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martedì 11 dicembre 2007

Perché è giusto punire l´omofobia .

(Ignazio Marino* - La Repubblica) Caro direttore, era una fresca sera d´autunno e Matthew Shepard, studente di scienze politiche all´Università del Wyoming negli Stati Uniti, decise di uscire per vedere gli amici, bere qualcosa, divertirsi come fanno tutti i giovani di vent´anni. Quella sera, il 7 ottobre 1998, fece amicizia con due coetanei che si offrirono di riaccompagnarlo a casa. Invece lo portarono fuori città, in un luogo isolato, lo legarono ad una staccionata, lo pestarono furiosamente, gli spaccarono il cranio con il calcio di una pistola e alla fine lo abbandonarono in fin di vita. Un ciclista passando di lì il giorno dopo immaginò che alla staccionata ci fosse appeso uno spaventapasseri ma avvicinandosi si rese conto che quel fantoccio era un ragazzo che respirava ancora e diede l´allarme. Matthew Shepard morì cinque giorni dopo in ospedale a causa delle ferite, senza aver mai ripreso conoscenza.
Sul crimine, commesso con lo scopo esplicito e premeditato di punire un omosessuale, venne fatta presto chiarezza e i due assassini condannati all´ergastolo. Ma la motivazione per quel crimine brutale, ovvero l´odio, determinò in molti stati americani numerose iniziative legislative sui cosiddetti hate crime ed oggi si lavora ad una legge federale bipartisan, il Matthew Shepard Act, già approvata da un ramo del Parlamento.
Oggi negli Usa, come in molti altri paesi del mondo, chi sostiene idee che ammettano la discriminazione sulla base della razza, della fede religiosa, della nazionalità, dell´orientamento sessuale non viene assunto in un´azienda o ammesso in un´università. La tolleranza è considerata una condizione indispensabile del convivere civile al fine di garantire pieno senso di cittadinanza a tutti. Ma la motivazione che sta alla base di leggi che fanno riferimento ai crimini dettati dall´odio rispetto alla diversità è legata anche alla necessità, e alla volontà, di offrire a tutti i membri di una società articolata e multietnica il senso di appartenenza. Ci si propone così di evitare l´alienazione, il senso di estraneità alla collettività, un sentimento che ostacola la realizzazione del bene comune.
Come tutti sappiamo, lo scorso 6 dicembre, la senatrice Paola Binetti non ha votato la fiducia al governo Prodi, motivando la sua decisione sulla base di una scelta di coscienza che le impediva di riconoscere come punibile la violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, o fondati sull´orientamento sessuale o sull´identità di genere. Questo, forzando l´interpretazione del riferimento legislativo, avrebbe aperto le porte a chissà quali rivendicazioni, dalla senatrice considerate inaccettabili. È risultato poi che l´emendamento conteneva un errore tecnico: ma, errore o no, è comunque in gioco una questione di principi. Personalmente ho votato la fiducia al governo perché pienamente convinto dell´importanza di una legge sulla sicurezza che, tra le altre cose, condanni la violenza di chi discrimina e perché ho orrore di chi vuole dividere la società in buoni e cattivi sulla base delle convinzioni personali. Anche io ho interrogato la mia coscienza prima di votare e vi ho trovato delle risposte diverse da quelle rese pubbliche da chi ha contrastato la legge di Giuliano Amato: io credo che le convinzioni personali devono essere sempre rispettate e protette anche dalla legge, se serve, purché non arrechino danno ad altri.
Sono un credente e non pretendo di conoscere tutte le scritture sulle quali si fonda la religione cristiana, so però che in uno dei libri della Bibbia, il Levitico, vi è una condanna dell´omosessualità. Ma quel libro, un monumento storico di indubbia rilevanza, non può costituire la base per chi legifera né può valere per chi non lo riconosce come libro sacro. Per chi come me crede nel messaggio di Cristo non dovrebbero comunque valere di più le parole pronunciate di fronte all´adultera: «Chi tra di voi è senza peccato scagli per primo una pietra contro di lei»?
Non credo che esistano giustificazioni, laiche o religiose, per ostacolare una legislazione che mira a sanzionare l´odio. Ricordiamoci di Matthew Shepard quando in Parlamento discutiamo se sia giusto o no punire chi compie violenze spinto dall´odio. Ricordiamoci anche del prosindaco di Treviso, Giancarlo Gentilini, che lo scorso agosto invocò la «pulizia etnica contro i culattoni». È questa la deriva che dobbiamo evitare, intervenendo dal punto di vista legislativo ma anche culturale, per creare una società dell´accoglienza, o per lo meno della tolleranza, laica e non in contrasto con il messaggio cristiano.

*L´autore è chirurgo e presidente Commissione sanità del Senato.

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