banda http://blografando.splinder.com

martedì 20 novembre 2007

La libertà dei gay.

(Cadavrexquis) Racconterò qualche aneddoto, senza fare nomi e in modo che le mie "fonti" non siano riconoscibili, ma sono certo che chi mi legge potrebbe raccontarne molti di più, di tenore simile. Se li racconto è perché sono tipici ed esemplari. Se li racconto è perché m'interessa il loro valore "politico" universale, al di là della vicenda singola. Mi si permetta quindi di restare nel vago.

Tizio fa un viaggio di lavoro e, durante la sua permanenza all'estero, conosce Caio che lavora nello stesso settore e che, a suo giudizio, è indubbiamente frocio. Eppure Caio allieta i suoi colleghi parlando della sua ex-fidanzata e dei doni con cui l'ha ricoperta. Quando Tizio mi racconta di Caio e me ne mostra le fotografie a me sembra di riconoscerlo: non è forse lo stesso Caio che conosceva - anche in senso biblico - il mio amico Sempronio? Gliene chiedo conferma e, ebbene sì, è proprio lui. Tizio ci aveva visto bene: Caio è assolutamente gay. Perché dunque blaterare di un'improbabile fidanzata? O se, in un suo passato remoto, davvero c'è stata una fidanzata, perché parlare solo di quella e non, per esempio, anche dei fidanzati dello stesso sesso che ha avuto dopo? Perché questa memoria selettiva, questa ricerca di un pedigree di regolarità sessuale?

Caio mi ricorda un collega con cui lavoravo anni fa, in aeroporto. Come Caio a Tizio, lui a me pareva davvero l'epitome di una certa frociaggine, eppure - nei tempi morti del lavoro - amava raccontare alle colleghe delle sue ex-fidanzate. Rammento, per esempio, che una volta parlò di un'ex-fidanzata coreana o giapponese, non so più. Io lo guardavo con aria dubbiosa, ma sempre pronto a ritirare i miei pregiudizi: forse era soltanto effeminato ed ero io, invece, la vittima di un pregiudizio omofobico interiorizzato per cui l'omosessuale sarebbe, sempre e per forza, un po' una donnicciola. Tempo dopo - quando ormai non lavoravo più in quel posto - l'ho ritrovato in una discoteca gay e anche di recente, forse un anno fa, in un cruising club: quelli con cui si gingillava non erano clitoridi sovradimensionati e su questo, stavolta, non credo di sbagliarmi.

Un amico mi parla di un suo amico, che io non conosco personalmente e che è gay. Lo è senza ombra di dubbio: sono stati anche in vacanza insieme e costui non si è affatto risparmiato nella ricerca di avventure sessuali. Credo che abbia avuto anche una storia con un altro ragazzo straniero. Eppure, mi dice il mio amico, quando lui - che è molto esplicito riguardo alla propria omosessualità - osa anche solo pronunciare la parola "gay" in presenza dell'altro, quest'ultimo si guarda attorno con fare circospetto e lo zittisce. Nessuno sa nulla di lui - crede lui. Eppure è uno di quelli che "invidia" gli altri paesi perché sono più progrediti di noi e nessuno si fa problemi: "Eh, a Sydney sì che sono avanti, non qui in Italia!" pare che abbia detto con un sospiro.

Qualcun altro mi racconta che un suo fidanzato, dovendo salire un attimo nella casa che condivide con un compagno d'università, l'ha fatto aspettare dabbasso - praticamente facendogli fare il "palo" -, perché aveva paura che il suo coinquilino, vedendolo insieme con lui, capisse che è gay. E questo "qualcun altro" non è né particolarmente effeminato né particolarmente "tipico".

Perché, dunque, riportare qui tutte queste storie - così stupide, così banali, così trite e ritrite, viste e sentite migliaia di volte, senza nemmeno il pregio dell'originalità? Perché secondo me se ne può trarre un insegnamento. Che è questo: non importa quanti progressi si possano fare in un paese rispetto alla "questione omosessuale" - e rispetto ai diritti civili dei gay -, questi progressi conteranno ben poco se non si farà prima il progresso fondamentale, che deve compiersi innanzitutto all'interno di ogni singola persona omosessuale e che consiste nell'onestà e nella capacità di guardarsi in faccia e di non nascondersi agli occhi del mondo. La libertà non cala dall'alto, ma se anche viene calata dall'alto - come una gentile concessione del principe - non serve poi a molto quando i destinatari non sono in grado di accoglierla in modo adeguato perché si vergognano di quello che sono e si avvolgono nel silenzio come in una pesante coperta o, addirittura, s'inventano un'altra identità. Nessun progresso sociale, civile e politico servirà a molto se non c'è chi è disposto a rivendicarlo e a difenderlo, rivendicando e difendendo la propria identità. Soprattutto quando può farlo e nulla glielo impedisce, come è il caso degli esempi citati sopra: tutti gay che lavorano e vivono da soli in una città come Milano. E' faticoso, certo, ma la libertà è innanzitutto una predisposizione interiore. Nessuno può sostituirsi alla singola persona gay, nessuno può fare questo lavoro al suo posto. I progressi civili, sociali e politici servono - e servono molto - ma da soli non bastano se non c'è un cambiamento all'interno della coscienza delle singole persone interessate.

Mi sembra di ricordare - ma vorrei che fosse un'allucinazione - che ai tempi delle prime discussioni sui Pacs e sulle Unioni civili, qualche anno fa, qualcuno aveva proposto o suggerito che le "pubblicazioni", che solitamente precedono tutti i matrimoni, potessero essere fatte in maniera "riservata", cioè non rivelando i nomi dei "pacsandi", per proteggere la privacy di coloro che non avessero voluto rendere nota la loro omosessualità. Io rimasi sconcertato: non si può rivendicare un diritto e la difesa di una libertà se allo stesso tempo non se ne sostiene anche il peso. Un riconoscimento pubblico di un legame affettivo implica, di necessità, anche una responsabilità pubblica, e la prima responsabilità è quella di non nascondere ciò che si è. Ed è solo chi è saldo nella consapevolezza dei propri diritti - ed è saldo perché sa chi è, perché sa che ciò che è è perfettamente buono e naturale - non sarà disposto a farseli strappare se un giorno dovesse mutare il vento.

Sphere: Related Content

Nessun commento: