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venerdì 23 novembre 2007

Stasera Veltroni a 8 e mezzo. Ferrara: Lo strano abbraccio.

(L’Arcitaliano - Panorama) Walter Veltroni voleva Veronica, è arrivato addirittura Silvio. Veltroni voleva un Paese più mite e gentile, voleva la fine dei conflitti insensati e personali, voleva infine un sistema elettorale proporzionale che impedisse l’eccessiva frammentazione del Parlamento: eccolo servito, Silvio Berlusconi molla il coalizionismo ed è disponibile a discutere a mani libere con il suo nuovo Partito della libertà. Adesso al leader del Partito democratico arriva perfino troppa grazia. Ma se avrà fede, si salverà.

Dietro tutta la faccenda dello spariglio berlusconiano c’è un fantasma: la trasfigurazione dell’uomo nero. La chiave della politica italiana, e questo Veltroni lo sa bene, è stata dal 1994 la polarità Berlusconi contro il resto del mondo. In un certo senso, era cominciato tutto prima ancora dell’arrivo in politica di quell’imprenditore milanese non rassegnato all’esproprio, con la fondazione della tv commerciale e il suo rigetto culturale e ideologico. Veltroni aveva sbattuto la faccia, pur procurandosi il prestigio che spetta a tutti i crociati nel mondo dell’intelligenza gauchista, contro il muro opposto dall’audience alle sue campagne per sradicare la pubblicità dai film e, in sostanza, per la distruzione del grande nemico di società, l’amerikano che aveva imposto modelli di intrattenimento e di cultura (qualche volta di sottocultura) così lontani dalle rassicuranti certezze vecchia Europa del modello Rai e partito Rai.
Un paio di referendum nel 1995 avevano seppellito l’ambizione di riportare al monopolismo di stato, assistito dal canone, le serate ordinarie e straordinarie di milioni di italiani. Ora il nemico di società diventa interlocutore di società (e di palazzo).
Come si fa adesso che il Cav. è diventato buono senza aver perso i denti? Come si fa a governare un partito del leader nato sulla scia del berlusconismo, ma anche dell’ulivismo, un partito che avrà i suoi circoli e le sue leggerezze alla Italo Calvino (così dicono), a patto di sapersi divincolare con garbo dalla stretta di un’Unione prodiana morente e di un governo così inconsapevole da festeggiare la perdita della maggioranza in Parlamento? Come si fa ad abitare in un bipolarismo che adesso deve fare i conti con due grandi partiti che convergono verso il centro, uno dei quali è intitolato all’arcinemico di ieri?
Veltroni voleva la bella politica, e quest’immagine di successo era il contraltare “a vocazione maggioritaria” di un teatro di palazzo incupito dallo scontro muro contro muro, un’immagine che funzionava a patto di avere davanti a sé l’eterno conflitto ideologico ereditato dalla fine della Prima repubblica. Ma se adesso quel conflitto si incanala sulla via neobicameralista della trattativa per un sistema in cui c’è spazio per tutti e tutti si sentono meno vincolati alle alleanze, come si fa a riprogrammarsi?
Veltroni ce la può fare. Può evitare la tentazione di mandare tutto a carte quarantotto, come fece Massimo D’Alema quando trasformò la Bicamerale per le riforme costituzionali in un’arma per l’aggiramento del Cav., come al solito con la complicità di Gianfranco Fini, ottenendo in risposta da Berlusconi l’immediato rovesciamento del tavolo. Veltroni può, almeno sulla carta, disfare gradualmente il mito del nemico assoluto e del male assoluto. Quei due, legati dall’amore per l’industria culturale, fatti di tv e di cinema e di libri e di aspirazioni al rapporto ravvicinato con l’opinione popolare, cultori dell’immagine personale e corteggiatori indefessi della donna moderna e del suo ruolo innovatore nei partiti, sembrano costruiti per intendersi. W e il Cav., due sigle fatali per uno strano abbraccio.

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