(Lampi di pensiero) L’11 novembre, a Bologna, sede del prossimo Pride nazionale del 2008 in occasione dell’anniversario del Cassero, si terrà la seconda riunione degli Stati Generali della comunità GLBTQ italiana, incontro fortemente voluto da alcune persone che si sono adoperate molto perché si facesse questo incontro (ricordo fra queste Imma Battaglia, Gigliola Toniollo e Articolo 3 di Palermo).
Per una serie di ragioni, non credo che potrò partecipare e di questo mi dispiace, ma auspico un lavoro costruttivo ed un confronto proficuo ai partecipanti.Per chi avrà voglia di leggerlo qui sotto presento il mio personale contributo alla discussione.
GLBTQ, ovvero dell’inesistente comunità.Vorrei tornare su alcuni concetti che ho già esposto negli stati generali del 2006.
È ormai un fatto pressoché incontrovertibile che i prossimi governi, per qualche lustro, saranno saldamente ancorati al centro, con egemoni influenze di matrice religiosa (cattolica in particolare). A meno di straordinari fenomeni non prevedibili allo stato dei fatti, non vedremo sbilanciamenti verso i temi che ci sono a cuore e le relative rivendicazioni. Non sono, non saranno e non diventeranno una priorità di governo. E questo è un fatto ineluttabile, come l’alternarsi del giorno e della notte. Forse vi saranno interlocutori politici che faranno da sponda e presteranno orecchie alla nostra voce, ma quali? Le vicende che hanno accompagnato la nascita del Partito Democratico ci devono far riflettere. Alle domande inviate da GayToday ai candidati sui principali temi che ci riguardano hanno risposto solo Adinolfi, Gawronski e Letta. Il tenore era chiaro: scordatevi il nostro appoggio! Veltroni ha preferito rispondere attraverso uno scambio di corrispondenza aperta con persone candidate nelle liste e orbitanti attorno al Gayleft. A parte la fumosità delle risposte, non rispondere ad un’istanza definita con metodo pienamente democratica significa NON RICONOSCERE l’interlocutore. Veltroni è stato chiaro: la comunità GLBT passa per le strutture del suo partito, o NON ESISTE. La Bindi ha glissato completamente il tema.
Tutto il ricco e complesso universo che si pone alla sinistra del PD si sta interrogando sul suo futuro e lì dentro si collocano gli interlocutori che storicamente hanno prestato maggior attenzione alle nostre istanze. Purtroppo, ci vorranno mesi prima che i processi di coagulazione prendano avvio e configurino un nuovo soggetto politico in grado di dialogare a pieno titolo con il PD.
Fatti semplici, che non richiedono complesse interpretazioni.
Di fronte a questo sfacelo dello scenario politico, unico terreno su cui possiamo sperare ci combattere la nostra battaglia, noi ci presentiamo come un’inesistente comunità. Come ho già detto lo scorso anno, sono profondamente convinto che una vera e propria comunità GLBT non esista.
Al massimo e con grande ottimismo, possiamo azzardare a dire che esiste una pluralità di soggetti (comunque porzione minoritaria della popolazione) che ha in comune una o più caratteristiche legate all’orientamento, all’identità di genere o al comportamento sessuale.
Tutto qua e nulla più. Per il resto, la società ci riserva in grande prevalenza RIMOZIONE, IGNORANZA, VIOLENZA, EMARGINAZIONE, DERISIONE. In fin dei conti, che cosa abbiamo da lamentarci? Nell’immaginario siamo single, guadagniamo bene e ce la spassano nel tempo libero come meglio ci piace, soddisfacendo i più depravati istinti sessuali. Ogni tanto c’è chi di noi si spegne, alle volte con il clamore dei media che pescano nel torbido degli ambienti dell’omosessualità, alle volte nella stanza di qualche reparto ospedaliero, in solitudine e senza assistenza. In fin dei conti è un rischio che possiamo correre per una vista spensierata e gioiosa, gaia. No?
I ripetuti tentativi di “avvicinare” la diaspora di associazioni e comitati, finora, hanno avuto solo due volte un effetto positivo e di grande rilevanza politica e mediatica: il world pride del 2000 ed il pride del 2007.
Il primo, frutto di un intuizione “messianica” del quale si è immediatamente sperperato il credito politico ottenuto, ricadendo nella trappola dei paletti di confine. Il secondo, frutto di un lavoro lucido che ha preso le mosse dagli “stati generali” della comunità, sta subendo lo stesso destino: il rischio concreto di perdere il pur poco credito mediatico e politico conquistato.
Lo scorso anno sostenevo la necessità di sfruttare le nuove tecnologie per costruire uno strumento di dibattito e di partecipazione. Ma mi rendo conto che non ci sono le condizioni. Queste cose accadono spontaneamente quando il terreno è pronto perché avvengano.
Quindi ciò che mi sento di dire all’assemblea è di tornare a concentrare parte del lavoro di tutti sull’obbiettivo della costruzione di una comunità nazionale aperta alla società e capace di dialogare con gli interlocutori politici di riferimento, portando istanze che sono frutto della partecipazione e non dell’elaborazione elitaria dei direttivi delle associazioni. Torniamo a lavorare o potenziamo l’impegno della solidarietà fra noi, aiutiamoci, sosteniamoci, lavoriamo insieme. Costruiamo progetti che abbiano un respiro nazionale e che vedano anche la cultura protagonista. Rendiamo patrimonio comune i successi locali e cerchiamo di estenderli altrove, avendo il coraggio e l’umiltà di imparare da chi ha fatto meglio, senza cercare incoronazioni e primati!
Ecco questo è il mio messaggio riassunto in poche parole: costruiamo la comunità lavorando sulla solidarietà, la cultura ed il dialogo. Quando la comunità sarà, sceglierà le forme e i modi con cui essere “rappresentata”.
Buon lavoro!
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