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mercoledì 31 ottobre 2007

La questione omosessuale nella Bibbia.

Riflessione di Gianfranco Ravasi* tratto da novena.it Alcune interessanti riflessioni del noto biblista Gianfranco Ravasi su “omosessualità e bibbia” che ci ricordano che “alcuni passi considerati classici sul tema della omosessualità sono da usare con riserva perché l'autore sacro ha di mira prima di tutto la condanna di un altro peccato”. Scopriamo insieme qual è il peccato in questione.
Non tutti i testi della Bibbia che toccano questo e altri problemi sono da assumere letteralmente; bisogna interpretarli alla luce dell'insieme della Rivelazione e della Tradizione per individuare il filo costante del messaggio biblico. Così, alcuni passi considerati classici sul tema della omosessualità sono da usare con riserva perché l'autore sacro ha di mira prima di tutto la condanna di un altro peccato. L'episodio di Lot.

Il testo che ha dato il nome tradizionale alla «sodomia», cioè il capitolo 19 della Genesi, ove alcuni abitanti di Sodoma chiedono a Lot di consegnare loro gli ospiti "angeli" «perché possiamo abusarne»: l'orrore dell'autore sacro e la sua condanna riguardano la violazione della legge sacra dell'ospitalità (qualcosa dì simile si ha in Giudici 19).
Non è escluso anche un riferimento polemico contro l'idolatria cananea che, nei suoi culti della fertilità, conosceva l'omosessualità (leggi Deuteronomio 23,18-19, ove sono di scena i «prostituti sacri», uomini che si prestavano a riti religiosi a sfondo omosessuale-che vengono definiti spregiativamente «cani»). Tuttavia esiste un filo da inseguire all'interno della Bibbia in cui il discorso si fa più diretto ed esplicito (Levitico 18,22; 20,13). Nel libro del Levitico si leggono moniti indiscutibili: «Non avrai relazioni con un maschio come si hanno con una donna: è un abominio...
Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte» . La pena di morte nell'antico Israele aveva anche un valore teologico oltre che giuridico. era in pratica la sanzione della «scomunica» dalla comunità santa.

A questa prospettiva è da rimandare anche un testo paolino (Romani 7,24-32). In una lista di vizi che escludono dal Regno di Dio, l'Apostolo introduce due classi di persone: i malakoi, letteralmente «i teneri, i dolci», cioè gli effeminatì, il partner omosessuale passivo, (1Corinzi 6,9-10) e gli arsenokoitai, vocabolo ignoto, in greco classico ma etimologicamente chiaro, indicante gli omosessuali attivi. A questa linea si può riportare anche la lista di vizi contrari al Vangelo citati in ( Matteo 1,10) appaiono la fornicazione in senso lato, gli arsenokoitai già citati e gli andrapodistai, cioè i sequestratori di ragazzi per pederastia. (Sapienza 13-15) Un'altra coppia di testi merita una particolare attenzione. Nel trattatello di sull'idolatria l'autore, probabilmente un giudeo d'Alessandria d'Egitto che scrive nel 30 a.C., elenca un alfabeto di 22 vizi. Si tratta dì un elenco costruito partendo dalla lettera t, l'ultima dell'alfabeto ebraico, per giungere alla a, la prima, così da indicare simbolicamente le perversioni dell'ordine morale. In questa lista si parla anche della «inversione della generazione».
Idolatria e vizio Non è chiaro a che cosa alluda il sapiente: per alcuni sarebbe in causa l'omosessualità, per altri ogni frustrazione della funzione generatrice. Significativa resta, comunque, la connessione tra idolatria e vizio sessuale. Dalla decadenza religiosa nasce la perversione morale. Ora, la stessa tesi è ribadita da Paolo nel suo famoso ritratto della miseria morale e religiosa dei mondo pagano presente in Romani 1,26-27 Qui, però, è nettamente in questione l'omosessualità: «Le donne hanno cambiato i rapporti naturali in, rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini». Anche qui la degenerazione sessuale è vista come conseguenza della deviazione religiosa. La perdita del senso di Dio fa precipitare nel gorgo del vizio da cui ci può liberare solo la grazia salvatrice. Certo, dobbiamo riconoscere che la Bibbia non considera le implicazioni psicologiche e il groviglio antropologico dell'omosessuale. Il suo giudizio è squisitamente teologico e si ancora - come sempre quando si affronta la questione morale rivelata - alle radici fondamentali della morale dell'alleanza: la relazione col progetto di Dio sull'essere umano creato da Dio «maschio e femmina» (Genesi 1,27).
La tradizione cristiana
E' in questa traiettoria che si pone l'antica tradizione cristiana a partire dalla Didaché, che ammonisce a «non commettere adulterio e ad evitare pederastia e fornicazione», e da san Policarpo (II sec.) che nella sua lettera ai Filìppesi cita 1Corinzi 6,9-10. L'appello, comunque, non si affida a motivazioni filosofiche o di morale naturale (inversione o perversione), ma si basa su ragioni squisitamente religiose e si modella sulle esigenze del Regno di Dio. Tra l'altro non bisogna dimenticare che Paolo, tra i frutti dello Spirito ricevuti dal cristiano nel battesimo, pone anche «il dominio di sé» (Galati 5,23) e il «non soddisfare i desideri della carne» (Romani 6).
Un'annotazione marginale
Nel 1978 veniva pubblicato a Filadelfia un libro: Jonathan loved David. Homosexuality in Biblical times («Gionata amò Davide. L'omosessualità in epoca biblica»), scritto dall'americano Toni Homer. In esso si sosteneva che l'amicizia tra Gionata e Davide era di tipo omosessuale (Samuele 1,26) «La tua amicizia era per me preziosa più che amore di donna»). Il libro, però, è stato demolito da un coro di critiche. Soprattutto si riuscì a dimostrare inequivocabilmente che il verbo usato per indicare questa relazione (ahab) ha in realtà un significato di tipo politico: esprimerebbe piuttosto una coalizione tra il membro di un clan dinastico al potere (Gionata) e un aspirante perseguitato ma con un suo seguito popolare (Davide).

* Testo già edito dall’autore nel 2002 su Famiglia Cristiana.

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