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mercoledì 3 ottobre 2007

Le aragoste della Guzzanti soccombono alle ragioni del bibitaro.

(Pianosequenza.net) Gli avanzi di Avanzi. Tanto basterebbe per commentare l’ultima vezzosa opera di Sabina Guzzanti, poiché di vezzo si tratta; se infatti con il discreto Viva Zapatero! la caustica imitatrice aveva dimostrato di avere qualcosa da dire, ne Le ragioni dell’aragosta rimbomba il vuoto pneumatico di un lungometraggio privo di qualsiasi idea originale – o anche di seconda mano ma degna d’esser rappresentata (magari ne avesse presa qualcuna del libro dal quale ha consapevolmente o inconsapevolmente scippato il titolo, la raccolta di saggi di David Foster Wallace). Tutto si riduce ad un nostalgico (e un po’ patetico) rincorrersi dei bei tempi andati del gruppo di Avanzi (fra cui Cinzia Leone, Antonello Fassari, Francesca Reggiani, Pier Francesco Loche, Stefano Masciarelli e Marco Messeri, presenti nel film), quando la satira era libera, le repubbliche crollavano e i treni arrivavano in orario.

Non c’è traccia di una storia, di una denuncia o di una protesta; c’è la testimonianza morale della tempra morale che moralizza l’impegno del comico di lotta e di scherno, in questo caso prestato all’immaginaria causa di una comunità di pescatori sardi messi in crisi dalle condizioni della fauna sottomarina. Un avvitamento su sé stessi e sul proprio ruolo che per giustificare l’emulsione di una pellicola vorrebbe composizioni estetiche trascendentali o grandi gesta e grandi storie o una sceneggiatura lungimirante e profonda, quando invece si risolve in un finto documentario, autocelebrativo, ispirato da una vicenda campata in aria travestita da favoletta morale, capace solo (talvolta) di strappare qualche risata. La Guzzanti, poi, che pure è dotata di un talento comico straordinario (come del resto tutta la famiglia, compreso il suo forzaitaliota padre), scade nel vittimismo, nella retorica e nell’autocompiacimento; peccati non certo veniali per chi trasuda arroganza da tutti i pori (o per chi non è un genio come Luttazzi, e lei decisamente non lo è). Un esempio è il modo in cui sputa sentenze sulla cosiddetta “marcia dei colletti bianchi” del 1980; l’autrice dimostra non tanto di ignorare il significato storico-politico di quell’evento, quanto di disconoscere i diritti dei dissidenti (capita che i ruoli si possano rovesciare…), giudicati senza appello come servi strumentalizzati e venduti ai padroni, rivelando una chiusura mentale ed un disprezzo assolutamente gratuiti e ingiustificati a prescindere dal merito del giudizio politico; esibizione e ostentazione di un classismo veterocomunista ormai fuori moda perfino a Correggio.

Le ragioni dell’aragosta è un film ad uso e consumo personale dell’autore, cucinato davvero male e per giunta nemmeno tanto divertente; niente a che vedere, per esempio, con le ragioni esposteci dal bibitaro che ci ha dato ristoro subito dopo la proiezione, in un negozietto poco distante dal cinema, l’unico aperto a quell’ora. Anche il bibitaro è sostanzialmente un comico, nonostante si atteggi a commerciante così come la Guzzanti si atteggia a regista, ma i suoi monologhi sono assai meno pretenziosi; tra gli scaffali colmi di bottiglie di vino raffiguranti Gramsci, Stalin, Mussolini, Hitler, Marx e chi più ne ha più ne metta («è ‘n produttore friulano che se sta a fa’ ‘n sacco de sordi co’ ‘st’idea qui dei dittatori su ‘e bottiglie, io ce ‘i metto tutti in vetrina pe’ pluralismo, poi ognuno se compra quella che vole»), il bibitaro ci ha intrattenuti con una lectio magistralis di storia contemporanea su «er secolo più violento de tutti da cent’anni a questa parte», soffermandosi in particolar modo sulle figure dei grandi dittatori disegnati sulle etichette dei suoi vini, come il duce «che poi enfondo ‘a politica’interna era gagliarda, era de politica estera che nun ce stava a capì ‘n cazzo» e come il fuhrer detto «baffetto, che all’inizio c’aveva proprio ‘n debole pe’ Mussolini, se vestiva pure uguale a lui – ecco, guàrdate ‘ste bottiglie, so’ vestiti uguale o no? – sì, c’aveva proprio ‘n debole, però ‘n debole politico eh, poi se s’enculavano no’ ‘o so mica». Insomma, quello si che è stato un vero spettacolo. E, a differenza della Guzzanti, non abbiamo nemmeno dovuto pagare il biglietto.

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