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giovedì 15 novembre 2007

"Rospi acidi e baci con la lingua": intervista a Cristiano Armati.

Rospi acidi e baci con la lingua(Booksblog) Cristiano Armati, descriviamo in cinque parole il tuo ultimo romanzo, “Rospi acidi e baci con la lingua” (Coniglio Editore, 153 pagg.) Comincio io: romanzo di formazione senza formazione.

Romanzo di formazione al termine del quale il protagonista non trova il suo posto nel mondo. Sono sedici: se era un gioco, hai vinto tu.

Saltata la sintesi, tanto vale darsi all’analisi. “Rospi acidi e baci con la lingua” è la storia di un uomo, Cappa, che non si sente a casa in nessun luogo. Un gigantesco rospo gli predice il futuro, inducendolo a un viaggio fatto di droga e sesso tra Londra, Parigi, Manchester e Catena, immaginario paese all’ombra di Roma. Si alternano avventure bizzarre a personaggi surreali, il grande Amore al compimento escatologico della profezia del rospo.

Per caso Cappa è Cristiano Armati?
È un me stesso più sfaccettato e versatile. Al valore delle mie esperienze dirette somma esperienze mediate da altre vite e altri racconti, alla ricerca di una dimensione letteraria che rappresenti il vero. Se penso a Flaubert – a quando diceva “Madame Bovary c’est moi” – mi viene da semplificare dicendo che sì… alla fine Cappa sono io.

Evochi Madame Bovary, che è il simbolo universale della ricerca infruttuosa del proprio posto nel mondo…
Non solo: Madame Bovary è anche il simbolo di un certo arrivismo, stimolato dalle tante illusioni offerte dalla società del capitale.

Non somiglia un po’ al tuo Cappa?
Direi che, come Cappa, è un personaggio più vero di tante persone che nella vita di ogni giorno si trascinano come fantasmi, incapaci di lasciare una traccia del loro passaggio su questa terra.

Perciò, se Flaubert è Madame Bovary, Madame Bovary è come Cappa, Cappa sei tu… Per la proprietà transitiva dovresti somigliare a Flaubert.
Lo prendo come un complimento clamoroso. Ma non c’è dubbio che, se proprio dovessi tracciare una mappa delle mie preferenze letterarie, Flaubert comparirebbe come uno dei campioni del realismo sociale, genere al quale anche io mi sento di appartenere.

Quando scrivi ti lasci influenzare dal linguaggio cinematografico?
Sinceramente il cinema gioca un ruolo abbastanza marginale nel mio immaginario.

Te lo chiedo perché il rospo gigante che predice il futuro al protagonista di “Rospi acidi” mi ha ricordato il coniglio di “Donnie Darko”.
Il rospo di “Rospi acidi” non sa nulla del coniglio di “Donnie Darko”. Se proprio bisogna trovare un parentela, si può ricercarla in una certa subcultura ribelle e lisergica che, a partire dagli anni ’60, ha seguito una strada tortuosa e sotterranea che l’ha condotta fino alla contemporaneità.

A proposito di rospi acidi: hai mai leccato il leggendario “bufo alvarius”?
Per baciare una donna non serve necessariamente conoscere il suo nome o sapere da quale paese viene… figuriamoci per leccare un rospo! Il bufo alvarius è senz’altro più comune nel deserto di Sonora che nelle macchie ancora non cementificate che resistono a nord di Roma. Ma non è un buon motivo per convincersi di essere nati nel posto sbagliato senza fare nulla per provare a cambiare la propria condizione.

Stai svicolando. Sì o no?
Diciamo che i “Rospi acidi” si trovano anche sul greto del Tevere, questo è sicuro.

Le saghe vanno di moda. Pensi che ritroveremo ancora Cappa, dopo “Rospi acidi e baci con la lingua”?
Cappa come Harry Potter, dunque… effettivamente è così. Nelle mie intenzione, a Cappa sarà dedicata una trilogia. Il prossimo romanzo che lo vede protagonista si intitola (provvisoriamente) “Il lamento di Valle Spaccata”.

E il terzo?
Be’, avrà un titolo così forte che per il momento preferisco non anticipare.

Dài, anticipa.
A tempo debito lo rivelerò sul mio blog: www.armati.splinder.com.

Un’ultima domanda. I tuoi libri più venduti - “Roma criminale” e “Italia criminale”, entrambi editi da Newton & Compton - sono ‘true crime’, storie di cronaca tragicamente reale. Scrivere fiction è diverso dallo scrivere cronaca?
Se non si seguono schemi prestabiliti e non si paga pegno a una malsana idea di “scrittura posata e obbiettiva”, la differenza tra cronaca e fiction è molto meno evidente di quanto si possa pensare: la bellezza o la bruttezza di un’opera narrativa non passa certo per questo tipo di classificazioni. Che poi queste classificazioni esistano effettivamente all’interno delle logiche del mercato editoriale è tutto un altro discorso. Un discorso con cui, sinceramente, l’autore ha poco a che fare.

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