A spingere di più per la correzione di rotta sono stati i dalemiani, da sempre scettici sull’autosufficienza veltroniana e antichi fautori di un centrosinistra il più possibile polifonico, dall’Udc al Prc.
Pur consapevole che il risultato della primavera 2009 sarà decisivo per il segretario, il numero due dei senatori Nicola La Torre, autorevole voce della componente dalemiana, spiega che il ripristino di un sistema di alleanze con la sinistra radicale “va ben al di là del destino personale di Veltroni. Il radicamento del Pd dipenderà anche dalla nostra capacità di governare negli enti locali, e con l’avvicinarsi della stagione federalista non possiamo correre il rischio di lasciare interi pezzi d’Italia al centrodestra, alterando l’equilibrio democratico del Paese”. Un modo per dire che, soprattutto al Nord, non sarà il caso di fare gli schizzinosi con Rifondazione, pena il ritrovarsi con un bicolore Pdl-Lega dal Po in su.
Ma gli stessi toni si ritrovano nelle parole di un ex dc, oggi molto vicino a Veltroni, come il presidente dei deputati Antonello Soro. “Sul piano locale” sostiene “trovare convergenze su un programma condiviso sarà più facile di quanto lo sia ritrovarle su un programma di governo generale per l’Italia. Tanto più che in regioni, province e comuni governiamo insieme da anni e con soddisfazione reciproca”.
Soro annuncia a Panorama che Pd e Prc saranno alleati alle regionali della Sardegna, la sua regione. Dove il 13 e 14 aprile il Pdl ha prevalso sul Pd-Idv con 2,8 punti percentuali di vantaggio, un risultato che si sarebbe potuto capovolgere se il 3,6 per cento della Sinistra arcobaleno si fosse aggiunto ai voti veltroniani.
Basta osservare la geografia delle alleanze locali per misurare l’importanza del rapporto tra le due forze principali dell’ex Unione. Il centrosinistra governa in comuni importanti come Torino, Genova, Venezia, Napoli, Bari, Perugia, Cagliari, Foggia, Taranto e Cosenza grazie all’intesa tra il Pd e il partito (ex) bertinottiano. E lo stesso avviene in ben 10 regioni: Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sardegna.
Già le amministrative di Roma, dove Francesco Rutelli è stato sconfitto per un soffio da Gianni Alemanno anche per la renitenza della sinistra radicale a votarlo nel ballottaggio dopo la rottura sul piano nazionale, è stato un chiaro segnale d’allarme. Se al secondo turno gli elettori della sinistra pura e dura se ne resteranno a casa, nel 2009 per il Pd si prospetta un bagno di sangue.
Persino nelle parole di un moderato come Marco Follini, ex segretario dell’Udc approdato al Pd, traspare la consapevolezza che l’autosufficienza è suicida. “Non è più tempo di preamboli Forlani” dice ricordando il documento con il quale nel 1980 l’allora segretario della Dc vietò intese locali con il Pci, “la politica italiana ha una sua naturale complessità, che non può essere compressa più di tanto”.
La ricucitura, naturalmente, ha come condizione la disponibilità di Rifondazione, che dopo il disastro dell’Arcobaleno resta in campo come l’unica forza consistente della sinistra radicale.
Il governatore della Puglia Nichi Vendola e l’ex ministro Paolo Ferrero si sfideranno per la leadership al congresso di Chianciano, dal 25 al 27 luglio. In caso di vittoria del primo, molto appoggiato dai dalemiani, nessun problema. Ma pure nell’altro caso le previsioni sussurrate nel partito dicono che l’accordo si farà lo stesso, solo con qualche asperità in più.
Per il Prc, soprattutto dopo l’uscita dal Parlamento, restare nelle amministrazioni locali è vitale. Peserà, piuttosto, la vicenda della riforma della legge elettorale europea. “Noi” dice l’ex sottosegretario Alfonso Gianni “possiamo stringere accordi anche con chi ha linee diverse sul piano nazionale, ma non con chi ci vuole cancellare”.
È un esplicito ammonimento al Pd perché respinga la proposta berlusconiana di sbarramento al 5 per cento. Una soglia (tabella sotto) che metterebbe il Prc fuori gioco anche a Strasburgo. Con il duplice, disastroso effetto di privarlo del finanziamento pubblico (circa 2 milioni di euro a legislatura per ogni punto percentuale, a condizione di eleggere almeno un eurodeputato) e di costringerlo alla raccolta delle firme per potersi presentare alle prossime elezioni politiche. Questa palla, adesso, deve giocarla Veltroni.
(hanno collaborato Antonio Calitri ed Emanuele Costanti)
Nella simulazione, gli effetti sulla distribuzione dei seggi europei con uno sbarramento al 5% (sostenuto dal Pdl) e di quello al 3% proposto dal Pd
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