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martedì 20 novembre 2007

Il dramma gay di Kushner che ha scandalizzato gli Usa: Il sesso degli angeli.

(Silvia Francia - La Stampa) L’amore e la solitudine ai tempi dell’Aids, tra Shakespeare e la telenovela, in un testo segnato dal successo quanto dallo scalpore.
E’ «Angels in America. Fantasia gay su temi nazionali» – parte prima: «Si avvicina il millennio» di Tony Kushner, nell’allestimento di Teatridithalia - Ert/Emilia Romagna Teatro ad aprire la stagione dello Stabile torinese, fuori dal comparto internazionale dell’Ute Fest.

L’allestimento, diretto da Ferdinando Bruni e Elio De Capitani, è in scena alle Fonderie Limone di Moncalieri da questa sera sino a sabato 25, alle 20,45, nell’interpretazione dello stesso De Capitani, affiancato da Ida Marinelli, Elena RussoArman, Cristina Crippa, Cristian Maria Giammarini, Edoardo Ribatto, Fabrizio Matteini e Umberto Pertanca.

Bruni e De Capitani rinnovano il loro sodalizio registico allestendo questo best-seller del teatro americano, questa saga dura, provocatoria e commovente ambientata negli Usa anni ’80 e articolata in due parti: «Si avvicina il millennio» e «Perestroika». La prima parte ha debuttato nella primavera scorsa al Teatro delle Passioni di Modena, mentre la seconda inaugurerà il Puccini nel maggio prossimo. Un bell’impegno, affrontare l’epopea di Kushner, che ha fatto incetta di premi oltreoceano: il Pulitzer nel 1993, poi diversi Tony Awards, 5 Golden Globe e 11 statuette agli Emmy Awards per l’edizione televisiva con un cast di mostri sacri, da Al Pacino a Meryl Streep e Emma Thompson. Al suo debutto londinese nella messinscena di Declan Donnellan, invece, «Angels in America» è stato definito dal «Sunday Times» come «Una Divina Commedia per un’età laica e tormentata; un terremoto nel teatro, sconvolgente, terribile e magnifico». Straordinari consensi, dunque, ma anche rabbiose mitragliate di stroncature perbeniste.

Non inganni il richiamo all’omosessualità contenuto nel titolo. Lo stesso autore, difatti, chiarisce «All’inizio ‘Angels in America’ doveva essere proprio una riflessione sulla mia identità di gay. Scrivendolo, è diventato qualcos’altro». Il tema dell’identità – mancata, fluttuante, negata, repressa – è affrontato oltre che nella sua dimensione sessuale, anche in quella razziale, politica, religiosa e culturale. Con il comun denominatore, inquietante, di un deficit nel riconoscersi e accettarsi con consapevole dignità.

Il testo racconta un’apocalisse, quella dell’Aids, che coinvolge un rappresentate storico della «caccia alle streghe», assieme a immaginari emblemi delle diverse minoranze, omosessuali, ebrei, mormoni, in quell’america reganiana che, come scrive l’autore, «fu vittima di un attacco reazionario contro il progresso, più forte, compatto e riuscito di quello operato da Mc Carthy negli anni 50».

Razzismo, corruzione e cinica intolleranza sono l’humus su cui fermenta la piaga metaforica dell’Aids, con il suo corredo di angeli messianici, vendicatori e sporcaccioni. Lo spettacolo corre a disegnare la sua nera epopea attraverso un continuo scarto tra visione e realtà, allucinate visite in paradiso, richiami a spettri del passato, come quello di Ethel Rosenberg, e storie di uomini e donne che combattono, impigliati nello sgomento, contro la loro stessa natura, storia e identità.
Nell’allestimento di Teatridithalia, la traduzione del testo è di Mario Cervio Gualesi, le scene di Carlo Sala e i video Francesco Frongia.

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