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giovedì 22 novembre 2007

Perché non andrò al pride nazionale di Bologna.

(Elfobruno) La notizia è vecchia, anche se in molti non ne han parlato. Domenica 10 novembre molte associazioni GLBT - la maggioranza, ma non tutte - si sono riunite a Bologna nella sede di Arcigay per parlare della questione del pride nazionale prossimo venturo.

Per i molti che non lo sanno, checche e frociare incluse, in Italia abbiamo una forma di pride che non è stanziale ma itinerante. Un anno si fa a Torino, un altr'anno a Roma, poi a Bologna e così via. La motivazione ufficiale, a sentir i sostenitori di queste forme di nomadismo gay, è quella di sensibilizzare il territorio in cui la manifestazione si svolge. Più territorio sensibilizzi, meglio è per tutti noi. Il che può anche essere vero ma con un distinguo bello grosso.

Che cosa voglio dire?

Mettendo a parte le eventuali allusioni sul "bello grosso" - e mi si perdoni la precisazione, ma questo blog è letto anche da piddini e cattolici - il discrimine sta nel fatto che in tutta Europa la marcia di rivendicazione per i diritti GLBT si fa nelle capitali.

Pride di Berlino, di Parigi, di Mosca (dove hanno mazziato la Vladimir, ricordate?), di Madrid. E così via. Che per i più somari sarebbe pure una buona occasione per imparare un minimo di geografia.

Per il resto, avete mai sentito parlare del pride di Santiago de Campostela o di quello di La Rochelle? Che poi, per carità, sono pure città stupende, ma il centro del potere - in Spagna e in Francia - è nella capitale. Logico a tal punto da sembrare banale.

Poi è vero, ci sono pure i pride locali ed è giusto che ci siano perché hanno proprio la funzione di aprire gli occhi alla cittadinanza di questo o quell'allegro borgo che, purtroppo per qualcuno, non solo la puppanza esiste ma non ha problemi ad ammetterlo (e diciamocela tutta, non è la puppanza in sé che dà fastidio il più delle volte, ma la sua visibilità).

In Italia poi la situazione è doppiamente complicata. Perché a Roma, che è la capitale cari amici dell'Arcigay, non ci stanno solo Napolitano, Prodi e Veltroni. Ci stanno pure i loro padroni, e cioè i Ruini, i Bagnasco (anche se lui a dire il vero è di Genova) e, last but not least, il nemico assoluto, il corrispettivo pradesco della Sorgente per le sorelle Halliwell, il corrispondente con accento teutonico di ciò che Nehellenia fu per Sailor Moon. Lei: la Ratzingeressa!

Fare il pride nazionale a Roma non solo è logico per questioni di pressione politica sul ceto politico - parlo, ovviamente, in teoria visto che dovrei parlare non tanto di classe dirigente quanto di capre con il mitra - ma è doveroso per far capire a quel piccolo cancro che pretende di dominarci (leggasi: Città del Vaticano) che noi non ci stiamo. Che siamo cittadini, che paghiamo le tasse e che contribuiamo come tutti gli altri - e a volte con sacrifici maggiori - al benessere della cittadinanza nella sua interezza.

Per questa ragione chiediamo alla cittadinanza stessa, di cui siamo parte integrante, che cadano determinate discriminazioni. Lo chiediamo alla cittadinanza, appunto, e cioè alla società e allo Stato di cui facciamo parte. Non al clero, non ai politici, a nessuna casta insomma. Con buona pace (ma anche no) di preti, politici leccaculo (scusate il pleonasmo) e fedeli che trovano conforto solo nella recita pedissequa di rosari o di estasi davanti alla madonna di turno ma col denominatore comune che noi persone GLBT si venga relegate, nunc et semper in secula seculorum, al rango di froci.

E per fare questo bisogna portare milioni di persone non a Bologna, a Firenze o a Cinisello Balsamo. Bensì a Roma, anno dopo anno, lavorando TUTTI giorno dopo giorno.

Che poi venga il pride di ogni altra città, Caltanissetta inclusa (per la gioia del mio caro Andrè), questa è cosa buona e giusta. Ma gli stati si conquistano quando si prende la capitale, non quando si fa villeggiatura altrove.

Per queste ragioni, e perché noi siciliani viviamo un po' lontano da tutto il resto del mondo, non penso che io andrò al pride nazionale di Bologna. I soldi che spenderò li spenderò per Roma, perché penso sia più giusto star lì, per dimostrare a tutto il Paese che la strada che porta all'estensione del diritto di cittadinanza passa per Montecitorio e Palazzo Madama. E il più lontano possibile da piazza San Pietro.

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