Rugbisti in posa come gladiatori. Tenniste che in campo mugolano erotismo. Calciatori che accendono fantasie. Seduzione e mondanità: la nuova grammatica degli atleti.
(Mauro Covacich - L'Espresso - nella foto Mirco Bergamasco in 'Dieux du Stade') Le volte, ormai sempre più rare, in cui vado allo stadio di atletica dell'Acqua Acetosa, mi piace fermarmi un po', dopo la doccia, a osservare i velocisti in allenamento. Progressioni, ripetute, prove ai blocchi. A ogni recupero, anche di pochi secondi, si abbassano le spalline del body in lycra e tornano verso la partenza a torso nudo. Il regolamento del campo lo vieta, ma loro si ostinano a farlo. Recuperano piano, gonfiando il petto, esibendo il reticolo perfetto degli addominali nelle loro camminate da giovani leoni. Sanno di essere belli, e questa consapevolezza è in qualche modo il valore aggiunto del nuovo corpo dell'atleta, l'illusione di un controllo su ciò che nei rotocalchi, nei calendari, negli occhi degli spettatori, è destinato a diventare oggetto del desiderio. Il segreto dello sport come fonte di erotismo sta tutto in questa novità, secondo me. Consapevolezza, illusione di controllo.
L'assimilazione del gesto sportivo nel metabolismo della macchina mediatica ha portato alla spettacolarizzazione della performance e alla sua manipolazione estetizzante. Il mondo glam si è accorto della carica sensuale degli sportivi e li ha fagocitati. Ovviamente, questo assorbimento ha comportato la perdita di caratteri dominanti da parte dell'atleta, quali, ad esempio, una certa selvatichezza d'aspetto, una certa refrattarietà alle pose. A sua volta, l'atleta ha visto i colleghi fotografati da 'Playboy', sdoganati dal mondo ruvido della 'Gazzetta dello sport', in copertina con la sabbia della spiaggia sui glutei, i capezzoli inturgiditi e la pelle d'oca. Ha visto e si è preparato a fare lo stesso.
Prima l'atleta era la consacrazione della libertà, dello sforzo disinteressato, della fatica inutile. Si imponeva con un'attività sorella dell'arte, in grado di sottrarsi alle logiche utilitariste del sistema socio-economico. Oggi l'atleta è asservito a quelle logiche. Ha rinunciato alla propria 'differenza', accettando le regole non scritte del professionismo (alte prestazioni, overtraining, doping), adottando i criteri di valore del mondo borghese, della società di massa. Prima una ragazza che faceva sport era una ragazza diversa, anche fuori dal campo si vestiva e si muoveva diversamente.
Ora, le ragazze che corrono la maratona (la quintessenza del diverso) hanno il piercing all'ombelico, la salamandra tatuata sulla caviglia come qualsiasi commessa. Ai miei occhi, la consapevolezza ha sempre aggiunto fascino alla bellezza femminile, non mi meraviglia quindi che la vanità contribuisca al sex appeal delle atlete. Mi è molto più difficile capire come possa favorire gli uomini. I gemiti studiatissimi delle tenniste sono indubbiamente femminili, e pure le unghie smaltate delle nuotatrici lo sono, e gli shorts delle pallavoliste, e le treccine delle velociste caraibiche, ma cosa c'è di maschile nel laccetto mess'in piega di Nesta? Cosa c'è di virile nella manicure di Beckham? Cosa c'è di sensuale nei leoni dell'Acqua Acetosa? È sensuale un uomo che ostenta gli addominali?
Ricordo i diari delle mie compagne di classe alle medie, l'infinita riproduzione del terzino Antonio Cabrini in azione. Cabrini era desiderabile soprattutto perché non gli importava (non sembrava importargli) di essere bello, non faceva nulla per esserlo. Aveva la faccia effeminata di un angioletto, ma era sempre spettinato, sudato, scomposto. Io lo odiavo, ma sono sicuro che non si sarebbe mai messo un laccetto per reggere i capelli. Era questo che doveva piacere alle mie compagne, la sua negligenza, il modo incurante con cui offriva la bellezza al freddo, al fango, agli scontri in campo.
È anche possibile che distinguere la sensualità maschile da quella femminile sia errato -magari, agli occhi delle donne, il narcisismo cosmetico di Beckham è proprio la ragione del suo fascino- però la nuova fortuna dei campioni del rugby sembrerebbe darmi ragione. Vestiti da tre moschettieri, o in smoking, o nudi, i rugbisti sono gli atleti più fotografati del momento, ragazzi con un pilone di cemento al posto del collo, venduti quasi sempre come il miglior sogno erotico.
Ebbene, di cosa parlano quei ritratti? Parlano di forza maschia: ematomi, cicatrici, orecchie a cavolfiore, nasi che si allargano su mezza faccia, labbra e sopracciglia gonfie. Come la tennista fa sesso perché accompagna anche i rovesci più facili con i gemiti di una gatta in calore, così il rugbista fa sesso perché urla la haka. Che sia o no neozelandese, il rugbista è un mascherone, recita il ruolo del vecchio maschio rude, essendone in realtà solo la citazione. In altre parole, anche i campioni del rugby stanno diventando trendy alla velocità della luce, si mettono in posa davanti all'obbiettivo e rilasciano lunghe interviste per dire che non si guardano mai allo specchio. Però, mentre l'effetto 'gatta in calore' è una novità, frutto della consapevolezza femminile, l'effetto 'gladiatore' è sempre stato intrinseco alle discipline maschili e il suo uso consapevole di oggi non fa che stemperarne il valore. (nella foto a fianco Il calciatore Fredrik Ljungberg)
Gabriella Dorio e Novella Calligaris erano due ragazze carine, ma nessuno le avrebbe considerate sensuali. Una correva, l'altra nuotava, i loro corpi si muovevano a meraviglia nella grammatica del gesto sportivo, esprimevano eleganza, tenacia, abnegazione, ma non c'era consapevolezza nel loro sguardo, la bellezza scorreva sulle loro membra come sul pelo di un animale. C'è voluta Nadia Comaneci perché la donna dello sport diventasse femmina, è stata lei l'inizio. Non aveva tatuaggi, né piercing, né unghie smaltate, aveva gli occhi rapinosi della peggiore lolita. Ricordo come salì sulla pedana delle parallele alle olimpiadi di Montreal, già diva dentro. Era il '76, avevo solo undici anni, eppure riconobbi quei modi, intuii che mi parlavano di un altro mondo, un mondo extrasportivo che un giorno avrei conosciuto. Tra gli uomini, forse i primi oggetti del desiderio furono i fusti del nuoto, Guarducci, Spitz, e qualche tennista, Panatta, Borg, McEnroe (anche se il tennis non fa testo, essendo da sempre lo sport più cicisbeo, e quindi in buona misura antesignano della nuova fiera delle vanità).
Ma Gustav Thoeni? Pietro Mennea? Giuseppe e Carmine Abbagnale? Quale donna si è mai morsa il labbro inferiore per le imprese dei nostri campioni? No, fino all'altro ieri lo sport non lambiva i territori della seduzione né quelli limitrofi della mondanità. La sua era una dimensione abitata da eremiti, gente che si nutriva di agonismo, esseri umani diversi, dominati da una ferrea disciplina interiore, incomprensibile ai più. Fino all'altro ieri era impensabile che un oro olimpico della sciabola come Aldo Montano scimmiottasse i vezzi di un Costantino (l'altro, non l'imperatore). Oggi dell'atleta attrae ciò che riguarda marginalmente la sua pratica, il suo mondo: non cioè la tensione psicologica, la determinazione, la resistenza agli enormi carichi di lavoro, bensì il risultato estetico, ciò che ricalca i canoni della bellezza standard - il ventre piatto, il deltoide scolpito, la morbida conca dei glutei contratti - ovvero gli strumenti patinati di una campagna pubblicitaria.
Tutto questo può forse eccitare i nuovi appassionati di sport, quelli che alle olimpiadi aspettano la beach-volley. Ma i vecchi appassionati, che guardavano tra le grate di uno stadio di atletica come nel chiostro di un monastero? Be', si sentono un po' traditi. Per loro il gesto atletico è l'esatto contrario di un'esibizione narcisistica, non mette in mostra la bellezza, la applica. Per loro il corpo sportivo è seducente quando non sa di esserlo, la bellezza non va intesa in senso assoluto, ma in rapporto alla finalità del gesto. Per loro l'ideale classico, il discobolo di Mirone, è solo uno dei modi di declinare le forme anatomiche in considerazione di uno sforzo. Per quei vecchi noiosi e bigotti, ai quali credo di appartenere, sono altrettanto belle: le gambe corte dei sollevatori di pesi, la magrezza violenta dei ciclisti, la mole piramidale dei lottatori di sumo.
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