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giovedì 25 ottobre 2007

C'è porno per te.

(Roberto Brunelli - L'Unità) Abbassa lo sguardo come un cane bastonato.
La telecamera rimane incollata ai suoi occhi. Arrossati e lucidi. A stento l'uomo controlla le lacrime. I figli, così ci hanno spiegato, l'hanno abbandonato. Non gli parlano da anni. Lui li implora, con voce piagnucolosa, spezzata. Dall'altra parte di un separé, un'altra telecamera indugia sui volti dei figli. Imbarazzati. Vestiti a festa, ma come impietriti dal monstrum televisivo che sta vendendo a milioni di persone - dallo studio di «C'è posta per te», Canale 5 - le loro privatissime sofferenze, dove si mischiano sensi di colpa, tradimenti, abbandoni, ferite mai suturate...

(Un lettore ci ha scritto: «Mi mancano i programmi di cinema che non siano presentati da Marzullo. Mi mancano i bei sceneggiati di una volta... i grandi personaggi, alla Walter Chiari»). Contemporaneamente, in uno studio simile - su Rai1 al «Treno dei desideri» - c'è una ragazza africana, colpita da una malattia gravissima, che riabbraccia dopo tanto tempo sua madre, che era rimasta in Africa, mentre lei era in cura qui in Italia, da svariati anni. Lacrime, grida di gioia e sofferenza, singhiozzi strozzati. In lacrime anche la conduttrice, Antonella Clerici, vestita come un confetto rosso. Pure qui la telecamera rimane appiccicata allo sguardo - prima vuoto, impaurito ed interrogativo, poi turbato e scosso - della ragazza, precipitata in un mondo altro che la usa a piacimento del Dio Auditel. («E mi manca una trasmissione di inchieste, dove non si stia tutto il tempo a strepitare... Magari inchieste dal mondo»).

È una forma di pornografia. Laddove nella pornografia classica i dettagli sono di natura anatomica, nel caso dei «programmi di sentimento» i dettagli da mostrare, portare al parossismo ed ingrandire in mezzo ad un luogo virtuale in cui far accadere la realtà, sono di natura emotiva: ripetuti piani ravvicinatissimi di persone che soffrono o hanno sofferto o che soffriranno, e che se va bene, s'imbarazzano, si stravolgono, si turbano, messi all'angolo da un meccanismo - quello mediatico - che li tratta come dei bambini. Qualche volta gioiscono, pur se imprigionati in un format che stabilisce in precedenza quali siano i loro sogni (sogni standard, da catalogo postalmarket), quale il loro immaginario.

Deragliamenti non sono ammessi: sposarsi «in un luogo da favola», avere una casa che pare la fotografia di una telenovela come quelle trasmesse su questi stessi canali, salotti lindi e candidi con grossi cuscinoni color crema sul sofà, camerette rosa fucsia, cucine gialle canarino, riabbracciare parenti lontani. Il messaggio: tu, popolo, sei il tuo stereotipo. Non ti muovi da lì. Immagini ripetute, di puntata a puntata, fino all'ossessione, così come ossessiva è la pornografia «classica». Ma forse una differenza c'è: la pornografia «classica» è meno ipocrita. Non finge di rappresentarci tutti, non finge di essere un soprammobile luccicante del salotto buono, non esibisce la morale unica del buon sentimento che poi viene, però, venduto un tanto al chilo.

(«E mi manca un buon serie sulla musica: perché non fanno una serie sui concerti dal vivo, ogni settimana uno diverso?»). Certo, ci sono varianti. Mentre la Clerici è una specie di rassicurante zia che ti prepara la torta con le fragole, a «C'è posta per te», Maria De Filippi versione Terminator esibisce il piglio autoritario di chi non si limita ad esporre la tua sofferenza, ma ti viene pure a fare la morale: padri e madri, figli e nipoti, di fronte a lei tutti tornano scolaretti messi in punizione dietro la lavagna. C'è del sadomasochismo in tutto ciò: in chi partecipa, in chi conduce, in chi guarda. Ci avevano detto che il varietà del sabato sera doveva essere evasione: ed invece è il totem della sofferenza.

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1 commento:

Uyulala ha detto...

Mi ritrovo al 1000000% d'accordo con quanto scrivi. Una precisazione terminologica: quanto ci propinano in TV non è semplice pornografia, ma vera e propria prostituzione, della peggior specie.