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sabato 20 ottobre 2007

A proposito dell'incontro di ieri con Prodi: Quel che non ha capito Aurelio Mancuso.

Berlusconi ha vinto, tra pochi giorni si va a casa" Prodi annuncia la crisi.

(Il Foglio) "Berlusconi ce l'ha fatta, è finita, tra pochi giorni si va a casa". Stavolta l'ha detto Romano Prodi in persona. L'ha detto ieri ai promotori della manifestazione contro il protocollo sul welfare prevista per il 20 ottobre. Quelli erano arrivati a Palazzo Chigi per convincere (in un'ora) il premier che il loro corteo non sarà contro il governo né contro il sindacato. E lui, Prodi, con un'allegria quasi liberatoria, ha cordialmente annunciato che il governo da lui presieduto non supererà novembre: "Ora non è più un'ipotesi, è una cosa certa. Berlusconi ce l'ha fatta". Protetto da una muta ostilità verso la maggioranza e il suo nuovo leader, Walter Veltroni, Berlusconi avrebbe infine portato a compimento il proprio piano: conquistare il cuore di almeno sette senatori disillusi e scontenti, pronti a fiancheggiare la svolta isolazionista del senatore Lamberto Dini e dei suoi due colleghi.


E' appunto a lui che Prodi attribuisce l'inesorabilità della caduta. Perché la settimana prossima il Senato dovrà cominciare le operazioni di voto sulla legge finanziaria, i numeri sono quelli che sono, anzi lo erano: sarà quella della manovra 2008, ha assicurato Prodi agli interlocutori, la pietra tombale sul suo secondo e tribolato esperimento di governo. Sempre tranquillo, il presidente del Consiglio ha anche intrattenuto gli ospiti sulla prospettiva che si aprirà dopo la crisi. Nessun governo istituzionale, ha preannunciato Prodi. Non ci sono le condizioni, non ci sono le disponibilità. Sicché si scioglieranno le Camere. Il premier lo dà per scontato e prevede che a gennaio - "passato il Natale" - si terranno le nuove elezioni.

Ai vertici del Pd non tutti ne sono stati informati, e quelli che ne sono informati preferirebbero sorvolare. Ma il fatto è che tra i costituenti appena proclamati, peraltro dopo ben 72 ore di attesa - e sempre con l'eccezione dei collegi Campania 1 e 2 - circa un centinaio (tra assemblea nazionale e assemblee regionali) rischia di perdere il posto prima ancora dell'inizio dei lavori. In compenso, un centinaio di trombati, qualora decidesse di fare ricorso, avrebbe altissime probabilità (per non dire la certezza) di rientrare all'ultimo minuto tra i 2.800 eletti.

Un problema non da poco, che rischierebbe oltretutto di alimentare veleni e sospetti a non finire. Ragion per cui, al momento, sembra che la linea prevalente nel Pd sia quella di non dire niente a nessuno, sperando che le incolpevoli vittime non si avvedano della fregatura. Il problema riguarda i voti non sufficienti a far scattare un seggio (i "resti") raccolti dalle liste, computati in un complicatissimo sistema di compensazione circoscrizionale. Talmente complicato che in 19 regioni è stato applicato in un modo, quello (quasi certamente) sbagliato, e in una sola, la Toscana, nel modo (quasi certamente) corretto.

Si tratterebbe insomma di stabilire chi debba beneficiare dei seggi previsti per il "recupero" dei resti: coloro che hanno preso più voti in assoluto (più esattamente: i primi dei non eletti nelle liste, bloccate, che hanno preso più voti in assoluto) o coloro che hanno preso più voti in proporzione al numero dei voti validi nel collegio? Buon senso e regolamento - almeno secondo i toscani, che così l'hanno applicato - dicono che la risposta corretta è la seconda. Tutti gli altri, per ora, preferiscono non dire niente.

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