(Italiano dentro blog) Il volto di Ernesto “Che” Guevara è sempre di moda. Resta il più glorificato, in Italia e nel mondo. Girando a caso sui blog dei sinistri e leggendo i vari post, si nota sempre una cosa. Qualsiasi sia l'argomento trattato nella maggior parte dei casi, di fianco al post viene sempre messa una foto del Che. Quasi sia un bollo papale atto a giustificare e sostenere le immani falsità “arringate” il più delle volte dal sinistro di turno.
Spesso, ovunque il suo nome lo si vede associato a Gandhi e Martin Luther King, insomma a grandi personaggi che facevano della non violenza il loro motto.
Più realisticamente, così descrive il personaggio uno scrittore cubano-americano, Humberto Fontova: «Guevara mi sembra una combinazione fra Beria e Himmler». Un altro scrittore americano, Anthony Daniels dice: «La differenza fra Guevara e Pol Pot era che il primo non aveva studiato a Parigi».
In effetti, raramente le biografie che lo riguardano mettono in evidenza il fine ultimo del suo pensiero, la creazione dei primi quattro lager di Cuba, dove sono stati massacrati, nei modi più crudeli, centinaia di innocenti. Tuttavia, debbo dire che prima della rivoluzione castrista egli fu un uomo attento ai veri bisogni della popolazione, portavoce dei più deboli, ma con la vittoria della ribellione, tutto ciò si tradusse in spietate violenze contro i dissidenti politici e non. Biografi di regime rivoltano la frittata sostenendo che il “Che” sarebbe stato “usato” da altri responsabili del partito comunista cubano per compiere quegli efferati delitti, ma mentono: il più sanguinario fu lui, protagonista della più “moderna” e della più “avanzata” rivoluzione marxista.
Con la fuga del dittatore Fulgencio Batista e la vittoria di Fidel Castro, nel 1959, il Comandante militare che aveva condotto alla vittoria la rivoluzione, Ernesto “Che” Guevara, ricevette l’incarico provvisorio di Procuratore militare. Suo compito è far fuori le resistenze alla rivoluzione.
Nel 1960 il neo procuratore Guevara illustra a Fidel e applica un “Piano generale del carcere”, definendone anche la specializzazione. Tra questi, ci sono quelli dedicati ad attori, ballerini, artisti, anche se hanno partecipato alla rivoluzione. Non sono ritenuti “affidabili”.
Pochi mesi dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il primo “Campo di lavoro correzionale”, ossia di lavoro forzato. È sempre il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza nella penisola di Guanaha. Poi, ancora quand’era ministro di Castro, approntò e riempì fino all’orlo quattro lager: oltre a Guanaha, dove trovarono la morte migliaia di avversari, quello di Arco Iris, di Nueva Vida (per adolescenti) e di Capitolo, nella zona di Palos, destinato ai bambini sotto ai dieci anni, figli degli oppositori a loro volta incarcerati e uccisi, a volte “rieducati” dal comunismo. Già, rieducati da carcerieri pedofili, autorizzati a compiere gli abusi più barbari dal loro ispiratore. Proprio così. Nessuno infatti è a conoscenza delle violenze che si commettevano in quelle fogne carcerarie, dove i minori venivano orrendamente seviziati dai loro aguzzini.
È Guevara a decidere della vita e della morte; può graziare e condannare senza processo. Un dettagliato regolamento elaborato puntigliosamente dal medico argentino fissa le punizioni corporali per i dissidenti recidivi e “pericolosi” incarcerati: salire le scale delle varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l’erba con i denti; essere impiegati nudi nelle “quadrillas” di lavori agricoli; venire immersi nei pozzi neri. Sono solo alcune delle sevizie da lui progettate e scrupolosamente applicate.
Il “Che” guiderà la stagione del “terrorismo rosso” fino al 1962, quando l’incarico sarà assunto da altri, tra cui il fratello di Fidel, Raul Castro, che andrà fino in Romania, per un viaggio di aggiornamento, per vedere come si annientano i dissidenti.
Ma vediamo in dettaglio il genio organizzativo del "Che".
Il carcere “Tres Racios de Oriente” include celle soffocanti larghe appena un metro, alte 1,8 e lunghe 10 metri, chiamate “gavetas”. La prigione di Santiago “Nueva Vida” ospita 500 adolescenti da rieducare. Quella “Palos”, bambini di dieci anni; quella “Nueva Carceral de la Habana del Est” ospita omosessuali dichiarati o sospettati in base a semplici delazioni. Gli omosessuali in quanto tali vengono ammazzati solo perché non corrispondono ai canoni machisti del nuovo prototipo rivoluzionario. Ne parla il film su Reinaldo Arenas “Prima che sia notte”, uscito nel 2000. Qui devo aprire una parentesi. Dalle pagine del suo libro “Otra vez el mar”, si può cogliere meglio la mancanza di libertà cui erano soggetti i cubani l’indomani della vittoria castrista .Egli infatti militando da giovane nelle truppe castriste, assistette ben presto al disvelamento ideologico del regime, e al crescere della ferocia castrista. Malgrado ciò egli non prese le distanze dal regime per ragioni puramente politiche, avvenne invece il contrario, fu il regime ad allontanarsi da Arenas in quanto omosessuale e scrittore che non esitava a descrivere la realtà del tempo. Accuse molto gravi per il neonato governo che lo rinchiuse in carcere dove Reinaldo scontò una lunga e faticosa pena. Dopo poco tempo il dissidente fuggì dall’isola di “Alcatraz”, scoprendo uno stato d’animo proprio degli individui costretti ad abbandonare la propria terra natale, e un’orrenda realtà, quella di non poter mai più ritrovare l’amata patria. Chiusa parentesi. Anni dopo, alcuni dissidenti scappati negli Usa descriveranno le condizioni sconvolgenti riservate ai “corrigendi”, costretti a vivere in celle di 6 metri per 5 con 22 brandine sovrapposte, in tutto 42 persone in una cella.
Il “Che” lavora con strategia rivolta al futuro Stato dittatoriale. Nel corso dei due anni passati come responsabile della Seguridad del Estado, parecchie migliaia di persone hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era artefice massimo del sistema segregazionista dell’isola. Il “Che”, soprannominato “il macellaio del carcere-mattatoio di La Cabana”, si opporrà sempre con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei “criminali di guerra” (in realtà semplici oppositori politici) che pure veniva richiesta da diversi comunisti cubani. Fidel lo ringrazia pubblicamente con calore per la sua opera repressiva, generalizzando ancor più i metodi.
Secondo Amnesty International, più di 100.000 cubani sono stati deportati nei campi di lavoro cubani; sono state assassinate circa 17.000 mila persone (accertate), più dei desaparecidos del regime cileno di Augusto Pinochet, equivalente a quelli dei militari argentini.
In conclusione, mi rivolgo ai sinistri, non basta apporre sigilli ai post, indossare magliette con il volto sacro del Che, inneggiare agli slogan sull’ uomo irsuto, berciare alzando il pugno “10-100-1000 Nassirya”, non basta questo, necessita piuttosto tanta informazione, di cui, penso, i sinistri siano sprovvisti, visto che ormai il fatto di essere comunisti e sventolare i vessilli del Che si è convertito in una tendenza del momento cui si deve andare dietro, pena la non appartenenza al gruppo.
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