(Giuliano Ferrara - La7) Ecco il teorema sghembo che prende il nome da Paola Binetti. La senatrice cattolica del Partito democratico nega la fiducia al governo, come espediente tecnico per far passare un decreto il cui contenuto respinge «in coscienza». La sua coscienza interna finisce subito sotto esame esterno, sotto inquisizione laica, perché in realtà di niente si dubita come della libertà della coscienza. Eppure, razza di ipocriti che non siamo altro, alla libertà di coscienza, ultimo assoluto nel concerto dei valori relativi, intoniamo gli inni sacri dell'illuminismo del tipo dark, soprattutto quando la libertà di coscienza e l'obiezione che sgorga dal fondo del cuore si rivolgono contro il presbitero, il vescovo, il cardinale o più semplicemente l'avversario. Non appena la purezza inappellabile di una decisione presa nel foro interiore ci sfavorisce, ecco che non l'accettiamo. Ci pare una truffa.
Croce diceva che «coscienza» è parola rettorica, e diffidava dall'abusarne. Aveva le sue ragioni. Il vecchio e cinico filosofo liberale, e storico ed erudito, è morto prima del Concilio Vaticano II, che aveva teologicamente perfezionato e adattato, non sempre con la necessaria prudenza, il concetto di coscienza personale come sacrale contenitore della libertà del cristiano. Fu una rivoluzione che la chiesa cattolica offrì al mondo, e Dio solo sa quanto necessaria nella seconda metà del Novecento, il secolo che ha avviato un processo di abbrutimento totalitario della libertà e dignità della persona di proporzioni bibliche. Ma le rivoluzioni, come segnalano i più intelligenti tra gli storici moderni, prendono un corso impersonale che sfugge, come sfuggì la volgarizzazione del Concilio, alle intenzioni, al disegni, ai programmi dei rivoluzionari. La mia impressione è che Croce avesse intuito, avendo vissuto con tutte le sue ambiguità la fase modernista del cattolicesimo europeo, il serpeggiare, per lo meno potenziale, di una nozione di coscienza come violazione sciatta della disciplina e della coesione razionale del pensiero, per non dire (e non era affar suo) dell'unità e del vigore dogmatico di una fede incarnata nella storia e proiettata fuori della storia.
Così in effetti è andata. La coscienza e la sua libertà sono diventate facilmente il grande alibi collettivo alla portata dell'individuo massa, soprattutto in un mondo sgangherato che non aspettava altro per sfasciarsi ancora un poco, che ardeva dal desiderio di inventarsi alibi intuizionisti per escludere il pensiero logico, il ragionare sostanziale, l'appello alla realtà e il suo riconoscimento, cioè i grandi nemici della paurosa marea di imbecilli che si considerano sovranamente ed estaticamente illuminati dai rumorini e borborigmi del cuore. Alla prova dei fatti, e il caso Binetti è un caso di scuola, la coscienza invece dà fastidio, è il visitatore inopportuno che realizza a sorpresa la tua libertà presuntiva e insincera. E magari te la realizza contro, sfiduciandoti. La Binetti in sostanza non vuole che le si imponga per legge il dovere ideologico di tributare amore per il Gay e per la Donna, perché da brava e libera cristiana, come tutti i bravi cristiani e come tutte le brave persone, si limita ad amare gli omosessuali e le donne, senza per questo dover aderire alla cultura gay e al suo concetto di società indiscriminata, cioè indifferente, o alla mistica di una femminilità ribelle che è solo il triste Ersatz dell'affievolimento teologico del grande racconto di Maria, della Maddatena, delle grandi sante femminili e delle poderose eroine della storia e della fantasia profana, da Elisabetta I a madame Bovary. La Binetti si è comportata come il farmacista cui fa schifo vendere la Ru486, come il medico che non ha voglia di estrarre feti, talvolta vivi, dal seno delle donne incinte. Si è insubordinata in nome della propria coscienza, che è rettamente fomata da una robusta dose di cultura e di prassi cattolica, contro quel mondo che in nome della libertà di insubordinazione ha creato le condizioni di un planetario e losco conformismo ideologico. E quel mondo si è messo subito a maledire quella sua figlioccia, la coscienza, abbandonandola alla ruota davanti al primo convento che ha trovato.
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