Il caso. L'attrice si è rivolta alla Mangiagalli, una delle poche cliniche che consentono di spedire all'estero, riservandolo a se stessi, il proprio cordone.
(Zita Dazzi - La Repubblica) L'attrice Stefania Rocca ha scelto Milano, per far nascere Ariele, un bel maschietto di 3 chilogrammi e mezzo, il suo primo figlio, avuto col compagno, l'imprenditore Carlo Capasa. Non è stata una scelta a caso quella dell'attrice, che si è rivolta alla Mangiagalli. Nota come uno dei templi dell'ostetricia in Italia, quella di via della Commenda è anche una delle poche cliniche italiane che consente di spedire il sangue del cordone ombelicale all'estero. Solo all'estero infatti è possibile conservazione delle staminali per curare le eventuali malattie genetiche del proprio bambino. Cosa che in Italia non è consentita.
Esiste infatti una legge, la 219 del 2005, che prevede sì, la conservazione dei cordoni ombelicali e anche l'istituzione di apposite "banche". Ma L'uso potrà essere solo a fini "solidaristici". Nei 16 laboratori pubblici istituiti in diverse città italiane sono custoditi poco meno di 15.000 campioni prelevati dai cordoni ombelicali.
Quella della donazione è una possibilità che conosce solo una su quattro delle 600.000 donne che diventano mamme ogni anno, conosce. Nessuna può depositare il cordone per curare le malattie dei propri familiari, a meno che non ci sia "alto rischio di altri figli affetti da malattie genetiche". L'uso di quelle cellule non è consentito nemmeno per il bambino che nasce, a meno non necessiti nell'immediato delle staminali per gravissime patologie. In Italia, insomma, l'unica forma di conservazione autorizzata è quella "eterologa": le preziose cellule staminali del cordone, una volta donate dalla partoriente, rimangono infatti a disposizione della collettività. E chiunque può usufruirne, purché sia accertata la compatibilità.
Così Stefania Rocca, come altre 4.000 donne all'anno, si è rivolta a una banca privata straniera. "Ho scelto la Mangiagalli perché lì ero sicura - spiega l'attrice - della possibilità di recuperare in sicurezza il sangue del cordone di mio figlio, adesso conservato nei laboratori Bioscience di San Marino, per poterlo usare in futuro se dovesse averne bisogno". Oltre ai limiti della legge italiana, anche il costo dell'operazione non è irrisorio: 2000 euro per il kit che consente il prelievo, la conservazione e la spedizione del campione e 50 euro all'anno per i successivi 20 anni di custodia.
Non tutte le cliniche italiane collaborano quando una donna esprime questo desiderio. È necessario infatti che il ginecologo, al momento del parto, esegua il prelievo prima di eliminare placenta e cordone. E che successivamente, consegni alla donna il campione, perché venga spedito all'estero. È di agosto l'interrogazione parlamentare dell'onorevole Donatella Poretti (Rosa nel pugno) che ha denunciato come in un altro prestigioso ospedale milanese, il Buzzi, 4.000 parti all'anno, "il centralino risponda che il primario in accordo con la direzione sanitaria non consente il prelievo a fino autologhi ma solo allogenici". Secondo la Poretti, dunque, il Buzzi, sede di una delle "banche del cordone" istituiti dal servizio sanitario pubblico, "non applica la legge".Sphere: Related Content
Nessun commento:
Posta un commento