La campagna della Regione Toscana contro la discriminazione sessuale ha suscitato un putiferio. Il neonato ha scritto al polso “homosexual” sulla fascetta in genere usata per il nome. Accanto la didascalia: “l’orientamento sessuale non è una scelta”.
Il livello delle critiche e la tenuta delle accuse degli insorti sono davvero pietosi. E il loro numero è preoccupante. Emerge l’animo di un Paese omofobo, perbenista e affezionato al motto cattoborghese del “si fa ma almeno non si dice”, che è la versione volgare del dichiararsi disposti a concedere per pietà e compassione, ma non a riconoscere un sacrosanto diritto. Che in questo caso sarebbe quello di vivere secondo le proprie preferenze, comprese quelle sessuali, in assenza di danni a terzi.
L’intento della campagna è lodevole. Purtroppo anch’essa rimanda l’immagine di un clima preoccupante. Prima di tutto – questo è evidente – perché in un “mondo migliore” non ci sarebbe bisogno di simili campagne. Ma soprattutto perché, al di là del dibattito sull’origine dell’omosessualità, sembra suggerire che non bisogna prendersela con gli omosessuali perché la loro non è una scelta. E anche se lo fosse?
Speriamo che sia solo una strategia per abbattere il muro resistente di pregiudizi e isteriche condanne contro le scelte diverse delle altre persone, qualunque esse siano. Perché, è necessario e al contempo assurdo ricordare, gli omosessuali non sono né fenomeni da baraccone, né malati da compatire. Sono persone, poco importa di quale inclinazione sessuale. Per rispettare una persona gli chiediamo forse in che modo preferisce fare l’amore?
(Omosessualità, rimane un tabu cattoborghese, E-Polis).
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