(Antonella Bersani - Panorama) Laurearsi a Torino paga più che alla Luiss. A Verona e Alessandria più che alla Cattolica di Milano. E, scandalo dei test di ammissione a parte, studiare a Bari garantisce uno stipendio migliore rispetto a una tesi discussa a Genova o alla Sapienza di Roma.
La classifica stupisce, ma è scientifica. Redatta da due professori universitari che, volendo dare un voto alla qualità dell’insegnamento, si sono messi a calcolare lo stipendio dei laureati nei diversi atenei. “A differenza di altri paesi, da noi non esiste alcuna definizione di qualità, né una suddivisione comunemente accettata tra università d’élite e non” spiega Lorenzo Cappellari, docente di economia politica alla Cattolica di Milano. “Con questa indagine ci siamo concentrati sugli effetti dell’istruzione sul salario dei neolaureati, rivelatori di come il mercato interpreta la qualità della loro preparazione”.
Lo studio considera soltanto gli atenei con più facoltà, escludendo politecnici e università come Iulm e Bocconi, ma le sorprese non sono poche. Al top della graduatoria si colloca Torino, che rispetto al valore minimo (quello dell’Università di Campobasso) esprime una differenza di salario del 130 per cento. Al secondo posto c’è Verona (126 per cento) e al terzo l’Università del Piemonte Orientale (125). Cattolica e Statale di Milano si devono accontentare di quarto e quinto posto. E prima di arrivare alla Luiss di Roma bisogna passare per Trieste e Bergamo.
La classifica dice inaspettatamente che studiare a Ferrara (quindicesima a 99 per cento) favorisce il reddito più che una laurea a Bologna o Venezia (sedicesime a 87, insieme con Siena). E che l’università di Napoli Orientale (78 per cento) vince sulle romane. I laureati all’Università di Roma III hanno infatti stipendi pari al 72, la Sapienza al 60 per cento e l’Università di Tor Vergata soltanto al 55,5 per cento. Queste ultime sono superate dall’ateneo di Cassino (67,5 per cento), quello della laurea honoris causa a Valentino Rossi prima dei guai con il fisco.
Va da sé che il reddito delle tante star laureate ad honorem non entra nel conteggio. Perché uno dei meriti della ricerca è proprio quello di essere riuscita, applicando l’econometria ai dati Istat 2001 sull’inserimento professionale dei laureati, a filtrare le tante variabili che turbano le statistiche.
“Il risultato finale è da considerarsi al netto di fattori come il voto delle scuole di provenienza degli studenti, del background familiare, dell’impatto della facoltà scelta e soprattutto degli effetti del mercato del lavoro locale” sottolinea Cappellari.
Calcolatrice alla mano, si scopre che l’Università di Bari fa guadagnare il 10 per cento in più rispetto a Genova o alla Sapienza di Roma. Che Cattolica e Statale di Milano sono separate soltanto da un punto di percentuale, ma che quest’ultima vale il 25 per cento in più rispetto ad altri atenei lombardi come quello di Brescia. In Sardegna, invece, studiare a Sassari genera un reddito superiore di 61 punti rispetto a Cagliari.
La ricerca, accreditata anche dalla firma di Giorgio Brunello, docente di economia a Padova, sarà al centro del convegno sul mercato delle lauree che Altroconsumo ha organizzato per il 30 ottobre a Milano. E mette in evidenza anche il deficit di informazioni sul settore.
“Abbiamo dimostrato numericamente che più le aule sono affollate, meno guadagneranno gli studenti (a ogni incremento del 10 per cento corrisponde una riduzione di salario del 2,4 per cento). E se analizziamo le singole facoltà, vediamo che gli atenei privati rendono circa il 18 per cento in più di quelli pubblici, in particolare per gli studi di economia (19 per cento) e giurisprudenza (54 per cento). Nonostante questo, però, non esiste molta mobilità verso gli istituti migliori. Neppure tra quegli studenti con famiglie più agiate alle spalle”.
In Italia persiste in alcuni la convinzione che le lauree si equivalgano un po’ ovunque e a parte i dossier annuali di Almalaurea (limitati però agli atenei aderenti al consorzio) ogni momento di informazione è affidato al passaparola o alle giornate di orientamento. “Serve di più. Per esempio, un motore di ricerca nazionale che aiuti a capire come le università si collocano rispetto ad altri indicatori: la possibilità di essere studente lavoratore, il rapporto docenti e studenti, il valore salariale e la proporzione tra ragazzi e ragazze” interviene Paolo Trivellato, docente di sociologia alla Bicocca.
Anche Ezio Pelizzetti, rettore dell’università regina in classifica, sottolinea l’importanza di una scelta consapevole: “Torino registra da tre anni un aumento delle immatricolazioni. E credo sia anche effetto della forte azione di orientamento e di sostegno contro gli abbandoni”.
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