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domenica 4 novembre 2007

Usa, la macchina elettorale di Dio.

Un gruppo di pentecostali
(Marco De Martino - Panorama) Che auto guiderebbe Gesù? Solo in apparenza bizzarra, la domanda è tra le più discusse dagli evangelici americani, che alla questione hanno anche dedicato un sito web. Fra i primi a dare una risposta il reverendo Richard Cizik, secondo cui il Signore si metterebbe al volante dello stesso veicolo che guida lui: una poco inquinante Toyota Prius a motore elettrico. Dirigente dell’Associazione nazionale degli evangelici americani, che rappresenta 45 mila chiese e circa 30 milioni di fedeli, Cizik è attento a non definirsi ambientalista.

Per la maggior parte dei conservatori religiosi americani Dio può fare ciò che vuole della Terra, anche soffocarla con l’anidride carbonica se questo fa parte dei suoi piani divini. Ma Cizik non la pensa così: “Dovere dell’uomo è avere cura del pianeta” dice definendosi per questa ragione non un ecologista ma un “curatore del Creato”. Per promuovere il suo movimento si è fatto fotografare mentre cammina sull’acqua per il mensile Vanity Fair. E non si è perso d’animo neppure quando è stato raggiunto da una lettera in cui 22 leader della destra religiosa hanno chiesto il suo licenziamento: in suo favore si sono schierati altri 100 leader protestanti americani, oltre a 63 presidi di università cristiane.
Sempre vestito con completi alla moda, lontani dall’immagine stereotipata dei fondamentalisti religiosi, Cizik è il testimonial del cambiamento in atto tra i cristiani evangelici, un esercito che rappresenta il 41 per cento della popolazione e un quarto degli elettori, quasi tutti ora alla ricerca di un candidato. Pur di non votare per Rudolph Giuliani, favorevole all’aborto e tre volte divorziato, alcuni evangelici più tradizionalisti minacciano la nascita di un terzo partito, mentre altri si schierano con Mitt Romney, sebbene non sia mormone e, prima di cambiare idea, si sia dichiarato a sua volta a favore dell’aborto.
Pur di approfittare dell’incertezza i democratici stanno facendo di tutto per conquistare gli evangelici come Cizik, che considerano il cambiamento del clima, la lotta per la giustizia sociale e contro l’aids importanti almeno quanto le tematiche “below the belt” (sotto la cintura), ovvero sesso e aborto.
Hillary Clinton, metodista, ha tra i suoi consiglieri più fidati Burns Strider, un evangelico che è stato a lungo tra i missionari in Cina. Mentre Barack Obama, nella foga del corteggiamento, compie passi falsi: come quello di invitare sul palco dei suoi concerti Donnie McClurkin, un predicatore noto per essere antigay. E questo nonostante che il senatore dell’Illinois faccia parte della United church of Christ, la prima chiesa cristiana che ha ordinato un prete apertamente omosessuale.
A giustificare questi sforzi è un dato di fatto: tutti i presidenti americani degli ultimi 30 anni sono stati in qualche modo vicini agli evangelici. Tutto è cominciato nel 1976 con Jimmy Carter, il primo politico a parlare di sé come di un “born again”, rinato alla fede di Dio. Fu la sua promessa di non mentire mai agli americani ad attrarre il voto degli evangelici, alla ricerca di moralità nella politica dopo lo scandalo Watergate. Ma quando Carter si rifiutò di escludere gli omosessuali da un convegno sulla famiglia, gli evangelici si compattarono attorno a Ronald Reagan, che, sebbene avesse un divorzio alle spalle, li conquistò con una frase: “So che non mi potete appoggiare, ma io appoggio voi”.
Gli evangelici continuarono a votare per Bush padre, ma anche Clinton fu molto popolare, soprattutto tra i battisti del sud come lui. Nel 2000 votò per George W. Bush il 72 per cento degli evangelici, percentuale salita all’87 per cento nel 2004.
Tuttavia, mai come adesso i cristiani Usa si sentono distanti dal Partito repubblicano. E non solo per gli scandali che hanno colpito vari membri del Congresso. “Gli evangelici temono di diventare come gli afroamericani per il Partito democratico: molto corteggiati prima delle elezioni, senza alcun potere reale di cambiare le cose” afferma Hanna Rosin, giornalista del Washington Post e autrice del libro God’s Harvard. La frustrazione è ancora maggiore perché negli ultimi 30 anni è aumentato sia il numero degli americani che si dicono evangelici (6 per cento in più dal 1976) sia la loro importanza.
“Da gruppo marginale sono entrati a fare parte dell’establishment, con la conseguenza che si è creata una divisione tra l’élite del movimento e la base” spiega a Panorama il sociologo Michael Lindsay, autore del libro Faith in the halls of power. Non è solo alla Casa Bianca che si tengono gruppi di studio sulla Bibbia, ma anche in campus di università prestigiose come Princeton, dove a dichiararsi evangelico è un quarto degli studenti.
Le iscrizioni nei college evangelici sono aumentate del 60 per cento negli ultimi 10 anni. E parlano apertamente della propria fede alcuni tra i più importanti imprenditori, da Phil Anschutz, che ha portato a giocare nei Los Angeles Galaxy David Beckham (e che produce film a messaggio cristiano come Le cronache di Narnia), a John Tyson, il più grande allevatore di polli degli Usa.
Secondo John Green, sociologo del Pew Institute, la crescita rischia di portare a nuove divisioni nel movimento: “Solo metà degli evangelici si considera parte della destra religiosa. L’altra metà è fatta di moderati, mentre una minuscola minoranza si ritiene progressista”.
Nonostante le delusioni ricevute dai repubblicani, gli evangelici difficilmente voteranno candidati democratici.
“La verità è che nessuno ci rappresenta» sottolinea Cizik. “Non c’è ancora un partito che neppure lontanamente si avvicini all’idea biblica di giustizia sociale”.

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