. La città di Tel Aviv tuttavia, godendo di una particolare autonomia in materia legislativa e riconosce le unioni civili mediante la semplice esibizione del certificato di residenza e di una dichiarazione notarile. Una situazione molto più chiara e aperta si delinea invece dall’altra parte dell’emisfero, in Oceania. Numerosissimi sono gli stati che si sono dotati di una normativa che regola tutti i tipi di unioni civili, in particolare per le coppie gay in Australia c’è anche l'accesso all’adozione dei bambini e alla procreazione medicalmente assistita, mentre nel Nuovo Galles del Sud le coppie di fatto sono riconosciute nelle forze armate e nei fondi pensionistici. Prendere in esame ogni singolo stato sarebbe troppo lungo e di difficile comprensione, per questo abbiamo scelto gli esempi più importanti. Se disegniamo una mappa geografica, si può notare come in linea generale i cosiddetti paesi “occidentali” abbiano già legiferato in merito, sia per quanto riguarda le unioni civili eterosessuali che quelle omosessuali. I paesi più “arretrati” dove magari vige una legge religiosa molto ferrea o un sistema politico autoritario non hanno ancora nessuna regolamentazione né tantomeno sembra si potrà fare a breve, molti di questi paesi mancano addirittura dei più comuni diritti civili, tanto da aver avuto spesso richiami dall’ONU. L’Italia è un po’ un caso particolare dunque, fa parte dei paesi occidentali ma una vera e propria legge ancora non c’è. Ma cerchiamo di spiegare bene la situazione nel nostro paese. Quando un uomo e una donna decidono di metter su casa insieme automaticamente entrano in una delle due categorie previste dalla legge: famiglia di diritto e famiglia di fatto ovvero la famosa “convivenza more uxorio”, possiamo notare quindi che anche in mancanza del matrimonio una situazione giuridica comunque si è venuta a creare. Se essi decidono di sposarsi, il loro rapporto rientra nel novero delle “società naturali fondate sul matrimonio” cioè della famiglia di diritto riconosciuta e tutelata dalla legge (scritta). Altro caso è invece quello dell’unione viene decisa privatamente cioè senza matrimonio, altrettanto automaticamente la coppia rientra nella schiera delle famiglie di fatto ma i rapporti fra i conviventi non sono regolati e tutelati dalla legge. Questa è sostanzialmente la situazione in Italia dove ad oggi le coppie di fatto sono stimate in 500.000, un numero molto consistente. Tra i programmi dell’ultima campagna elettorale dell’attuale governo, c’era per l’appunto la volontà di dare una normativa alle unioni di fatto. Ad inizio anno, una prima timida bozza era stata affidata e presentata alla ministra della Famiglia Rosy Bindi e alla ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini. Il loro lavoro non fu facile, dovevano fare i conti con una società molto cambiata ma senza andare incontro all’ostilità del Vaticano da sempre contrario, ma ancor prima dell’uscita vera e propria del disegno di legge, si innescarono una serie di polemiche infinite tra i pro e i contro. Arrivano dunque i famosi DiCo, una sigla che indica i “DIritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi”. Il testo abbozzato cercava di superare la questione dei Pacs francesi (Patti civili di solidarietà) ai quali i favorevoli si volevano rifare, questi è un contratto tra due persone maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune. La legge italiana punta invece più sui diritti dei conviventi che sul contratto, da qui quindi niente registro delle unioni civili e al suo posto una certificazione anagrafica delle convivenze: i conviventi (coppie non sposate, anche dello stesso sesso) si presenterebbero all'anagrafe fornendo una dichiarazione congiunta che andrebbe ad integrare la scheda anagrafica. Una dichiarazione per certificare che sono legati da vincoli affettivi e dalla quale deriverebbero i loro diritti e doveri reciproci, una volta che la loro convivenza sia considerata stabile. Il criterio che qualifica l’unione civile è imperniato sul sistema di relazioni che vi è all’interno di essa, ossia relazioni sentimentali, assistenziali e di solidarietà, la loro stabilità e volontarietà. Alcuni diritti sono immediatamente validi, ed esempio ciascun convivente può designare l'altro quale suo rappresentante in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e volere, in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie, nei limiti previsti dalle disposizioni vigenti. E la designazione è effettuata mediante atto scritto e autografo; in caso di impossibilità a redigerlo, viene formato un processo verbale alla presenza di tre testimoni, che lo sottoscrivono. Inoltre, in caso di assistenza o visite riservate ai soli familiari, come ad esempio negli ospedali, i conviventi potranno avere il diritto di farlo, questo perché nei peggiori dei casi si è visto negare la sua presenza al convivente da parte dei familiari e non è stato potuto evitare da parte dell'altro convivente ricoverato in quanto in stato di coma. Altri diritti invece vengono assunti solo dopo un certo numero di anni di convivenza, dopo tre anni quelli riguardanti i diritti e le tutele del lavoro mentre dopo nove anni sono riconosciuti i diritti di successione. Ovviamente oltre ai diritti vi sono anche i doveri, il primo in assoluto è quello di prestarsi reciproca assistenza e solidarietà materiale e morale, l’assegno alimentare “per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza” sempre che la convivenza duri da almeno tre anni. Infine la legge prevede anche un effetto retroattivo, i conviventi avranno nove mesi per mettersi in regola. Come ribadito in precedenza, il disegno di legge diede inizio ad un aspro contrasto fatto di polemiche e manifestazioni di piazza (ricordiamo il Family Day) tra il mondo laico e la Santa Romana Chiesa. La CEI ed il suo portavoce ufficiale monsignor Bagnasco, emette una nota il 28 marzo 2007 nella quale i vescovi comunicano molta preoccupazione per le sorti della famiglia, essa si schiera a difesa del matrimonio e della famiglia tradizionale ed è contraria ad ogni ipotesi di regolamentazione pubblica delle unioni di fatto. Il batti e ribatti comincia a riempire le prime pagine dei giornali e gli speciali in prima serata non si contano più, si alternano rappresentanti di ogni schieramento politico e religioso, laici, psicologi e tantissimi altri personaggi del mondo dello spettacolo in genere, ognuno esprime la sua posizione e i suoi ragionamenti. Il governo si trova di fronte ad una situazione molto difficile, al di là del rapporto con la chiesa da salvaguardare, c’è anche la minaccia di una crisi dovuta alle crepe formatesi all’interno della maggioranza, in primis il guardasigilli Mastella che minaccia le dimissioni. Tra le voci a favore di una legge spesso viene citato l’articolo 3 della Costituzione Italiana “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Nell’ambito europeo invece, oltre alla già citata direttiva dell’Europarlamento del 2003, ci si rifà anche alla Carta di Nizza alla quale anche l’Italia ha partecipato votandola e che dovrà diventare la seconda parte della Costituzione europea. In essa si legge che fra i diritti fondamentali degli individui e fra i diritti che non sono cedibili, non ci sono solo quello di sposarsi, ma anche quelli di costituirsi una famiglia, rimandando agli Stati la regolamentazione di questi diritti. In sostanza è compito dello stato eliminare le barriere culturali e sociali affinché il cittadino si senta libero di operare una scelta. Tra le polemiche, i contrari alla legiferazione insorgono sostenendo che non si può giustificare l’estensione e la garanzia di diritti alle coppie di fatto che, non sposandosi, non si assumerebbero davanti allo Stato determinati doveri che invece scaturiscono dal matrimonio. In Italia la difficoltà di emanazione di una legge pare molto difficile, non si tratta solo di riconoscere le coppie di fatto in sé per sé ma anche di riconoscere le coppie di fatto omosessuali. Il problema non è quindi dal solo punto di vista sociale ma anche e soprattutto dal punto di vista culturale, verrebbe riconosciuto e sancito per legge il rapporto tra persone dello stesso sesso. La bagarre è proseguita per diversi mesi e poi pian piano si è spenta, dei DiCo non si parlò più fino a quest’estate quando il presidente della Commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi ha presentato il testo base sulle unioni civili al comitato ristretto della Commissione. Non più DiCo ma “CUS” ovvero i “contratti di unione solidale”. Qual è la differenza tra i due? I CUS dovranno essere stipulati attraverso una dichiarazione congiunta davanti al giudice di pace o a un notaio (non più quindi una certificazione anagrafica) che dovrà però trasmettere le carte al giudice di pace competente per territorio. Sarà cura del giudice di pace trascrivere i "Cus" in un apposito registro. Anche i CUS daranno diritto a una serie di benefici normalmente riservati ai coniugi: l'assistenza sanitaria e penitenziaria, le facilitazioni nei trasferimenti di sede di lavoro, la decisione sulla donazione degli organi e sulle celebrazioni funerarie del convivente. Previsto anche il diritto di successione nel contratto di locazione nel caso di morte del convivente. Per quanto riguarda l’eredità invece, si ha diritto a un quarto del totale se il convivente ha figli o fratelli e sorelle; la metà se ci sono parenti fino al sesto grado e tutta la somma negli altri casi. Il contratto può essere sciolto per comune accordo delle parti, per decisione unilaterale di uno dei due contraenti, per matrimonio di uno dei due contraenti. A oggi l’Italia rimane al punto di partenza e cioè una legge non c’è, che si parli di DiCo o CUS la normativa manca e la proposta di legge ancora non è stata discussa e votata. Riusciranno i nostri organi di governo a legiferare queste agognate unioni civili? ---> continua.

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