Non si può esigere dal partner, sia all' interno del matrimonio sia nell' ambito di una convivenza, alcun tipo di prestazione sessuale, specie se con forme di prepotenza, in quanto non esiste - all' interno dei rapporti di coppia - "un diritto all'amplesso". Lo sottolinea la Cassazione, condannando per violenza sessuale un marito che aveva costretto la moglie - dalla quale è ora separato - ad avere un rapporto sessuale. La Suprema corte - confermando la condanna per stupro e sequestro di persona - ha respinto la tesi dell' uomo, Giuseppe Z., in base alla quale nell' ambito di una coppia è da ritenersi che ci sia sempre "un consenso putativo" per il partner al rapporto sessuale.
Con questa decisione i supremi giudici della terza sezione penale (sentenza 35408) hanno confermato il verdetto emesso nel maggio 2006 dalla Corte d'appello di Reggio Calabria. In merito al reato commesso dall' imputato e alla sua linea difensiva, la Cassazione ricorda che "in tema di reati contro la libertà sessuale, costituisce violenza sessuale qualsiasi forma di costringimento psicofisico idonea ad incidere sull' altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti, dato che non esiste all' interno di un tale rapporto un 'diritto all'amplesso', né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale". Giuseppe aveva costretto la moglie e il figlioletto di alcuni mesi a seguirlo da Palermo in Calabria, per portarli dai propri parenti ed evitare che la donna si allontanasse da lui e dal clima di violenza che l'uomo aveva instaurato. Nel viaggio, poi, Giuseppe l' aveva violentata e picchiata.
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