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domenica 30 settembre 2007

Esperienze della vita: La convivenza è un diritto da concedere a tutti.

(IMG press) Al di là di ogni polemica tra chi è a favore o contrario le unioni civili, riteniamo sia giusto dare voce a chi la convivenza l'ha scelta. Compito di questa quarta puntata della nostra inchiesta sarà dunque quello di sentire la voce dei protagonisti, le persone della porta accanto, perchè sono loro la realtà che rispecchia l'Italia, non i vip in tv.
Partiamo dunque per questo nuovo viaggio e cerchiamo di capire i motivi che stanno alla base della della convivenza more uxorio. Laura e Fabio sono due quarantenni, due anni fa hanno deciso di comune accordo di andare a convivere. Entrambi erano d'accordo sul fatto di non sposarsi e di non avere figli mi spiega Laura che prosegue “tuttavia non abbiamo mai escluso l'ipotesi che un giorno ci saremmo sposati, se cambieremo idea si farà”. Un atteggiamento aperto quindi nei confronti del patto coniugale. La convivenza “così com'è” va benissimo, i due ragazzi si trovano bene e dividono tutto proprio come se il loro fosse qualsiasi rapporto tra coniugi. “Dividiamo tutto, dalle spese per quel che ognuno può fare, alle cose più banali coem il fare la spesa”. Per quanto Laura e Fabio siano tranquilli, una preoccupazione ce l'hanno, la casa dove vivono è di Fabio “sai com'è, ora va tutto bene ma un domani non si sa e siccome la casa è sua, non vorrei mai trovarmi dall'oggi al domani in mezzo alla strada” dice Laura. Fabio sorride ma capisce la preoccupazione della sua partner e dice “Quando è cominciata tutta questa storia dei DiCo, eravamo contenti, una legge ci avrebbe aiutati e ci saremmo sentiti maggiormente tutelati tutt, soprattutto, la nostra unione sarebbe stata riconosciuta anche al livello giuridico. Non capisco perchè se due persone si vogliono bene e decidono di stare assieme debbano per forza sposarsi, io non sono d'accordo”. Questa è la questione fondamentale, il matrimonio come unica forma di convivenza riconosciuta è un qualcosa che ai due ragazzi sta stretta. Dai loro discorsi si capisce la delusione velata del fatto che in Italia non ci sia ancora una legge che riconosca le unioni civili e che sembrava ormai prossima, “del resto siamo in Italia no?” dice ironicamente Laura. La loro vita è la vita di una qualsiasi coppia, entrambi lavorano e insieme affrontano le bollette a fine mese, la spesa, le rate dell'auto, eccetera, insomma, tutto quello che comporta un qualsiasi menage familiare. Riguardo alla questione dei figli loro per ora non ne vogliono “non abbiamo questa esigenza” però anche qui non escludono che un domani possano sentire l'esigenza di diventare genitori. Questa coppia ben assortita non si sente tutelata dalla legislazione attuale, raccontano che qualche tempo fa si erano rivolti anche ad un legale, “in mancanza di una legge, l'avvocato ci ha detto che possiamo mettere qualcosa per iscritto ma la cosa è un po' così”. In effetti la legge permette a due persone il cosiddetto “patto o contratto di convivenza” consentito e regolato dall'articolo 1322 del codice civile che recita “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”. Siamo esattamente nel campo della disciplina dei contratti in generale, ossia l'autonomia contrattuale. Con questo contratto i conviventi possono stabilire che, ad esempio, ciascuno è tenuto a contribuire alle spese in base al proprio reddito, amministrare i beni personali e quelli comuni ma anche regolare le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza per cause diverse dalla morte, come può essere il diritto per il convivente più bisognoso di continuare ad abitare la casa adibita a residenza comune, oppure ancora, l’obbligo del versamento degli alimenti. La legge prevede che il contratto si possa stipulare in forma scritta davanti ad un notaio anche redatto con scrittura privata, può anche verbale se stipulato davanti a dei testimoni, in ogni caso il contratto può essere provato con ogni mezzo. E' ovvio che un atto fatto da un notaio da più garanzie di altri ed è di immediata certezza. L'articolo già dalla sua definizione da dei limiti al contratto, essi sono espressi nell'articolo subito antecedente, il numero 1321, “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. La definizione è chiara, non possono essere oggetto del contratto obblighi di natura personale. Pensiamo ad esempio alle clausole riguardanti la procreazione, l'affidamento ed il riconoscimento della prole, oppure ancora a patti riguardanti la successione o a penali in caso di infedeltà. “Un minimo di garanzia in più con un contratto ci sarebbe ma non è questo che interessa a noi, cosa abbiamo di diverso da una coppia sposata? Spesso alcune persone ci dicono che non vogliamo fare fronte ai nostri reciproci obblighi scegliendo di convivere anziché sposarci”. E questa è un'affermazione che spesso chi non è a favore delle unioni civili ha mosso contro la stesura di una legge, sembra che chi non si sposa non vuole troppi legami o obblighi che invece si assumono in pieno col matrimonio. Il discorso che Fabio fa è di natura prettamente morale più che giuridica, tuttavia ci vien da pensare che se ci fosse una legge vera e propria, quest'affermazione sulla mancanza di responsabilità non troverebbe fondamento. Paolo e Federica invece fanno parte, per usare un'espressione prettamente sociologica, delle cosiddette “nuove famiglie allargate”. Entrambi provengono da precedenti esperienze coniugali purtroppo finite, entrambi hanno dei figli. I figli di Paolo sono rimasti con la moglie, mentre la bambina di Federica vive tuttora con lei e il suo nuovo compagno. La convivenza in questo caso per loro non è stata una scelta voluta nel vero senso del termine, bensì una scelta obbligata. Nessuno dei due infatti ha alle spalle ancora una sentenza di divorzio. Fortunatamente entrambi i rispettivi coniugi si sono dimostrati disponibili nel lasciar perdere il discorso degli alimenti, “anche se non stiamo più insieme, il nostro rapporto è buono e si può tranquillamente dialogare, quello che a tutti interessa sono i figli e la loro salute” mi dice Federica, mentre Paolo da un cenno di assenso mentre l'ascolta. Al di là del rapporto tra loro due, c'è da costruire il rapporto con la figlia di Federica che non è facile “oggi va meglio ma inizialmente è stata dura, io non sarò mai suo padre ma farò di tutto perchè lei possa star bene” mi dice Paolo parlando della bambina, “inoltre anche io ho dei figli a cui non voglio rinunciare nonostante il mio matrimonio fallito e la cosa che più desidero è che si crei un buon legame con Federica e sua figlia”. Una coppia quindi che ha delle responsabilità ben precise nei confronti dei propri figli e cerca di far andare avanti il rapporto di coppia anche tra queste problematiche non indifferenti. Alla mia domanda se tra i loro progetti c'è il matrimonio per il futuro, entrambi mi rispondono così: “no guarda, ce n'è bastato uno. Non è in quanto sposarsi, noi ci crediamo nel matrimonio nonostante le nostre esperienze, nemmeno quello che viene dopo anche se non vai più d'accordo. Non vogliamo nasconderci, il problema sono i soldi, avvocati e annullamento da parte della chiesa sono molto costosi” . Tasto dolente ma quantomai vero. Ci sono coppie che scelgono di convivere perchè il matrimonio è troppo oneroso tra organizzazione, casa e tutto il resto, e ci sono coppie che magari vorrebbero sposarsi ma la separazione e la sacra Rota costano troppo e aspettano tempi migliori. “Se fosse possibile certificare una convivenza o una sorta di Pacs tra noi, lo faremmo subito ma ancora non abbiamo il divorzio e chissà quando ci potremmo permettere di averlo”. -Per dovere di cronaca ricordiamo che la Cei ha stabilito un tariffario per l'annullamento del matrimonio religioso, si vai dai 1500 ai 2700 euro, più 450 euro per il tribunale, che servono a seguire tutta la procedura: dal I al II grado, che può consistere in una ratifica o un secondo esame-. Passiamo ora la parola ad un altro ragazzo, Federico. Federico è cresciuto e vissuto in Francia fino a tre anni fa, poi per motivi di lavoro è arrivato nel nostro paese. Viveva a Marsiglia dove conviveva con il suo ragazzo Paul da ben dieci anni e con lui aveva stipulato un Pacs. Il loro rapporto si è interrotto perchè Paul ha avuto un incidente ed è morto. “Il nostro era un normalissimo rapporto di coppia, come ce ne sono tanti in Francia, a nessuno interessava come e con chi vivevamo”. Egli analizza l'enorme differenza tra la società d'oltralpe e la nostra sottolineando l'assurdità di alcuni luoghi comuni che la Francia ha superato già da diverso tempo “qui in Italia devi fare le cose come minimo due volte quando ti va bene. Prima devi uscire allo scoperto, dichiararti alla famiglia e agli amici che sei gay sperando che a loro vada bene, poi quando trovi la persona che fa per te devi mettere tutto per iscritto da un notaio. Alla fine se magari non ci vai più d'accordo o succede come a me che muore il tuo ragazzo. Poi magari arriva la sua famiglia e ti porta via tutto perchè non sei nessuno. Con i Pacs questo non succede.”. Con queste poche parole, Federico ha analizzato la situazione italiana alla perfezione ossia l'omosessualità come realtà sociale non ancora accettata e la difficoltà di dare una connotazione di famiglia al rapporto tra persone dello stesso sesso, mancando poi una legge c'è il rischio di vedersi portar via le cose costruite assieme col proprio partner. Alla mia domanda su com'era il rapporto tra loro due, Federico mi guarda un po' stupito e mi dice “come tutte le coppie che si svegliano, vanno al lavoro, la sera tornano a casa e cenano e poi vanno a dormire! Proprio come i nostri genitori prima di noi, non c'è nulla di diverso.”, in una parola, la normalità. E questo termine ricorre anche tra Mario e Gianluca, conviventi da cinque anni e una “visibilità” da far invidia a molti. “Noi siamo fortunati” aprono subito “abbiamo delle famiglie meravigliose, pensa che quando abbiamo deciso di andare a vivere assieme ci hanno dato una mano con l'acquisto della casa”. Il loro rapporto è in tutto e per tutto una condivisione, dai problemi di salute che da sempre Mario si porta dietro, alle rispettive famiglie che hanno saputo dare loro l'affetto di genitori ai quali interessa solamente che i propri figli siano felici. Parla la mamma di Gianluca “il fatto che mio figlio sia gay all'inizio certo non è stato facile, io sono di un'altra generazione ma poi ho capito che anche se non avrò dei nipotini come ho sempre desiderato, la felicità di mio figlio è la cosa più importante. Scrivilo questo, scrivi che noi genitori dobbiamo saper capire da che parte sta la felicità dei nostri figli e fare in modo che la vivano appieno. Sono due bravi ragazzi, si vogliono bene.” E io lo scrivo perchè questa mamma sorride e si commuove nel parlare di Gianluca. I due ragazzi chiaccherano tranquillamente, il loro pensiero in particolare va a tanti altri ragazzi meno fortuna di loro, in particolare pensano ad un loro carissimo amico che hanno ospitato per tre mesi, i genitori l'hanno cacciato di casa dopo che ha fatto il suo coming out. “se si faranno questi benedetti Pacs o quello che sarà noi li faremo sicuramente, credo che sia giusto, ormai siamo nel 2007, è ridicolo che al giorno d'oggi ci siano ancora certe discriminazioni”. Nessuna polemica da parte loro nel voler difendere la famiglia ma se per un motivo o un altro due persone non vogliono o non si possono sposare, è giusto ci siano delle forme alternative di convivenza che lo stato per primo deve tutelare. Lasciamo questa coppia ed andiamo a parlare con Giovanna e Francesca da dieci anni convivono insieme. Francesca ha lasciato il marito dopo un anno di matrimonio, “purtroppo ho capito tardi che mi piacevano le donne, se l'avessi capito prima di certo non mi sarei sposata, sia per Carlo (l'ex marito) a cui voglio molto bene, sia per me stessa e la mia famiglia”. Mentre parla si commuove nel raccontare i momenti tristi vissuti, di come sia dovuta andarsene di casa perchè la famiglia non accettava la sua omosessualità. “Se ce l'ho fatta è stato grazie alla mia compagna, lei mi ha dato la forza di affrontare un mondo intero che mi era contro, da allora non ci siamo mai separate.”. Entrambe sono di origini meridionali e mi raccontano di come per loro sia stato necessario spostarsi al nord per vivere in maniera più normale senza sentirsi emarginate. Come tutte le altre coppie, anch'esse mi parlano di come vivono le loro giornate, immerse tra lavoro e faccende di casa da sbrigare, tra risate e discussioni. Raccontano che la convivenza non è stata sempre facile, i momenti di crisi ci sono stati “bisogna imparare a capire l'altra persona, le sue abitudini e l'altra deve fare lo stesso” dice Giovanna, insomma, adattarsi e trovare dei compromessi “o non si va da nessuna parte”. Mi racconta poi che anche loro erano quasi sul punto di lasciarsi ma poi per fortuna tutto si è risolto. Nessun rapporto è sicuro, né col matrimonio né con l'unione civile, quello che prevale è quindi l'aspetto puramente affettivo. A riguardo della polemica sui DiCo entrambi concordano dicendo che una legge non cambierebbe la loro vita, sono le persone che vivono insieme che devono darsi l'una all'altra indipendentemente da quel che dice (o non dice) lo stato. Tuttavia se ci fosse davvero una legge anche loro sarebbero a favore poiché vorrebbero sistemare le loro posizioni, in particolare questa è la paura di Francesca “conoscendo la mia famiglia, se dovesse mai succedermi qualcosa, verrebbero qui e si porterebbero via metà di tutte le nostre cose che abbiamo fatto insieme in tutti questi anni”. Sottolinea dunque il problema dell'eredità che tanto ha fatto parlare e discutere in sede di disegno di legge, “se io muoio è giusto che vada tutto a Giovanna, è lei con cui ho deciso di vivere la mia vita, per me lei è come se fosse mia moglie.. o mio marito” e si mette a ridere. Ci sarebbero numerose altre storie da raccontare, Michela e Paolo, conviventi per prova di matrimonio, “prima vediamo se così funziona, poi ci sarà il matrimonio”; Rossella e Silvia invece si sono appena lasciate dopo un anno di convivenza, “non andavamo più d'accordo, non siamo fatte per stare assieme”, e tantissime altre unioni che finiscono o che durano, sia eterosessuali che omosessuali. Ma arriviamo alle conclusioni. Quello che ne esce da tutti queste “chiacchere” in compagnia è che la vita di queste coppie non è né più né meno di quello che vivono ogni giorno le coppie “unite nel sacro vincolo del matrimonio”. Alla base dell'unione di due persone c'è sempre e comunque un sentimento d'amore e il mutuo assistenzialismo che ne deriva, condivisione dei problemi e vita in comune sotto lo stesso tetto. La società italiana è cambiata moltissimo, stili di vita totalmente stravolti, un più alto status economico e nuovi beni necessari che prima erano un surplus sono solo alcuni dei cambiamenti intervenuti e che hanno cambiato l'Italia. Affidiamoci ai dati statistici per farci capire meglio cos'è successo negli ultimi quarant'anni a livello di convivenza. Secondo un recente sondaggio, sono in crescita le coppie che prima di sposarsi vanno a convivere, dal 2,5% del 1968 si passa al 20% del 2003. Ad oggi, il tasso medio nazionale è del 12,8% ma non è veramente indicativo poiché c'è una fortissima disparità tra il centro-nord con un 30% ed il sud con appena un 4,5%. Nel nostro paese permane come sempre una doppia realtà a seconda di dove si vive. Come già detto più volte, sono circa 564 mila le coppie conviventi stabili (dati 2002-2003), di cui poco meno della metà è formato da coppie celibi e nubili, mentre il restante è formato da coppie nelle quali almeno uno dei due proviene da una precedente esperienza matrimoniale ancora in fase di divorzio. Di 22 milioni di nuclei familiari, queste coppie rappresentano il 3,9%, una cifra molto bassa rispetto al totale ma in costante aumento e questo si ritrova anche nelle parole di un noto demografo, il professor Massimo Livi Bacci. In un articolo apparso due anni fa su Repubblica il professor Bacci afferma che “I candidati a contrarre un Pacs sono, soprattutto, le coppie di fatto -coppie stabilmente conviventi, con figli o senza — che per ragioni oggettive o decisioni personali non possono o non vogliono contrarre matrimonio, il cui scioglimento è complesso e costoso..... e anche se il fenomeno è modesto rispetto ad altri paesi (in Francia è di circa 2,5 milioni), la tendenza è in crescita”. Parlando coi numeri, negli anni '90 erano circa 200 mila le coppie, oggi per l'appunto 564 mila, più del doppio quindi. Quello che dunque sembra essere un fenomeno prettamente europeo, in Italia ha un valore totalmente diverso, la stragrande maggioranza delle persone che vanno a convivere lo fanno come “preparazione” o passaggio verso il matrimonio. La prima cosa che mi vien da pensare è il perchè tutte queste polemiche in difesa del matrimonio e della famiglia quando comunque poi alla fine sempre al matrimonio si arriva in un modo o in un altro. Che danno mai potrà fare questo 3,9% al restante 96,1%? Ma anche se si arrivasse al 10%, cosa cambia? Forse il cataclisma predetto dalla chiesa non è poi così catastrofico, non si vede all'orizzonte l'apocalisse della famiglia per colpa delle unioni civili. Forse quello che veramente da fastidio e non si vuole accettare è ammettere che esistono anche altre forme di convivenza che cominciano a prendere piede, sia per cultura, per scelta, sia per necessità, ma ancor di più nell'Italia del 2007 è difficile ammettere che due uomini o due donne possano essere un nucleo familiare, questa la vera polemica: il nostro paese parla bene ma razzola male, c'è una sorta di omofobia sotterranea, latente. Non a caso quando si parla di coppie di fatto, l'accento è posto maggiormente sulle coppie omosessuali che su quelle eterosessuali. Una legge sulle coppie di fatto non distrugge nulla, il cambiamento della famiglia non è cosa di oggi, sono trent'anni che questo istituto attraversa una fase di cambiamento e non sarà certo una legge che riconosce altri tipi di unioni ad andare a ledere famiglia e matrimonio che come vediamo, sono e rimangono una base sociale e culturale molto importante.

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