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venerdì 2 novembre 2007

Antonio Di Pietro: Il coraggio di dire "ho sbagliato".

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Quo vadis, Tonino?
di Marco Travaglio L'Unità.

Premesso che in Italia le commissioni parlamentari d’inchiesta sono enti inutili, anzi dannosi, non essendo mai servite a nulla, se non a produrre «verità» di maggioranza e di minoranza (cioè balle di partito), a insabbiare le colpe dei nemici e a esaltare i meriti degli amici, a confondere le idee anche a quei pochi che pensano di averle chiare, qualcuno dovrebbe difendere Di Pietro da Di Pietro. Come spesso gli accade da 15 anni, cioè da quando è sotto i riflettori, Tonino è in preda a un cupio dissolvi autodistruttivo che lo porta ad allontanare da sè i migliori che gli stanno vicino per asserragliarsi nel suo super-ego con pochi yesmen che gli danno sempre ragione. Il No alla commissione sul G-8, in sé, non è nulla di scandaloso. Sebbene prevista dal programma dell’Unione (pag. 77), l’inchiesta parlamentare non avrebbe portato a nulla, a parte il solito volar di stracci. Diciamoci la verità: a parte la sinistra «radicale», la commissione non la voleva nessuno. Se il centrosinistra non osa urtare nemmeno Pollari e Pompa, anzi li copre di prebende, figurarsi se ha il coraggio di mettersi contro la squadra di Gianni De Gennaro, ex capo della Polizia ora capogabinetto del ministro Amato.
Cos’è che non va, allora, nel No di Di Pietro? Il fatto che sia arrivato a sorpresa, non annunciato e non spiegato. E a braccetto con la Cdl. E per giunta in tandem con Mastella. Intendiamoci: gli inciuci con i berluscones li fanno più o meno tutti, nel centrosinistra. Ma Di Pietro non può permettersene neppure il sospetto: i suoi elettori non lo tollerano. Il fatto poi di ritrovarsi sullo stesso fronte di Mastella, attualmente è peggio che votare con Berlusconi. Ed è la seconda volta in sette giorni. Una settimana fa i due litiganti avevan affondato la maggioranza sulla società Ponte sullo stretto, meritandosi il plauso di Cuffaro (Totò aveva elogiato Tonino chiamandolo «uomo d’onore», ritenendololo un gran complimento). Anche su quella questione, è possibile che Di Pietro abbia le sue ragioni: dice che sciogliere subito la società comporterebbe uno spreco di 500 miliardi, mentre la soluzione che ha in mente lui costerebbe un decimo. Ma allora bisogna spiegare tutto e bene, possibilmente prima che la gente si trovi dinanzi al fatto compiuto. E magari prima di perdere per strada uno dei fiori all’occhiello, Franca Rame, ucita dal gruppo Idv proprio per la faccenda del ponte. Chi non frequenta il blog del ministro, cioè quasi tutti, non ci ha capito nulla. E i mezzi per spiegare non gli mancano, visto che è sempre in tv e sui giornali. Invece il No sul G-8 s’è capito benissimo. Ma era meglio se non si capiva.
In due interviste al Giornale e alla Stampa, Di Pietro non dice quel che sarebbe ragionevole: la commissione si sarebbe trascinata per anni in inutili scambi di accuse e ricatti senza cavare un ragno dal buco, ed è molto meglio lasciar lavorare i tribunali. No, dice una monumentale sciocchezza: «Questa indagine ha senso solo se viene compiuta a 360 gradi e riguarda sia i comportamenti dei manifestanti che quelli dei poliziotti. La sinistra massimalista vuole indagare esclusivamente sui poliziotti e un partito della legalità come l’Idv non può accettare una legalità a metà». Ma le commissioni parlamentari devono occuparsi delle deviazioni delle istituzioni, non di quelle dei cittadini comuni. Se un black-bloc spacca una vetrina, viene processato per aver spaccato la vetrina, ma la cosa è piuttosto normale: è il loro mestiere. Se un poliziotto fracassa il cranio a uno studente che dorme, e altre centinaia di agenti fanno altrettanto, c’è un problema nella polizia e ha senso che il Parlamento s’interroghi. Perché il mestiere della polizia non è quello di spaccare crani di giovani dormienti, ma quello di prendere i black-bloc. Se valesse l’assurda par condicio tra black-bloc e agenti, a quando una commissione sui topi d’appartamento e i palpeggiatori da tram?
Fino a un mese fa Di Pietro andava a gonfie vele. È uno dei migliori ministri del governo, senz’altro il più popolare. Sulle nuove leggi vergogna non ha sbagliato un colpo, opponendosi all’indulto e (più tardivamente) alla legge-bavaglio di Mastella. Complici l’asse con Grillo e la solidarietà a De Magistris, i sondaggi danno il suo partito come l’unico in crescita nell’ Unione. E, col ripristino del falso in bilancio e la modifica della Cirielli, ha vinto un’altra battaglia. E allora perché si agita? Perché dà l’impressione di smarcarsi dal governo proprio quando il governo, finalmente, dà ragione a lui? Ci fa sapere?

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Caro Travaglio,
la sua rubrica su l’Unità di ieri a me dedicata dal titolo «Quo vadis, Tonino» mi ha fatto molto riflettere. Potrei sostenere con mille presumibili buone ragioni la posizione presa da me e dall'Italia dei Valori in merito al nostro voto sulla società Ponte sullo Stretto di Messina (ponte che, sia chiaro, nemmeno io voglio fare né sto facendo fare) e più ancora sulla istituzione di una Commissione d'inchiesta sul G8 di Genova (che condividiamo, purchè ad essa non vengano attribuiti anche poteri giudiziari che dovrebbero spettare solo ai giudici e purchè si stabilisca che si deve occupare non solo di valutare i misfatti commessi dalla Polizia, ma anche quelli commessi dai black bloc e soprattutto dai loro mandanti politici). Commissione che lei stesso annovera tra quelle che definisce «...enti inutili, anzi dannosi, non essendo mai servite a nulla se non a produrre verità di maggioranza e di minoranza, cioè balle di partito, a insabbiare le colpe dei nemici e ad esaltare i meriti degli amici, a confondere le idee anche a quei pochi che pensano di averle chiare...» (Mitrokhin e Telecom Serbia docent!).
Presumibili buone ragioni che chi ha voglia di valutarle può leggerle sul mio blog www.antoniodipietro.it.
Ma il punto è un altro e lei l'ha giustamente centrato (forse rovinandomi la digestione, ma certamente aprendomi gli occhi e di questo la ringrazio): io ed il mio partito ci siamo ritrovati di fatto allineati sulle stesse posizioni del partito di Berlusconi e di quello di Mastella. So nel mio intimo che non è questo quello che volevo e voglio (e mi scuso con gli elettori per l'imbarazzo creato). Ma purtroppo questo è il messaggio che è passato e la colpa, devo ammetterlo, non è solo delle strumentalizzazioni altrui (che peraltro ci sono state e ci sono a iosa) ma anche mia.
Ho sbagliato nel comunicare male e tardi quelle che io ritengo essere - forse sbagliando ma certamente in buona fede - le mie «buone ragioni di merito». Ho sbagliato soprattutto nel non essere riuscito a trovare una soluzione politica nell'ambito della coalizione su materie che - con il dialogo e la reciproca comprensione - potevano trovare una giusta soluzione (per esempio, intervenendo sulla stesura del testo della legge istitutiva della Commissione di inchiesta, in modo da assicurare che essa non debordasse in un «processo» ai processi giudiziari in corso e che fossero stabiliti precisi paletti e garanzie di funzionamento).
È vero anche che nemmeno gli «altri» della coalizione hanno voluto far nulla per trovare un punto di mediazione, ma il loro errore non annulla il mio.
Una cosa è certa, però e di questo la ringrazio di averne dato atto: in materia di politica giudiziaria, l'Italia dei Valori sta facendo il proprio dovere, tanto è vero che siamo riusciti da ultimo a far inserire nel «pacchetto sicurezza» importanti norme quali il ripristino del reato di falso in bilancio e le eliminazione della legge ex-Cirielli sulla prescrizione.
Vorrei continuare in questa direzione e quindi rispondo alla sua domanda «Quo vadis, Tonino?» nell'unico modo possibile: vado diritto per la mia strada, ma - d'ora in poi - con più attenzione ai compagni di viaggio.

Antonio Di Pietro


Non capita tutti i giorni che un ministro risponda alle critiche di un giornale. E non capita quasi mai che lo faccia per dire «ho sbagliato». Da cittadino, gliene sono grato. E credo che gliene siano grati anche i lettori e gli elettori.

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