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martedì 3 giugno 2008

Sarko: "Il matrimonio? E’ riservato a un uomo e a una donna".

Intervista al presidente che non lo era ancora. Sull’integrazione diceva di preferire "un islam della Francia, in linea con i valori della nostra Repubblica, che un islam sottomesso".
(Il Foglio) In Italia lei è considerato un uomo della destra dura, dalle posizioni sempre fisse sull’idea di sicurezza pubblica e dalle tendenze fortemente liberali e populiste, senza dimenticare la sua posizione definita “atlantista”, pro israeliana e pro americana, che tanto inquieta la sinistra italiana ed europea. Ritiene che questo ritratto sia quello giusto?

Sarkozy - Bene, vediamo, direi che non avete dimenticato nulla. Questa è la lista completa dei tratti più caricaturali solitamente utilizzati da tutti quelli che in generale non hanno esattamente le migliori intenzioni nei miei confronti. Con un pedigree del genere, viene da chiedersi come possa essere candidato alle elezioni in Francia. Questa percezione di me, evidentemente, non è né giusta né veritiera. Ho voluto essere il candidato di una destra repubblicana finalmente libera dal complesso di non essere la sinistra, di una destra sicura dei propri valori: il lavoro, l’autorità, il primato della vittima sui delinquenti, gli sforzi, il merito, il rifiuto dell’assistenzialismo, dell’ugualitarismo e del livellamento verso il basso. Questo fa di me un uomo della destra dura? Per anni, nell’esercizio delle funzioni ministeriali, mi sono speso per combattere e ridurre la mancanza di sicurezza che era letteralmente esplosa sotto il governo di sinistra di Lionel Jospin. Ho ottenuto risultati significativi e credo che domani dovranno essere rafforzati migliorando il funzionamento generale di tutto il sistema penale, in particolare per poter meglio lottare contro la recidività e la sensazione d’impunità dei minorenni pluri-reiteranti. I miei principali concorrenti sembrano avere idee meno chiare in merito e paiono inclini a tornare al lassismo. Questo fa di me un fissato della sicurezza? Per quel che concerne l’economia, sono innanzi tutto un adepto del pragmatismo. Credo nelle libertà economiche. Credo nell’economia di mercato. Ma so anche che il mercato non dice tutto e non può tutto. Credo al volontarismo politico in campo industriale e tecnologico, e non mi spiace aver fatto la scelta d’intervenire per salvare Alstom, un’impresa che è tornata a prosperare. Questo fa di me un liberale? Sono visceralmente attaccato all’indipendenza della Francia e dell’Europa di fronte a qualsiasi potenza. E deploro il fatto che l’Unione europea non dia prova d’unità, di realismo e di autonomia nelle relazioni economiche e commerciali con le altre regioni del mondo, come anche in politica estera e di difesa. Non vedo incompatibilità tra questo e il fatto di considerare gli Stati Uniti una grande democrazia con la quale abbiamo molti valori in comune e indefettibili legami storici. Così come non vedo incompatibilità tra il riconoscimento del diritto dei palestinesi a uno stato sostenibile e il fatto di considerare la sicurezza d’Israele non negoziabile. Questo fa di me un atlantista, un pro israeliano e un pro americano? E’ una lettura che quantomeno manca della più elementare sottigliezza. La verità è che chi afferma queste cose è anti israeliano e antiamericano. Pensino a sé, invece di denigrare gli altri.

F - Lei è il favorito, davanti a Mme Royal e François Bayrou. Ma l’ascesa di Bayrou è insidiosa. Teme l’alternativa “centrista”?

S - Credetemi, non vedo in me il favorito di queste elezioni, piuttosto lo sfidante. E’ mia intenzione fare campagna elettorale fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno per convincere i francesi della correttezza del mio progetto, delle mie proposte e del mio modo di procedere. Questa campagna dimostra due cose contemporaneamente: da una parte che i cittadini non hanno perso completamente la fiducia nella politica, ma dall’altra anche che sono sempre più esigenti nei confronti di chi ha la pretesa di rappresentarli. Le sale dei convegni non sono mai state così piene, le trasmissioni politiche mai così seguite. Non abbiamo più il diritto di deluderli. Voglio dire loro tutto prima, per poter fare tutto dopo, se sceglieranno di darmi la loro fiducia. E, onestamente, quando osservo il grado di imprecisione, d’improvvisazione e di confusione degli altri due candidati citati, mi dico anche che non abbiamo il diritto di perdere queste elezioni, decisive per l’avvenire del nostro paese e, per suo tramite, dell’Europa intera”.

F - Che rapporti ha con la classe dirigente italiana e che giudizio ne ricava?

S - Conosco bene la maggior parte dei responsabili politici italiani, Romano Prodi, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Giuseppe Pisanu. Li stimo. Ora, non sono i responsabili francesi a scegliere i dirigenti italiani, e viceversa. L’Italia è un grande paese europeo, per di più confinante con la Francia e, come il nostro paese, si affaccia sul Mediterraneo. Abbiamo sfide comuni da raccogliere: nel campo industriale, in quello della sicurezza, della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, della gestione dei flussi migratori. Anche l’Italia rientra nel novero degli stati fondatori dell’Ue, ed è difficile pensare a rilanciare il progetto europeo senza di lei. Se sarò eletto, tenterò quindi di mantenere relazioni ottimali con il governo che gli italiani avranno scelto per sé.

F - In Italia abbiamo seguito con grande attenzione l’istituzione del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm) e tutto il dibattito tra il governo e il capo del Consiglio, Dalil Boubaker. Può fare un bilancio e darci un’idea in prospettiva del futuro di questa istituzione?

S - Effettivamente mi sono impegnato a fondo nella creazione del Cfcm, l’istanza rappresentativa dei musulmani in Francia, e delle sue succursali regionali, le 25 Crcm. Perché? Perché preferisco un islam della Francia, in linea coi valori e le regole della nostra Repubblica, piuttosto che un islam in Francia, che resterebbe sottomesso a influssi stranieri. Il Cfcm riunisce le diverse correnti di pensiero musulmane e ci permette di instaurare un dialogo con loro, ma anche, naturalmente, con le autorità pubbliche e gli altri componenti della società francese. Concretamente, il Cfcm si occupa di costruire le moschee, gestire le zone musulmane nei cimiteri, organizzare le feste religiose, nominare i cappellani negli ospedali, le scuole e le prigioni, ma anche di formare gli imam. Il bilancio del Cfcm dalla sua creazione, nel 2003, per me è positivo e incoraggiante. Inoltre, sono convinto che nessun governo, in futuro, quale esso sia, metterà in dubbio la sua esistenza e le sue finalità.

F - La sicurezza e l’immigrazione sono temi sui quali lei ha concentrato maggiormente il suo operato come ministro dell’Interno. Cosa pensa della direttiva europea che riguarda lo scambio dei dati tra i diversi servizi segreti e l’armonizzazione delle norme che disciplinano l’arrivo dei clandestini?

S - Lei sicuramente fa riferimento alla proposta di direttiva riguardante il rimpatrio degli immigrati irregolari. La Commissione europea ha ritenuto necessario scrivere un nuovo capitolo nell’armonizzazione delle procedure di espulsione. E’ innegabilmente una buona cosa, a condizione però che gli stati possano conservare ancora un certo margine di manovra. Quanto alla cooperazione in materia di scambio d’informazioni tra i diversi paesi europei, ritengo che sia indispensabile, che si tratti di lotta all’immigrazione clandestina, e in particolare grazie al futuro sistema relativo alle informazioni sui visti, o alle reti della criminalità organizzata, che prosperano sfruttando la miseria e la disperazione degli uomini. In linea più generale, spero che gli stati europei un domani possano andare più lontano nell’approfondire il coordinamento delle proprie politiche in materia d’immigrazione, d’asilo e di controllo delle frontiere. Nell’ambito delle mie responsabilità come ministro dell’Interno, ho già avuto occasione di presentare ai nostri partner proposte in questa direzione.

F - Lei ha spesso dichiarato di voler rivedere la legge sulla laicità del 1905. Come pensa possa essere modificata, e in che direzione?

S - Per me non si è mai trattato di toccare i principi fondamentali della legge del 1905. Questa legge non impone proibizioni, ma chiarisce le relazioni tra lo stato e le religioni. E’ una legge di tolleranza, che assicura contemporaneamente la libertà di coscienza e la neutralità dello stato, in altre parole l’uguaglianza dei culti davanti all’autorità pubblica. Ho semplicemente espresso il desiderio di avviare una riflessione sulla necessità di precedere a un nuovo ritocco, per far fronte a una realtà nuova: e cioè il fatto che la religione musulmana, che oggi è diventata la seconda religione in Francia, dopo la religione cattolica, mentre nel 1905 praticamente non esisteva sul nostro territorio. Ricordo poi che questa legge è stata emendata tredici volte! Una relazione di esperti, che mi è stata presentata a settembre, mi raccomandava di modificare la legislazione in modo da dare ai comuni la possibilità, debitamente contestualizzata, di aiutare, se necessario, gli investimenti per il culto. Questa questione merita di essere studiata, proprio perché non è giusto che i fedeli di determinate confessioni apparse di recente sul nostro territorio incontrino difficoltà nella pratica del proprio culto. Non penso però che sia opportuno legiferare senza aver prima ottenuto un consenso molto ampio. Per legiferare su questioni così delicate mi sembra indispensabile che la grande maggioranza dei francesi e delle varie comunità religiose sia d’accordo.

F - In Italia si parla molto di famiglia, di matrimonio e del ruolo della chiesa, che oggi si rinnova. Lei è contrario al matrimonio omosessuale e all’adozione da parte delle coppie omosessuali. Che sensazioni le ispira la chiesa di Papa Ratzinger, ultima assise morale delle società postmoderne?

S - Tenuto conto della separazione tra stato e chiesa, è imperativo che i politici francesi mantengano un certo riserbo in materia religiosa. Detto questo, come la maggior parte dei miei compatrioti, ho davvero una grande considerazione e grande rispetto del Papa e di ciò che rappresenta. So cosa debbano all’eredità cristiana l’Europa in generale e la Francia in particolare. Quanto alla questione della famiglia e delle coppie omosessuali, l’ho detto molto chiaramente: non sono né a favore del matrimonio degli omosessuali, né dell’adozione da parte delle coppie omosessuali. Questo però non significa che io neghi la realtà e la legittimità dell’amore omosessuale. Non ha minore dignità dell’amore eterosessuale. Penso semplicemente che l’istituzione del matrimonio, per mantenere un senso, debba essere riservata agli uomini e alle donne. Penso, allo stesso modo, che una famiglia sia costituita da un padre, una madre e dei bambini. Per le coppie omosessuali in Francia abbiamo i pacs. Propongo di andare ancora più in là e creare un contratto d’unione civile che garantisca la perfetta uguaglianza con le coppie eterosessuali sposate, per quanto concerne i diritti alla successione, fiscali e sociali.

F - In Libano, i nostri soldati si sono conformati alla risoluzione dell’Onu che prevede una forza multilaterale lungo la frontiera con Israele. Certi rapporti delle Nazioni Unite segnalano il riarmo di Hezbollah. Pensa che sia necessario ripensare la missione Unifil perché sia efficace?

S - La missione Unifil 2, creata dalla risoluzione 1.701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, aveva ricevuto un mandato realista, ovvero assicurare un cessate il fuoco duraturo tra le parti libanesi e Israele. Fino a oggi ci è riuscita bene, senza dubbio anche perché la Francia, sotto l’impulso vigilante di Jacques Chirac, aveva preteso sin dall’inizio che si garantissero tutte le condizioni per l’efficacia dell’azione della forza internazionale: un mandato chiaro e rafforzato rispetto a Unifil e regole d’ingaggio predefinite. Ciononostante, l’equilibrio nella regione rimane fragile. Il disarmo delle milizie – elemento fondamentale per la stabilità – deve rimanere al centro delle preoccupazioni del governo libanese. Più che a Unifil 2, spetta al governo locale organizzare la deposizione delle armi da parte delle milizie e impedire il riarmo di una loro parte, garantendo un vero controllo della frontiera sirio-libanese. Dobbiamo augurarci che il processo politico libanese possa prendere il largo, che i libanesi riprendano in mano il proprio destino e ritrovino il cammino del dialogo interno. La consegna delle armi alle autorità libanesi legittime sarà la migliore garanzia del ritorno a una pace durevole”.

F- Oggi la Nato è messa a dura prova, che si tratti di Afghanistan o della costruzione dello scudo americano nell’Europa dell’est. Come pensa debba rispondere la Francia alle domande di flessibilità dell’Alleanza atlantica? E alle accuse della Russia?

S - La Nato conserva, in un mondo incerto e pericoloso, il suo valore e la sua legittimità, perché offre un solido ancoraggio euro-atlantico, che ormai da quasi sessant’anni dà prova della sua importanza per la sicurezza europea. Mi auguro che la Francia si assuma appieno la propria responsabilità nel quadro dell’Alleanza e contribuisca alla riflessione sull’evoluzione delle missioni. La Francia è già molto attiva, come lei sa, e contribuisce in modo importante alle operazioni nei Balcani e in Afghanistan. E’ mia intenzione confermare la solidità di questo impegno. Per il futuro, non dobbiamo perdere di vista però la specificità della Nato, che è un’alleanza militare. Non mi pare utile né opportuno che si sviluppi in direzione di un nuovo tipo di organizzazione a vocazione universale, più o meno concorrente all’Onu. Vorrei che conservasse la sua vocazione militare e un ancoraggio geopolitico chiaro sul continente europeo. Per il resto, l’Europa deve affermare la propria volontà e la propria capacità di assicurare in modo più autonomo la protezione del suo territorio. L’Ue deve darsi l’ambizione di definire e attuare una politica di difesa conforme alla sua situazione geografica e ai suoi interessi. Il progetto americano antimissile per ora non rientra nel campo Nato: è spunto per discussioni bilaterali tra Washington e alcune capitali europee, sulle quali non è mio compito esprimermi. Però l’Ue trarrebbe vantaggio dal parlare con una voce sola in merito a questioni tanto strategiche. Dov’è la sua legittimità se non è in grado di esistere su un capitolo nel quale il suo progetto politico dovrebbe raggiungere il pieno significato? La preferenza europea deve valere anche, e forse soprattutto, nel campo della sicurezza e della difesa. Lei fa notare che la Russia ha manifestato inquietudine. Non è una cosa nuova, queste reazioni hanno accompagnato tutte le evoluzioni della Nato. Dobbiamo incoraggiare il dialogo tra Washington e Mosca, in modo che non si creino malintesi, che sarebbero dannosi per tutti. A proposito dello scudo, esso non può sostituire la dissuasione, anche se può essere utile per completarla.

F - L’Iran è una minaccia sempre più imminente. La Francia e l’Italia sono più propense al dialogo rispetto ad altri membri della comunità internazionale. Qual è la sua posizione rispetto al regime di Ahmadinejad?

S - E’ inaccettabile e pericoloso che Teheran si doti di una capacità nucleare militare. Spetta all’Iran ristabilire la fiducia nella natura delle sue attività nucleari. E’ ciò che ha voluto dire il Consiglio di sicurezza quando ha votato all’unanimità la risoluzione 1.737. L’importante è mantenere la fermezza e l’unità della comunità internazionale di fronte alla prova cui è sottoposta la sua determinazione a contenere i rischi di proliferazione. E’ questo il senso dell’azione degli europei dal 2003. Tale politica di fermezza e di dialogo oggi è condivisa da tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza. In questa continuità si iscriverà la mia azione, se sarò eletto. Per quel che riguarda Ahmadinejad, i suoi interventi che incitano alla distruzione di Israele o che negano la realtà della Shoah sono inammissibili e irresponsabili. Ma non sono sicuro che abbiano trovato l’appoggio della maggioranza degli iraniani, tutt’altro.

F - Lei vorrebbe rilanciare la costruzione dell’Europa con un Trattato semplificato. Quali sono le alleanze che imbastirà, con i partner europei, per arrivarci? Contro la Turchia e la sua ammissione nell’Ue lei ha lanciato l’idea di un’Unione del Mediterraneo. Conta su una collaborazione privilegiata con l’Italia?

S - Presto saranno passati due anni da quando l’Europa è entrata in stallo a causa del rifiuto da parte di due paesi fondatori, tra cui la Francia, del Trattato costituzionale. Possiamo dispiacercene, ma non possiamo che prenderne atto e tentare d’immaginare alternative per uscire insieme dalla crisi. Non sarà possibile rilanciare l’Europa con le istituzioni attuali, che non sono concepite per un’Ue a 27. Ma due anni d’immobilismo sono più che sufficienti. Per questo propongo di riprendere le disposizioni della prima parte del Trattato che avevano trovato maggiore consenso. E’ quello che io chiamo Trattato semplificato. Su questa base è possibile raggiungere in tempi rapidi un consenso. Ho fiducia nella buona volontà, nel realismo e nel desiderio di progredire di tutti i partner. Per quel che concerne la Turchia, è un grande paese e un grande alleato per cui ho il massimo rispetto. Se sono contrario alla sua adesione non è perché sia contrario alla Turchia, ma perché sono a favore di un’Europa politica. Ci sarebbe una contraddizione tra l’adesione della Turchia e il progetto di un’Europa integrata a livello politico: l’Ue non può estendersi in modo indefinito e deve avere delle frontiere. Per ragioni storiche, geografiche e culturali, la Turchia non ha la vocazione a situarsi all’interno di tali frontiere. A meno che queste non siano comuni domani con la Siria o l’Iraq, il che mi sembra difficilmente accettabile. Il momento in cui si è pensato alla prospettiva di un’adesione è passato da quasi 45 anni, e si trattava di aderire a un mercato comune, non a un’unione politica. Sono a favore della creazione di una collaborazione strategica privilegiata, economica e culturale con la Turchia, come con altri stati del Mediterraneo. L’Unione euro-mediterranea che ho proposto s’inserisce in questo quadro. L’Europa, a cominciare da Francia e Italia, non può voltare le spalle al Mediterraneo, elemento strutturale della sua identità e della sua stabilità. (traduzione di Elia Rigolio)

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