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lunedì 5 novembre 2007

Ma che fine hanno fatto i Dico?

Erano una «priorità». Dopo un anno sono scomparsi dall'agenda del Parlamento.

(Giacomo Galeazzi - La Stampa) Più che un iter legislativo quello dei Dico sembra una «via crucis» o, più prosaicamente, un gioco dell’oca. Da un anno, la spaccatura fra «teodem» e l’ala più laica del centrosinistra, il braccio di ferro con la Chiesa, l’acceso confronto in Parlamento e nelle piazze, hanno trasformato in un calvario il percorso dei «Diritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi». Una casella avanti e due indietro, luci e ombre da quando il 9 febbraio 2006 la riunione dei leader dell’Unione inserisce nel programma elettorale una frase dove si intendono riconoscere i diritti individuali all’interno delle coppie conviventi anche omosessuali. Ed è subito polemica. La radicale Bonino minaccia di non firmare il programma perché «limitativo», Mastella dichiara che non si sente impegnato sulle unioni di fatto, Margherita e Ds valutano l’accordo un buon compromesso. Su iniziativa del vicepremier Rutelli il provvedimento in preparazione sulle unioni di fatto riguarderà una serie di diritti alle persone, senza equiparazione al matrimonio.

Arcigay denuncia pressioni da parte del presidente della Cei, Ruini, di cui Rutelli viene definito il «portavoce» e indica ai suoi militanti di votare non l’Unione ma quei partiti che si sono dichiarati a favore di un riconoscimento delle coppie conviventi. Alle elezioni politiche del 9 e 10 aprile vengono eletti quattro parlamentari del movimento: Grillini, Luxuria, Titti De Simone alla Camera, Silvestri, fondatore di Arcigay, al Senato. Durante la campagna elettorale il tema del riconoscimento delle coppie di fatto tiene banco nel centrosinistra. Il 17 Giugno 2006 a Torino sfilano 150 mila persone al Pride Nazionale e al corteo il ministro delle Pari opportunità, Barbara Pollastrini, rilancia il riconoscimento delle coppie conviventi.

Il 21 dicembre 2006 in sede di Finanziaria alcuni gruppi parlamentari presentano ordini del giorno per impegnare il governo a predisporre un progetto di legge sulle unioni di fatto entro il 31 gennaio 2007. Le iniziative prendono spunto dall’accantonamento da parte del governo nella legge di bilancio di varie proposte di estensione di benefici fiscali anche per le coppie non sposate. A fine dicembre, al ministro Pollastrini viene affiancata Rosy Bindi: insieme dovranno elaborare il ddl del governo. Gli esperti giuridici del ministero delle pari opportunità propongono un primo testo base dei «Dico». Che rischiano di naufragare ancor prima di essere discussi a Palazzo Chigi. La senatrice Paola Binetti annuncia che se verranno riconosciute le convivenze, i «teodem» voteranno contro.

Così dalla bozza scompare la materia pensionistica e per accedere all’eredità bisogna essere conviventi almeno da 9 anni. 8 febbraio 2007. Nel Consiglio dei Ministri viene discusso e approvato il disegno di legge dei Dico. Nonostante i distinguo, le insofferenze, e le prese di distanza, la maggioranza fa proprio l’articolato. Le due ministre Pollastrini e Bindi si dichiarano soddisfatte dell’accordo raggiunto. Il governo decide che l’iter del provvedimento inizierà al Senato, ma intanto cade sulla politica estera e quando a fine febbraio Prodi si ripresenta per la fiducia afferma: «Sulle unioni di fatto il governo ha presentato un ddl in Parlamento e con questo ha esaurito il suo compito». Il relatore della legge e presidente della commissione Giustizia del Senato, Cesare Salvi, è categorico: «Escludendo il disegno di legge dal suo programma, il governo lo ha indebolito. Adesso in aula si rischia un bagno di sangue».

10 marzo 2007 a Piazza Farnese 50 mila gay manifestano per chiedere all’Unione di mantenere le promesse elettorali. Intanto la Chiesa osteggia con forza i Dico, che sono ritenuti lo strumento per scardinare la famiglia tradizionale. Le associazioni cattoliche con l’aperto sostegno della Cei indicono per il 12 maggio il Family Day. Ad aprile i Dico sembrano ormai defunti. La preparazione del Family Day spinge molti esponenti del governo a dichiarare il loro appoggio alla manifestazione. La Mobilitazione cattolica riempie la piazza del Vicariato, Berlusconi guida l’opposizione a San Giovanni e sembra il colpo mortale ai Dico. Ruini mette in guardia dall’istituire un «piccolo matrimonio», Berlusconi critica il nuovo «matrimonio di serie B». I «teodem» cantano vittoria, Mastella dichiara che il suo partito non voterà mai i Dico in Parlamento. Il 24 maggio alla Conferenza nazionale sulla famiglia organizzata a Firenze, Rosy Bindi apre ad una riformulazione dei Dico.

Il nuovo capo della Chiesa italiana, Angelo Bagnasco, pronuncia la più dura condanna dei Dico, che quindi fanno un notevole balzo indietro. Parole pesanti come pietre, che infiammano il confronto: «Se l’unico criterio diventa quello dell’opinione generale perché dire no, oggi, a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell’incesto o della pedofilia tra persone consenzienti?». Il 31 maggio il cardinale di Bologna, Carlo Caffarra, rincara la dose: «I Dico sono un grave rischio per la società civile». 5 giugno, viene istituito un comitato ristretto della Commissione Giustizia del Senato per elaborare un testo unitario. Per la Pollastrini è la speranza che i Dico non sono ancora affossati. Si decide di valutare insieme i dieci disegni di legge presentati. 16 giugno.

Il Roma Pride è la «risposta laica al Family Day», spiega il presidente dell’Arcigay, Aurelio Mancuso. Il 12 luglio Salvi cambia i Dico in Cus (Contratti di unione solidale), possibili per persone anche dello stesso sesso. Dovranno essere stipulati attraverso una dichiarazione congiunta davanti al giudice di pace o a un notaio. La Commissione avvia una serie di audizioni. Il 18 luglio il movimento gay dà il via libera ai Cus. L’estate trascorre senza novità fino a fine settembre. Entro il 12 novembre, i gruppi possono presentare emendamenti al testo concordato nel Comitato ristretto. Poi inizierà la discussione nella plenaria della commissione. Se si arriverà ad un accordo, la discussione in aula potrebbe cominciare a febbraio al Senato.

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