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giovedì 25 ottobre 2007

L'amore è un destino scritto nei cromosomi.

(Filippo Facci - Il Giornale; nella foto Filippo Facci) Michele Brambilla ha ragione, nelle campagne contro la discriminazione dell’omosessualità c’è rimasto ben poco di choccante: il messaggio è passato, e certa ostentazione del gay nella società ha talvolta le sembianze più di una strategia di marketing che di una campagna civile. Il problema è che negli anfratti più retrivi del nostro centrodestra, a mio personale avviso, permangono delle posture ideologiche che certe campagne continuano a giustificarle. Nello stesso giorno in cui Michele Brambilla faceva osservazioni savie e prudenti, infatti, i giornali riportavano dichiarazioni allucinanti come la seguente di Luca Volontè dell’Udc: «Far credere che le pulsioni omosessuali siano una caratteristica innata, è un atto fuorviante e vergognoso sotto il profilo scientifico e sociale».

Ma fuorviante è solo Volontè, e beninteso sarebbero anche fattacci suoi, e nondimeno dei vari Massimo Polledri (Lega) e Isabella Bertolini (Forza Italia) che sugli stessi giornali intanto biascicavano concetti similari pur di dire qualcosa: il problema è che qualcuno potrebbe pensare che l’opinione di tutto il centrodestra corrisponda a quella. Il nostro bipolarismo infatti è ancora giovane e imperfetto, non è ancora chiaro che in uno stesso schieramento possano convivere idee assai diverse come per esempio accade negli Usa tra i democratici e i repubblicani: da noi il primo che parla rischia di sembrare un portavoce.
Nel caso delle affermazioni di Volontè, peraltro, non si tratta di idee come le tante altre che si possano discutere: sono fantasmi seppelliti dalla Storia, dal liberalismo, dal metodo sperimentale, sono retroguardie di una religiosità retriva e ideologica che non ha nulla che spartire con la pratica cattolica di milioni di italiani. L’Occidente, la scienza, l’Organizzazione mondiale della sanità e la schiacciante maggioranza degli elettori di centrodestra (cattolici compresi) mi risulta che abbiano assodato e accettato, da tempo, che l’omosessuale non sia un malato da curare, e tantomeno un patologico anormale. Mi vergogno persino a doverle ribadire, certe cose.

Mi vergogno che un parlamentare della Repubblica possa negare che l’omosessualità abbia base biologica esattamente come lo pensavano i nazisti e mi vergogno che possano pensare che gli omosessuali debbano curarsi come gli alcolisti anonimi. Mi vergogno che costoro possano spacciare come «scientifici» gli scritti di ex pastori evangelici come Andy Comiskey o quelli di Joseph Nicolosi, recentemente pubblicato in Italia con la postfazione del direttore di Radio Maria. Oh, certo, in Italia c’è la libertà di opinione: ma con la scusa delle libere opinioni, di questo passo, vedremo dibattiti in par condicio anche con chi sostiene che il Sole giri attorno alla Terra, mentre altri ribadiranno che le donne hanno il cervello più piccolo e che i bambini schizofrenici dovremmo riportarli dall’esorcista.

Mi fece immensamente piacere che proprio sul Giornale, tempo fa, Paolo Guzzanti avesse voluto rimettere qualche puntino sulle i proprio su questo tema: gli omosessuali esistono come esistono i mancini, è una questione cromosomica, esistono anche tra gli animali, è un fattore naturale e non psicologico, punto, ripunto e strapunto. Tutto questo è acclarato, e almeno su questo non c’è nessuna discussione da fare, nulla da dimostrare.
Ebbene: certi manifesti della Regione Toscana, col neonato omosessuale in primo piano, non entusiasmano neanche me. I Gay Pride mi sembrano baracconate controproducenti. L’autocompiacimento gay, in certe professioni, mi infastidisce non poco. Ma agli eterni cacciatori di streghe, a coloro ossia che vorrebbero confinare milioni di omosessuali nei ghetti della patologia, auguro che possano patire per almeno tre secondi le sofferenze che gli omosessuali, esattamente come i cristiani, hanno patito per millenni.

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