(Andrea Tornielli - Il Giornale) Papa Ratzinger fa autocritica e confessa, in un’intervista, di essere stato «quasi troppo timoroso» nei confronti di certe azzardate tesi teologiche in voga nella Chiesa tedesca subito dopo il Concilio. Sono parole per certi versi sorprendenti quelle che Benedetto XVI ha pronunciato l’11 novembre scorso durante un’intervista concessa a padre Johannes Nebel. La trascrizione del colloquio fra il Pontefice e Nebel viene pubblicata nel libro Il mondo della fede cattolica, opera dello scomparso cardinale Leo Scheffczyk, teologo tedesco e amico di Ratzinger, tradotta ora per la prima volta in Italia da «Città Nuova».
Ratzinger racconta del primo incontro con Scheffczyk (nato nel 1920, divenuto cardinale nel 2001 e scomparso nel 2005) all’epoca degli studi al seminario di Frisinga descrivendone la grande lucidità e chiarezza. Dopo essere stati entrambi professori, i due teologi si ritrovano nella commissione dottrinale della Conferenza episcopale tedesca. Sono gli anni turbolenti del post-concilio. «A quel tempo la situazione era estremamente confusa ed irrequieta - afferma il Papa - e la stessa posizione dottrinale della Chiesa non era più sempre chiara». Ratzinger ricorda come venissero fatte circolare delle tesi, «diventate improvvisamente possibili» nonostante «non coincidessero, in realtà con il dogma». Scheffczyk, in quelle circostanze, era sempre il primo a prendere posizioni chiare e inequivocabili. «Io stesso ero - aggiunge Benedetto XVI - in quel contesto, quasi troppo timoroso rispetto a quanto avrei dovuto osare per andare in modo così diretto “al punto”».
Dalle parole dette e ovviamente pubblicate con il suo esplicito consenso, dunque, emerge un Ratzinger un po’ «timoroso» nell’affrontare e contrastare certe idee teologiche troppo avanzate, mentre il suo collega - che riceverà la porpora già ultraottantenne da Giovanni Paolo II - appariva invece il vero «rompighiaccio» di queste discussioni. Ancora una volta, dunque, viene sfatato il mito di Ratzinger panzerkardinal e lui stesso confida, rileggendo quegli anni, che avrebbe voluto «osare» di più.
Era già ben noto, del resto, che Ratzinger durante il Concilio Vaticano II non faceva parte della minoranza conservatrice. Con i lavori dell’assise ancora aperti, il giovane e brillante teologo comincia a rendersi conto che esistono spinte troppo aperturiste. Nella sua autobiografia (La mia vita, San Paolo editore), Benedetto XVI aveva scritto: «Ogni volta che tornavo a Roma, trovavo nella Chiesa e tra i teologi uno stato d’animo sempre più agitato. Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione. Sempre più il Concilio pareva assomigliare a un grosso parlamento ecclesiale che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio. Evidentissima era la crescita del risentimento nei confronti di Roma e della Curia, che apparivano come il vero nemico di ogni novità e progresso».
Negli anni del post-concilio e del Sessantotto, quando sulla Chiesa si abbatterà una vera e propria bufera e tutto fu messo in discussione, il futuro Papa, pur difendendo la libertà di ricerca, non seguì in alcun modo alcuni dei suoi antichi compagni di viaggio. Il professor Ratzinger vive l’esperienza del ’68 a Tubinga, quando proprio le facoltà di teologia diventano il centro ideologico di propagazione del messianesimo marxista. In un’intervista con il New York Times, nel 1985, il futuro Papa in proposito aveva detto: «Imparai che è impossibile discutere con il terrore... e che una discussione diventa collaborazione con il terrore... Penso che in quegli anni imparai dove la discussione deve essere interrotta affinché non si trasformi in menzogna e dove deve iniziare la resistenza, allo scopo di salvaguardare la libertà».
Vissuta quella esperienza, già nel 1969, Raztinger lascia la turbolenta Tubinga per la più tranquilla Ratisbona, dove si trasferisce con la sorella Maria e dove già vive il fratello Georg, maestro del coro della cattedrale. Qui, quando ormai considera quella dell’insegnamento e dello studio la sua unica prospettiva, nel marzo 1977 è costretto a cambiar strada. Paolo VI lo sceglie, appena cinquantenne, come arcivescovo di Monaco di Baviera e lo crea cardinale qualche settimana dopo. Da qui lo chiamerà Giovanni Paolo II quale nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel novembre 1981. Chiamato a custodire e promuovere la fede cattolica. E non si può certo dire che come custode dell’ortodossia il cardinale Ratzinger, oggi Papa Benedetto, sia stato «troppo timoroso».
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L’autore del saggio fu un profeta nell’analisi delle «storture» seguite al Vaticano II
(Redazione) Il libro di Scheffczyk, oltre all’intervista con Benedetto XVI contiene un sintetico ma completo saggio introduttivo di padre Johannes Nebel - sacerdote appartenente alla «Famiglia spirituale l’Opera» («Das Werk»), una nuova comunità di vita consacrata fondata da Madre Giulia Verhaeghe nel 1938 e molto stimata da Ratzinger. In queste pagine si ricapitola il profilo biografico e l’opera dell’autore, che rappresenta un esempio dell’ermeneutica del Concilio cara al Papa. A proposito della bufera post-conciliare, Nebel scrive: «Pur mantenendo un atteggiamento positivo nei confronti della svolta del Concilio, Scheffczyk non ha mai mancato di chiamare per nome anche i problemi ad essa relativi. Centrale è in questo senso la convinzione secondo cui la storicità non può essere assolutizzata al prezzo del radicamento sovra-storico della Chiesa, la quale, nel suo rivolgersi all’uomo, non può permettersi di ridurre la fede a un insieme di mere affermazioni esistenziali. Particolarmente radicato è, inoltre, il convincimento del fatto che la Chiesa deve intendere il dialogo con il mondo fondamentalmente come dialogo di salvezza. Alcuni anni dopo, tuttavia, diventa chiaro come queste osservazioni critiche a proposito di problemi possibili si trasformino in una diagnosi di fatti».
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