Guerra di grandi alle spalle di un innocente.
(Stefano Zecchi - Il Giornale) Non discutiamo dei gusti altrui, come ci suggerivano i latini, e neppure di quelli sessuali. Però, invece di preoccuparci delle tendenze sessuali della madre, consideriamo il fatto dalla prospettiva del figlio, di tutti i figli di genitori divisi. E di questo in particolare: a Savona c’è una mamma divorziata che ha avuto in affidamento il figlio, un affidamento contestato ora dall’ex marito che ha chiesto al giudice di rivedere la pratica perché la donna oggi avrebbe una relazione omosessuale. È inutile fare gli ipocriti o gli sprovveduti: anche la separazione gestita con la maggiore intelligenza lascia per sempre nei figli il segno della sofferenza, che sarà più o meno razionalizzata (compresa, accettata) con il trascorrere del tempo.
Certo, meglio due genitori che si dividono piuttosto che le loro furibonde lotte quotidiane, e tuttavia oggi c’è troppa superficialità nel modo di affrontare il matrimonio e la costruzione di una famiglia, così come la separazione, spesso determinata da infantilismi, da capricciose pretese, da sciocche insofferenze. Chi, poi, paga il prezzo più alto sono i figli.
Seconda considerazione, tanto ovvia da essere dimenticata: dietro a ogni ragazzo c’è una famiglia. Si critica tanto il comportamento di un giovane come se fosse l’unico vero responsabile delle sue manchevolezze e non si considerano mai, o quasi mai, le responsabilità della famiglia e dell’educazione che da essa dovrebbe ricevere.
Ed ora, su queste premesse, veniamo al fatto in questione. Cosa ci dice il giudice? Verificherà se la donna a cui è affidata la figlia è una buona madre, indipendentemente dalle sue propensioni sessuali. Detto così, il suo ragionamento non fa una piega. Giudice moderno, laico, progressista. In realtà, ciò che dimentica è drammaticamente il significato culturale della famiglia.
Procediamo con tutte le cautele del caso e supponiamo che, effettivamente, la donna abbia una relazione omosessuale. La questione non è tanto quella di essere lesbica, quanto l’organizzare nell’omosessualità la struttura di una famiglia. La figlia affidata alla madre si troverebbe così a vivere in un contesto familiare costituito da due donne di cui una fa l’uomo.
Lo ritengo sbagliato, sia per l’inevitabile disorientamento che comporta una simile situazione nella psiche di un’adolescente, sia perché la figlia di genitori divisi, affidata alla madre, ha pur sempre un padre, che deve poter svolgere il suo ruolo anche se non vive più con la madre nella medesima casa. Diventa obiettivamente confuso, ambiguo, difficile il suo modo di rapportarsi con la figlia, e anche con la stessa madre, sua ex moglie.
Mi si può replicare che una società aperta e libera deve prevedere queste situazioni che scardinano le tradizionali funzioni dell’uomo e della donna. D’accordo: non sorprendiamoci, però, se poi i giovani che crescono in contesti tanto disomogenei da quelli della famiglia convenzionale hanno problemi formativi. Se è impossibile per i genitori rimanere insieme, nelle separazioni essi dovrebbero almeno cercare di educare i propri figli nel modo più simile a quella realtà familiare andata in pezzi per causa loro.
Ultima considerazione sull’osservazione del giudice che valuterà se la donna saprà essere una brava mamma, indipendentemente dalla sua omosessualità. Ma perché il giudice non valuta se l’uomo è in grado di essere un bravo padre? Perché in Italia, nel 90 per cento delle cause di separazione, si assegnano i figli alla madre? Perché il padre viene tanto ottusamente dispensato dal fare il padre, non assegnandogli i figli? Anche il caso preso in considerazione si potrebbe affrontare da un altro punto di vista se si riconoscesse nelle cause di separazione parità di diritti e doveri tra padri e madri.
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