(Luigi Accattoli- Il Corriere della Sera) Erano in nove a mangiare al tavolo del papa, dieci con lui. C'erano rappresentate le principali Chiese cristiane, gli ebrei e i musulmani. E c'è stato un momento delicato sciolto con prontezza dal papa prima che ne venisse un diverbio tra un rabbino, un cristiano armeno libanese e un musulmano. Ancora una volta il papa teologo si è rivelato non solo fisicamente agile, rapido nei movimenti e nei passaggi da un momento all'altro degli appuntamenti, ma anche prontissimo nei riflessi mentali.
Ecco dunque che vengono alle strette — tanto per dire — il rabbino capo d'Israele Yona Metzger, il musulmano Ezzeddin Ibrahim consigliere culturale del presidente degli Emirati Arabi Uniti e il libanese Aram I catholicos di Cilicia degli Armeni. Insomma i tre monoteismi alle prese con la terra, la guerra e la pace nell'area infuocata del Medio Oriente.
Diceva Ezzeddin — una specie di sufi, vecchio frequentatore dei meeting di Sant'Egidio — che quello era «il tavolo del sorriso», dove le varie fedi gareggiavano nel cavare dal proprio patrimonio «parole di pace». E che la coesistenza sul pianeta — seguendo il genio anticipatore di papa Wojtyla — stava divenendo di giorno in giorno un sogno più concreto e quasi realizzato.
Consentiva Aram I, il cristiano armeno e libanese anche lui animato da ottimi propositi di pace, ma che non poteva non ricordare il «grave pericolo» quotidiano e strategico in cui si trovavano a vivere i suoi «fratelli di fede» in terra libanese, specie a motivo delle invasioni di campo da parte di Israele.
Ed ecco saltare su — si fa per dire: tutti restavano compostissimi a mensa, scambiando garbate opinioni in inglese — il rabbino Yona Metzger a fare osservare al «fratello» cristiano libanese che neanche lui «poteva tacere» il pericolo in cui giorno dopo giorno versava il suo Paese a motivo del bellicoso Iran, che attraverso il suo aggressivo presidente continuamente riaffermava il minaccioso impegno per «cancellare» Israele dalla faccia della terra.
Non solo: il rabbino raddoppiava la sua garbata protesta osservando che «sì, senz'altro e fortunatamente » quello era il «tavolo del sorriso» — come aveva detto il fratello musulmano — ma al di là di quel tavolo, nel vasto mondo c'era ben poco da ridere e ci si imbatteva in «problemi su problemi» e tra questi «la violenza di tanti musulmani». E già che c'era osservava che anche in Libano vi erano «combattenti musulmani disposti a tutto», compresi gli attentati suicidi, pur di attaccare Israele. Il musulmano degli Emirati e il libanese erano prontissimi alla replica, ma il papa è stato più veloce di ambedue: «Questo è tutto lavoro per Sant'Egidio» ha detto con prontezza ed è stato facile a quel punto agli altri commensali sfebbrare la conversazione facendo grandi lodi della benemerita Comunità trasteverina, «vero angelo della pace» come si è espresso Ezzedim con la provvidenziale approvazione del rabbino.
Assieme al papa, al rabbino, al libanese e al musulmano sedevano a quel tavolo il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli (mai prima di ieri era stato a uno dei ventennali meeting di Sant'Egidio), il segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra Samuel Kobia, l'arcivescovo ortodosso di Cipro Chrysostomos II, il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, Andrea Riccardi presidente della Comunità di Sant'Egidio, l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams.
© Copyright Corriere della sera, 22 ottobre 2007
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