Tra l’indignazione generale e la condanna unanime della società civile, esce allo scoperto un amico di Makwan, il ragazzo iraniano giustiziato mercoledì scorso perché gay. “L’hanno ammazzato per infondere in tutti noi giovani il terrore”.
(LR News) Riportiamo il comunicato stampa appena ricevuto dal gruppo attivista Everyone.
Seimila cittadini iraniani hanno partecipato in lacrime al funerale di Makwan Moloudzadeh, il ventunenne iraniano impiccato mercoledì 5 dicembre in un carcere della provincia occidentale di Kermanshah perché omosessuale.
“Makwan è diventato una leggenda. Il suo martirio commuove e unisce il popolo iraniano, oppresso da una dittatura feroce. La campagna iniziata per la sua vita ha raggiunto ogni angolo del Paese e sta generando la nascita di un movimento di opinione che coltiva l'indignazione per l'ultimo di una serie di efferati crimini di Stato” commentano i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, che hanno condotto sin dal primo momento la campagna per impedire l’esecuzione del giovane.
Un ragazzo iraniano di Paveh, la città in cui nacque Makwan, ha inviato un messaggio a tutti gli attivisti attraverso il blog americano “Gays Without Borders”, nato durante il caso di Pegah Emambakhsh e sempre vicino al Gruppo EveryOne.
“Sono un cittadino di Paveh, la cittadina in cui viveva Makwan. Lo conoscevo molto bene e tutti, in città, sanno che era innocente o almeno che non meritava l'inumano verdetto emesso da una banda di criminali che dovrebbero avere quale compito l'amministrazione della giustizia in Iran” scrive il cittadino iraniano con un commento alla notizia della morte di Makwan, pubblicata on line. “Desidero dirvi la verità riguardo ai motivi che hanno condotto alla tragica morte di Makwan. I giovani che vivono a Paveh, che siano curdi o sunniti, sono privati di molti diritti; in maggioranza sono senza lavoro e la città ha sempre subito forme di persecuzione da parte del regime, dopo la Rivoluzione Islamica, per le attività politiche. Ora la gioventù di Paveh è piena di rabbia, un sentimento accumulato in tanti, troppi anni di ingiustizia. Per diffondere un'atmosfera di terrore, il regime ha sacrificato Makwan, in modo che i giovani non protestino più, per nessun motivo. L'hanno giustiziato e useranno questa violenza per raggiungere i loro torbidi fini politici. Questa azione però è stata condannata da tutta la città e ha generato fra di noi un clima di unione e consapevolezza. Siamo accorsi in massa al suo funerale, per protestare contro il regime e le sue politiche repressive. Lancio un appello” conclude il ragazzo “a tutti i gruppi internazionali per i diritti umani affinché continuino a protestare contro le sentenze del regime, che mette a morte giovani innocenti. Gli attivisti per i diritti umani, in tutto il mondo, devono continuare a operare per la giustizia e fare del loro meglio per mettere di fronte alle loro responsabilità coloro che hanno emesso l'iniquo verdetto e procedono nel loro contegno senza alcuna vergogna”.
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