Vade Retro, Arte e omosessualità da von Gloeden a Pierre et Gilles, storia dell'omosessualità, gay, GLBT, religione, omofobia, mostra, Firenze, MIlano, arte, provocazione, Moratti. Ha finalmente aperto la mostra sull'omosessualità ideata da Viola e Sgarbi per Milano e trasferitasi tra mille polemiche a Firenze alla Leopolda.
In attesa di una trasferta per andare a vedere personalmente l'esposizione riceviamo e pubblichiamo un articolo sulla mostra appena inaugurata e che rimarrà a Firenze fino al prossimo 6 gennaio:
(The Queerway) Il tema del rapporto fra arte e sessualità è certamente tra i più intimi, interessanti e originali, nella sua varietà e vastità, ininterrotto com'è, fuori da qualunque geografia, dagli albori delle nostre civiltà al presente più prossimo.
Se poi ci si addentra nel mondo dell'omosessualità il discorso si complica ulteriormente, nella sua dimensione di scontro senza soluzione fra natura e cultura. Nel corso dei secoli si è costruita una "Storia dell'omosessualità" assolutamente falsata, figlia di pregiudizi e stereotipi lontani dalla vera essenza del fenomeno e della sua complessità, infarcita di luoghi comuni e anacronismi fuori da qualunque verità. Così fino ad oggi, ne è un esempio significativo la recente, mostra, trasferita a Firenze da Milano (dove non è mai stata aperta) "Vade Retro. Arte e omosessualità da von Gloeden a Pierre et Gilles", promossa da Vittorio Sgarbi e inizialmente ideata da Alessandro Riva prima dell'arresto, per poi passare al giovane Eugenio Viola.
La mostra, come si sa, era stata promossa dalla giunta comunale Milanese.
Successivamente il sindaco Letizia Moratti, avendo ritenuto che alcune delle opere esposte offendessero sia il tema che il buon gusto (suggerendo, sottilmente e velenosamente, un forte nesso fra omosessualità e pedofilia, nonché peccando di gratuita blasfemia), ne ha chiesto la rimozione. Atto giusto e dovuto, a mio avviso (non discriminare per non essere discriminati), che ha subito scatenato le solite ire del solito Sgarbi che con solita arroganza ha deciso di non inaugurare la mostra "monca", a suo dire, di opere capitali (e questa la dice lunga sull'omofobia del solito Sgarbi, che non perde occasione per utilizzare i termini "culattone" e "lesbica" come offese - andate a vedervi i video su Youtube - ma che poi, con opportunismo tanto sfacciato quanto ridicolo, si erge a paladino dei gay pur di avere un'altra ribalta dalla quale alimentare il proprio culto).
Chi scrive ha avuto modo di vedere la mostra sia a Milano che a Firenze, visionandone i cataloghi (uguali) e leggendone i saggi programmatici contenuti. Sui quali non posso che esprimere piena condivisione, deliri trans-grammaticali dell'on. Luxuria a parte. Peccato che poi, alla prova dei fatti, le buone intenzioni espresse da Sgarbi e Viola siano rimaste tali e la mostra si sia trasformata nel peggior spettacolo di banalità, noia e cattivo gusto mai visto. Una mostra nella quale sono presenti anche (poche) opere pregevoli per attinenza al tema e qualità, di autori, conosciuti e non, che hanno affrontato l'argomento con sensibilità, buon gusto e intelligenza, uno per tutti Giulio Durini, ma che nel suo complesso lasciava trasparire mancanza di passione, fretta e superficialità, con un intento più provocatorio, sottilmente e pericolosamente omofobo, che altro.
Alcuni esempi. I curatori hanno mai saputo che l'ottimo Aron Demetz ha scolpito una scultura molto legata al tema gay, "Mio padre voleva un figlio", che sarebbe stata perfetta per l'occasione, invece della generica, ancorché bellissima, scultura in mostra, sottilmente filo-pedofila, quasi a significare un legame fra omosessualità e pedofilia (pensate poi al buon gusto di Sgarbi che insinua un simile argomento col suo ex braccio destro, e ideatore della mostra, Alessandro Riva agli arresti domiciliari con l'infamante e pesantissima accusa di pedofilia.)?
E che Agostino Arrivabene, del quale sono in mostra due bei dipinti genericamente attinenti al tema, ha dipinto tele molto più esplicitamente legate all'omosessualità: i "Giove e Ganimede", alcuni ritratti, i cicli degli amanti sofferenti, dei "Cercatori di desideri infranti"?
E Brancaleone da Romana, Frongia, Rao, per citarne solo alcuni? Straordinari pittori, ma che c'entrano con l'omosessualità?
Basta un corpo dipinto per essere opera d'arte gay o lesbica?
Ok De Pisis e tutte le solite e straviste icone gay (Mapplethorpe, Tom of Finland, von Gloeden, Weber, Pierre et Gilles, ecc ecc ecc, sai che novità!), ma il resto?
E gli altri artisti, quello davvero gay nel senso più contemporaneo, intimo e profondo del termine, dov'erano? Dimenticati per far spazio allo scandalo ed alla provocazione?
Roba da anni '70!
Chi scrive è, insieme, storico dell'arte, critico militante (nel solco tracciato dallo Sgarbi degli anni '80) e gay. Lo storico dell'arte preferisce voltarsi altrove e pensare alle belle e capitali pubblicazioni in materia di Dominique Fernandez (da Il ratto di Ganimede a A hidden love), trovando la mostra senza particolare interesse, se si esclude qualche raro esempio, Durini appunto, per far spazio alla solita, gratuita dissacrazione, per la quale non occorre scomodarsi ed andare a Milano o Firenze.
Il critico militante rileva come la lezione di Vittorio Sgarbi verso la riscoperta di un concetto d'arte "altro", fatto di bellezza e qualità, in continuità con la nostra storia e le nostre tradizioni, lontano dalla facile provocazione e dalle leggi del mercato, sia stato tradito per sposare in pieno quei modi e quelle scelte tipiche delle sedicenti avanguardie alla moda e da Biennale di Venezia, Basel o Kassel. Ma più ancora stupisce la superficialità delle scelte, con la presenza in mostra di opere scadenti, brutte, poco o nulla attinenti all'intimità del tema prima ancora che provocatorie. Non basta esporre un torso o un nudo, maschile o femminile poco importa, per evocare l'anima di un "sentire" omosessuale.
Così come non possono essere le scelte sessuali degli autori a rappresentare criterio scientifico su cui fondare un progetto. Se così fosse la storia dell'arte sarebbe in continuo cambiamento e ai certificati di autenticità si dovrebbero aggiungere quelli dell'Arcigay, come ai tempi del famigerato "articolo" che ti permetteva l'esonero dal servizio militare.
Queste considerazioni, presenti in catalogo nel bel saggio di Viola, non trovano poi riscontro nella mostra.
Così come le belle parole di Sgarbi stesso incantano e lasciano presagire un percorso diverso, ma finalmente tradito. L'indomani dello scandalo provocato dalla scultura di Paolo Schmidlin (più brutta che provocatoria, soprattutto per chi conosce e ama lo straordinario talento di questo giovane scultore), Vittorio Sgarbi si è giustificato affermando che non s'era accorto che ritraesse papa Benedetto XVI. Eppure in catalogo egli la definisce "dissacratoria", quindi riferita al concetto di "sacro"...
Anche questa è operazione facile e già vista.
Il solito Catellan aveva "travolto" Giovanni Paolo II da un meteorite. Anche allora, era il 2000 a Londra, il mio interrogativo fu il medesimo: facile prendersela con il Papa; ma perché in vece del capo della chiesa cattolica non si è presi di mira i ben più pericolosi ayatollah Khomeini o Khamenei, correndo il rischio, quella sì provocazione coraggiosa e ben più giustificata, di prendersi una condanna a morte in stile Salman Rushdie?
Soprattutto oggi, dopo l'epocale 11 settembre, con l'urgente e drammatica attualità del tema religione-sessualità/omosessualità nella cultura islamica.
No, invece si è preferito percorrere ancora e sempre la strada più semplice e dannosa, quella che dipinge l'omosessualità in stile Gay Pride, anacronistica (non siamo più negli anni '70!), sterilmente provocatoria, stupidamente dissacratoria. Una brutta mostra, di (troppe) brutte opere e (troppo spesso) legate al tema da un debole, debolissimo filo.
Una mostra senza passione e senz'altro senso se non quello di far scandalo e dissacrare. Che noia!
Da gay dichiarato (nel senso che dall'età di quattordici anni non ho mai fatto segreto delle mie inclinazioni sessuali, considerando la mia sessualità una questione normale ma privata, quindi da non nascondere ma nemmeno da ostentare) mi sono sentito profondamente offeso e irritato. Per me essere gay ha sempre significato un essere maschio due volte: primo per la mia natura oggettiva, fisica e secondo per il fatto di amare altri uomini. (Il che non m'ha impedito di allacciare relazioni intense, ma non sessuali, con donne, anzi: posso assicurare che la mia situazione ha favorito i rapporti con l'altro sesso, regalandomi sempre amicizie certamente più durature e profonde di quelle maschili). Credo che i gay nelle mie condizioni siano molti, sempre più e sempre più stanchi che essere dipinti come delle macchiette da Vizietto (senza il genio comico ma umano di Tognazzi e Serrault), sessuomani, morbosi, magari perversi e pervertiti con l'ossessione della dissacrazione a tutti i costi.
L'omosessualità è altro, molto altro.
E', per usare un'espressione abusata, "tormento ed estasi": non solo estasi orgiastica ed amore per l'eccesso, ma anche inquietudine, senso di colpa, solitudine interiore.
Quello della provocazione è uno stereotipo vecchio, buono per ottenere visibilità in tempi ancora bui e agli albori del riconoscimento dell'omosessualità come "diversa normalità". Oggi tali atteggiamenti non fanno altro che mortificare e offendere l'essere gay.
E' il momento di far vedere l'aspetto "normale" della vita quotidiana di tanti single e coppie omosessuali. Lasciando trasparire tutti quei valori veri e duraturi dell'amore gay; aspetti certamente non funzionali a fini mediatici o di comunicazione scandalistica, ma certamente più profondi e autentici.
Un approccio nuovo al tema, che racconti anche e non solo il sesso e l'eccesso, ma l'amore, l'amicizia, la complicità, la gioia e il dolore, la solitudine e l'emarginazione al pari del glamour o del patinato.
Che racconti la realtà, non quello che, per propaganda o amor-di-scoop, si vuol far passare.
Il Papa, ad esempio, non fa altro che praticare il suo mestiere. Che è anche quello, finalmente, di porre dei paletti, al pari di qualunque altro leader religioso. Benedetto XVI è un Papa certamente non dotato delle capacità comunicative del suo predecessore, ma uomo di "verbo", teologo raffinatissimo nei cui scritti le parole, leggere come piume, pesano come macigni.
Un Papa che nella sua prima enciclica esalta il piacere sessuale (orgasmo) come completamento dell'amore, e che scende dalla cattedra per firmare il suo libro sulla vita di Cristo, rinunciando all'infallibilità, anzi sollecitando le critiche e le osservazioni. E che ammette per la prima volta l'uso del profilattico, ancorché all'interno di coppie sposate nelle quali vi possa essere pericolo per la salute del partner. Questo non è poco.
Benedetto, poi, parla solo e sempre di "matrimonio" ("dono della maternità") e si proclama fermamente contrario ad ogni forma di unione alternativa ad esso. Posizione comprensibile dal capo della Chiesa Cattolica e che noi (politici e società civile) non siamo tenuti a condividere ad ogni costo.
Il libero arbitrio ci consente di scegliere: io ho capito di non essere cattolico perché in quei recinti non ci posso stare, ma questo non m'impedisce di apprezzare ed ammirare il pensiero e l'opera di questo grande Papa.
Un Papa, si badi bene, che non è stato eletto casualmente.
L'11 settembre ha segnato un punto di rottura nella storia e la Chiesa ha immediatamente capito questa situazione, scegliendo un Papa "restauratore" dopo il grande comunicatore e "politico" degli anni '80 e '90.
Concludo tornando al tema arte e omosessualità, citando un grande poeta gay, Sandro Penna: "Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune". Nella mostra di Sgarbi e Viola di diversità "diversa" ce n'era ben poca. Ed i guai sono fatalmente arrivati, come auspicato dal poeta.
Alberto Agazzani
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